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Autore: MishSourmate    10/06/2013    2 recensioni
Caro Aomine,
sicuramente tu non mi conosci, ma io sì, ed è per questo che ti sto scrivendo questa lettera. Non voglio dirti il mio nome perché so di non essere il tuo tipo a prescindere, e se sapessi chi sono riceverei soltanto un brutto rifiuto che non sopporterei. Vedi quante negazioni? Pur senza farlo apposta, il mio tentativo di avvicinarmi a te è stroncato sin dall'inizio, e niente può iniziare con un “no”.

[ Aomine Daiki/Kise Ryouta, Aokise. - Ambientata in più periodi. ]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Kuroko no Basket.
Pairing: AoKise, Aomine/Kise.
Rating: PG.
Genere: Fluff, Romantico, Introspettivo.
Warning: Missing moments.
Words: 4.393.
Summary: Caro Aomine,
sicuramente tu non mi riconosci, ma io sì, ed è per questo che ti sto scrivendo questa lettera. Non voglio dirti il mio nome perché so di non essere il tuo tipo a prescindere, e se sapessi chi sono riceverei soltanto un brutto rifiuto che non sopporterei. Vedi quante negazioni? Pur senza farlo apposta, il mio tentativo di avvicinarmi a te è stroncato sin dall'inizio, e niente può iniziare con un “no”. 
Note: PRIMA FANFICTION. ;/////; Dedicata a KamGD, nonché mio ragazzo, nonché colui a cui ho rubato questa griglia d'intro. Essendo dedicata a lui, il titolo viene dal testo di My sweet prince, dei suoi amati Placebo. <3
DISCLAIMER: Non mi appartengono, ma se vogliono io posso appartenere a loro. *ammicc(...)* 


Never thought I'd feel so ashamed.


Kise aveva sempre adorato le novità, macchie di colori diversi dal luminoso giallo della tela della sua esistenza, ed aveva incentrato i pensieri degli ultimi due giorni su una delle novità più belle che potessero mai capitargli: s'imbarazzò al sol pensare che, forse, Aomine Daiki era la novità più bella mai capitatagli, ed il sorriso che ne risultò venne immediatamente soppresso da un sospiro.
Eppure, l'incredibile ironia di quel preciso giorno di San Valentino l'aveva turbato sin dalle prime ore del mattino, in cui era scivolato via dal calore delle coperte troppo presto ed aveva dedicato meno sorrisi alle sue fan, nonostante gli avessero scaricato su entrambe le braccia dei doni e della cioccolata che gli sarebbero bastati fino al prossimo anno.
Pensò addirittura di scusarsi, nel vano tentativo di ricordarsi quali fossero state le sue gaffe mattutine, ma l'ultima campanella della giornata lo fece sussultare tanto che anche la sua mente si svuotò, riempiendosi di sensazioni fastidiose ed estranee; il modello non era solito rimanere immobile fin quando la classe non si fosse svuotata, né ringraziare mentalmente che tutte le sue fan stessero correndo ai rispettivi club pomeridiani, ma non era davvero il tempo di pensare a sciocchezze simili.
Del resto, sapeva alla perfezione che il motivo di tutte quelle stranezze era uno solo, dal sorriso talmente puro che Ryouta non se la sentì affatto di addossargli tutte le colpe: Aomine, ansioso di cominciare gli allenamenti di basket, era sicuramente in palestra, assieme a tutti i membri della squadra. Strisciando pigramente la sedia indietro per tirarsi in piedi, Kise si rese conto che, in quanto nuovo membro dei titolari della Teiko, non poteva assolutamente permettersi di arrivare in ritardo, né per le punizioni che Akashi gli avrebbe inflitto, né per alimentare alcun sospetto in Daiki.
 
