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Autore: Eryca    10/06/2013    2 recensioni
Succede ancora, a volte, che esco in balcone, nelle notti in cui il caldo sembra voler sciogliere ogni cosa, e osservo l’orizzonte sopra il mare blu.
Ed è in quelle notti – le notti infinite, le chiamavamo – che chiudo gli occhi.
Chiudo gli occhi e le sue mani sono su di me.
Chiudo gli occhi e bevo una birra insieme a Tom.
Chiudo gli occhi e sfreccio, sfreccio per le strade asfaltate.
Chiudo gli occhi e sono senza limiti.
Chiudo gli occhi e vivo.

***
1969.
Adam non è altro che un neo diplomato, quando La Dea Danzante gli appare davanti agli occhi come un'allucinazione. Il giovane ragazzo viene velocemente trascinato in un mondo stupefacente, fatto di poesie, musica e libertà, dove tutto è lecito e nulla è legge.
Mentre entra a far parte di un gruppo di strampalati ribelli, Adam si farà insegnare dalla sua Dea il significato delle parole vivere e amare.
Ed imparerà ad andare oltre.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Storico
Capitoli:
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8.

La prima notte in strada

 

 

 

 

 

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Partimmo.

Come si è soliti partire, guardando verso l’orizzonte, guardando verso l’infinito. Sperando in tutto, sperando in niente, mentre l’adrenalina si impossessa di te e tu non puoi far nulla se non andare. Perché è così che succede a noi, noi che siamo nati per intraprendere un cammino, per vagabondare senza meta nel mondo: il viaggio ci chiama e noi non possiamo resistergli, la tentazione è troppo forte, ti scava dentro l’animo e mette radice, togliendoti anche il respiro, il sonno, la fame. E tu non hai in testa nulla, nulla se non il viaggio. Il viaggio che chiama.

Cinque giovani alla conquista dell’infinito, ecco cos’eravamo. 

Ricordo quel momento come il più romantico della mia esistenza, gli occhi puntati verso il sole alto nel cielo, il mio corpo a carezzare quello della dea danzante, la consapevolezza che qualcosa di grandioso, di estremamente grandioso, stava avvenendo.

E io ne ero parte.

Sfrecciammo veloci per le strade trafficate della città e quando arrivammo al suo confine, ancora un po’ ubriaco, aprii il finestrino e gridai: «Addio, Sirena, mia amata!»

Le mani di May sulla mia schiena, la sua risata sul mio collo. La sensazione di lei, lei ovunque accanto a me, lei oltre insieme a me.

Fu così, tra una bottiglia di birra, i canti stonati di Tom, le barzellette da quattro soldi, la mano della Musa nella mia, che partimmo.

Partimmo per il Festival che avrebbe cambiato la storia della musica.

Partimmo per Woodstock.

 

*

 

Ricordo che, ad un certo punto, mi svegliai dal sonno alcolico, la bocca impastata e il collo dolorante, probabilmente a causa della posizione scomoda in cui mi ero addormentato. Il sole non splendeva più e l’oscurità era tutto ciò che scorgevo dal finestrino della macchina.

Ancora un po’ intontito, sentii la voce familiare di May che mi riscaldò l’animo.

«Dormito bene?»

Sorrisi. Così.

Sorrisi per averla accanto, per udire la sua voce, per i suoi occhi, per le sue labbra, per essere fuggito insieme a lei e aver abbandonato tutto, per non avere un dollaro in tasca, per non avere nulla se non la voglia di vivere, vivere, vivere insieme alla mia Musa.

Lo ricordo quel sorriso.

Quel sorriso. Così.

«Cazzo, mi fa male la testa» sbiascicai tirandomi su, notando che Tom dormiva accanto a May, nel sedile posteriore. Non avevo idea dell’ora che fosse, né il luogo in cui ci trovavamo; per quanto mi riguardava potevamo anche essere alle Hawaii.

Vi era un’atmosfera di solennità nell’aria, come se fossimo partecipi di un’esperienza grandiosa e ne fossimo assolutamente consapevoli. E la Musa a guardarmi, in quel buio accogliente, in quello spazio ristretto in cui eravamo ammassati, mentre il russare di Tom fungeva da ninnananna.

