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Autore: summers001    11/06/2013    5 recensioni
Se è positivo è successo, negativo non è sicuro. Com'era l'ultimo? Negativo, bene. Due settimane fa però... D'accordo, di nuovo, solo per essere davvero sicura.
Emma non volle alzare lo stick.
Diavolo, sei una donna adulta, di cosa hai paura? Smettila di frignare.
"Emma è tutto ok lì dentro?" chiese Mary Margaret parlandole oltre la porta.
"Dammi un ultimo momento!" le rispose. S'appoggiò al lavandino.
Ok al tre. Uno... Due...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Bimbi sperduti

 

Settembre

"Cazzo!" esclamò Emma guardando verso il basso, con rabbia e disperazione.
Lanciò lo stick verso la porta del bagno di legno, chiusa, si portò una mano sugli occhi e nei capelli. Scivolò sulla ceramica del bagno aprendo le gambe e poggiandosi al muro. Quasi voleva piangere, cosa aveva fatto!
Mary Margaret aprì la porta, entrò.
"Allora?" capì, ma chiese lo stesso.
Emma con una mano premette su una guancia sotto l'occhio, con l'indice dell'altra indicò lo stick che aveva scaraventato a terra poco prima. Mary Margaret lo raccolse, cercò per quelle lineette. Sospirò piano, aveva già capito.
Si avvicinò ad Emma e si abbassò sulle punte dei piedi con le ginocchia a terra.
"Allora? Che cosa vuoi fare?"
Emma prese un respiro profondo, guardò seria la madre negli occhi. Lei l'abbracciò.


Non vedeva Emma da settimane dopo quella volta. Le aveva contante per la verità. Erano tre settimane e cinque giorni dacché Uncino non la vedeva. Prima di quella volta la pensava spesso, la guardava spesso, prima di addormentarsi immaginava come doveva essere averla lì con lui tra le coperte, come dovevano essere morbidi i suoi capelli e liscia la sua pelle. Dopo quella volta ne era diventato completamente ossessionato. Non faceva altro che pensare a lei: la sua bocca, i suoi nei, i muscoli tesi delle sue cosce attorno al suo bacino, le sue mani sul petto e sul suo collo, la sua voce.
Andò a cercarla lui alla stazione dello sceriffo. Alzò il passo per rivederla quanto prima.
"Emma, spledore!"
Emma si spaventò per l'improvvisa incursione, drizzò la schiena allarmata e chiuse gli occhi solo dopo aver riconosciuto la sua voce. Teneva in mano dei fogli con tanti numeri impilati l'uno sotto l'altro. Mary Margaret era accanto a lei, con altri fogli ed altre buste bianche.
"Vattene via!" disse freddamente.
Il sorriso sul volto di Uncino scomparve e l'espressione si fece cupa.
"Possiamo parlarne fuori?" chiese serio e con rabbia.
"No" rispose Emma, arrabbiandosi anche lei, urlando quasi.
Uncino non capiva. Credeva che lei si vergognasse.
"Emma..." cominciò Mary Margaret sussurrando piano dietro di lei, richiamandole alla mente il discorso che s'erano fatte pochi giorni prima, quello che era giusto da fare e quello che non lo era.
Emma fece un respiro profondo, si convinse. Guardò verso il basso, respirò ancora.
"Per colpa tua!" iniziò arrabbiata, urlando, odiandolo per quello che aveva fatto. Mary Margaret le portò una mano sulla spalla, dolcemente, calmandola e sostenendola. Emma respirò profondamente per la terza volta "Sono incinta".
Mary Margaret si allontanò, uscì, superando Uncino, rimasto immobile con gli occhi spalancati. Si ridestò quando sentì la porta chiudersi dietro di lui. Si avvicinò ad Emma, si sedette sulla scrivania di fronte a lei. Cercò il suo sguardo perso nel pavimento.
"Colpa?"
Emma alzò lo sguardo, interrogativa. "Sì." rispose piano. Si batté ripetutamente una mano sulla coscia, tornò in se. "Non preoccuparti, non dovrai fuggire a Las Vegas o su un isola deserta o dove diavolo preferisci. Qui possiamo risolvere questo tipo di cose diversamente."
"Cose?"
"Si chiama aborto."
Emma ed Uncino si guardarono negli occhi. Lui aspettava dubbioso.
"Cacciano fuori il..." cominciò a spiegare lei "prima che sia tardi!".
Uncino continuava a fissarla serio ed impassibile. Emma era imbarazzata.
"No."
"No. No, cosa?" chiese lei sorpresa.
"No, non sono d'accordo!"
"Tu non puoi non essere d'accordo!"
"L'abbiamo fatto entrambi se ben ricordo, posso."
Il viso di Emma si fece interrogativo. Cercò di scrutarlo. "Andiamo che non te ne importa niente!" fece con voce tagliante e sottile.
"Usa i tuoi super poteri." Uncino si alzò e fece per andarsene "Oh, e ho detto no."
Emma rimase immobile, sentì la porta sbattere ed i vetri dondolare.

 

Ottobre
"Emma, sei sicura?" chiese Mary Margaret accarezzandole i capelli.
Erano sedute entrambe in sala d'attesa, su poltroncine morbide. L'ambiente pulito odorova di disinfettante e detersivo al limone.
"Certo che sono sicura, che altro dovrei fare?" chiese lei sbottando.
"Un'altra opzione ci sarebbe..." le pose le mani sulle sue.
"No, non continuare. Hai realizzato di cosa stiamo parlando? Di chi stiamo parlando?" quasi era sull'orlo delle lacrime, arrabbiata con se stessa.
"Io sì Emma, e tu?"


