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Autore: kyelenia    11/06/2013    5 recensioni
Pairing: Klaine, Kurtbastian
“Qualcuno ha un cotta per te...” gli cantilenò all'orecchio Rachel, seduta accanto a lui sul divano del salotto di Sebastian.
“Chi?” le chiese Kurt, inarcando un sopracciglio.
Rachel gli rivolse un sorrisetto sospetto ed indicò con un cenno del capo Sebastian e Santana, che si divertivano lanciandosi lo shaker con cui stavano preparando un cocktail. E, dato che Santana non risultava essere diventata etero, per Kurt non fu troppo difficile mettere insieme i punti.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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No more tears, my heart is dry
I don't laugh and I don't cry
I don't think about you all the time
But when I do – I wonder why

One day baby, we'll be old

Oh baby, we'll be old
And think of all the stories that we could have told


 

Kurt era davanti alla macchinetta del caffè, con in mano la terza – o quarta? – tazza di caffè della giornata. Si passò una mano sugli occhi, cercando di far passare il bruciore e trattenere le lacrime che sembravano non smettere mai di pizzicare.

“Se non è la signorina Hummel quella che vedo...” disse l'ultima persona che avrebbe desiderato vedere in quel momento.

 “Sebastian...” rispose Kurt, scoprendo di essere troppo stanco perfino per tingere la voce di tutto il veleno che meritava quell'uomo.

“Cristo santo, Hummel, fai paura...” continuò Sebastian, dopo aver lanciato un'occhiata al volto pallido, stanco e distrutto di Kurt.

“Sparisci, Sebastian. Non ho voglia di sprecare tempo ed energie per te,” concluse Kurt, dandogli le spalle e incamminandosi lungo il corridoio del reparto.

Una mano sul braccio lo fece trasalire e si ritrovò inaspettatamente Sebastian al proprio fianco.

“Scusa, scusa, scusa,” disse subito Sebastian, “sono stato uno stronzo. Non sono più così insensibile da almeno una decina d'anni, ma appena ti ho visto mi sono sentito di nuovo un sedicenne.”

Kurt si concesse un sospiro e si passò una mano sul viso.

 “Che ci fai qua?” gli chiese Sebastian.

“Cosa ci fa la gente in un ospedale di solito?” ribatté Kurt, infastidito da quella conversazione.

“Io sto aspettando che mio padre finisca la dialisi,” rispose Sebastian, con il tono più pacifico e onesto che Kurt gli avesse mai sentito usare.

Blaine è ricoverato,” rispose Kurt.

“Mi dispiace, spero non sia nulla di grave.”

Kurt, per quanto incredibile, lo trovò sincero.

“Non ti hanno detto niente gli altri Usignoli? Pensavo fosse di dominio pubblico ormai,” gli chiese Kurt, quasi supplicante. Era ridicolo obbligarlo ad indovinare, ma Kurt era davvero sfinito, e non aveva voglia di ripetere la stessa storia per la miliardesima volta.

“No...” rispose Sebastian, abbassando lo sguardo sul pavimento dell'ospedale. “Non sento nessuno da anni.”

Kurt sospirò e deglutì, cercando di eliminare quella sensazione di gola serrata.

 “Siamo qua da un paio di settimane...” Kurt fu costretto a fermarsi per deglutire e raccogliere le forze per continuare il discorso. “Un anno fa gli hanno diagnosticato un tumore al cervello; all'inizio la chemio ha funzionato ma sono sei mesi che non ha più alcun effetto.”

Si concentrò sul bicchiere di plastica che teneva ancora tra le mani, per nulla desideroso di vedere l'occhiata pietosa – lo sentiva – che Sebastian gli stava rivolgendo. 

“Adesso è una questione di settimane, se non giorni,” concluse, con calma mortale.

Rialzò lo sguardo sul volto di Sebastian e lo vide turbato.

“Mi dispiace,” disse infine Sebastian, dopo aver chiaramente perso la battaglia per cercare qualcosa di migliore da dire.

“Non è colpa tua. Vorrei potermela prendere con te, con chiunque, ma non è colpa di nessuno. Adesso scusami, ma devo tornare dal mio fidanzato.”