Non che possa capire che questa è mia, si rassicurò Kise, ammiccando incerto all'armadietto aperto del compagno di squadra, in cui vi erano altre due lettere. Fu con un cipiglio infastidito che il ragazzo le inserì nella sua prospettiva, ma scosse vigorosamente la testa al punto da scompigliarsi i capelli biondissimi. No, no, no! Non è tuo, non puoi ingelosirti di lui!, si rimproverò, rischiando di stropicciare la busta di carta macchiata che ancora stringeva tra le dita. Però sarebbe bello se lo fosse, e a questo pensiero, se possibile, arrossì più di prima.
Quel cuore stilizzato, minuscolo, nell'angolo, riassumeva alla perfezione l'immaturità del contenuto e del biscotto di cioccolato che, per comodità, aveva già appoggiato all'interno dell'armadietto.

 
Tredici febbraio duemiladieci
Caro Aomine,
sicuramente tu non mi riconosci, ma io sì, ed è per questo che ti sto scrivendo questa lettera. Non voglio dirti il mio nome perché so di non essere il tuo tipo a prescindere, e se sapessi chi sono riceverei soltanto un brutto rifiuto che non sopporterei. Vedi quante negazioni? Pur senza farlo apposta, il mio tentativo di avvicinarmi a te è stroncato sin dall'inizio, e niente può iniziare con un “no”. Però tu mi piaci, ed è solo per questo che, anche se anonimamente, ti sto lasciando questo messaggio e un biscotto di cioccolato. So che tu il cibo non lo rifiuteresti mai: assaggialo anche per me, seppur sappia farci con queste cose non ho avuto il coraggio di assaggiare. Ti conosco da poco tempo, ma credo che non riuscirei a fare più a meno del tuo sorriso, ed è sempre bellissimo guardarti fare tutti quei punti alle partite di basket, in quel tuo stile unico e inimitabile che non avevo mai visto prima. È grazie a te che ora seguo uno sport con così tanta passione, quindi questa è anche una lettera di ringraziamento, nel caso la dichiarazione d'amore di una persona anonima sia per te inutile. 

Mi piaci quando giochi a basket, mi piaci per il tuo entusiasmo, mi piaci per i tuoi capelli che sembrano tanto divertenti da scompigliare e mi piaci per il tuo sorriso, e non avrei potuto trattenermi ancora dal dirlo, anche se adesso non so più come continuare questa lettera. Forse è meglio, tu non sei tipo da sederti e leggere per più del tempo necessario per un time-out, quindi ti lascio qui.
 
Buon San Valentino!
 

Kise si maledisse, ripiegando la lettera con dei gesti secchi ed intralciati.
Ring, ring.
Era la cosa più scabrosa che stesse mai per fare, seppur anonimamente e senza alcun rischio di essere scoperto, visti la mancanza di alcuna confidenza e del suo tipico essere logorroico, volutamente soppresso a causa delle tre pagine che ne erano venute fuori.
Ring, ring.
Di cosa le aveva riempite, poi, non lo ricorda nemmeno: il problema era stato eliminare tutto e riassumerlo in quella metà pagina scarsa.
Ring, ring, ring, ring.
Il solo ritrovarsi lì, immobile di fronte all'armadietto di Daiki, con il dolce appoggiato davanti alle fessure in cui aveva ridotto gli occhi ed il foglio ormai stropicciato appoggiato alle labbra, era già troppo. Un incantevole modello come lui che si ritrovava a dichiarare il suo amore ad un compagno di squadra, uomo. Perlomeno aveva avuto la decenza di scrivergli senza alcuna firma o riferimento al suo sesso, il ragazzino che stava deliberatamente ignorando tutte le belle ragazze, il cui più bel sogno era ricevere quel genere di attenzioni da parte sua, per una cotta impossibile.
Ring, ring, ring, ring.
Frullò le ciglia nel sentire il telefono squillargli nella tasca, e prima di rispondere deglutì tutte le insicurezze che lo stavano attanagliando. «Aominecchi!» trillò, ficcandosi il pezzo di carta in tasca.
«Kise! Dove sei?» sussurrò l'altro capo, con un tono di palese apprensione. «Dobbiamo cominciare gli allenamenti, e stai facendo innervosire Akashi!»
«Ah!». Ryouta allontanò un attimo il ricevitore dal telefono, giusto per notare impressi sullo schermo i suoi dieci minuti di ritardo. «Mi dispiace, mi dispiace, oggi le mie fan mi hanno trattenuto più del solito, sto arrivando!».
Non capì cosa gli rispose Daiki, perché chiuse immediatamente la comunicazione e, lettera ancora nella tasca della divisa scolastica, sgusciò via dallo spogliatoio. Sopportare un pomeriggio con lui, mentre i suoi sentimenti marcivano assieme ad altri in un armadietto arrugginito, sarebbe stato ancor più insopportabile della situazione stessa.
Tanto passerà.
 