"Ragazzo!" Uncino s'era avvicinato alla scuola di Henry. Era con tutti gli altri studenti, più piccoli e più grandi, in giardino, tutti con dei cestini in grembo e la merenda calda nelle mani. Henry si girò verso la voce che aveva sentito, proveniva dall'ombra degli alberi già quasi spogli.
Uncino fece cenno con la mano di avvicinarsi. Henry rimase fermo dov'era a guardarlo. Si sganciò l'arto metallico dal polso e lo pose in terra, alzò poi le mani in segno d'arresa. Henry allora s'avvicinò. Calciò sbadatamente foglie che scricchiolarono sbriciolandosi frenetiche con i suoi passi sotto il suo peso leggero.
"Sei Capitan Uncino, dico bene?"
"Che occhio, fanciullo, ma non sono qui per le presentazioni! Tu, ragazzo mio, devi fare una cosa per me!" disse esortandolo con una mano sulla schiena.
Henry lo guardò confuso.
"Nessuno dei due vuole che tua madre sia lì in ospedale giusto?"
"Beh sì, immagino sia così." rispose con insicurezza infantile.
"Bene, vai a prendere le tue cose, ti delucido sui fatti e su quello che possiamo fare!"
Henry lo guardò incerto, non sapendo giudicare se fidarsi o meno. Stette a guardare per breve il capitano, poi le sue cose abbandonate su una panchina, poi di nuovo il capitano, indeciso.
"Presto!" lo esortò Uncino con un gesto della mano.
Henry si allontanò, raccolse i quaderni, lo zaino, ripose il suo panino in una scatola di latta e tornò da lui.


Mary Margaret alzò gli occhi dalla rivista che stava leggendo, posata sulle gambe accavallate. Con una mano sfogliava distrattamente le pagine, con l'altra tenenva quella di Emma, che invece riposava con il mento sull'altro palmo.
"Henry!"
Emma si girò e seguì il dito di sua madre che le indicava il nipote, che camminava piano verso di loro.
"Che cosa ci fai qui? Perché non sei con Regina come ti avevo detto?" chiese duramente. La rabbia di lei si stava ripercuotendo anche su di lui. Odiava anche se stessa.
"Mamma," cominciò Henry. Il cuore di Emma fece silenzio e lei si rasserenò. "lo so cosa sta succedendo." continuò lui.
Emma lo guardò triste. Gli accarezzò una guancia tonda e rosea col dorso delle dita, persa nell'espressione seria di un bambino che affronta una situazione troppo grande
per lui.

"E non dirmi che sono troppo piccolo!" precisò lui. Rimase in piedi per darsi un tono di autorità. "Non puoi farlo, ricordati com'è successo con me quando sono nato!"
Emma prese un respiro profondo "Henry, questo è diverso, non nascerà nessuno!" cercò di spiegargli, continuando ad accarezzarlo, intenerita dall'ingenuità della sua età.
"Mamma, avresti fatto lo stesso con me?" chiese allontanandosi leggermente.
Mary Margaret con una mano al petto, sorrise al bambino, sorpresa. Si era dimostrato più adulto degli adulti.
Emma si ricordò invece della prigione, di averci pensato più e più volte chiusa lì, si ricordò di essersi detta ogni giorno di non avere scelta. Si ricordò di quante volte aveva sperato che s'interrompesse tutto naturalmente.
"Henry..."
Il bambino si allontanò ulteriolmente da lei, la guardò risoluto, fermo.
Emma si alzò dalla poltroncina, calda del suo corpo, comoda. Facile.
"Andiamo a casa." Gli disse piano, pensierosa, tenendogli la mano. Mary Margaret li seguì commossa.

Da lontano, nel corridoio dell'ospedale, Uncino spiò la scena. Non poteva sentire, ma sorrise quando la vide andar via.

"Ti riterrai soddisfatto!" Emma gli urlò incontro illuminata dal sole del porto di Storybrooke, con i capelli che le volavano in bocca e sugli occhi.
"Discretamente!" rispose lui calmo, freddo ed offeso.
Emma incrociò le braccia al petto. Lasciò che i capelli ed il vento le schiaffeggiassero il viso ed il collo. Si voltò di lato. "Tutto questo è una follia" sussurrò poi. Tornò a voltarsi verso di lui "Avanti, io e te? Chi è più sbagliato qui tra noi due?"
Emma era obbiettiva, metodica. Emma era fredda, logica. Emma minimizzava per controllare gli eventi. Feriva. Recitava. Sottovalutava, se stessa e lui.
Uncino si avvicinò a lei, triste, usato, rifiutato. Entrò nel suo spazio personale. Emma non arretrò per gestirlo, reggerne lo sguardo. Uncino la guardò solo dall'alto. "Ti sorprenderebbe sapere quante cose possiamo fare bene insieme io e te!" La serietà era riuscita a spazzar via anche la malizia. Emma rimase a fissarlo sull'orlo del pianto.
"Asciugati quelle lacrime," riprese più calmo "verrò io da te quando sarai più lucida."
Uncino si girò per andar via. Emma continuò a piangere immobile in silenzio schiaffeggiata dal vento.
"Non ce n'è bisogno!" gli urlò per pareggiare i conti, mentre le lacrime le impastavano la bocca e le guance. Uncino si voltò e le sorrise spento.