Kurt si allontanò lungo il corridoio, senza rivolgere una seconda occhiata al vecchio nemico che si stava lasciando alle spalle.

*

Sebastian bussò alla porta della stanza 648 che, grazie all'infermiera alla reception, aveva scoperto essere la camera di Blaine.

La voce di Kurt lo invitò ad entrare.

“Sebastian,” lo salutò, sorpreso.

Sebastian notò le mani che Kurt teneva in grembo e il tic nervoso con cui continuava a girare e rigirare quello che doveva essere l'anello di fidanzamento.

Alla fine spostò lo sguardo sulla persona distesa sul letto.

Blaine era... non era più Blaine: era pallido, troppo magro e stanco, nonostante stesse dormendo.

Sebastian fece un passo avanti nella stanza e si decise a porgere a Kurt il caffè che aveva preso per lui.

“Grazie,” gli disse questi, stupito. “Non dovevi.”

“Pensavo potesse servirti...”

Kurt gli rivolse un'espressione grata e Sebastian si sentì fiero della propria gentilezza.

Lo vide sospirare e farsi più piccolo sulla sedia.

“Come sta?” chiese Sebastian, indicando con un cenno del capo l'uomo che non aveva nulla in comune con il ragazzo per qui aveva avuto una cotta quasi quindici anni prima.

“Non sta bene,” rispose Kurt, e Sebastian sentì il proprio stomaco chiudersi nell'udire la sua disperazione. “La situazione peggiora di giorno in giorno. Domani lo dimettono.”

“Lo dimettono?” ripeté Sebastian. “Ma se sta peggiorando?”

“Non c'è più niente da fare. Dovevano trovare la combinazione di antidolorifici perfetti e adesso l'hanno trovata. Vogliamo tornare a casa,” concluse Kurt, cominciando a far scorrere il dorso della mano lungo lo zigomo pronunciato e ossuto di Blaine.

Sebastian voleva prendere quella mano e tenerla tra le proprie, perché Kurt non era il suo migliore amico, però era un essere umano che si stava rompendo in mille pezzi sotto il suo sguardo.

Kurt posò gli occhi sul viso di Blaine nell'esatto istante in cui si svegliò. Sebastian poté vedere i suoi occhi rivolgersi a Kurt e il viso di Blaine si aprì nel sorriso più dolce, amorevole e malinconico che Sebastian potesse immaginare. Si sentì morire un po'.

“Ciao amore,” rispose Kurt con un sorriso, facendo scorrere la mano lungo la linea della mandibola di Blaine, lungo il suo mento, sino a  seguire il contorno delle sue labbra. Si avvicinò a lui per posargli un bacio sulla bocca, Sebastian ormai dimenticato. Non che potesse sentirsi offeso.

“Sebastian!” esclamò Blaine, colto di sorpresa e perplesso.

“Ciao Blaine,” rispose lui, cercando di rivolgergli l'espressione più rassicurante che potesse fingere. “Un paio di giorni fa ho incontrato Kurt per caso nel corridoio e allora ho pensato di fare una visita al mio Usignolo preferito.”

Riuscì perfino a tirar fuori  un occhiolino, e non poté fare a meno di complimentarsi con se stesso per le proprie doti recitative.

Blaine si concesse una risata, un attimo prima che il suo corpo fosse scosso dai colpi di tosse. In un istante Kurt era al suo fianco, intento a tenergli sollevato il capo per fargli bere un po' d'acqua da un bicchiere con la cannuccia.

“Scusami,” disse Blaine, imbarazzato e con la voce più roca e flebile di prima. “Anche se ho smesso con la chemio da un po' ho le difese immunitarie azzerate, e non mi ricordo più cosa significhi respirare senza sentire la gola bruciare.”

Kurt lasciò scorrere la mano lungo il suo petto, seguendone il tragitto con sguardo crucciato, come se sperasse di potergli far passare qualsiasi fastidio con il proprio tocco e il proprio calore. Sebastian avrebbe reputato la cosa ridicola, se quella visione non fosse stata straziante.

“Quindi torni a casa?” gli chiese, cercando di cambiare discorso e di riportare un'atmosfera più leggera, per quanto fosse possibile per la camera di un malato terminale.