-
 
Diciannove febbraio duemiladodici
Caro Aominecchi,
ero andato avanti con la convinzione che tutte le bellissime sensazioni che mi fai provare fossero passeggere, frutto solo della mia profonda ammirazione nei tuoi confronti. Pensavo di poter paragonare la felicità dello stare in tua compagnia, tra gli one-on-one con cui ti ho sempre costretto a prolungare gli allenamenti e il gelato preso sulla via del ritorno a casa, con quella che sento quando, tra le persone con cui sto parlando, non ci sei tu. Io ti ammiro e ti ammirerò sempre, Aominecchi, ma purtroppo non riesco più a riassumere tutto quello che provo per te con queste parole, perché ormai mi sembrano troppo semplici e inadatte.
Pensavo che l'entusiasmo e il sorriso con cui battezzavi ogni tua azione mi avessero semplicemente attratto, nel pieno del periodo in cui ogni mio successo mi sembrava tanto scontato da risultare noioso nel complesso della vita. Credevo anche che ti fossi soltanto enormemente grato per avermi fatto conoscere il basket, e il tuo stile tanto personale che ancora non riesco ad imitare.
So quanto adesso tu sia forte, talmente forte da trovare tedioso anche ciò che ami: è quello che provavo io prima d'incontrare te, l'ho appena detto.
È triste vederti sfiorito così, ma ancor prima della terribile consapevolezza di non poter far nulla per ricambiare il tuo aiuto mi ero detto che, sì, visto che ormai i tratti principali che mi avevano avvicinato a te erano scomparsi, avresti smesso di piacermi: non ti dico quanto strano è stato scoprire che assolutamente niente era cambiato. Talmente strano che mi sono deciso, a così pochi giorni dalla fine della scuola, a scriverti finalmente cos'è che sei per me, nonostante abbia ancora paura. In fondo sono un uomo e, per quanto possa essere attraente, io non potrei mai nemmeno lontanamente piacerti a prescindere, vista la mancanza del seno grande della tua Mai-chan. Sono un uomo a cui piace un altro uomo, e non sai quanto me ne vergogni, seppur la felicità che mi dai sia maggiore. No, non so di che felicità sto parlando: adesso sei così annoiato, stanco, salti gli allenamenti e ormai devo implorarti per un solo one-on-one, sei praticamente l'opposto della persona che pensavo mi piacesse; tuttavia, venirti a chiamare sul tetto della scuola per convincerti ad allenarti con noi mi fa sempre male allo stomaco. Un male positivo, è un calore che non puoi usare come scusa per non andare a lezione e che arriva ogni volta che devo parlarti o pensarti. Chissà se lo conosci? 
Anche se adesso devo implorarti di ignorare tutto quello che hai letto e rimanere mio amico, continua ad essere una bellissima sensazione, quella che mi stringe lo stomaco. Voglio che tu non mi dica niente, né mi faccia capire di aver letto questa lettera, né te ne vada da me: prima di amarti ti voglio davvero bene, e sarebbe orribile perdere quel poco di attenzioni che posso ricevere. Non allungo l'elenco di ciò che voglio da te, perché altrimenti -l'ho già fatto un'altra volta-, riempirei troppe noiosissime pagine.
 
Ti vorrei e basta, Aominecchi.
Kise.
 

