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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    10/06/2013    1 recensioni
[SacredShipping][HeartGoldSoulSilverMetaVerse]
Minaki è tornato ad Enju City da Matsuba ma la delusione dovuta alla perdita del suo sogno lo ha gettato in una disperazione che neppure Matsuba riesce a scalfire.
Potrà il Campione aiutarli?
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Angelo, Gold
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
- Questa storia fa parte della serie 'Life of Heroes'
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Fandom: Pokèmon HeartGold/SoulSilver
Rating:
Per tutti
Personaggi/Pairing:
SacredShipping (MatsubaxMinaki), Hibiki
Tipologia:
OneShot
Genere:
Sentimentale, Fluff, Shonen-ai, Malinconico
Disclaimer:
Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Satoshi Tajiri e Nintendo, che ne detengono tutti i diritti.
Note:
Ho un po' romanzato talune parti dei giochi e spero di non essermi presa eccessive libertà... I nomi sono quelli originali giapponesi, sia dei pg, sia delle città che dei Pokèmon.

L'ARCOBALENO SULLA MIA PORTA

Minaki ormai dormiva da giorni, disteso sul futon che, fin dall'infanzia, usava quando andava in visita a Enju City e veniva ospitato dalla famiglia del suo amico Matsuba.

Ora, l'unico rimasto a vivere stabilmente nella grande casa di famiglia, all'ombra degli aceri nei pressi della Torre Suzu, era proprio il Capopalestra assieme ai suoi Pokèmon spettro e quest'ultimo, in quella tiepida giornata d'autunno, si sentiva preoccupato e tormentato: preoccupato per lo stesso Minaki e per quel suo sonno del tutto innaturale, preoccupato per quelle lacrime silenziose che ogni tanto gli sfuggivano dalle palpebre tenute ostinatamente chiuse e che lui, sorvegliato dal fido Gengar, pazientemente asciugava.

Non sapeva bene come prendere e affrontare la cosa.

"Suicune sta mettendo alla prova Hibiki-kun, è certo! Quel ragazzo ha qualcosa che lo ha incuriosito e forse lui è la sola possibilità che ho per dare una svolta alle mie ricerche!"

Nelle orecchie di Matsuba risuonava ormai da mesi quell'ultima, entusiastica frase che Minaki gli aveva rivolto prima di partire verso una meta che, neppure lui stesso, era sicuro quale fosse.

Matsuba lo conosceva bene: avrebbe inseguito Suicune fino in capo al mondo e nulla lo avrebbe potuto fermare, neppure lui stesso ci sarebbe riuscito, nonostante l'intenso legame che li univa da quando erano entrambi due bambini estremamente curiosi che vagabondavano nella Torre Yaketa.

E aveva atteso a lungo, pazientemente, sfidando tutti i giovani talentuosi che affrontavano la Palestra, dando ai più meritevoli la propria Medaglia, senza però esimersi dal tendere un orecchio alle notizie che, veloci come il fulmine, raggiungevano la città e il suo orecchio.

Si vociferava di una bestia leggendaria vista sul mare a Kuchiba, quell'estate, che aveva portato un vento gelido su tutta la città: l'avevano vista tutti – turisti, cittadini, marinai in servizio al porto - così come tutti avevano visto il ragazzino che, coraggiosamente, gli si era avvicinato.

Tutti erano concordi sul fatto che i loro sguardi si fossero incrociati per parecchi secondi prima che la bestia, lanciato un alto grido, fuggisse lontano, saltando elegantemente sulla superficie dell'oceano e prima che il ragazzo venisse raggiunto da un uomo.

Lo stesso uomo che, a sentire sempre le notizie, si era riunito al ragazzo sul Promontorio di Hanada Town e aveva osservato, con gli occhi lucidi, la lotta in corso tra i due sfidanti.