“Sì,” rispose Blaine con un sorriso, “non c'è niente da fare ormai e voglio solo stare con Kurt a casa nostra.”

Sebastian non si lasciò sfuggire come le sue parole fossero quasi identiche a quelle che Kurt gli aveva rivolto qualche minuto prima. Non si perse neanche il per quello che mi resta sospeso nell'aria, e tra di loro, quasi come una presenza fisica.

Kurt si sedette sul bordo del letto, prendendo una mano di Blaine e frizionandola tra le proprie.

“Ha sempre freddo,” spiegò ad alta voce, intercettando lo sguardo di Sebastian.

“Mi manca dormire con te,” gli disse Blaine, “non vedo l'ora di poterti stringere di nuovo.”

Kurt gli sorrise, un'espressione così onesta, piena d'amore e di dolore, come se Sebastian non fosse neanche nella stanza, come se non gli importasse nulla di mettere in mostra tutto se stesso davanti a un quasi estraneo, neanche troppo amichevole.

Sebastian pensò che forse avere le ore contate faceva quello alle persone, faceva sì che le priorità cambiassero, che l'orgoglio e le sfide vendicative contro un ragazzino spocchioso e viziato, passassero in ultimo piano. Perché se la prima necessità era quella di godersi gli ultimi giorni di vita di Blaine, immediatamente a seguire c'era continuare ad esser forte, non rompersi in mille pezzi davanti a qualcuno che stava per andarsene.

Quella realizzazione travolse Sebastian. Fece sbloccare qualcosa e di colpo tutto sembrava diverso, di colpo la stanza sembrava diversa, forse era colpa del velo di lacrime che gli stava offuscando la vista.

Ripensò alla granita con la ghiaia, a Blaine steso su un letto d'ospedale per colpa sua, e si vergognò del se stesso di dieci anni prima. Si ripromise di trovare un modo per rimediare a quell'errore, assicurarsi che Kurt non l'avrebbe mai più guardato con quell'espressione di biasimo che gli aveva rivolto il giorno prima.

 

                                                                               *

Il giorno dopo Kurt vide Sebastian entrare dalla porta della stanza di Blaine alle otto in punto.

“Cosa ci fai qua?” gli chiese, lasciando per un attimo da parte il borsone che stava finendo di riempire.

 “Oggi mio padre aveva un'altra dialisi, ho pensato di passare per vedere se avessi bisogno di qualcosa.”

Kurt gli rivolse un'occhiata a metà tra il confuso, il frustrato e l'intenerito, nonostante la tenerezza non fosse un sentimento che avrebbe mai pensato di associare  a Sebastian. Mesi di preoccupazioni e di notti insonni avevano l'effetto di indebolire le difese, se non di gettarle a terra una per una.

“Non ci serve nulla, non ti preoccupare. Due infermiere ci accompagnano a casa, l'ambulanza è già davanti l'entrata dell'ospedale. Sto solo aspettando che arrivi qualcuno per portare il letto di Blaine al piano di sotto,” rispose Kurt, mantenendo il tono di voce quasi al livello di un sussurro per non disturbare il sonno di Blaine.

“Sicuro che a casa non vi manca nulla? Acqua? Cibo? Qualsiasi cosa?” insistette Sebastian.

Blaine non può mangiare nulla, e io non ho fame. Se dovesse venirmi fame posso chiedere a Rachel di portarmi qualcosa,” rispose Kurt, infastidito dalla futilità di quel discorso.

Stavano andando a casa. Stavano andando nella loro casa dove avrebbero trascorso gli ultimi giorni. Stavano andando nella casa che avevano comprato insieme subito dopo che Blaine gli aveva chiesto di sposarlo. E Sebastian voleva sapere se il frigo era pieno.Kurt tornò a fissare il proprio anello e a rigirarlo intorno al dito in modo frenetico. Lo faceva sempre più spesso, ormai. Quell'anello era tutto quello che non aveva fatto perché avevano aspettato così tanti anni prima di pensare al matrimonio? Perché non avevano fatto un matrimonio dell'ultimo minuto quando avevano capito che non ci sarebbe stato più tempo? e che ormai non avrebbe più avuto l'occasione di fare.

“Non dovresti stare a casa senza nulla. Capisco che non hai fame ma devi avere almeno acqua, caffè, qualcosa di dolce se per caso hai un calo di zuccheri,” continuò Sebastian.