«Dove siamo?» domandai a Kurt, che guidava senza spiccicare una parola, l’attenzione rivolta alla strada, racchiuso nel suo implacabile silenzio.

«Nel bel mezzo del nulla, in direzione Las Vegas» Risposta secca e voce dura, segno che il Motociclista continuava a non apprezzare la mia presenza ed era, con tutte le probabilità del caso, infastidito dal fatto che mi fossi aggiunto alla loro scapestrata compagnia. Dean, seduto nel sedile del passeggero, prese a fischiettare spensieratamente, rompendo la tensione che Kurt aveva abilmente creato.

«Ehi, ehi, ehi!» La voce di May, più alta di due toni, mi fece mettere sugli attenti e seguii il suo dito indice, che puntava verso il ciglio della strada. Sul lato sinistro del grosso serpente di asfalto, sorgeva una costruzione fatiscente, una di quelle da vecchio film Western, resa visibile da un’insegna al neon malconcia che si illuminava a ritmo alterno.

Si riusciva a leggere solamente parte del cartellone, perché una lettera metallica doveva essersi fulminata: “Il Coo”, annunciava il neon, dando così libero sfogo alla fantasia, già partita alla ricerca della lettera mancante. Così, Dean si mise ad ululare, come uno di quei lupi che stanno sulle cime delle montagne, aprendo il finestrino per far sentire all’intero mondo che, diamine, avevamo trovato la nostra meta, per quella notte.

«Fermati, Kurt!» gridò infine, quasi senza più voce, mentre io e May ridevamo perché Tom era stato svegliato dal fracasso e stava rivolgendo insulti coloriti a Dean.

Ma nessuno gli diede troppa retta, perché nell’aria c’era odore di eccitazione, quella che solo i vagabondi come noi sanno provare, l’adrenalina che ti riempie il corpo quando trovi un posto nuovo, tutto da scoprire, circondato dal nulla. Accostammo nel grosso piazzale davanti all’edificio, che si presentava ancora più malconcio, da vicino; si poteva leggere con facilità, ora, che la lettera fulminata nell’insegna era una “V”, quindi il locale doveva chiamarsi “Il Covo”. Entrammo dalla grossa porta a due ante, portandoci dietro un Tom decisamente irritato e un Dean che sembrava essere già ubriaco, per quanto era euforico.

L’odore di chiuso e il puzzo di sudore mi invasero le narici, facendomi arricciare il naso, ma dopo poco tempo mi abituai a quel tanfo. Il bancone, di fronte all’entrata, era il regno di un vecchio e grassoccio uomo baffuto, che sembrava essere uno di quei cowboy del Wild West. Il resto dello spazio era occupato da lunghi tavoloni in legno, bagnati di birra, e da uomini di mezza età, che parlottavano tra di loro con occhi annebbiati dall’alcol. Giovani cameriere in una divisa succinta, portavano le ordinazioni ai clienti che, nonostante l’ubicazione desolata del bar, erano numerosi e spendaccioni. Io e i miei compari ci guardammo e decidemmo in silenzio che quello era il posto giusto in cui passare la nottata, così ci avvicinammo al bancone e ordinammo una birra a testa. Dean si dissolse in fretta, tutto intento a molestare le cameriere, cercando di fare conversazione con loro, quando in realtà voleva solo portarsele a letto. Kurt si sedette su un tavolo isolato a bere la sua birra senza parlare con nessuno, segno che il suo malumore aumentava sempre più. Io, Tom e May, invece, continuammo ad ordinare alcol – prima Whiskey, poi Rum e ancora birra – determinati nella missione di andare su di giri, perché era l’unica cosa che eravamo capaci di fare.

Mi resi conto che gli uomini tozzi nel bar scrutavano la mia Musa con occhi famelici, come se riuscissero a vedere sotto i suoi vestiti, in un modo che non faceva presagire nulla di buono; così, le circondai la vita con il braccio e la portai più vicina a me, facendo aderire i nostri fianchi, in un tentativo di far allontanare gli sguardi languidi dei clienti.