La bestia e il ragazzo si erano affrontati senza risparmiarsi ma, alla fine, ad avere la meglio era stato il giovane che, trionfante e ferito, era rientrato ad Hanada con la PokèBall ancora stretta tra le mani e sorretto all'uomo che lo aveva riportato al Centro Pokèmon.

Matsuba sapeva che si trattavano di Hibiki-kun e Minaki e se, da una parte, era rassicurato dalle notizie che gli giungevano, dall'altra non poteva non essere in pensiero.

La delusione di Minaki doveva essere immensa: rinunciare al proprio sogno volontariamente, riconoscere che qualcun altro doveva essere stato il prescelto da Suicune...

Non poteva neppure pensare alla tristezza che albergava nel cuore dell'amico senza provarla a propria volta.

Ma sapeva anche, ed era questo a dargli fiducia, che prima o poi sarebbe tornato lì, all'unico posto che – almeno sperava fosse ancora così – per lui aveva il significato di casa.

E le sue aspettative non erano state deluse.

Una notte in cui l'estate ormai era alla fine, lui e Gengar erano seduti sotto il porticato a guardare le stelle, a spiare la debole luminescenza delle quattro campanelle appese in cima alla Torre sopra di loro, e si accorsero dell'arrivo del viaggiatore solo quando questi, poggiata rumorosamente la propria borsa sulla piattaforma lignea, aveva barcollato esausto fino al punto in cui si trovavano e si era accasciato tra le braccia di un sorpreso Matsuba che solo per un pelo era riuscito ad impedirgli di crollare rovinosamente a faccia in giù sul legno.

"Ho perso... Non ero io..." aveva mormorato Minaki prima di scoppiare in lacrime.

E mentre Gengar si precipitava all'interno per accendere tutte le candele e aiutare il suo allenatore a portare dentro il nuovo arrivato, Matsuba all'esterno si era chinato a posare le proprie labbra sulla guancia gelata di Minaki: "Lo so, ma non è questo ciò che importa..."

Da quella fatidica notte, il sole era sorto e tramontato parecchie volte ma Minaki non sembrava volersi svegliare tanto presto, lasciando l'amico in un'ansia ancora maggiore di quella che già aveva vissuto.

Il Capopalestra non sapeva davvero cosa fare.

Dalle condizioni del bagaglio che Gengar aveva provveduto a trascinare dentro casa una volta sistemato il proprietario, si era accorto che, probabilmente, lo stesso ricercatore non doveva essersela passata molto bene in quei mesi.

Non era più un ragazzino - a giudicare da alcune vecchie ferite da lui scovate sotto alcuni bendaggi trascurati e dimenticati, doveva essersi trovato coinvolto in situazioni piuttosto spinose – e strapazzarsi in quella maniera, senza sosta, non doveva certamente aver avuto un effetto positivo sul corpo sofferente di Minaki.

Tutto quello che Matsuba poteva fare era avere fiducia, una volta di più, e stargli accanto, non c'era altra possibilità.

Doveva avere fiducia in lui una volta di più.

§§§

Hibiki scese dalla groppa del suo Tropius giusto accanto a ciò che restava della Torre Yaketa e gli accarezzò affettuosamente il muso prima di farlo rientrare nella propria PokèBall; dopo essersi stiracchiato, il ragazzo inspirò a pieni polmoni l'aria frizzante del mattino di Enju, profumata di incenso e legni pregiati: mancava da Johto da troppo tempo, e si era ripromesso di passare per prima cosa proprio lì, assicurarsi che Minaki fosse tornato a casa sano e salvo e, magari, riuscire finalmente a dargli la cosa che in quei mesi aveva tanto cercato.

Quello che voleva fare era ringraziarlo per averlo riportato al Centro e non ne aveva avuto la possibilità perchè il ricercatore si era dileguato prima che lui stesso riprendesse conoscenza, così gli era stato riferito dall'infermiera che si era presa cura di lui.