“Non ho tempo per andare a fare la spesa, Sebastian. Non voglio fare cose stupidi e inutili tipo uscire da casa quando posso abbracciare Blaine nel nostro letto, invece.”

Dire quella frase fu come un pugno allo stomaco. Fu ammettere, a Sebastian e a se stesso, quanto gli fosse mancato poter dormire con Blaine. E quanto gli sarebbe mancato. Perché la degenza in ospedale aveva una data di scadenza, ed era questione di minuti, ma invece quello che sarebbe venuto dopo no.

Il dopo era qualcosa che Kurt vedeva in lontananza, su cui non voleva concentrarsi e a cui non voleva dare un tempo reale. Kurt vedeva tutti i secondi, i minuti, i giorni, che c'erano prima di quel dopo, e sapeva che fare la spesa non era un modo né accettabile, né ragionevole, di riempirli.

Fu distratto dai propri pensieri, per l'ennesima volta, dalla voce concitata di Sebastian.

“E infatti tu non devi fare nulla! Ho la macchina giù, posso comprare qualcosa e portarvela se mi dici dov'è il vostro appartamento.”

“Perché stai insistendo così tanto? Perché sei qui? Non ce l’hai un lavoro, Sebastian?”

Kurt non capiva. Non si parlavano da più dieci anni dieci anni in cui non aveva sposato Blaine, non l'aveva sposato, non l'aveva fatto e Dio, non poteva rannicchiarsi in un angolo e cominciare a piangere, non poteva e Sebastian era lì per la terza volta in cinque giorni.

E si stava passando una mano tra i capelli, frustrato.

“Perché ti odiavo. Perché ero un ragazzino viziato ed egoista ed avevo una cotta per il sedere di Blaine.”

Kurt lo guardò inarcando un sopracciglio, confuso e infastidito.

“Dio, Kurt, non lo so! So solo che è tutto così stupido. E' tutto così stupido e voi siete qui e forse non avrò un’altra occasione.”

“Oh,” rispose Kurt, dopo esser stato colto da un'improvvisa illuminazione. “Vuoi redimerti. Capisco. Ti ringrazio, Sebastian, ma non siamo le tue ore di servizio sociale. Ce la caviamo da soli.”

“Non ti sto chiedendo di diventare il mio migliore amico, Hummel. Dimmi cosa cazzo ti piace da mangiare a lasciami fare questa fottutissima spesa.”

“Verdura, acqua, quello che ti pare,” si rassegnò Kurt, privo delle energie necessarie per continuare quell'inutile discussione.

Si guardò intorno alla ricerca di un foglio ed una penna. Vi scribacchiò sopra il loro indirizzo e il proprio numero di telefono, e lo spinse nella mano di Sebastian.

“Grazie,” gli rispose questi, sollevato.

E non aveva senso, perché sarebbe stato lui a fare la spesa. Però sembrava che quella concessione fosse il favore più grande che Kurt, che chiunque, potesse fargli.

“Continuo a non capire perché sia così importante per te,” gli disse Kurt, rivolgendosi a lui con un sopracciglio inarcato.

“Non sono più il sedicenne stupido di un tempo,” disse Sebastian con decisione, “voglio fare qualcosa dato che posso.”

Kurt lo guardò con espressione diffidente e si arrese di fronte alla sua ostinazione. “Fai un po' come ti pare; se è questo che ti se serve questo per pulirti la coscienza non te lo impedirò.”

Sebastian aggrottò le sopracciglia e lo guardò con una strana intensità nello sguardo, ma l'arrivo delle infermiere gli impedì di continuare il discorso.

*

Kurt sentì suonare il citofono e rimboccò per la millesima volta le coperte a Blaine prima di andare a rispondere.

 “Chi è?” chiese Blaine, allarmato.

“Sebastian. E' andato a fare la spesa perché non avevamo nulla.”

Per Kurt alzarsi ed andare ad aprire fu un'agonia. Significava allontanarsi da Blaine e ogni attimo era un attimo che voleva passare accanto all'uomo della sua vita, all'unico uomo che avrebbe mai davvero amato, per memorizzare la sua pelle, i suoi occhi che, anche se circondati dalle occhiaie,  brillavano ancora come quel giorno sulle scale della Dalton.