«Grazie» sussurrò al mio orecchio May, che non si era persa il passaggio, anche se non aveva bisogno della mia protezione, anche se era in grado di difendersi da sola: mi ringraziò perché sapeva che io ne sarei stato felice, perché sapeva quanto il mio cuore desiderasse essere un eroe per lei. Era così, la mia Musa.

 

Amami, O Amazzone,

forte e sicura,

Ama questo povero naufrago,

Amami

O ne morirò.

 

 Tom si mise a parlare con alcuni ragazzi, facendo sfoggio di un lato socievole che lo faceva sentire a suo agio in qualsiasi situazione e con qualsiasi persona, riuscendo ad intrattenere conversazione con le persone più differenti. Gli ho sempre invidiato la sua estroversione, parte caratterizzante del suo carattere, che lo rendeva allegro e simpatico.

E passammo così la notte.

Bevemmo. Bevemmo così tanto che il mondo si allontanò lentamente dal mio spirito, il quale volava lontano, sulle ali di chissà quale uccello, mentre la mia May mi toccava il viso in una carezza lieve. Ricordo che, ad un certo punto, in tutto il locale risuonava forte Light My Fire dei Doors, mentre io e la mia Musa ballavamo, come ogni volta, in un groviglio di capelli e braccia, toccandoci, baciandoci, fregandocene dei camionisti che ci osservavano avidi.

Eravamo oltre, noi.

Eravamo io e lei, nel nostro mondo fatto di amore, passione, che esplodeva quando eravamo sotto l’effetto di sostanze psicoattive, facendoci saltare, gioire, danzare. Ed era nella notte, quando il resto del mondo dormiva, che noi usciva dalle tane e partivamo alla conquista dell’universo.

«Baciami, baciami, baciami, piccolo Adam...»

La sua bocca sul mio collo.

Le sue mani intorno ai miei fianchi.

Quella fu la mia prima notte di bravate, di balli sfrenati e spirito alla riscossa, senza darsi alcun limite, continuando a bere anche se si aveva già la nausea, dando spettacolo, fumando e gridando verso la luna, verso lo spazio, verso oltre.

Fu la mia prima notte passata in quel luogo che non ha spazio né tempo, casa per gente senza nome e senza destino, quello dei dimenticati, dei drogati, dei nomadi.

Fu la mia prima notte in strada.

 

*

 

 

La nottata passò lentamente, anche a causa dell’alcol che mi annebbiava la mente, facendo sì che i miei ricordi siano poco coerenti e piuttosto confusi.

Ma è chiara nella mia testa, l’immagine di me seduto sul marciapiede, fuori dal locale, intento a guardare le stelle luminose che riempivano l’intero cielo, come una tela dipinta egregiamente da un pittore fantasioso. Quando penso a quell’istante, una sensazione di quiete mi invade, riportandomi a quell’attimo di assoluta serenità interiore in cui nulla mi importava se non lo stare ad osservare gli astri, mentre il vento mi rinfrescava il corpo, accaldato per via del liquore. C’è pace, in questo ricordo.

Ci sono io che guardo verso l’infinito, senza paura dell’oppressione, di essere schiacciato da quell’immensità che è l’universo.

E poi, così, come quelle cose che spuntano all’improvviso, inaspettate e dolcissime, nei miei ricordi si aggiunge May, seduta accanto a me, intenta a tenermi la mano, accarezzandomi il palmo.

«Tenera è la notte...» Mi guardò, l’accenno di un sorriso sulle sue labbra, mentre citò Fitzgerald, rendendomi partecipe della sua immensa conoscenza letteraria.

Rimasi a fissare quei suoi occhi di oceano, perché ci si affogava lì dentro ed era impossibile non rimanere incantato da quel mare blu, blu, blu profondo. Ci sono volte in cui me li sogno, quei suoi occhi incantati, li vedo lì, dinanzi a me, e cerco di acciuffarli, li cerco, li cerco, ma come si fa a prenderli? Non si può. Non si poteva acciuffare May, non la si poteva possedere, no. Era lei, sempre e comunque, che possedeva te, con quei suoi occhi.