"E' bello essere tornati, vero, Baku?" chiese entusiasta il ragazzo, voltandosi verso il proprio fido partner, il cui muso guizzava da una parte all'altra per acchiappare tutti quegli odori familiari: "Chissà che Matsuba-nii non sia in Palestra a quest'ora." si chiese, incamminandosi a passo svelto verso l'edificio troneggiante sulla parte sud della cittadina ancora mezza addormentata.

Il Sole era da poco sorto ed era uno spettacolo che aveva affascinato Hibiki fin dal primo giorno di permanenza lì: adorava vedere le ombre allungarsi eleganti sulle porte scorrevoli delle case tradizionali, intuire cosa avveniva al di là di esse e fantasticare sulle meraviglie che non poteva vedere del tutto e che poteva solo immaginare.

Lui e Bakufun si affrettavano attraverso i vicoli silenziosi impazienti di arrivare ma, una volta giunti a destinazione, rimasero vivamente delusi nel constatare che la porta della Palestra non solo era sprangata ma, a giudicare dal poco che riusciva a vedere dell'interno, nessuno pareva metterci piede da un po'.

Confuso, con lo zaino che pesava sulle spalle, Hibiki si sedette con Baku sui gradini: cosa mai poteva essere successo?

"Hibiki-bocchama, cosa ti conduce nuovamente a incrociare la via di noi Maiko Han?"

La voce gentile di Komomo gli fece alzare di scatto la testa e si ritrovò davanti le cinque danzatrici, disposte in fila indiana davanti a lui; con un sorriso, scese le scale con un balzo, atterrando a qualche passo da loro: "Cercavo il Capopalestra, sono tornato da Kanto e volevo salutarlo." replicò con estrema semplicità, "Perchè è tutto chiuso qui?" domandò poi, aggrottando la fronte in un'espressione cupa e preoccupata.

Le giovani si scambiarono uno sguardo perplesso, poi fu sempre Komomo a muovere un passo in avanti: "Certo non è un mio diritto intromettermi in questioni che non sono di mia competenza, eppure credo sia tuo il diritto di sapere, in quanto amico del nobile Matsuba e Campione di Johto. Ma non sarò io a dirtelo, dovresti rivolgerti al diretto interessato." disse criptica, col viso che si rivolgeva verso nord e con gli occhi che fissavano la sagoma della Torre Suzu che si stagliava in lontananza, "Sotto gli aceri c'è la sua casa, nessuno ti impedirà il passaggio, non a te. Raggiungila e guarda come stanno le cose coi tuoi occhi."

Le danzatrici si allontanarono in silenzio, lasciando Hibiki stupefatto a fissarne i movimenti aggraziati sulle note di una melodia che, sospinta dal vento, sembrava fossero solamente loro a sentire; poi, quando esse scomparvero alla vista, il ragazzo incominciò a correre, incurante delle grida di Bakufun alle sue spalle.

Doveva assolutamente sapere.

Il monaco all'ingresso lo riconobbe e gli rivolse alcuni frettolosi inchini mentre si scostava dalla sua strada per far passare sia lui che il Pokémon che gli arrancava dietro e fu solo quando entrambi giunsero, senza fiato, al viale che conduceva alla Torre, che si fermarono, con le prime foglie rossicce che ingombravano il sentiero a scricchiolare sotto i loro piedi.

"E adesso dove dobbiamo andare?!" esclamò frustrato.

Una PokéBall si sganciò dolcemente dalla sua cintura, cadde a terra e s'aprì con un ronzio familiare: da essa, uscì Suicune, che lanciò un gridò al cielo terso e si avvicinò per accarezzargli il fianco col muso.

"Tu sai qual'è la strada?" domandò sorpreso il Campione, ricambiando la carezza e lasciando che la Bestia Leggendaria lo tirasse delicatamente per la giacca coi denti: "D'accordo, ti seguiamo." esclamò, facendo un cenno a Baku, il quale scosse la testa sconsolato prima di caricarsi in spalla l'allenatore; i due Pokémon alzarono lo sguardo al cielo, osservarono la sommità della Torre che splendeva colpita dal Sole, poi si misero a correre verso il cuore della foresta.