Ryouta sapeva che, infilando la mano nel borsone da palestra, stava ufficialmente segnando la sua condanna a morte: s'era ripromesso di non tirarsi più indietro, e ricordò il patto con se stesso aggrottando la fronte in un'aria decisa, seppur esausta dall'ultimo one-on-one forzato con Daiki. Stavolta non perse tempo a rileggere ciò che aveva scritto, era perfettamente conscio di come si sarebbe sentito, a rivedere i suoi sentimenti su carta; imbarazzo, vergogna, un'ombra di disgusto ed un'altra, ben più grande, di terrore, che lo avrebbero convinto a gettare via tutto.
Fortunatamente, uno scricchiolio proveniente dalla sua sinistra lo distrasse, e il paio d'occhi cobalto che lo stava fissando, profondamente seccato, convinse il biondo a piegare la lettera nella tasca della divisa scolastica.
«Ohi, Kise, io me ne vado.»
«Ma Aominecchi!» pigolò l'interpellato in risposta, scattando su dalla posizione inginocchiata che aveva assunto di fronte ad una delle panche dello spogliatoio. «Ho finito, aspetta solo un attimo!»
«No. Sta per piovere, e non ho voglia di tornare a casa fradicio per colpa tua.»
Il modello sorrise, sornione, indossando la borsa a tracolla: probabilmente innervosì ancora di più Aomine, che indurì il cipiglio già irritato, ma non ne rimase intimorito. «Anche se te ne andassi ora potrebbe piovere per strada, Aominecchi». Era evidente che Daiki fosse sul punto di cacciare il naso fuori dallo spogliatoio e andarsene comunque, ma venne fermato da un tono allegro, quasi canzonatorio. «Ma io ho l'ombrello, e ho anche finito!»
Daiki girò la testa e sbuffò, squadrandolo in un'aria nuovamente annoiata. «Hai le scarpe slacciate».
«Ahm!», tossì il modello, chinandosi ad infilare i lacci ancora sciolti nelle scarpe. «Non preoccuparti, vanno di moda così!».
E non fu mai così felice del menefreghismo dell'altro, che si rifiutò di continuare quella conversazione chiedendo dove fosse l'ombrello.
 
In fondo era una procedura semplice, e quel possibile temporale all'orizzonte non faceva altro che agevolare ancor di più le mosse di Ryouta. Ancora, come due anni prima, si vergognò dell'immaturità che trapelava in certe strategie, ma non aveva davvero il tempo né la testa per mettersi a stilare tutte le giustificazioni, visto che ormai aveva iniziato a piovigginare e la destinazione era vicina.
Ancora, vi era il fatidico conto alla rovescia, che fece deglutire il ragazzo a più riprese, mentre Daiki non si preoccupava assolutamente d'intavolare un argomento per sostituire quel silenzio imbarazzante. A guardare le sue labbra storte in un'espressione a metà tra il seccato e l'annoiato, il modello si distrasse per un solo attimo dal suo piano, e neanche quello poteva permettersi; era il moro a tenere l’ombrello, quindi lui aveva le mani libere per sfilare la lettera dai pantaloni e nasconderla nella borsa dell'altro, con una scusa che Daiki, troppo indolente, avrebbe passivamente accettato. Aominecchi? La cerniera della tua borsa è aperta, lascia che te la chiuda!
Era un piano semplicissimo, ma fondato su un castello d'incertezze che poteva crollare per via dell'interferenza di un singolo soffio; riempiva Ryouta di un'adrenalina insopportabile, visti l'ansia e i groppi in gola e il terrore che ne conseguivano.
Allo scorgere il tetto di casa Aomine, però, l'angoscia intrecciò ancor di più le sue budella, e la tensione gli impedì, per un attimo, di pensare ragionevolmente: adesso o mai più.
«Aominecchi?»
«Mh.»
«... prima che finisca la scuola faremo un altro one-on-one, vero?»
«Stai scherzando?». Il biondo spostò le iridi ambrate dall'asfalto bagnato al viso di Daiki, più teso del solito. «Satsuki mi costringerà a studiare per gli esami, e pure tu dovresti».
Ryouta si fermò, con le palpebre che erano ritornate ad abbassarsi, assieme alla testa: forse quella che aveva scritto nella lettera non era affatto la pura verità, visto che, adesso, allo stomaco non sentiva alcun benessere. «E… prima di partire per le nostre future scuole?» pigolò, ricevendo come risposta un sospiro carico di impazienza.
«Non ne ho voglia».
Alzando lo sguardo, Ryouta sentì l'esatto opposto della letizia, nell'incrociare quello di Aomine: curvò la schiena nella solita posa perfettamente eretta e sorrise, stritolando la lettera nella tasca. Evitò di replicare percorrendo con l'altro gli ultimi metri che li separavano dall'unico obiettivo dell’amico, e Kise si riprese l'ombrello solamente quando fu sicuro che l'altro fosse al riparo dalla pioggia.
«Alla prossima, Aominecchi».
Questi sembrò fissare il sorriso preimpostato da modello con malcelata avversione, ed il solo suono del portone sbattutogli in faccia fece immediatamente sciogliere il sorriso di Kise, come uno splendido dipinto esposto alla pioggia.
Non riuscirò mai ad essere sincero con lui.
 