Aprì la porta, fece entrare Sebastian e lo lasciò in cucina a sistemare le cose, perché Blaine era sveglio e ogni momento di lucidità significava avere un'occasione in più per fissare nella memoria la sua voce, per scolpire nel proprio cuore quella nota melodiosa che non veniva nascosta neanche dalla stanchezza, dalla fatica e dal respiro corto.

“Amore...” gli disse sedendosi di nuovo accanto a lui sul letto, carezzandogli il dorso della mano, senza un motivo preciso, soltanto per sentir srotolare quella parola sulla sua lingua.

E sarebbe stato felice se solo avesse potuto farlo in eterno. Ripetere amore come una melodia. Ma la sua eternità ormai aveva i giorni contati e Kurt aveva deciso il giorno della diagnosi definitiva che avrebbe vissuto al meglio quel tempo, perché per piangere ed essere tristi ci sarebbe stata una vita intera. A poche persone veniva offerta la grazia di sapere di avere un tempo limitato per dimostrare tutto il proprio amore: Kurt l'aveva avuta e avrebbe fatto in modo di rendere Blaine la persona più felice del mondo e non avere rimpianti.

Così aveva chiesto due mesi di ferie, quei mesi che aveva accumulato con tanta fatica per fare un viaggio in Europa, come lui e Blaine si erano promessi al liceo. E il viaggio lo stava facendo, dentro di sé, dentro la profondità del proprio amore.

“Kurt,” cominciò Blaine, e Kurt prese a tremare perché non era sicuro di voler sentire, “Kurt, ti amo. So che non ne vogliamo parlare e non sto cominciando adesso a farlo. Però voglio dirtelo che ti amo, e che mi hai reso più felice e fortunato di quanto potessi anche solo sperare di essere.”

Blaine gli rivolse un sorriso malinconico, Kurt gli strinse la mano con forza, cercando però di non arrivare al punto di fargli male, e strizzò gli occhi per non far cadere le lacrime. Perché le lacrime gli appannavano la vista, ed era un secondo del viso di Blaine perso. Kurt aveva sempre saputo che non sarebbe bastata neanche tutta la vita a rendere quella vista ordinaria.

“Ti amo anche io, con tutto me stesso. Più di quanto avrei creduto possibile,” rispose, perdendo la sfida contro le proprie lacrime.

Blaine gli tirò il braccio, facendogli cenno di stendersi di fianco a lui. “Vieni qui, vieni qui. Non piangere Kurt,” gli sussurrò inutilmente all'orecchio, una volta che Kurt era steso con la testa sul petto di Blaine. “Non piangere Kurt. Ci siamo trovati, e non tutti possono dirlo. Ci sono persone che non si trovano mai nella vita. Noi ci siamo trovati e abbiamo vissuto insieme l'equivalente di tre vite intere. Non piangere, Kurt.”

La voce di Blaine nell'orecchio sembrava quasi una ninna nanna, e Kurt sarebbe quasi riuscito a lasciarsi andare nella sicurezza della stretta di Blaine e della sua mano che scorreva lentamente tra i capelli ed addormentarsi.

Due colpi sullo stipite della porta si rivelarono essere tutto quello che gli serviva per ritornare alla realtà.

“Scusate se vi disturbo,” disse Sebastian, con un tono incerto a cui Kurt non riusciva ancora ad abituarsi, “soltanto che non mi sembrava carino andarmene senza almeno salutare. Sul tavolo ho lasciato un biglietto col mio numero di telefono, sapete che potete chiamarmi per qualsiasi cosa.”

Giocherellava con le maniche del maglione e Kurt non credeva di averlo mai visto più vulnerabile e umano.

“Grazie,“ gli disse, con voce lieve, senza essere convinto che l'avrebbe mai chiamato.

*

Cinque giorni dopo Blaine ebbe una crisi respiratoria e, contrariamente ad ogni aspettativa, Sebastian fu la seconda persona ad essere avvertita.

Kurt percorreva ad ampie falcate il corridoio, passando e ripassando davanti alla porta della camera dove il medico, un paramedico ed un paio di infermiere si stavano assicurando che con la maschera d'ossigeno Blaine riuscisse a respirare.