§§§

Matsuba uscì in giardino piuttosto presto, quella mattina, ma mai, in tutta la sua vita, si sarebbe aspettato di vedere Suicune accovacciato sotto il suo porticato accanto a un Hibiki sorridente.

"Matsuba-nii, scusa per l'intrusione ma ho trovato la Palestra chiusa e mi sono preoccupato. Komomo-san mi ha detto dove trovarti." disse a mò di giustificazione mentre accarezzava il Pokèmon dietro le orecchie: "Che è successo? E Minaki-san? E' tornato?"

Faticando a riprendere il controllo per lo stupore, il Capopalestra non aveva afferrato del tutto le parole del suo giovane amico, solo il nome dell'altro occupante della casa: "E' di là... E' tornato ma dorme..." mormorò, offrendo la tazza di tea al visitatore improvvisato, "In effetti dorme da qualche giorno..."

"E' per questo che non hai più frequentato la Palestra?" s'informò Hibiki, spiandone il volto stanco e sfiduciato: "Sei preoccupato per lui?"

Matsuba strinse i pugni, senza rispondere: era preoccupato, ma non solo, era anche e soprattutto spaventato; e se non si fosse più svegliato? Dopotutto, la cattura di Suicune era stata tutta la sua vita, forse una delle poche cose che, per Minaki, aveva un senso oltre la loro amicizia.

Hibiki rimase in silenzio, bevve qualche sorso dalla tazza poi la restituì al proprietario: "Io so di aver infranto il suo sogno, sono venuto fin qui anche per cercare di rimediare." sussurrò a bassa voce, frugando all'interno dello zaino, "Ho girato il mondo, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse servire allo scopo, poi Yanagi-ojiisan è venuto in mio soccorso..."

Ciò che il Campione tirò fuori era sorprendente: non aveva mai visto una statua più bella, finemente intagliata nel ghiaccio eterno, così perfetta nei particolari che, per un attimo, Matsuba ebbe l'impressione di vederla muoversi, pronta per balzare via e sparire nella boscaglia.

Era un Suicune del tutto identico a quello che riposava tranquillo lì accanto a loro.

"Yanagi-ojiisan ha detto che normalmente non fa sculture per gli estranei ma che, siccome gliel'ho chiesto io, non poteva dirmi di no." esclamò con infantile orgoglio: "E volevo donarla a Minaki-san anche come ringraziamento per avermi aiutato."

Quel... marmocchio.

Quel marmocchio così riconoscente, così espansivo al punto da scomodare forse il Capopalestra più anziano e rispettato della regione per una cosa del genere...

Matsuba si asciugò una lacrima fuggiasca: chissà, forse poteva davvero restituirgli Minaki.

Suicune poggiò a sorpresa il proprio muso in grembo a lui, fissandolo con gli occhi cristallini come l'acqua.

"Vedi? Anche Sui vuole aiutare."

Soprassedendo sul soprannome strampalato che gli era stato dato, la Bestia Leggendaria si alzò sulle zampe e, cautamente, tirò per la manica prima il proprio allenatore e poi il Capopalestra: "Vuole che lo seguiamo, è stato lui a guidarmi fin qui, sai?" esclamò Hibiki, saltando in piedi.

Il Capopalestra annuì debolmente, ancora stupito dalla piega che avevano preso gli eventi e sbalordito per la sicurezza con cui Suicune si muoveva sotto la tettoia, diretto senza alcun dubbio verso la stanza che Minaki occupava.

Matsuba si soffermò a osservarne i movimenti aggraziati mentre, con leggeri colpi del muso, indicava loro di far scorrere la porta per farlo entrare.

