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Autore: Keros_    11/06/2013    6 recensioni
[Future!Seblaine]
Blaine, dopo anni di matrimonio con Sebastian e aver messo su una famiglia, decide di divorziare dal marito a causa di un tradimento subito da quest'ultimo. Così va a vivere con suo fratello Cooper e la sua compagna Elizabeth, facendo fare ai bambini avanti e in dietro da una casa all'altra; ma affrontare un divorzio non è mai così facile come si pensa, sopratutto se si provano ancora dei sentimenti profondi verso colui che dovrebbe diventare l'ex.
Abbiamo: Cooper che è stufo d'avere il fratello in giro per casa, Elizabeth che non ne può più di ascoltare i suoi monologhi depressi, Grant che è furioso con entrambi i genitori, Juliette che vuole la felicità dei due uomini, Sebastian che decide di riconquistare Blaine, Tony innamorato di Sebastian, John che vorrebbe creare una relazione con Blaine e quest'ultimo che vorrebbe continuare ad andare avanti con il divorzio.
Ma lo sappiamo tutti, ottenere ciò che si vuole non è mai così facile.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11



Il mondo è fatto di colori, profumi, odori, suoni.

Quando si è felici si percepiscono in modo amplificato e tutto è più luminoso, più bello e migliore; ma questa è una cosa già detta.

Quando si è tristi invece, sembra un posto orribile dove vivere; è silenzioso, monotono, senza profumi e colori. Tutto sembra volerti ricordare la causa della tua tristezza, quando il mondo lo si vede ancora. Si, perché ognuno di noi ha un modo di comportarsi differente quando si è tristi; c’è chi il mondo continua a vederlo e lo critica soltanto, poi c’è chi il mondo non lo vede più e basta, che si rinchiudono in se stessi e tutto diventa bianco e nero; cioè vuoto.

Sono due colori che in sé racchiudono tutti gli altri, ma che ti danno quella stessa sensazione di immenso ed infinito che ci mette paura.

Alcuni pensano che il bianco non metta paura, perché è un colore puro e invece non è così, forse  è proprio per questo che ci spaventa tanto; basti pensare a un foglio di carta vuoto, cioè bianco, e al panico e chi viene mentre lo fissiamo per riempirlo. Abbiamo sempre paura di riempirlo con le parole sbagliate e quindi di sporcarlo. Basti pensare, invece, a una parete bianca, dopo un po’ ci da la nausea perché ci opprime e vorremo riempirla di mille colori, ma poi non ci sappiamo decidere e allora continua a fissarci di rimando, facendoci restare indecisi e con la voglia di cambiare.

Poi c’è il nero e non è difficile trovare le motivazioni che ci spaventano. Come pigmento è formato dall’insieme di tutti gli altri colori e quindi è un insieme di tutto, che in realtà non fa vedere niente. Un po’ come il buio, ecco, appunto. Il buio è un’altra cosa che ci spaventa, grandi e piccini, perché è tutto nero e all’interno si ci può nascondere chiunque e la qualunque cosa, un po’ come le emozioni buie che non abbiamo mai il coraggio di analizzare, esplorare, perché abbiamo paura di ciò che ci potremmo trovare dentro.

Di conseguenza si potrebbe dire che sono due colori pieni e invece no, perché loro sono troppo pieni e quando si ha troppo in realtà non si ha nulla.

Si è vuoti.

Il bianco è vuoto, il nero è vuoto, Blaine era vuoto.

Blaine era vuoto perché il suo mondo, ora, era proprio in bianco e nero.

Senza colori, con distacco netto l’uno dall’altro, un po’ come quando si mette la “Colorita e contrasto” nelle immagini a livello troppo alto. Nel suo mondo non c’era nemmeno il grigio, perché è un colore. Di conseguenza, Blaine si comportava proprio come le persone vuote erano solite fare: vedeva senza guardare, sentiva senza ascoltare, mangiava poco e niente, passava il tempo libero seduto sul divano e, soprattutto, non parlava.
 
 

 


“Blaine?”
Un mugolio si levò dalle labbra serrate del moro seduto sul divano.

“Ti va di parlare?”

“No.”

“Blaine...” Lo supplicò Elizabeth, lasciando la frase in sospeso, prima di avvicinarsi lentamente verso di lui, allontanandosi dalla porta da dove era ferma da un po’ a osservarlo. Si parò davanti alla televisione, davanti al moro, portandosi le mani ai fianchi e mettendo su faccia minacciosa.