Kurt teneva ancora il telefono tra le mani tremanti, in attesa dell'arrivo di Sebastian. Avrebbe tanto voluto suo padre al proprio fianco, ma doveva ancora avvertirlo e in ogni caso ci avrebbe messo almeno un giorno per arrivare a New York, e qualsiasi altra persona potesse immaginare sembrava incapace di mantenere il sangue freddo che gli serviva in quel momento. Rachel avrebbe finito col piangere sulla sua spalla, e Kurt non era sicuro di avere ancora la forza di reggersi in piedi, ancora meno di consolare qualcun altro, e Santana e le sue battutine sarcastiche non erano le benvenute.

Quindi, contrariamente ad ogni sua convinzione, Sebastian.

Quando aprì la porta d'ingresso per farlo entrare il peso sul suo petto si alleggerì, grazie al fatto di avere di fronte a sé qualcuno con cui condividerlo.

Il viso di Sebastian era pallido e aveva gli occhi circondati da occhiaie che potevano far invidia perfino a quelle di Kurt. Aveva il viso di un uomo tormentato.

“Ho fatto il più in fretta possibile,” gli disse, quasi con il fiatone. “Cos'è successo?”

“Ha avuto una crisi respiratoria, annaspava, non riusciva a respirare. È successo anche altre volte, ma questa volta non passava e allora ho chiamato il suo medico; dovrà cominciare ad usare la maschera d'ossigeno, sembra che i suoi polmoni stiano collassando.”

Sebastian non gli disse ‘mi dispiace’ e Kurt gliene fu grato. Si limitò a stringergli con forza il braccio e a restituirgli un po' di lucidità con quel contatto.

Kurt sentì il proprio respiro normalizzarsi e il battito del cuore tornare regolare; la presenza di qualcuno nella stessa stanza riusciva a ridargli calma e sicurezza. Forza. Poteva farcela. Doveva farcela, non c'era un'altra alternativa, perché non avrebbe avuto una seconda occasione per fare le cose nel modo giusto. Doveva abbracciare quell'unica vita e assicurarsi di poterne andare fiero.

Sentì la porta della camera venir chiusa e si ritrovarono il personale medico di fronte.

“Come sta?” chiese subito Kurt.

“Si è addormentato,” spiegò il dottor Miller. “Signor Hummel, sarò onesto con lei, le cose non miglioreranno. So che avete scelto insieme di tener Blaine cosciente fino all'ultimo, e posso onestamente capire le vostre ragioni, però la invito a riconsiderare la decisione.”

“Dottor Miller, non posso prenderla io da solo, non adesso. E so che Blaine non ha paura di un po' di dolore.”

Il medico emise un lungo sospiro.

“Capisco...” disse lentamente.“Ed è sicuro di non volere nessuno qui a tempo pieno?”

“Sicurissimo. Se dovessero esserci altri problemi la chiamerò, ma a questo punto l'ha detto anche lei, non c'è nulla da fare.”

Il dottor Miller scosse la testa, probabilmente arresosi di fronte la testardaggine di Kurt.

“Non esiti a chiamarmi,” concluse, stringendogli la mano, quando Kurt li accompagnò alla porta.

“La ringrazio di tutto, dottore.”

Il medico gli concesse un sorriso stanco ed uscì sul pianerottolo.

Kurt si richiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò contro.

“Vuoi andare a vedere come sta Blaine?” gli chiese Sebastian, riportandolo alla realtà.

Kurt annuì e si allontanò dal supporto offerto dalla porta, e da Sebastian, e percorse il corridoio.

Entrò nella loro stanza e l'atmosfera che aleggiava lo circondò con prepotenza, quasi soffocandolo. Con le tapparelle abbassate quasi del tutto la luce filtrava a malapena e se Kurt non avesse saputo che erano solo le undici del mattino avrebbe scommesso di essere al crepuscolo.

Blaine era steso sul letto e Kurt sapeva che ormai avrebbe dovuto essere abituato a quell'immagine, ma il suo cervello traditore continuava a riproporgli flash di un ragazzo sulle scale, di una corsa per un corridoio, del ragazzo più bello che avesse mai visto che gli stringeva la mano, che lo baciava, che gli sussurrava ti amo sulle labbra, che lo stringeva a sé. E nulla, di quei ricordi, si sovrapponeva al corpo debole, affaticato e malato dell'uomo steso sul letto.