Più educato, Hibiki bussò delicatamente: "Minaki-san, siamo noi... Possiamo o disturbiamo?"

Dalla stanza giunse un vago e lontano mugolio, al di là della porta si poteva vedere un'ombra informe che ogni tanto pareva muoversi ma nessuno rispose; Suicune ringhiò sommessamente poi spostò lo sguardo ripetutamente sui due allenatori alle sue spalle, i suoi grandi occhi cristallini parlavano per lui.

"D'accordo, d'accordo..." borbottò Hibiki sottovoce, facendo scorrere di poco la porta.

La Bestia Leggendaria sgusciò all'interno della stanza in penombra, Matsuba la vide, con stupore, avvicinarsi al futon mentre dal suo corpo s'irradiava una tenue luce azzurrina; Hibiki fu svelto a seguirlo e infine anche il Capopalestra si convinse a imitarlo, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Da una parete laterale, uscirono Gengar e Haunter, che vennero zittiti all'istante dal giovane padrone di casa: non era il momento.

Gattonando accanto a Suicune, il Campione raggiunse il fagotto e s'inginocchiò accanto ad esso; con mano tremante, poi, scostò la trapunta che rischiava di soffocarne l'occupante, mettendo a nudo il viso contratto e sofferente, imperlato di sudore, di Minaki.

Agli occhi del ragazzo più giovane era estremamente pallido e patito, cosa che gli fece più male di un pugno nello stomaco; supplicando con lo sguardo il Pokémon, Hibiki sperava che questi potesse in qualche modo restituire la serenità perduta al ricercatore, sperava che potesse, se non superare la cocente delusione nel vedere il proprio sogno infranto, almeno svegliarsi, ritrovare la voglia di aprire gli occhi.

Fin dal primo momento in cui era entrato alla Torre Yaketa e aveva conosciuto Minaki-san e Matsuba-nii, il ragazzo si era reso conto della speciale alchimia che c'era tra i due: anche lui e Kotone erano amici d'infanzia ma non erano così legati, almeno non lo erano come Minaki e Matsuba, non si cercavano ripetutamente, non si guardavano attorno nel tentativo di trovare accanto a sè l'altro.

Lui e Minaki avevano viaggiato a lungo ma, nelle sporadiche chiacchiere che si erano scambiati durante i loro brevi incontri sulle tracce di Suicune, lui stesso non aveva mai pensato a Kotone.

Il ricercatore, invece...

"Matsuba-nii, sai che Minaki-san ti vuole molto bene, vero?"

Le parole di Hibiki fecero trasalire il Capopalestra, che distolse lo sguardo dai due Pokémon fantasma al suo fianco per puntarli sul suo giovane amico, il quale gli faceva segno di avvicinarsi, di mettersi tra lui e Suicune.

Meccanicamente, Matsuba eseguì, ritrovandosi a stringere con forza inusitata la mano scheletrica di Minaki mentre una lacrima gli sfuggiva dall'occhio: "Ogni volta che ci incontravamo, non parlavamo molto, spesso mi sfidava, e ogni volta che, purtroppo, finiva per risultare sconfitto, non si dava mai per vinto e si rimetteva in viaggio. Però io so che sarebbe comunque tornato qui, a Enju. E non solo perchè è il centro della leggenda di Suicune, la stessa che ha inseguito fin dall'infanzia. Ma anche perchè qui ci sei tu." il sorriso del Campione che splendeva illuminato dal baluginio azzurro rinfrancò il Capopalestra, infondendogli quella fiducia che aveva perso.

"Una volta mi ha parlato di te." aggiunse il ragazzo: "Ha detto che vorrebbe riuscire a vedere Suicune anche per dimostrarti che è degno della memoria di suo nonno, di quella di tuo padre ma soprattutto della tua amicizia. Per lui, sei molto importante."

Gengar e Haunter, quel giorno, videro piangere per la prima volta il loro allenatore.