-
 
SMS [sent: 2013/12/4, 18:26]
TO: Aominecchi
OBJ: One-on-one! (`・ω´)”
 
Aominecchi, buongiorno! *(*´*)Scommetto che stai ancora dormendo, vero? Comunque, che ne dici incontrarci per un one-on-one, tra mezz'ora, nel campetto vicino al nostro hotel? (‘ )Le nostre squadre non rimarranno a Tokyo ancora per molto, e solo ora ho scoperto di avere una serata libera dagli allenamenti e dal lavoro! Fammi sapere!! (o*ω)
 
 
Sebbene la speranza di cui il messaggio strabordava, Kise non era davvero del tutto convinto nemmeno dell'arrivo di una risposta. Abbandonandosi sul suo letto, si concesse soltanto il tempo per sfilarsi le converse dai piedi per scrutare il soffitto, perché immediatamente si allungò, a pancia in giù, ad afferrare una penna ed un foglietto sul comò finemente intarsiato dell’hotel; se avesse dovuto esporre il fievole sorriso che gli stava incurvando le labbra, nient'altro che un mero tentativo di mostrarsi ottimista con se stesso, neanche una fotografia sarebbe stata venduta.
Avrebbe dovuto iniziare a scrivere, piuttosto, ma il massimo su cui riusciva a concentrarsi era il cellulare che non squillava, né s'illuminava: odiò essere stato avvisato così tardi, delle ore libere che gli avevano concesso, perché magari Daiki stava davvero dormendo. O lo stava ignorando, e a parer di Ryouta erano probabili entrambe le ipotesi: però, a saperlo prima, magari avrebbe avuto più tempo per chiamarlo e convincerlo, o svegliarlo.
Fu sul punto di rilasciare un profondo e teatrale sospiro sulla pagina ai cui bordi vi erano soltanto dei simboli e delle linee fatti per noia, ma spalancò immediatamente le palpebre non appena sentì il gomito vibrargli per via del telefono lì accanto: per una dozzina di secondi buoni si limitò a sbirciare, guardingo, il brillio dello schermo della touchpad che s'affievoliva, e prima di scorrerci su il dito per sbloccarlo preferì sedersi lentamente, terrorizzato dalla prospettiva di un falso allarme.
Respirò forte, serrando un attimo le palpebre dalle ciglia tanto lunghe da essere pesanti, ora: poteva essere Moryama-senpai che, approfittando della serata libera per il Kaijo, voleva chiedere di fargli conoscere qualche bella ragazza; oppure Kasamatsu-senpai, per chissà quale astruso motivo dei suoi; una sua fan che, sfruttate le doti di piccole stalker in erba, aveva ottenuto il suo numero di cellulare; al momento pensò anche che potesse essere Kurokocchi, nonostante la totale assenza di motivo e logica.
Stirò le labbra nel sorriso più involontario e largo che avesse mai fatto, nel cliccare sull'icona del nuovo messaggio: non fare ritardo, biondino.
 