 

Novembre
"David?" lo chiamò Emma, mentre stava andando via, con una mano sulla bocca e poi nei capelli. Emma s'allarmò, la sua voce cambiò, divenne un lamento, chiedeva aiuto ed attenzioni. "Papà?" chiamò più decisa. David si voltò, stringendo le labbra e degludendo. La sua bambina.
"Non mi stai giudicando, vero?"
Li aveva ritrovati da così poco e già li aveva delusi. Non era come loro, non era affatto come loro. Emma non rifletteva, agiva nel modo sbagliato. Si lasciava prendere e tentare, non era attenta alle conseguenze. Non era buona come loro. Non era riflessiva come loro. Non era una principessa.
David attraversò il salone e corse da lei a stringerla. Lasciò che piangesse sulla sua spalla e gli sporcasse la camicia. Mary Margaret si aggiunse all'abbraccio, chiudendo Emma tra le mura dei suoi genitori.


"E' di là, in bagno." fece Mary Margaret quando vide Uncino entrare sgarbatamente dalla porta d'ingresso.
"Sta bene?"
"Và!" fece cenno con la testa di lato. Lei e David stavano cucinando. Fissò con sguardo minaccioso, lucido e freddo il pirata lungo il suo tragitto. Sua moglie gli diede un colpetto con il gomito e tornarono a lavoro.
Uncino aprì lentamente la porta del bagno. Emma era seduta a terra, il gomito poggiati sulla ceramica della vasca, le dita che le picchiettavano una ad una la testa e l'espressione persa sulle mattonelle bianche e blu. Si voltò di scatto quando sentì il cigolio della porta. Guardò Uncino con circospezione per poi tornare alle sue mattonelle. Lui sospirò sonoramente. Si tolse la giacca pesante lasciando che s'arrotolasse in terra, si avvicinò e si sedette accanto a lei con le gambe aperte, le ginocchia piegate ed i gomiti su di esse.
"Com'è stata l'ultima volta?"
Emma ci pensò, inspirò. "Sapevo che Henry non sarebbe rimasto con me."
Si voltò verso di lui con sguardo di supplica "Siamo ancora in tempo per fermare tutto!"
Uncino strinse le labbra. "Cosa c'è davvero sotto, Emma?"
"Niente." rispose veloce lei. Non che lui s'aspettasse una vera risposta. Sorrise leggermente con l'angolo delle labbra nel vedere la forma in cui si presentava il suo muro dietro con cui si proteggeva.
"Mio padre mi abbandonò quando ero ragazzo. Avevamo qualcosa, mi insegnò tutto quello che so." cominciò lui fissando indecifrabile le mattonelle insieme a lei, quadretti bianchi e blu che aiutavano a pensare. "Credeva non ce la facessi, invece lo trovai. Non c'era niente di nobile nelle sue intenzioni, non come le tue o quelle dei tuoi genitori almeno. Ma io posso essere diverso, posso fare la differenza!" si girò verso di lei. "Qual'è invece il tuo problema, Swan?"
Emma lo guardò affascinata per tutto il tempo. Non aveva mai riflettuto su quale potesse essere la sua storia. Si sentì unita a lui dal filo del passato pietoso.
Ingoiò saliva, si umettò le labbra, distolse lo sguardo per non distrarsi. "Henry è la cosa più bella del mondo." Ci pensò, sbatté più volte le ciglia, ritirò le lacrime ancora calde del senso di colpa. "Merita di avere tutto quello che ho e non è molto." la voce di Emma s'incrinò.
"Beh, da quello che ho visto non sembrava così poco quella notte!" scherzò lui per alleggerire l'atmosfera.
"Tu non hai visto proprio niente!" fece lei infastidita.
L'espressione di lui tornò di nuovo seria. "Smettila di fare finta che fosse niente, sappiamo entrambi cos'era!"
"Non era questo il punto!"
"E' anche questo il punto!" tagliò lui con voce apprensiva. Con la mano destra le diede un colpetto sulle ginocchia, si alzò ed andò via, mentre lei lo seguì con lo sguardo.

 

Dicembre
"Vuoi che venga qualcuno con te, tesoro?" le chiese Mary Margaret chiudendole affettuosamente i bottoni del cappotto. Emma rimase stranita e guardò e lasciò sua mamma fare, prendersi cura di lei come non aveva fatto negli anni passati.
"No, starò bene" rispose lei stanca.
"Sei sicura? Non sei sola questa volta, Emma noi..." iniziò David, imbarazzato, non sapendo come continuare. Dopo la prima volta non aveva fatto altro che ripeterle che erano lì per lei.
"Hey è solo un'ecografia!" Emma sorrise ai suoi genitori preoccupati, prese le chiavi della macchina e s'avviò verso la porta. Cercava di sorridere di continuo, cercava di fingere e recitare di continuo, anche se sapeva che non funzionava e che erano proprio i suoi genitori a lasciarglielo fare. "Ci vediamo dopo!"
Emma uscì. Mary Margaret e David si guardarono preoccupati. "Andiamo comunque?". Mary Margaret sorrise.

"Come ti sentiresti a sapere che c'è un bel giovanotto forte e sano lì dentro?" chiese un medico, uno degli assistenti di Whale, mentre muoveva la sonda rumorosa su e giù lungo il ventre di lei.
"Preoccupata, conoscendo l'altra metà dei cromosomi!" rispose lei ironica, portandosi le mani dietro la testa mentre guardava verso il monitor e cercava di capire.
"Vediamo se riesco a farti cambiare idea!"
Tu-tum, tu-tum, tu-tum
"Ascolta!"
Tu-tum, tu-tum, tu-tum
"Allora, che te ne pare?"
Emma rimase in ascolto, col viso sorpreso o spaventato. "Che me ne pare?" si chiese a se stessa, riflettendo.
Qualche minuto più tardi si puliva la pancia. Uscì con una busta contenente le foto. All'uscita trovò David e Mary Margaret ad aspettarla. Emma si muoveva catatonica.
"Allora??" chiese sua madre.
"Maschio" fece lei pallida ed inespressiva.
David sorrideva, un altro giovane principino! Mary Margaret scosse la testa e poi andò verso sua figlia, prendendole il viso tra le mani. "Tutto apposto, tesoro?"
"Sì, andiamo via."