Kurt si sedette sul bordo del materasso e lasciò scorrere il dorso della mano sulla fronte di Blaine, quasi l'unica parte del viso scoperta ormai, tra i capelli corti che erano cominciati a ricrescere una volta sospesa la chemioterapia. Una lacrima solitaria scese sulla guancia di Kurt, ma ormai si sentiva in pace, rassegnato.

Voleva conservare l'immagine di Blaine come del ragazzo più bello che avesse mai visto, che avrebbe mai visto, e ogni momento speso a guardare il fantasma di quel ricordo minacciava di sopraffare quella memoria perfetta.

Blaine aprì lievemente gli occhi e nelle sue iridi Kurt poteva vedere riflesso tutto l'amore che sentiva per lui. Blaine provò a sorridergli, oltre la plastica della maschera, provò a dire qualcosa, ma non uscì altro che un verso strozzato.

“Non c'è bisogno che parli, amore,” gli disse Kurt, con un sorriso rassicurante e malinconico, “hai detto tutto quello che conta. L'hai ripetuto sempre. Non lo dimenticherò mai.”

Prese una mano di Blaine tra le proprie e lo sentì ricambiare debolmente la stretta. Quando lo guardò nuovamente negli occhi un velo di lacrime offuscava quelle iridi meravigliose, così limpide che Kurt aveva sempre avuto l'impressione di potervi guardare attraverso.

*

Il vento faceva svolazzare le foglie secche, sparse sul prato del cimitero.

 Kurt osservò la folla di persone che non vedeva da anni, molto delle quali fino alla settimana prima non sapevano neanche di quello che stava accadendo nella vita di Kurt e Blaine. Ma erano lì per salutare Blaine e Kurt non poteva che essere grato di tutta quella gente, per cui Blaine aveva in qualche modo occupato un posto speciale. Kurt strinse la mano di Burt, alla sua destra, e di Rachel, alla sua sinistra, e resistette alla tentazione  di gettarsi un'occhiata alle spalle, dove sapeva esserci Sebastian, con la sua postura impeccabile e il cappotto blu scuro. Cercò invece di concentrarsi sul pastore che davanti a loro stava dicendo qualcosa sui puri di cuore.

Trattenne una risata, perché Blaine non era neanche credente, ma i suoi genitori avevano insistito per una cerimonia religiosa e, dato che avevano già acconsentito affinché Blaine fosse seppellito a New York, la loro città, Kurt aveva deciso di andargli incontro. La vera cerimonia per ricordare Blaine sarebbe stata dopo, nel loro appartamento, con tutte le persone che contavano davvero.

Quando cominciarono a calare la bara nella fossa Kurt fece un passo indietro e sentì la spalla di Sebastian sfiorare la propria. Strinse con più forza la mano di Burt, sentendo le lacrime scorrere lungo le guance e non tentando in alcun modo di fermarle. Se c'era un posto dove poteva piangere era quello, ed il tempo per godere ogni attimo e non sprecarlo con gli occhi offuscati era passato.  Aveva finito i momenti degni di essere vissuti, celebrati, ricordati.

“Kurt...” gli disse suo padre abbracciandolo e fermandosi subito, probabilmente senza sapere come continuare.

“Papà, perché?” gli uscì con un sussurro strozzato.

Il groppo alla gola cresceva e Kurt non sapeva come fare per farlo sparire.

“Lo so, ragazzo, lo so.”

Burt lo strinse a sé e Kurt poggiò la testa sulla sua spalla, ricambiando al stretta con tutta la forza che aveva in corpo e lasciando che le lacrime gli bagnassero il cappotto.

Il pastore terminò la cerimonia e tutto il resto fu un caleidoscopio di visi e abbracci e frasi consolatorie, e Kurt tornò alla realtà soltanto quando si rese conto di essere in piedi su un vagone della metro, diretto verso il proprio appartamento.