Quello di Daiki era stato un ordine vano, visto che Ryouta s'infilò le scarpe da tennis ai piedi, una giacca afferrata alla cieca nell'armadio e scattò fuori dall'appartamento, con penna e foglietto tra i denti; nonostante fosse in anticipo di mezz'ora, corse fino al luogo dell'appuntamento, celando tutti i ciuffi biondi in un cappello invernale nella speranza di non essere riconosciuto dai pochi passanti che incontrava. Fortunatamente poté accasciarsi sulla dura pavimentazione del piccolo e solitario campetto di basket senza che nessuno l'avesse rallentato nella sua corsa; quindi, si concesse di fissare per più d'un minuto gli occhi sullo squarcio di cielo stellato che poteva intravedere tra gli edifici. Accaldato, si slacciò i primi due bottoni del cappotto e si tirò a sedere, troppo impegnato a stirare il foglio malamente spiegazzato per preoccuparsi degli abiti firmati che indossava.
Soltanto adesso, dopo aver allargato le gambe per poggiare penna e carta a terra, riprese il cellulare ed inviò una risposta traboccante rassicurazioni all'altro; gli sembrava ancora così assurdo che Aomine gli avesse risposto in pochissimi minuti -il fatto che Ryouta li avesse dilatati nell'infinità dell'attesa non era un dettaglio valido-, e con una sentenza affermativa. Ancora una volta, malgrado avesse evitato d'aggiungerlo nel messaggio, il ragazzo pensò che sarebbero tornati ad un surrogato dei vecchi tempi, in cui Kise giurava che avrebbe vinto contro di lui ed Aomine ne rideva, sinceramente divertito. Spense lo schermo del touch e si fissò nell'azzardato specchio che aveva ottenuto: nei denti, messi un po' in mostra dall'insopprimibile sorriso, e nelle fossette che gli comprimevano le guance al punto da assottigliargli gli occhi straboccanti esuberanza, ci vedeva un'euforia talmente pura e reale che gli apparve astrusa; per questo, passò la mano a deformarsi i lineamenti in un'espressione più pacata.
In effetti, quella sarebbe stata l'ultima lettera ad Aominecchi, e questa volta ne era assolutamente certo.

 
Quattro dicembre duemilatredici.
Aominecchi,
ti amo.
Non è la prima lettera che ti scrivo, e probabilmente sarà molto corta, visto che tra poco arriverai e sarò troppo impegnato a stracciarti per continuare a pensare a cosa dirti: questo sarà il primo one-on-one dopo una valanga di tempo, quindi devo davvero trattenermi dal disegnare le mie solite emoticons euforiche, per il bene della serietà di questa dichiarazione. Sono davvero felice di rivederti, seppur la sconfitta che Kagamicchi e Kurokocchi ti hanno inflitto non ti abbia certo fatto ritornare quello che eri: io che ti conosco meglio di tutti, però, lo so bene, che adesso sei felice anche tu. Mi dispiace che non sia stato io, quello a farti ritrovare l'amore per il basket, ma sono ancora così felice. Non so cosa sto scrivendo, mi pare di averti scritto come mi sento già troppe volte, e non riesco a trattenermi: non manca molto alla fine della Winter cup, e fino all'ultimo giorno sarò invaso dagli impegni, perciò adesso smetterò di nascondermi. Non m'interessa di essere un uomo, non m'interessa un tuo rifiuto e non m'interessa nemmeno di non avere alcuna speranza, perché finalmente smetterò di trascinarmi dietro un peso così grande quale il mio amore per te è. Mai mi sono sentito così deciso, ma sono così tanti anni che tento di sopprimermi che avrei dovuto immaginare l'arrivo di questo momento. Ti ho amato quando non facevi altro che sorridere ed entusiasmarti per ogni cosa e ti amo adesso che sei diventato l'opposto di ciò che eri, Aominecchi; pensavo che quella per te fosse una cotta, una stupida cotta che sarebbe scomparsa nel giro di pochi mesi, causata dall'impatto che avevi avuto nella mia vita, e per fortuna mi sbagliavo. Vorrei continuare ad amarti per un sacco di altro tempo ancora, anche se tu fossi tanto clemente da concedermi di rimanere tuo amico, o se ti arrabbiassi e mi abbandonassi. Nonostante ti conosca tanto bene, mi è impossibile prevedere quale sarà la tua reazione: come sarebbe, per te, sapere che il compagno con cui stai giocando ti contempla come se fossi la cosa più preziosa del suo mondo? Sei così bello, Aominecchi, e preferisco di gran lunga passare un'ora con te piuttosto che una giornata con le mie fan più belle; tu sei bello a modo tuo. Sei bello per i tuoi capelli cortissimi e gli occhi stanchi -e sei bello anche con la fronte aggrottata che ti farà venire le rughe-, sei bello per le tue spalle larghe e il tuo accento, eri bello quando ostentavi la tua allegria e sei ancora bello con il sorriso così raro che è diventato leggenda.
Mi sono appena affacciato sul marciapiede qui accanto, e gli unici passi che si sentono sono quelli di te in lontananza, quindi chiudo qui. Stavolta riceverai il mio amore senza sotterfugi.
 