Uncino era fuori, poggiato ad un muro accanto all'ingresso dell'ospedale. L'aspettava, l'aveva seguita. Li vide allontanarsi di lontano. Nessuno s'accorse di lui. Emma ancora triste, ancora vuota. La guardò andare via, senza potersi avvicinare.

"Quindi avrò un fratello più piccolo?" chiese Henry guardando le foto di quella ecografia, rigirandosele tra le dita senza capire come andassero studiate.
"Già." fece Emma rigirando una posata nel suo piatto.
"E posso leggergli il mio libro?"
"Certo." si portò una mano sotto la guancia. L'espressione ancora ferma sul suo piatto. David la guardò di sguincio.
"Devi Henry!" lo incitò Mary Margaret sorridendogli e passandogli la sua cena.
Emma ad un tratto parve come ridestata. "Scusate io..." S'alzò di scatto, mise il cappotto ed uscì. Mary Margaret s'alzò per seguirla, David l'afferrò per la mano e la fermò. Lei chiuse gli occhi e fece cenno di sì col capo, aveva capito.

Emma guidò fino al porto. Urlò più volte lungo la strada, sbatté le mani sul volante, pianse qualche lacrima e se la riasciugò col palmo della mano.
L'aria era fredda quando uscì dall'auto. Puntò verso la nave ancora ormeggiata al porto. S'avviò a passo svelto con le labbra chiuse in un'unica linea sottile e la fronte aggrottata. Corse. Lo cercò sul ponte, nelle cabine. Era nella stiva quando lo trovò.
Si fermò davanti a lui. Uncino sorpreso la guardò e basta. Fu lei ad interrompere il silenzio con uno schiaffo.
Uncino piegò la testa di lato, si riaggiustò la mandibola con la mano "si può sapere cosa ho fatto questa volta?"
"Tu, sei sempre tu, è sempre colpa tua!" iniziò ad urlare lei. Gli angoli degli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime "La mia vita sta andando a rotoli! Dopo tanto tempo avevo trovato un equilibrio e tu..."
"Swan, finiscila!" fece lui infastidito interrompendola "Ti nascondi dietro quel cipiglio arrabbiato, ma sappiamo benissimo entrambi di cosa hai paura!" poi cambiò di nuovo espressione. S'avvicinò a lei, sorridendo con un angolo della bocca. Emma spalancò gli occhi interdetta. Con l'unica mano le prese la guancia, con l'altro braccio l'avvicinò tirandosela vicino. "Lo sai che queste scenate non funzionano, lo sai che c'è qualcosa tra me e te, lo so che ti spaventa." Le portò l'uncino tra i capelli, lungo il collo, dietro la schiena tirandosela ancora di più addosso a respirare la sua aria. Le strofinò il naso col suo, poi sulla guancia e lungo il collo. Si avvicinò con le labbra passandogliele leggero sulla pelle.
"Non funzionerà mai" taglia corto lei con la voce insicura.
Uncino emise un piccolo gemito e le strofinò le labbra sulle sue. Emma sentì la sua bocca sottile, lievemente bagnata sulla sua. Chiuse gli occhi.
"Sarebbe il caso di provare di nuovo?" le chiese lui a voce bassa.
Emma non rispose, respirò solo il suo fiato caldo, mentre la pelle si sollevava in piccoli brividi.

 

Gennaio
"La prossima volta potresti metterci di meno?"
"Hey!" fece lui con tono offeso "Io non ci metto mai meno!"
Emma ispirò profondamente, "Va bene!" rispose semplicemente, orgoglio maschile.
"Emma!"
"Sì?"
"Hai detto la prossima volta?" chiese col sorriso sornione stampato sulle labbra.
Emma schiuse le labbra sorpresa anche lei.


"Allora Swan, hai ancora il mio sapore tra le labbra?"
"Oh, sei disgustoso!"
Uncino rise, si divertiva a stuzzicarla. Aveva i polsi incrociati dietro il collo sulla testiera del letto.
Emma sorrise perché infondo si divertiva, ma non gliel'avrebbe mai detto.


"Hey!"
"Hey!" la salutò di rimando lui, girandosi verso di lei, che era a pochi centimetri di distanza sul divano di casa sua.
"Forse sono dell'umore giusto!"
"Giusto per cosa?"
Emma fece camminare le dita su una gamba di lui, salendo verso l'inguine.
"Oh!" fece lui, rigirandosi immediatamente sopra di lei, prendendola per la vita e facendola scivolare meglio sotto il suo corpo.


"Emma!"
"No," rispose lei portandogli un dito alle labbra, distesa accanto a lui "niente sesso!"
"Beh allora dovresti rallentare," le disse lui prendendole il labbro tra i denti. Scivolò lungo la mandibola fino all'orecchio "o avrò un grande problema da risolvere qui sotto!"
"Grande?" chiese lei allontanandosi lievemente.
Uncino scrollò le spalle.
"Sai sempre come affascinare una donna!" sospirò ironica.
"Continua a far finta che non ti piaccia!" disse tornando a baciarle il collo.