Mi avvicinai al suo viso – più a vicino all’oceano, più vicino all’affogare – e la baciai. La sua lingua prese a ruzzolare passionalmente insieme alla mia, che penetrava la sua bocca, sondandola. Assaggiai quelle sue labbra di rosa, mentre quella splendida Musa si metteva cavalcioni sulle mie gambe, le sue mani sotto la mia maglietta, a scaldarmi il petto. Pensai che sarei potuto morire, quando le sue mani scesero sul mio basso ventre, stuzzicandomi i peli dell’ombelico, per poi andare giù, più giù, sempre più – e io affogavo nei suoi occhi.

Mi sbottonò i jeans e, mentre le mie mani si stringevano possessivo sul suo sedere, mi leccò il lobo sinistro, facendomi desiderare ancora, ancora di più. E me lo diede, perché le piaceva avere in pugno la situazione, godeva nel vedendermi innocuo, completamente arreso alle sue mani, al suo profumo, alla sua carne. Infilò una mano sotto i pantaloni e, senza troppi indugi, mi afferrò il sesso, facendomi gemere contro il suo collo. Le sue carezze iniziarono lente, introducendomi in un mondo parallelo fatto solo di piacere, mentre la mia Musa mi sussurrava parole indecenti all’orecchio, che mi aiutavano ad innalzarmi, ad allontanarmi da quella dimensione terrena in cui ero intrappolato.

Sempre più sicure, le sue mani percorrevano il mio pene in tutta la sua lunghezza, togliendomi la capacità di pensiero, accompagnandomi in quell’oblio che non tardò ad arrivare. Appoggiai la testa sulla sua spalla, stremato e appagato, mentre May toglieva le mani sporche del mio seme, dalla mia patta.

«I bravi bambini fanno una volta a ciascuno» disse sfoderando un’espressione ingenua ed infantile che non si addiceva per niente alla situazione in cui eravamo. Risi, perché non si poteva non rimanere affascinati dal mistero che era May. Le leccai il collo, mettendo le mani dentro ai suoi pantaloni, palpandole il sedere in un modo che era tutto meno che gentile. Ridemmo a lungo, così, senza pensare a nulla se non al nostro personale piacere, ancora su di giri per l’alcol che avevamo ingerito.

La ricordo così, quella sera, come un tripudio di carne e spirito, tra stupefacenti e pelle contro pelle, mentre le canzoni passavano alla radio del Coo, scandendo il ritmo della notte, come un orologio che segna il tempo, il tempo che passa, il tempo di godere.

La ricordo così, quella sera, come la mia prima notte in strada.

 

*

 

 

Angolo Eryca

 

Ringrazio calorosamente HypnosBT per essersi proposta come betareader ed aver svolto la sua prima correzione di questa storia in modo egregio! <3

Inizio con lo scusarmi per il terribile ritardo con il quale posto questo capitolo, ma avrete già capito che non sono una persona troppo puntuale :P Ci tengo, inoltre, ad avvisarvi che quest’estate sarò ben poco a casa (Francia e Inghilterra mi aspettano, yep!) quindi il tempo a disposizione per la scrittura sarà davvero poco; cercherò, in ogni caso, di aggiornare almeno una volta al mese! Mi scuso già in anticipo e spero che continuerete a seguirmi.

Come vedete i ragazzi iniziano a scatenarsi, ma nel prossimo capitolo faranno una tappa tutta speciale, dove conoscerete nuovi personaggi bizzarri e i nostri due innamorati faranno scintille!
Non dirò nulla di più – autrice sadica mode on.

Anyway, ringrazio tutti coloro che leggono, hanno aggiunto la storia tra le Preferite, le Seguite e le Ricordate e quelli che recensiscono (fatelo in tanti, ragazzi! Adoro leggere i vostri commenti!).

 
Peace, love & Over,

la vostra Eryca (che potete su facebook, qui.)

   
 
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