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Autore: Noth    12/06/2013    19 recensioni
Sette audiocassette contenenti le tredici ragioni per le quali Blaine Anderson si è suicidato. E queste cassette stanno facendo il giro delle tredici persone colpevoli di aver distrutto la vita di Blaine. Quando arrivano a Kurt, però, lui non sa cosa aspettarsi e non capisce cosa possa c'entrare. Eppure è in una di quelle cassette, e prima o poi verrà il suo turno. Ascoltandole, Kurt comincerà un viaggio che lo porterà ad una nuova consapevolezza, ad una scoperta di emozioni e sentimenti che aveva dato per scontate e che, invece, non avrebbe dovuto.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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13 Reasons Why
Cassetta E Lato 9









Forse dovevo stare là, sotto la pioggia, a marcire nel senso di colpa. Forse era la mia punizione, ed era più che meritata. Non sapevo neanche più dove andare, così optai per rintanarmi nuovamente a casa. Decisi di camminare fino al mio isolato e finire quel supplizio nella mia camera da letto. Non ne potevo più di vedere luoghi, non volevo sentirmi così colpevole. Prima o poi sarebbe toccato a me. Prima o poi sarebbe successo.

E non sapevo perché.

Feci dietrofront senza un motivo preciso, e decisi di imboccare quella via. Avrei potuto fare mille altre strade, quella città era decisamente tutta uguale. Stradine insulse che si incrociavano e si lasciavano senza dirsi addio, quasi con tacita indifferenza, come vagabondi tutti uguali.

Avevo ancora cinque lati da ascoltare. Ed io che pensavo di aver fatto buona parte del lavoro. Certo, come no. Sarebbe stato troppo facile. Alzai lo sguardo al cielo scuro dal quale la pioggia aveva deciso di scendere a scrosci. A causa dei lampioni non si vedevano le stelle. O forse era a causa delle orribili nuvole scure che avevano preso il posto della volta celeste.

Dopo essermi bagnato a sufficienza la faccia, nel tentativo di sciacquarla dalle lacrime come un idiota a lato della strada, abbassai lo sguardo e guardai per la prima volta la giacca che era zuppa. Per asciugarla ci sarebbero voluti giorni, impregnata d’acqua com’era. Al momento restava comunque l’ultimo dei miei problemi.

 

Rachel Berry. La conoscevo. Quando ci pensavo mi veniva sempre in mente quella sua mania da star e l’invidia che avevo provato quando la avevo sentita cantare a Finn nell’auditorium. Poi aveva iniziato a venire a casa nostra sempre più spesso e tra di noi si era formata una sorta di alleanza contro le partite di football che mio padre e il mio fratellastro finivano sempre a guardare. Era simpatica, le avevo anche fatto ripetizioni di storia per qualche tempo e lei, in cambio, mi aveva presentato i suo due padri. Non so con quale intento, forse dimostrarmi ancora una volta quanto il fatto che fossi gay non la turbasse. Insomma, sì, generalmente avevo dei bei ricordi di lei.

Stavano per diventare tutti dei fantasmi, vero?

 

Premetti play, ancora una volta, con la forza di volontà sotto terra.

 

Play.

 

Non credevo che sarei riuscito a mantenere il piano che avevo scritto e arrivare fino a questo punto! Lo ammetto, mi sto quasi sorprendendo di me stesso. Almeno lo sarei se non fossi così tanto stanco. Non ho fatto niente oggi, eppure sono stanco.

Ecco che mi dilungo, scusate, non so neanche per me. Anzi, non scusatemi affatto.

Dunque, Rachel Berry, forse nemmeno ti aspettavi di esserci qua dentro. Forse ti aspettavi qualcuno come Santana o Puck, ma tu? La talentuosissima e nata-per-essere-una-stella Rachel Berry non può apparire in una lista come questa. Che ne sarà del tuo impeccabile curriculum? Vedo una macchia, anzi, vedo molte macchie sulla tua lista immacolata.

Vuoi sapere perché ti ho inserito? Adesso ti spiegherò per bene, magari è la volta che mi ascolti.

Dio, quando sono diventato così acido? Non lo so, mi sento improvvisamente arrabbiato e non so perché. Che effetto mi fate.

Ricordo benissimo il primo giorno in cui decisi che mi piaceva cantare. Non era una cosa che avevo esternato a molte persone. Di sicuro non ero andato da mio padre e gli avevo detto “Ehi, papà, mi piace cantare”, l’equilibrio sulla mia omosessualità era già abbastanza fragile così a casa. Mi mancava solo andare a saltare sulla terra franante.