"Ben svegliata!" disse Uncino steso nel letto accanto a lei. Le sollevò meglio le coperte fino a che le giunsero al collo. Emma gli dava le spalle col viso rivolto verso la finestra e le gambe rannicchiate, con le mani vicino alle guance. S'addossò con l'inguine sulle cosce di lei, le spinse i fianchi contro la schiena. Iniziò a baciarle il collo, le spalle, la clavicola. Si sporse nell'incavo e strofinò le labbra e il naso sulla pelle che profumava di sonno di lei.
"Che stai facendo?" chiese lei con la voce impastata.
Uncino le sfiorò con la mano la pancia, quasi a farle il solletico, il fianco e la coscia.
"E' il mio modo di darti il buongiorno!" fece con voce bassa e calda.
Emma tirò indietro una mano fino a raggiungere i suoi capelli, affondandovi le dita e sospirando a labbra schiuse. "Tu non ti stanchi mai vero?"
"No" rispose lui ridacchiando e continuando con le cure.

 

 

Febbraio
"Eccone un altro in arrivo!" avvertì Emma alzando le braccia. Fece poi una smorfia per il leggero dolore. "Sentito?"
Mary Margaret aprì la bocca sorpresa in una smorfia di stupore "Ha salutato la sua nonna!" ironizzò. David dietro di lei sorrise. Mary Margaret gli prese la mano e la portò col permesso della figlia, un cenno del capo, sulla pancia di lei, dove poco prima teneva la sua.
"Emma!" la chiamò anche lui sorpreso. Sorrise felice anche lui. "Henry l'ha sentito?"
"Ieri sera e la sera prima e..." rispose lei.
"E tu come ti senti?" le chiese la madre.
"Direi molto confusa!" fece Emma portandosi una mano alle tempie. Mary Margaret sorrise intenerita.
"Emma," la richiamò suo padre "questa volta" sottolineò "sono felice che ci siamo noi con te!"
Lei piegò il viso e sorrise. "Lo sono anch'io, mamma, papà!"
Mary Margaret l'abbracciò, ancora non era abituata. David le baciò la fronte.
"Ora dobbiamo andare, ma Emma, abbiamo i cellulari con noi e se dovesse..."
"Saprò come trovarvi, lo so lo so, andate!"
S'avviarono verso la porta entrambi e le sorrisero ancora. Mary Margaret unì le mani al petto, poi ne portò una al cuore ed una alle labbra ancora emozionata, sorridendo verso di lei. Emma ricambiò solo con un sorriso. Era così a disagio.
Tirò un sospiro di sollievo. Prima che chiusero la porta qualcuno la fermò con la mano.
"E tu che fai lì? Da quanto tempo ascoltavi?" chiese sulla difensiva Emma, imbarazzata.
"Abbastanza. Così sono diversi giorni eh?" le chiese Uncino irritato. Si sentì lasciato in disparte.
Emma rispose con uno sguardo confuso.
"Hai avvisato tutti ma non me!"
"Ma di che diavolo stai parlando?"
Lui spazientito fece un gesto con la mano verso la pancia di lei. Emma sospirò in risposta."Smettila di fare un dramma ogni volta che ne parliamo!" agitò anche lei le mani verso il ventre.
"Per quanto mi piaccia Swan, non sono qui solo per portarti a letto! O per farmi urlare contro."
"Dio, stai diventando patetico!"
"Io patetico? Da che pulpito!" i toni iniziarono a farsi più alti."Che cosa vorresti dire?" chiese lei urlando, scattando in piedi.
"Sono coinvolto in questa storia più dei tuoi genitori, più del tuo ragazzo, tanto quanto te!"
"Tanto quanto me!" riecheggiò lei.
"Sono qui anche quando non mi cerchi e tu continui a tenermi fuori! Cristo, Swan!"
Emma si bloccò e si piegò su se stessa. S'appese al tavolo vicino a lei, strizzò gli occhi, aprì la bocca e respirò profondamente.
"Swan?" chiese Uncino preoccupato, avvicinandosi a lei, tentando di sorreggerla per le braccia e la schiena. "Swan? Emma, che succede?"
"Dammi la mano!" cercò con la sua quella di lui "Dammi la mano presto!"
Lui non sapeva cosa fare, lasciò andare la sua mano in quella di lei. Emma gliela portò al ventre ed attese. Guardò verso di lui. Di nuovo un altro colpo e il suo viso si illuminò. Uncino spalancò gli occhi, schiuse le labbra, stava per dire qualcosa, lei lo fermò. "E' decisamente tuo figlio!" disse sopprimendo un piccolo gemito di dolore sordo e dolce.
Uncino sorrise, scoprì i denti "Figlio? E' un...?".
Emma fece segno di sì con la testa.
Quelle diavolerie che avevano in ospedale, utili, a volte.
"Non che tu abbia un bel caratterino comunque!" disse lui sorridendo ancora, felice senza nasconderlo, concentrato sulla pancia di lei, con le mani ancora ferme lì in quel punto dove l'aveva sentito.
Ed ecco la pugnalata al cuore che Emma s'aspettava, il motivo per cui odiava tanto lui e continuava a farlo ed avrebbe continuato ancora in futuro. Per la prima volta pensò a tutto quel casino, uno sbaglio prevedibile, come figlio loro. Non solo suo, non di lui, né un problema di Mary Margaret, di David, o di Henry. Era figlio loro, di entrambi. Guardò ancora il pirata sorriderle sul grembo, sul viso, di nuovo sulla pancia. In quell'occasione ammise persino che Uncino avesse un bel sorriso e che le sarebbe piaciuto se quel figlio avesse avuto i suoi caratteri, nonostante qualcosa di lei lo sapesse da prima. Se l'immaginò addirittura. Un balsamo caldo le scese sul cuore e nella pancia, guardando lui e insieme tenendosi il grembo. Non era confusa, non c'era di che pensare, era una chiara certezza.
Il sorriso di Emma era scomparso, era proprio una cosa seria. Decisamente lo odiava per quello.