“Stavo guardando la tv, potresti spostarti ?” Fu l’unica sua risposta, infastidito già da quella presenza e quel comportamento.

“Non la stavi guardando, eri solo qui a prendere polvere come fai da tre giorni.”

“Elizabeth, sul serio, non sono affari tuoi. Adesso puoi spostarti?”

Lei lo guardò affranta, prima di sospirare. “Invece sì.”

“Non ti seguo.” Rispose lui, guardandola interrogativo, inclinando leggermente la testa da un lato.

El chiuse gli occhi, sconsolata, prima di sedersi composta accanto a lui e prendere il telecomando della tv per spegnerla e poter avere il silenzio di cui aveva bisogno per confessargli tutto. Blaine boccheggiò qualcosa quando vide lo schermo diventare sempre più nero, fino a spegnersi completamente, ma non disse nulla.

“E’ dei CoopelSuperFavolosi&Nipoti. .”

Blaine si sistemò subito sul divano, dandole la sua più completa attenzione, facendola sentire ancora più incolpa. “Come sarebbe, scusa? Dei che?”

“Blaine, sei un tonto! Ho detto dei CoopelSuperFavolosi&Nipoti.”

“E cosa sarebbero?”

“Io, tuo fratello e i tuoi figli.” Rispose lei con fare accigliato, non capendo perché non capisse una cosa così facile. Poi gli venne in mente. “Il nome l’ha scelto tuo fratello, si è pure litigato con Grant per affermarlo come ‘il nome ufficiale della squadra’.”

Blaine annuì.

“Ci dispiace tanto. Anche se sappiamo che sono io quella che ha più colpe.” Disse lei dopo qualche istante di silenzio, scuotendo la testa.

Il moro annuì pensieroso all’ultima frase, ripensando a tutte le stupidate gli aveva combinato quella ragazza; ma ancora non riusciva a capire bene cosa intendesse. “Che avete fatto?”

“Tutto, Blaine. Non è così chiaro?” Chiese retorica a sua volta, alzando leggermente la voce per il disaggio e i sensi di colpa. “La scenata al ristorante, il rubarti la macchina, il dormire nel letto insieme, la partita di football, farti cambiare idea.”

“Io non ci posso credere.” L’uomo scosse la testa, incapace di credere alle sue orecchie. “Avete fatto venire la febbre a mia figlia di proposito? E perché l’avreste fatto?”

Elizabeth prese un respiro profondo, “Blaine, mi sembra ovvio che nessuno ha fatto prendere di proposito la febbre a Juliette; le è venuta da sola e noi ne abbiamo approfittato.”

“Chi vi ha dato il permesso?” Chiese ancora lui, visibilmente irritato.

“Tuo figlio si è messo a piangere davanti a me, vi voleva insieme, così come tutti noi e... e io non ce l’ho fatta a dirgli di no.” Rispose lei, mortificata, ma pur restando sicura nella voce.

“E tu accontenti un bambino pur giocando con le vite degli altri?” Domandò sarcastico.

“Blaine, non è un bambino, è tuo figlio e scusami tanto se volevamo soltanto aiutarvi.”

“A ridurmi così? Mi spieghi come vi è venuto in mente, no perché io non l’ho ancora capito. Vi siete presi gioco di me e di Sebastian. Avete pensato che fosse tutto un enorme gioco!”

“Ora smettila, Blaine. Le nostre intenzioni erano delle migliori e non sembra che tu te ne lamentassi quando ti ritrovavi con tuo marito.” Lo aggredì lei, guardandolo tagliente.

“E’ diverso.” Tagliò corto Blaine, sperando di poter non affrontare quel discorso.

“Ma davvero? Beh, allora sappi che noi facevamo soltanto accadere gli eventi, ciò che facevate tu e Sebastian non lo decidevamo noi, quindi scusami se sei ancora innamorato marcio di tuo marito e lui di te.” Continuò lei tagliente, dicendo l’ultima frase con evidente ironia.

“Non sono affari che non ti riguardano.” Disse lui, altrettanto affilato.

“Hai ragione, noi non ti dovevamo aiutare. Non dovevamo immischiarci, e mi scuso per questo; ma ricordati che con l’unica cosa che hai fatto da solo, senza il nostro aiuto, hai combinato un completo disastro e indovina un po’? Sebastian ti ha tradito un’alta volta.”

Ci fu un attimo di silenzio, poi Elizabeth si alzò con una nonchalance invidiabile e uscì dalla stanza senza fare una piega, non guardandosi indietro e lasciando Blaine a sprofondare ancora di più nel bianco e nero.
 