Ti amo, Aominecchi, perché sei tu.
Kise Ryouta.
 

«Ohi!». Kise, a quel richiamo, riaprì gli occhi sulla figura di Aomine che lo stava sovrastando e che non gli diede il tempo di lanciare un mugolio di risposta. «Che fai, prima chiedi gli one-on-one e poi ti stanchi subito?».
Ryouta, prima di allungare un braccio per farsi aiutare ad alzarsi dalla posizione a stella marina che aveva assunto sul freddo pavimento, emise un rantolio che doveva essere una risata. «Aominecchi, siamo al nono one-on-one!»
L'altro non accolse la richiesta d'aiuto, perché si rese conto del suo stesso respiro roco e della palla da basket, incastrata nell'incavo tra gomito e fianco, umidiccia per via del sudore. Spostò lo sguardo seccato dalle dita protese del biondo al canestro alla sua destra, in cui aveva segnato oltre un centinaio di punti in una sola serata: forse il biondino aveva ragione, quindi incrociò le gambe accanto a questi, riscoprendo il piacere dei muscoli sfrigolanti distrutti dalla stanchezza. «E tu li hai persi tutti.» Il perdente, però, si limitò a replicare con una risata, fino a cambiare discorso.
«Aominecchi?»
«Mh?». Il tono del modello era talmente debole che il moro staccò lo sguardo da un punto indefinito di fronte a lui per fissare il biondino, sorridente nonostante il fiatone che ancora fuoriusciva dalle labbra rosa.
Non aveva idea, però, del battito cardiaco del suddetto biondino accelerato per motivi totalmente diversi dalla fatica, o degli occhi ambrati che non incrociavano quelli di Daiki per vergogna, più che vero interesse verso il cielo che li sovrastava.
Ma l'avrebbe avuta presto, giacché Ryouta ingollò dell’acqua e socchiuse gli occhi, elevando i mugolii ad un tono più deciso. «Ti amo, Aominecchi».
 