Lo portò di sopra nella sua camera. Lui era ancora emozionato, non riusciva a togliersi suo figlio dalla testa, anche se la Swan aveva dei buoni argomenti.
Emma si sedette sul bordo del letto. Lo tenne in piedi davanti a lei e non lo fece muovere. Lui paralizzato, cercava di capire cosa lei avesse in mente. Emma lo spogliò delicamente aprendo la cerniera dei pantaloni, passandogli una mano sulla pancia, facendosi scivolare i suoi peli tra le dita delle mani. Il suo tocco era leggero e delicato, diverso dalle urgenze passate.
Si sentì subito farsi prendere dalla situazione, anche se diversa. Allungò una mano verso di lei, che gli scacciò via con uno schiaffo, pretendendo di fare tutto da sola. Sorrise allora lui.
Lei si tolse la maglietta e lui fece un respiro profondo preparandosi a guardarla, sapeva che effetto gli avrebbe fatto. Emma si appese alle sue dita ed all'uncino delicatamente con le mani, scivolò con la schiena sul letto e se lo tirò su di lei. Appoggiò la fronte alla sua mentre lui tratteneva il fiato. Sfregò il naso sul suo e sulla guancia di lui. Non voleva sfiorare le labbra con le sue, non immaginando che effetto le avrebbe fatto questa volta.
Si voltò di spalle, si sfilò i pantaloni, restò con la schiena chiusa sul petto di lui. Si voltò, gli prese il viso con una mano, s'avvicinò di più e gli diede un bacio indeciso, carezzandogli quel triangolo di pelle dove la barba non cresceva agli angoli bassi della bocca, vicino la cicatrice che aveva sulla guancia. Uncino rispose piano e delicato. Si sistemò meglio in quella posizione, portò un braccio dietro la testa per sollevarsi meglio sul suo viso, mentre con l'altro, quello con la mano, le sfiorò piano il collo ed il viso, i fianchi e le gambe.
Emma gli colpì lievemente l'inguine con i fianchi, lui si addosso a lei, smise di accarezzarla solo per assecondare le richieste di lei, che coincidevano chiaramente con le sue.
Emma aspettò. Ed eccolo era lì con lei, con loro. Chiuse gli occhi sorpresa, era diverso. Inarcò la schiena e poggiò la testa sulla spalla di lui. Lo guardò lasciare un gemito più sonoro di quel che credesse. Uncino si bloccò per calmarsi. Era così bello anche l'ultima volta? Emma guardò la mano di lui con i muscoli tesi e le dita affondate nelle lenzuola davanti a lei. Lui aprì gli occhi e si mosse ancora, prese di nuovo aria e poi continuò ancora più deciso, cominciando un ritmo. Si chinò su di lei e non le lasciò le labbra per un minuto.

Uncino s'alzò dal letto ancora nudo, recuperò i suoi pantaloni da terra, se li rimise e chiuse semplicemente con l'unica mano l'aggancio particolare di altri tempi. "E' ora che me ne vada, principessa!"
Emma si stiracchiò e lo guardò. "E' già ora?"
"No," fece lui infilandosi la camicia. S'avvicinò a lei e le diede un bacio casto sulle labbra. "ma così puoi dormire qualche ora in più" le sussurrò.
Emma sorrise, non s'aspettava quella premura. Uncino le sorrise di rimando e fece per allontanarsi. Lei lo fermò, appendendosi al gancio che aveva lui, fissato al polso.
"Resta!"
Rispose di sì con un debole cenno del capo, sorpreso.

Pensò divertito a lei mentre dormiva. Non avrebbe mai fatto le cose con ordine quell' Emma! Si sentì strano e la guardò dormire, afferrarsi al suo braccio, tenere le dita aperte sulla sua pelle. Quando dormiva Emma abbassava le difese ed era tenera, persino. Erano quelle difese ad averlo sempre affascinato, le sue armi, oltre alle similitudini che aveva notato.

 

Marzo
"Stavo andando in ospedale!" disse lei afferrando le chiavi della porta di casa appese a dei piolini poco distanti.
"Perché? C'è qualche problema?" fece lui preoccupato.
"No!" rispose lei ovvia "Si fanno dei controlli ogni tanto, per controllare che vada tutto bene!"
"Oh" ritirò la sua espressione seria, riflettendo "vengo con te!"
"Sei sicuro?" chiese lei stranita.
Uncino rispose con un cenno del capo.
"D'accordo!" infilò il cappotto. Fu sorpresa ancora una volta quando lui l'aiutò.
"Grazie, ma non sono disabile, smettila di preoccuparti così, mi fai..."
"Swan, finiscila! Sono un gentiluomo!"
Emma sospirò sconfitta e s'avviò verso giù per le scale verso l'auto gialla. Fece cenno a lui di salire sul posto del passeggero e partirono.