 

 
 


Grant mise con rabbia la padella nel lavandino, riempiendo la cucina di quel rumore sordo. Imprecò a bassa voce, prima di portare a tavola i due piatti con il petto di pollo che aveva appena cucinato.

“Potresti fare un po’ meno casino quando cucini.” Esordì Sebastian entrando in cucina. Si avvicinò al tavolo e alzò un sopracciglio nel vederlo apparecchiato per due persone. “Se non sai apparecchiare bastava dirlo e ti avrei dato una mano.”

“So apparecchiare e contare benissimo, se è a questo che vuoi alludere.” Rispose sarcastico il ragazzo. “Dov’è Juliette?”

“Eccomi!” disse allegramente la bambina entrando nella stanza, prima di sedersi a tavola, sorridendo. “Mmm.. Buono! Grant cucina sempre bene, come te papà.”

“Grazie principessa,” disse lui, sorridendogli teneramente. Poi si girò verso il figlio per continuare quella conversazione in sospeso. “Ti ho lasciato cucinare perché credevo preparassi la cena per tutti e tre. Si può sapere che ti prende?”

“Lascia stare, Sebastian.” Tagliò corto lui, scuotendo la testa. Capì che non ci fu bisogno d’aggiungere altro nel momento esatto in cui sentì l’uomo sedersi sul divano e lui sorrise amaro.

“Voi non mangiate?” domandò Juliette, mentre metteva in bocca la forchetta. Li guardava a occhi aperti e con la testa leggermente inclinata d’un lato, non capendo proprio quella situazione.

“Non ho fame.” Rispose Sebastian, guardandola teneramente.

“A me è passata.”

“Allora perché fate i capricci se non avete fame?” domandò ancora, sempre confusa dal comportamento del fratello e del padre.

“E’ una cosa da grandi.” Disse Grant, prima di cominciare a sparecchiare. Neanche tutta la fatica che aveva fatto!
 

 
 


Venti minuti dopo e ben due cartoni animati che avevano fatto venire il mal di testa a tutti e tre, Juliette mise in bocca l’ultimo pezzo di petto di pollo rimasto nel piatto e Grant tirò un sospiro di sollievo. Non vedeva l’ora d’andarsene.

Si alzò in piedi e sparecchiò anche le ultime cose rimaste sulla tavola, mentre la bimba  andava ad accoccolarsi contro il petto del padre ancora seduto sul divano.

“Papà, posso dormire con te, stasera?” Gli miagolò, facendo gli occhi dolci. Il padre la guardò alzando un sopracciglio ma rimase impassibile. “Dai, dai,dai! Lo so che non vuoi perché poi mi prendo il vizio e tu e papà non dormite male perché vi tengo lontani, però daaaaaaaai!”

“Se continuano così, non dormiranno insieme per molto tempo.” Commentò acido Grant, e anche se al momento il padre non gli disse nulla, sapeva bene che lo aveva sentito.

“Va bene. Però senza peluche tra i piedi.” Acconsentì l’uomo, prima che Juliette lo stingesse forte e gli lasciasse un grande bacio sulla guancia, con tanto di sonoro schiocco. “Ora vai di là, il tempo che parlo un attimo con tuo fratello e arrivo.”

Eccolo lì, adesso gli avrebbe fatto chissà quale grande sceneggiata, dicendogli chissà cosa.. e chissà a chi fregava! Di certo non a Grant che ne aveva la scatole piene. Fosse stato per lui, lo avrebbe gentilmente preso a pedate nel didietro e non gli avrebbe rivolto più nemmeno la parola.

Aveva mancato di rispetto a tuo padre, alla sua famiglia, a Juliette e anche a lui. Diceva di amarli e alla fine combinava casini su’ casini. Era un idiota. Lui lo aiutava e in cambio non riusciva nemmeno a far tenere chiusa la bocca a un ragazzino che si era felicemente scopato, che gran ringraziamento.

Juliette annuì piano, prima di lasciarli un altro bacio sulla guancia e scendere dal divano prima di trotterellare verso il corridoio per salire in camera da letto e accedere la tv. Sebastian si alzò in piedi, schiarendosi la voce e  Grant restò immobile, in mezzo alla cucina.

“Non provare nemmeno a chiedermi cosa mi è successo.” Lo ammonì subito, senza mezzi termini.

“Non ne avevo nessuna intenzione, l’ho capito da quando non mi chiami più papà.”