Si guardò intorno e si sentì di nuovo al liceo: c'erano tutte le persone che erano state la sua famiglia. Mancava soltanto la persona più importante. ‘È questo il motivo per cui sono tutti qui’, realizzò Kurt. Fu l'ennesimo pugno allo stomaco. Di colpo sul treno non c'era abbastanza aria e tutto intorno a lui le persone stavano assumendo contorni sfocati.

“Kurt? Kurt, rispondimi!” sentì dire a qualcuno al proprio fianco – Sebastian. “Kurt respira, lentamente.”

Kurt voleva dirgli che non c'era abbastanza aria, ma di colpo gli sembrava di avere la testa leggera ed il petto pesante. E la lingua annodata.

Sentiva risuonare attorno a sé una cacofonia di voci, di rumori, e di colpo qualcuno lo stava spingendo a sedere, e una mano sulla schiena lo stava forzando a piegarsi e mettere la testa tra le gambe.

“Respira Kurt, respira forza. Fai dei respiri, lenti e profondi.” Questa volta era abbastanza sicuro che fosse suo padre a parlare, poteva sentire il ritmo del suo respiro. Cercò di concentrarsi su quello e sincronizzare i propri.

Inspiro. Espiro. Inspiro. Espiro.

Per una paio di minuti ci volle un po' di concentrazione per non perdere quel ritmo; poco a poco tornò ad essere la cosa più naturale del mondo e Kurt riuscì a focalizzarsi di nuovo sul mondo che lo circondava, adesso che l'aria non sembrava così difficile da catturare.

Sollevò pian piano il capo, e la pressione della mano di Burt sulla sua schiena si fece più leggera, per consentirgli quel movimento.

La prima cosa che vide davanti a sé furono le gambe lunghe e snelle di Sebastian, poi il suo visto, spaventato. Scostò lo sguardo sul gruppo che lo stava accerchiando e poté vedere la stessa preoccupazione sui visi di tutti.

Un attacco di panico era una novità. Non c'era riuscito neanche Karofsky, o lo spazio claustrofobico di un cassonetto, a causargliene uno.

“Come ti senti?” gli chiese Sebastian, con urgenza.

“B-” provò Kurt, poi si schiarì la voce per tentare di far uscire qualcosa di più che un suono gracchiante. “Bene, adesso.”

Provò ad alzarsi, ma forse non fu la sua idea più furba. Il treno era ancora in movimento e il pavimento non era del tutto stabile, sotto i suoi piedi.

“Ehi, ragazzo. Attenzione. Non vogliamo chiudere questa giornata con una commozione cerebrale” gli disse Burt, con tono delicato, e prese nuovamente a fargli scorrere la mano lungo la schiena, in un movimento circolare e ripetitivo che risultava di estremo conforto.

“Scusami se ti ho fatto preoccupare,” gli disse Kurt, posandogli la testa sulla spalla mentre Burt gli circondava le spalle con un braccio.

 “Non ti preoccupare Kurt; capisco che tu possa sentirti... sopraffatto e frastornato. Nessuno si aspetta che tu sia al massimo della tua forma.”

Quella frase gli scaraventò la realtà nuovamente addosso – e quelle illuminazioni ripetitive dovevano finire presto – e Kurt si ritrovò di nuovo a piangere. Questa volta però la sua respirazione non sembrava essere compromessa.

Si abbandonò all'abbraccio e alle coccole di suo padre perché non si era mai troppo grandi per l'amore di un genitore. E avrebbe avuto giorni, mesi, anni, per dimostrarsi forte. In quel momento poteva ammettere di essere disperato.

 

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Note dell'autrice: Questa storia è completa, betata, ed è solo da rileggere. È divisa in tre parti e le prossime due saranno pubblicate entro la fine della settimana. È nata per colpa/merito di ALanna, che è stata anche talmente gentile da betarla. Un paio di mesi fa ha postato su fb un prompt in cui chiedeva una Kurtbastian, con Kurt e Sebastian si riincontrano dopo la morte di Blaine. Siccome io sono sadica, e masochista perché è stato difficilissimo scrivere questa parte, ho deciso di prendere la strada difficile e farli incontrare prima. Dunque questa è la parte davvero triste, le prossime due sono un po' meno pesanti.

La canzone all'inizio è Reckoning Song di Asaf Avidan.

   
 
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