La guardava scarabocchiare su quel pezzo di carta che le avevano dato. Aveva l'espressione buffa, annoiata. Era divertente. "Hai ancora paura?" chiese Uncino dal nulla mentre Emma s'era seduta per pochi secondi per firmare le maledette carte dell'ospedale.
Non bastava a lavoro, sempre anche lì, scartoffie, scartoffie. "Di cosa?" chiese lei fingendo ingenuità ed indifferenza.
Uncino scrollò solamente le spalle.
Emma prese un respiro profondo, cercò di concentrarsi sui moduli: nome, cognome, ...Sentiva lo sguardo di lui addosso. Si voltò velocemente verso di lui, cercando di sfuggita i suoi occhi, ancora addosso a lei. Un altro respiro profondo. Abbassò la cartellina, i fogli, la penna.
"Preferirei uccidere un altro drago!" sorrise lei debolmente. Uncino non rispose allo stesso modo, riprese a fissarla solo debolmente distratto dalle sue parole. Schiuse le labbra solo quando lei tornò alle sue cose.
"Io no." cominciò lui in tono euforico. Emma si girò verso di lui con sguardo sorpreso, alzando le sopracciglia. "O meglio, molto meno!" rettificò. "Emma, ti amo!" di getto.
Schiuse le labbra sorpresa. Appose una firma veloce sulle carte, non curandosi di lui. Si alzò e riconsegnò i moduli. Guardò verso di lui, fece cenno di muoversi con le mani e si fece seguire fino alla macchina, agendo come stranita. Si sedette in auto, cintura di sicurezza. Cosa avrebbe dovuto fare? Chiavi. Era forse impazzito? Frizione. Perché l'aveva detto? Marcia, accelleratore. Guidò esasperata e confusa. Passò una volta col rosso, ignorò uno stop. Rallentò. Si fermò al margine della strada.
"Non credevo di sconvolgerti tanto!" ironizzò lui col suo solito tono, sbruffone.
Emma si voltò verso di lui, ancora con le mani sul volante "Quanto ti odio!"
"Lo so, tesoro!"
Lei strizzò i denti, un sorriso finto. Rimise in marcia e tornò a casa, focalizzata non più sulla sua dichiarazione ma sull'irritazione che le dava ogni volta che apriva bocca.

"Guardalo!" fece lei porgendogli una serie di piccole foto rettangolari azzurrine, fissate da una spilletta in alto a sinistra, con la data di quel giorno ed il marchio dell'ospedale e la firma del dottor Whale sul retro.
"E' lui?" chiese Uncino con i gomiti poggiati sulle ginocchia, seduto sul divano di casa di lei. Un quadretto un tantino strano, rifletté lei.
"Lo sgorbio!" rispose con un tono misto tra l'affetto ed ironia.
Lui la guardò con fare sospettoso, un sopracciglio alto l'altro basso. Lei scrollò le spalle come a dire "che c'è, è tuo figlio", ma non aprì bocca. Si sedette accanto a lui. Era un'offerta di pace. Meno tempo del previsto. Migliorava lei, dopo tutto.
Uncino contemplò le foto. "Sarà un ragazzo forte!" sorrideva "E sveglio!" aggiunse. Emma gli pose una mano sulla spalla, guardò verso le foto anche lei. Si voltò verso di lei. Sorrideva. Non farai mai le cose con ordine, vero Emma?
Lei allungò un dito oltre la sua spalla. Si sorreggeva il ventre con una mano, si appoggiava col busto alla schiena di lui e con un dito gli indicava il piede di quel bambino sulla pellicola.

Quando Mary Margaret tornò a casa trovò le luci accese. Fece per chiamare Emma prima di accorgersi del suo cappotto appeso all'ingresso. Si girò più volte prima di vederla lì sul divano, con Uncino, addormentati entrambi l'uno addosso all'altra.
Le foto dell'ecografia pendevano dalle dita di lui. Mary Margaret sorrise, le raccolse. Tornò indietro a passo felpato, fece cenno di fare silenzio a suo marito appena entrato in casa con un dito sulle labbra. Lo trascinò in cucina ed insieme guardarono anche loro le immagini del loro nipote.

 

Aprile
"Siamo quasi al termine, eh? Emozionata?" chiese l'operatrice spalmandole quella gelatina viscida ed appiccicosa sulla pancia.
"Finalmente!" rispose lei sarcastica, non sapendo ancora bene se essere spaventata o emozionata.
La sonda cominciò a vagare sulla sua pancia, di nuovo le immagini del bambino, questa volta più grandi. La sonda si fermò.
"Puoi... Puoi aspettarmi un minuto solo, va bene?" fece l'infermiera.
"Va bene." rispose Emma stranita, vorticando gli occhi a destra e sinistra cercando di capire cosa succedeva. Si rimise a sedere, cercò di origliare i discorsi nel corridoio. Pochi secondi dopo il dottor Whale era lì.
"Allora Emma, vediamo cosa succede qui, va bene?"
"Perché continuate tutti a chiedermi se va bene?" chiese irritata.
Whale passò ancora la sonda su di lei. Scrutò ancora un punto. "Questo non va bene," rifletté "non va bene per niente."
Ripose subito l'arnese sul carrellino vicino al monitor, con fare veloce e sbrigativo.
"Emma," iniziò con voce ferma e sicura, sapeva essere convincente "dobbiamo fare un taglio cesareo, subito."
"Ora? Mancano ancora più di due settimane e mi avevate detto che stava procedendo tutto bene!"
"La placenta si sta..." cominciò a spiegare Whale.
"Ok" rispose lei immediata, non lasciandolo finire di parlare, impaurita.
Salvatelo. Non voglio sapere cos'ha, non lo capirei, solo salvatelo. Si sentì improvvisamente sua madre. Era il suo bambino, che diavolo.
"Faccia preparare la sala operatoria" sussurrò il medico all'infermiera.
"Vuoi che chiamiamo qualcuno?"
Emma ci pensò velocemente. Perché tutto sembrava confuso? Perché ora non riusciva a ricordare il nome di una sola persona che poteva starle accanto? "Io... Potete mandare qualcuno al porto?"