“E tu hai aspettato tre giorni prima di dirmi qualcosa?”

“Non ti rivolgere a me così, sono sempre tuo padre. Ho aspettato così tanto perché non c’è proprio niente da dire, ma il tuo comportamento mi sta dando davvero sui nervi.”

Rispose Sebastian, indecifrabile. Grant non sapeva se lo stesse prendendo in giro o era serio. Parlava con fermezza, ma sembrava che nemmeno lui credesse in quelle parole, voleva solo evitare il discorso.

“A me da sui nervi il tuo comportamento, come la mettiamo?” Lo sfidò Grant, sorprendendo l’uomo.

“Non la mettiamo. La devi smettere e basta, ciò che hai da dire non m’interessa, lo tieni per te e ti comporti bene.”

“E’ così che vuoi affrontare la cosa, Sebastian? Davvero vuoi che mi comporti come se nulla fosse, quando hai rovinato letteralmente tutto?” Lui restò ad ascoltarlo. “Avevi di nuovo papà tra le tue braccia, potevate ritornare insieme, potevamo riessere un famiglia e invece no, devi sempre rovinare tutto.”

“Non posso controllare le persone, tanto meno quell’idiota di Tony.”

“Il problema non è controllare o meno qualcuno, il problema è che nonostante tu e papà vi foste avvicinati di nuovo, tu hai continuato ad andare a letto con quello lì. Sapevi che Blaine voleva tornare con te, la cosa era così evidente e sapevi che l’avrebbe fatto.” Sbottò Grant, ma questa volta senza lacrime, soltanto con la rabbia che gli bruciava dentro, perché proprio non lo capiva.

“Pensi che non lo sappia? Lo so. So tutto, è sono tremendamente dispiaciuto. Ma tuo padre non vuole nemmeno ascoltarmi, non mi fa’ spiegare la situazione.”

“Ma-“ Iniziò di nuovo il ragazzo, ma il padre lo fermò.

“…ha ragione e io sono stato quello che sono, non lo biasimo.” Rispose amaro Sebastian.

“Sai che ti dico? Che io con questa storia non voglio averci proprio niente a che fare. Al posto di non fare niente, vai a parlarci. Spiegagli che sei un coglione, che sono cose avvenute prima, che non significano niente e che hai sbagliato. Faglielo capire, perché io non ho alcuna intenzione di vivere tutta la mia vita con te, senza papà e senza Juliette. Piuttosto vado a vivere sotto ai ponti.”

Poi Grant uscì dalla stanza, lasciando il padre accigliato e interdetto all’interno della cucina.
 
 

 

Alla fine Blaine non si era ripreso, ma aveva acconsentito a uscire di casa anche per altre cose al di fuori del suo lavoro da insegnante.

Il mondo doveva andare avanti, così come lui e come gli consigliavano gli altri.

Il problema era che lui ad andare avanti proprio non ce la faceva, anche solo il pensiero lo turbava. Doveva davvero entrare in quell’edificio e firmare tutte le carte che l’avvocato gli avrebbe messo davanti, ma non riusciva a fare altro che guardare quell’enorme edificio a bianco e nero come se fosse un mostro che stava per divorarlo.

Era arrabbiato con Sebastian, l’avrebbe felicemente preso a pugni, eppure era lì davanti da più di dieci minuti buoni.

Salire significava firmare le carte per il divorzio una volta per tutte, chiudere completamente la storia con Sebastian. Certo, lui non le aveva ancora firmate, ma lo avrebbe fatto non appena gli avesse schiaffato in faccia tutto il suo dolore.

Aveva fatto di tutto per ricostruire qualcosa con lui: prima per i figli, poi perché lo amava, poi perché aveva capito che tornare insieme era la cosa giusta da fare. E invece aveva sbagliato tutto, forse si era immaginato tutto. Perché in quel momento si sentiva così, come se il suo amore non fosse corrisposto, come se solo lui sentisse il bisogno del suo corpo accanto al suo, come se lo lui avesse provato qualcosa nel baciarlo o volesse davvero tornare a casa, nella famiglia Anderson-Smythe. Si sentiva come se solo lui volesse prendere a calci il mondo, come se fosse solo lui e basta, senza nessun’altro.

Non prese nemmeno un respiro profondo, perché non ne aveva bisogno, semplicemente si diresse verso l’edificio ed entrò. Fece un cenno con il capo alla donna che, stranamente e gentilmente, gli stava tenendo aperto l’ascensore prima di poter andare.