Un basso ringhio distrasse Hibiki, che si vide il muso di Suicune frugargli nello zainetto abbandonato accanto a loro, e si ritrovò con la statuetta di cristallo in grembo; prendendola in mano, la osservò per alcuni secondi, sembrava reagire al potere di Suicune, poi la depositò sul cuscino accanto al viso di Minaki che, lentamente, si stava rilassando.

Stava funzionando.

Quando infine la luce si spense e Suicune andò a distendersi col muso poggiato in grembo all'allenatore, quest'ultimo sorrise trionfante: "E' finita..." sussurrò con tono affettuoso mentre accarezzava distrattamente le orecchie della Bestia.

Come in risposta alla sua voce, soto lo sguardo lucido e commosso di Matsuba, Minaki sollevò lentamente le palpebre, le sbattè ripetutamente e, quando infine la sua vista si snebbiò, vide sopra di sè il viso dell'amico e sentì le proprie labbra distendersi in un sorriso stanco: "Ho fatto uno strano sogno, sai...?" biascicò, "C'era Suicune, ma c'eri anche te..."

Quando Hibiki uscì dalla stanza per lasciarli soli, sentì distintamente la voce rotta dal pianto del Capopalestra che sussurrava al ricercatore: "Non era un sogno..."

§§§

Il Campione era rimasto seduto all'ombra per parecchi minuti prima che la porta, apertasi nuovamente, rivelasse Minaki, in pigiama, che si reggeva a Matsuba per camminare.

Sorridendo, Hibiki s'alzò in piedi: "E' bello rivederti in piedi." disse con autentico sollievo, "Stai meglio?" s'informò.

Minaki annuì con un vago sorriso sul volto stanco: "Grazie a te." disse poi, aiutandosi col braccio dell'amico per sedersi accanto a lui, "Ho saputo che hai fatto fare questa statuetta per me." continuò, mostrando il feticcio di cristallo; il ragazzo ridacchiò, "Mi sentivo in colpa, quindi ho pensato ad una possibile soluzione. Questo è stato quello che mi è venuto in mente. E poi, anche tu mi hai aiutato, o sbaglio? Ero talmente malconcio dopo aver sfidato Sui che non sarei potuto tornare in città da solo."

All'improvviso, il volto del ragazzo s'illuminò: "Minaki-san, ti piacerebbe vederlo? Sui, intendo." chiese il ragazzo, frugando nella cintura alla ricerca della PokèBall giusta, "Sai, dovresti ringraziarlo." concluse, sganciando la sfera.

Quando questa s'aprì, sotto gli occhi ancora un poco velati del ricercatore comparve la Bestia Leggendaria.

Era incredibile, averlo così vicino...

Così reale...

"Puoi accarezzarlo, non ti mangia mica. Ho appurato che preferisce i Poffin e i Polock alla carne umana." rise il Campione, allungandosi per prendere la mano tremante di Minaki e guidarla fino a quando le dita non entrarono in contatto col pelo morbido di Suicune; questi fissò sia il proprio allenatore che il ricercatore coi suoi grandi occhi gelidi, poi chinò leggermente la testa per facilitare le loro azioni.

Quando infine il contatto si ruppe e Sui fu scappato via, nel cuore della foresta, Minaki non potè più trattenersi.

"Ah, accidenti! Sei un asociale!" gridò Hibiki nel momento in cui il Pokemon aveva spiccato il balzo verso la foresta: "Tanto poi ti riacchiappo..." borbottò tra sè e sè, "Allora, com'è sta-" le parole gli morirono in gola quando, rivoltosi al ricercatore, lo trovò che piangeva.

"Minaki-san!" esclamò il Campione, tirando fuori dalla tasca un fazzoletto: "Che è successo? Io-"

"S-Sto bene, Hibiki-kun... G-Grazie... Io non avrei mai potuto neanche sognare...".