"Andrà tutto bene. Sta già andando tutto bene." Mary Margaret passeggiava avanti e dietro nel corridoio della sala operatoria. David le andò incontro la prese per le spalle.
Uncino era prima seduto con la mano nei capelli e il volto basso. S'alzò ed uscì dalle scale anti incendio. Rimase lì per pochi minuti con la corrente d'aria di quel vicolo stretto sul quale lo spazio si apriva, a muovergli i capelli sulla fronte. La porta si aprì. Il principe. Uncino si voltò solo per controllare chi l'avesse interrotto. David s'avvicinò a lui, si poggiò sulla ringhiera delle scalette.
"Quando nacque Emma, ero terrorizzato, letteralmente. Stavano per scagliarci contro una maledizione!" iniziò calmo lui. Il pirata si voltò verso di lui ed ascoltò con lo sguardo perso. "Sapevo che non ci sarei potuto essere per lei mentre cresceva. Questa era la nostra maledizione." rifletté guardandosi le mano su quella tradizione ormai di famiglia che doveva essere rotta "Tu devi sempre esserci per lui. Avrà bisogno di te più di chiunque altro."
Uncino fece cenno solo di sì col capo con gli occhi lontani. Lo sapeva, eccome se lo sapeva. Sì, erano tutti bimbi sperduti in fondo.
"Ora che Emma è qui con noi è più semplice di quel che credavamo. Fa meno paura!" gli sorrise. Fu indeciso se essere più amichevole con lui e lasciargli una pacca sulla spalla o non dargli troppo spazio di agire. Decise di evitare, si ritirò la mano e tornò da sua moglie.
Uncino strinse la ringhiera.

David e Mary Margaret erano in piedi accanto al letto di Emma, tenevano il piccolo fanciullo tra le braccia, prima di lui poi di lei, poi di nuovo di lui. Facevano versi sottili e sorridevano, ridevano. Era bello vederli così, con quel bambino che pareva il loro. Emma ancora stordita, addormentata, capiva poco. L'aveva tenuto tra le braccia, ancora caldo poco fuori dalla sala operatoria.
Uncino, poggiato allo stipite della porta, aspettava intimidito. I nonni lo videro, si fecero cenno col capo, gli andarono incontro col bambino. Uncino colse il gesto e corse verso di loro. Si staccò il metallo dal polso, lo ripose distrattamente su uno dei tanti letti presenti in quella stanza ed afferrò suo figlio.
Meraviglia.
Formò un piccolo nido col braccio malato, mentre con la mano aveva quasi paura di toccarlo. Ed ha ancora paura perché lui il padre non lo sa fare. Non sa di cosa avrà bisogno. Perché chiude gli occhi, li riapre e lo guarda così? Di che colore sono? Non si capisce... Chiari sicuramente. Quante volte s'era immaginato il suo volto? Gli occhi gli correvano avanti e dietro lungo il suo viso stanco. E' difficile venire al mondo, vero? Sorrise alla vista di quello spruzzo di capirelli neri. Anche suo padre li aveva così, doveva essere una sorta di marchio di famiglia. Famiglia...
Gli portò un dito alle manine. Il bambino l'afferrò stretto con un'ultima mossa vigorosa, prima di chiudere gli occhi. "Sì, proprio come il tuo vecchio!" sussurrò.
Non smetteva di sorridere. Incredibile cosa gli fosse successo. Si sente strano, diverso. Sa che è il suo idolo, la sua guida, è importante. Ci si sente bene, ci si sente giusti.
"State bene insieme!" la voce stanca di Swan lo riportò alla realtà, a quella camera d'ospedale. "Sembri più bello." aggiunse lei.
Uncino sorrise a lei ed al bambino. Lei era ancora scossa: il respiro pesante, gli occhi semichiusi, la voce che a tentoni cercava di essere decisa, i capelli scombinati. Sorrise per lei. S'avvicinò al suo letto insieme alla piccola creatura.
Emma allungò una mano verso il fagotto di coperte, le appiattì per vedere un piccolo angolo di pelle.
"Ha la tua stessa espressione sconvolta!" ironizzò lui.
"Un neonato non ha espressioni!" rispose lei acida.
Uncino alzò le sopracciglia in risposta, poco convinto. Ricominciano.
"Jones!"
Uncino si voltò sorpreso di scatto. Come lo aveva chiamato? Nessuno lo faceva da...
"Ti amo anch'io!" sussurrò Emma abbassando gli occhi imbarazzata.
Killian Jones le sorrise, le porse il bambino che lei tenne formando come una conchiglia con le braccia. Lui si sporse in avanti e la baciò teneramente sulle labbra. "Non sarebbe dovuta iniziare così tutta questa storia?" sorrise strofinando il naso sulla guancia di lei.
"Vieni a casa con me" sussurrò lei quasi tra le lacrime. Killian fece solo cenno di sì col capo. Le prese il viso in mano.
"Grazie" le sussurrò lui commosso e gentile. Fece scivolare la mano tra loro, sul fagotto.
Emma fece cenno di no col capo. Non sarebbe qui se non fosse per lui. "E' merito tuo!" . Una lacrima solitaria abbandonò gli occhi di lei.
Un vagito assonnato venne dal basso. Sorrisero entrambi con le bocche impastate di emozione.

 

 

 

 

Angolo dell'autore

Io vi posso giurare su quello che volete voi, mi vergogno come un cane di questa ff XD perché? Perché non è qualcosa che sento, né che si avvicina minimamente a quello che penso io del mondo, della vita bla bla filosofici. Credo fermamente che il loro lieto fine sarà diverso. L'ho scritta perché avevo immaginato questo Daddy Hook dall'ultima puntata e mi è praticamente rimasto in gola. E' da allora che sto raccogliendo appunti... C'ho messo non poco! Ho letto un macello di roba di psicologia e simili, una ricerca immane e qualcosa come un milione di cambi nella storyline xD ma spero fermamente che vi sia piaciuta, perché ci ho lavorato davvero.
Come sono andata?;)
Un mondo di grazie e di saluti va ai miei soliti, mi aspetto una strigliata di orecchie questa volta =P
A breve, il prossimo capitolo della long ;)

  
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