-
 
Ryouta, al sol ricordo, soffoca un uggiolio con il palmo della mano, e soltanto perché il marito dorme -o, beh, gli da semplicemente le spalle- sullo stesso letto su cui si trovano quei tre foglietti, spiegazzati e stropicciati tanto da poter essere considerati reperti archeologici. L'uomo, dalle goti rosse come se non stesse sfilandosi il berretto da pilota in carriera per appoggiarlo sul comò, socchiude gli occhi sul dorso dell'altro, che non si riempie di tutta l'aria che solitamente necessita durante il sonno; per questo, si siede nella sua parte di letto senza preoccuparsi di smuovere troppo il lato del compagno.
«Le hai lette, Daikicchi?». Il silenzio nella camera da letto è tale che quella domanda sembra spezzare qualcosa, ed il disagio di Kise non può fare altro che aumentare.
Dall'interrogato riceve solo un lieve movimento della testa in risposta, a dare la riprova definitiva che non stava affatto dormendo, nonostante l'ora tarda. Del resto, Ryouta l'aveva avvisato del suo ritorno, dopo venti giorni passati a scorrazzare gente lungo il traffico aereo degli Stati Uniti: il loro era un tacito accordo, e sin dall'inizio della loro convivenza era dovere rimanere ad aspettarsi a vicenda dai rispettivi lavori, seppur attendere la fine del turno in centrale di un agente fosse molto più semplice degli infiniti ritardi di un pilota d'aerei.
Daiki non si muove, quindi Ryouta può spiegare tutti e tre i fogli sulle coperte ed imbarazzarsi delle frasi sdolcinate che riesce a scorgere, mentre si allenta la soffocante cravatta con una mano; non è che si vergogni dei suoi sentimenti, quanto della marea di smancerie che, a rivederle adesso, potrebbero tranquillamente essere scambiate per quelle di una tredicenne con gli sbalzi ormonali. «Le avevo nascoste in un libro, sfruttando la tua allergia alla lettura» si giustifica, con il tono distorto da un sorriso tirato a malapena dalla titubanza.
«Sei un idiota, se pensi di nascondere roba ad un poliziotto.»
L'altro scoppia a ridere, come se quel commento avesse alleggerito l'aria, e torna alle ottave troppo alte. «Scusami, Daikicchi,» e, fin quando non s'è sfilato mocassini e pantaloni, non continua il discorso. «ma avrei preferito che tu non le leggessi».
Aomine non osa distrarsi dal contemplare l'affascinante muro del loro appartamento neanche quando il corpo dell'altro prende il posto delle lettere, e spinge insistentemente contro la sua schiena con il battito del suo cuore. «Sono mie.» sentenzia, secco.
«Sì, ma prima mie.» Adesso le dita di Ryouta spingono contro gli avambracci ancora solidi del compagno, nel riuscito tentativo di farsi spazio per stringergli il petto in un abbraccio.
«E tu di chi sei?» sbuffa il consorte in risposta, come se stesse recitando una parte ripetuta mille volte, di cui, però, l’altro attore non era a conoscenza.
Infatti questi gli raffredda le scapole con il respiro almeno un paio di volte, prima di rispondere, con voce incerta: «Tuo?»
«Quindi le tue cose sono sempre prima mie.» conclude Daiki, dispotico, torcendo il corpo affinché possa voltarsi a circondare le spalle di Kise con un braccio: il tutto, ovviamente, per stroncare a prescindere la possibilità che questi noti la pelle mora delle goti e delle orecchie macchiata di un fastidioso rossore; intuendo il problema, Ryouta permette al mento di Daiki di pungolargli la fronte libera dai ciuffi biondi, limitandosi a sospirare il suo sollievo contro una clavicola.
La speranza della sua ultima lettera è diventata certezza, e nel ripensare all’angoscia del rifiuto che l’attanagliava, si sente l’innamorato più fortunato di sempre: assurdo come l'amore avesse potuto imbarazzarlo tanto, ma in questo caso il fine è più importante dei mezzi.
Pensava che fosse finita qui e potesse ancora abbandonarsi al silenzio familiare ricercato in venti giorni di lavoro, prima che, inaspettatamente, il pomo d'Adamo dell'altro continuasse a muoversi.
 
«Comunque quel biscotto di San Valentino era buono». 

 

Cose.

Finalmente mi sono decisa, con il supporto di tanta bella gente di questo fandom che vorrei ringraziare! A modo loro, sono tutti stati carinissimi, con me, anche nel convincermi a scrivere qualcosa. Ho il terrore dell'OOC, e di Aomine in particolare, perché è uno dei personaggi più complicati con cui abbia mai avuto a che fare. ;_; Il mio ragazzo lo conosce meglio di chiunque altro, ma essendo dedicata a lui non volevo dirgli troppe cosekdjfh. Mi scuso.
Ma insomma, spero sia piaciuta comunque ;u; Ciao ciao, bella gente. <3

Acch. 
   
 
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