Ed era vero: in tutta la sua vita, non aveva fatto altro che dare la caccia a Suicune ma mai, neppure nelle più fervide sue fantasie, avrebbe mai potuto immaginare di averlo così vicino, di poterlo toccare con le proprie mani.

"Grazie di cosa? E' solo giusto restituirti la serenità."

Una mano si poggiò sulla spalla di Hibiki, che alzò la testa per incrociare il sorriso di Matsuba: "Devo ringraziarti anche io." aggiunse, prima di sedersi in mezzo, tra il giovane Campione e il suo amico d'infanzia, "Ora capisco cosa hanno visto in te le tre Bestie Leggendarie. Dopotutto, non sono poi molte le persone che metterebbero in gioco perfino loro stesse per una cosa del genere."

"Matsu, io vorrei chiederti scusa..."

Minaki teneva lo sguardo basso ma la mano era poggiata su quella del Capopalestra.

"Sono stato egoista... Non volevo lasciarti per così tanto... So quanto ti pesi vivere in questa casa da solo..."

Sotto gli occhi soddisfatti di Hibiki, Matsuba scosse la testa e poggiò la fronte contro quella dell'amico: "Va bene così." gli sussurrò.

Alle loro spalle, Gengar e Haunter ridacchiavano, entrando e uscendo beati dalle pareti, imitando inequivocabilmente il bacio che volevano vedere dai due uomini.

Oh beh, una spintarella, forse...

Sogghignando, Hibiki fece l'occhiolino ai due pokèmon e si slanciò in avanti, cogliendo di sorpresa entrambi che non si apsettavano di certo un simile assalto: quando egli premette le nuche di entrambi per far unire le loro labbra, i visi di Matsuba e di Minaki superarono ogni gradazione di rosso, tra le risate dei due fantasmi e del Campione, che si rotolava sul legno come un bambino.

Però non era una brutta sensazione...

Vedendo che finalmente anche l'ultimo pezzo del puzzle era stato messo al suo posto, il Campione smise di ridere, si asciugò gli occhi dalle lacrime e infine, alzatosi, si diresse verso gli alberi: "Ho capito l'antifona! Andrò a cercare Sui!" gridò prima di scomparire tra gli alberi.

Quando si staccarono, il Capopalestra si ritrovò Minaki seduto in grembo: "Andiamo dentro?" gli propose quest'ultimo, "Sono piuttosto stanco..." bisbigliò, "Ma credo che stavolta riuscirei a dormire tranquillo."

"Lo credo anche io..." assentì Matsuba, sollevandolo tra le braccia: "Credo che dovrei preparare qualcosa per Hibiki-kun, sarà affamato quando ritornerà."

Con la coda dell'occhio, entrambi ebbero un flash di Gengar con il grembiule addosso, ma non indagarono ulteriormente: "Vuoi una mano?" si offrì l'altro mentre entravano dentro casa e dentro la stanza; quando infine il Cpaopalestra lo depositò sul futon, comprese la sua risposta, "D'accordo, resterò qui tranquillo. Però ammetto di avere fame anche io." concluse.

"Va bene, cucinerò qualcosa e poi mangeremo tutti assieme." decretò Matsuba.

Mentre usciva però, venne fermato dalla voce dell'amico.

"Lasceresti aperte le porte? Un po' di aria mi farebbe davvero piacere." sorrise questi.

Il Capopalestra non potè non ricambiare.

E mentre l'intera casa diventava un ricettacolo di luce, così come la sua anima, Minaki si rese conto di aver dimenticato all'esterno la statuetta che, colpita dai raggi del Sole, dipingeva la porta dei colori dell'arcobaleno che filtravano all'interno attraverso la carta di riso, cadendo infine sulla sua mano.

Tutti quei colori erano un ottimo presagio.

"Grazie, ragazzino." mormorò prima di addormentarsi nuovamente.

   
 
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