Si diresse alle scale e iniziò a salire gli scalini come se in realtà stesse solo camminando; perché la rabbia e il dolore che aveva dentro sarebbero riusciti a fargli fare qualsiasi cosa.

Arrivato all’ottavo piano si rese conto che forse non sarebbe arrivato al diciassettesimo, ma non si diede per finto, rallentò il ritmo e continuò a salire facendo dei respiri profondi.
 

 
 

Varcò la soglia dello studio legale con la fronte imperlata di sudore e l’affanno, ma non si sentiva per niente stanco, perché ancora bruciava dentro.

Si asciugò la fronte con la manica della camicia e si avvicinò alla segretaria, rivolgendole un sorriso gentile.

“Salve, sono Blaine Anderson. Ho un appuntamento con l’avvocato.”

“Buonasera, aspetti che controllo subito,” rispose lei con tono rassicurante, prima d’abbassare lo sguardo sul laptop del computer che aveva davanti. “Mi spiace, ma aveva appuntamento più di mezz’ora fa. Purtroppo è saltato.”

No, no, no. No, doveva farlo subito.

“Posso aspettare, mi siedo lì e aspetto.”

“Mi dispiace, ma non è possibile. Posso provare a inserirla domani.”

No, era una cosa che doveva essere fatta subito o Blaine sarebbe bruciato vivo. Non poteva più resistere, nonostante l’avesse fatto per giorni, mesi. Ma era diverso, adesso. Lui aveva provato a riavvicinarsi, a mettere il suo orgoglio da parte e Sebastian lo aveva ringraziato in quel modo. No, non poteva più aspettare adesso che la tristezza era sparita lasciando spazio alla rabbia più infuocata che avesse mai sentito dentro.

In quel momento si sentiva vivo, vivo come si sentiva del giorno alla partita di calcio; vivo, non felice, ma questo a Blaine non importava. Non importava niente che non fosse entrare in quel maledetto ufficio.

In quel momento esatto la porta si aprì e uscì fuori un uomo davvero molto attraente e subito dopo una donna. Non ci volle molto prima che i suoi piedi partissero da soli.

Senza né come, né ma, Blaine si allontanò con molta nonchalance e si avvicinò dove erano usciti i due, mentre la segretaria sembrava essersi persa nel leggere un messaggino arrivatole nel cellulare. Poi scivolò dentro l’ufficio con un movimento fluido e chiuse la porta.

“Signor Anderson, cosa ci fa qui? L’aspettavo più di mezz’ora fa.” Domandò l’avvocato quando sentì la porta chiudersi e alzò gli occhi ai fogli che stava scrivendo, confuso nel vederlo lì.

“Ho avuto un imprevisto, niente di che.” Rispose lui frettolosamente, avvicinandosi alla scrivania. “Mi chiedevo... ha ancora i documenti da firmare per il divorzio?”

“Si certo, sono ancora qui da qualche parte.” Disse sovrappensiero l’uomo, iniziando a cercare nei cassetti.

“Eccoli qui.” Annunciò poco dopo estraendo una carpetta verde pallido, prima di porgerla a Blaine.

“Grazie.” Blaine gli sorrise, levandogliela un po’ troppo frettolosamente dalle mani, prima d’aprirla. “Dove devo firmare?”

“Nei documenti dove c’era scritto il suo nome, sono tutti pinzettati insieme.” Disse Watson, guardandolo sempre più stranito.

Blaine annuì, prima di cercare tra tutti quei fogli. Li trovò poco dopo e li uscì dalla carpetta, poggiandoli sulla scrivania, dove prese una penna e iniziò a firmare vicino a tutte le ‘’X’’ scritte in rosso.

“Li porta-“

“SI.” Lo interruppe secco Blaine, ancora chino in avanti per mettere l’ultima firma.
Poggiò la penna nera sulla carta bianca e senza aver paura di sbagliare scrisse un ammirabile Blaine Anderson con una grafia pulita, mettendo tutta la pressione di cui ne aveva bisogno, assaporandosi il sapere di ogni lettera.

“Fatto.” Disse in fine, sorridendo compiaciuto.

Aveva appena chiuso la sua storia con Sebastian. 










Ebbene sì, io scompaio dalla circolazione per due settimane e riappaio con questo capitolo taaanto carino LOL Sono carina pure io puahahhaha. 
 
E Niente.. Adesso me ne rivò :)
 
Baci, 
Mirma <3 
*lancia biscotti e schiva maledizioni* 
   
 
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