Quindi me lo ero tenuto per me. Ne avevo parlato con te, Mike, all’epoca, poco dopo che mi avevi confidato che amavi ballare. Sì, me lo ricordo eccome.

Sorrisi al pensiero di quanto entrambi avevamo sempre avuto quella fissa della musica, del cantare. E lo avevo sentito cantare Blaine. Era un’eccezione, avrei osato dire.

Spinto proprio da te, Mike, feci l’audizione per entrare nel Glee Club. Sapevo che sarei stato etichettato come sfigato e preso a granite in faccia, ma probabilmente ne sarebbe valsa la pena. Avrebbe voluto dire che appartenevo a un gruppo. Ero etichettato con qualcosa di più del “gay nullità”. Alla fine a chi volevo darla a bere? A me stesso, ovviamente. Ma sarei sempre stato il gay nullità. Al massimo il gay nullità canterino. Wow, passi avanti. Avrei dato qualsiasi cosa per cancellare quell’appellativo. Così mi ero presentato al provino. Non c’era stata esattamente troppa concorrenza, ma la storia è un po’ più complicata di così, vero Rachel?

Stavo iniziando ad agitarmi.

Mi segnai tra i nomi dei candidati, notando che saremmo stati sì e no quattro o cinque. Ero contento, forse avevo possibilità di entrare, ma non ero molto fiducioso nelle mie capacità. D’altra parte nessuno mi aveva mai dato ragione di esserlo, ed il mio pubblico generalmente consisteva in mobilia, cibo o libri.

Il giorno dell’audizione ero così nervoso che mi veniva da vomitare. Venivo ancora spinto sugli armadietti, nessuno si curava di me, ero solo e la maggior parte delle persone preferiva starmi lontano. Arrivai per ultimo a causa di un intoppo nei corridoi – maledetti bulli, un giorno la pagherete per tutto il male che fate – e dovetti ascoltare tutti gli altri provinati. Non erano nemmeno eccessivamente bravi, erano mediocri, quel genere di persone che si divertivano a intonare le hit del momento sotto la doccia o al karaoke con gli amici. Se ci pensavo bene io non facevo nemmeno quello.

Uscì una ragazza minuta, bionda, con i capelli ricci e due enormi occhi. Sgattaiolò via ed in seguito udii il mio nome chiamato da dentro l'auditorium. Deglutii come se avessi una spada piantata in gola ed entrai, le gambe di gelatina e il sudore che mi colava traditore lungo la schiena.

Le luci del palco erano puntate su di me in maniera completamente sbagliata ma, d'altra parte, il Glee Club non era esattamente il gruppo più in della scuola, probabilmente i tecnici delle luci avevano semplicemente acceso tutto ed erano andati in pausa pranzo.

« Sono Blaine Anderson. » dissi al microfono, con una mano a schermare gli occhi nel tentativo di vedere oltre quell'immensità di watt che mi stava friggendo.

« Lo sappiamo. » disse una voce squillante e vagamente saputella. Riuscii ad intravederti, Rachel. Seduta su una delle poltroncine accanto a Finn – ti conoscevo per via del fatto che eri la sua ragazza, all'epoca – con quell'aria da stella, il cerchietto in testa, gli abbinamenti improponibili di colori e quei vestiti anni cinquanta indossati a casaccio. Mi guardavi con un'aria scettica. Pensai che ti saresti ricreduta. Probabilmente tutti mi conoscevano come il ragazzo gay a cui Sam aveva fatto fare coming-out all'interfono. Potevo sentire i mormorii provenire dalla sala. Non riuscivo nemmeno a vedere quante persone fossero.

« Cosa canterai? » disse una voce maschile decisamente più matura di quella che mi sarei aspettato. Immaginai fosse quel professore che gestiva il club.

« Uh, pensavo a Cry Me a River. » mormorai, la voce tremante mentre cercavo di respirare a fondo impercettibilmente per impedire alle mie corde vocali di cedere per la paura e l'emozione.

« Quando sei pronto. » mi disse, e così chiusi gli occhi qualche secondo prima di iniziare l'esibizione a cappella.

Cantai il mio pezzo con il cuore in mano. Lo sentivo battermi nelle tempie, nei polsi, sulla punta delle dita e nel petto sconquassato. L'esibizione non fu perfetta, ma venne decentemente, ero quasi soddisfatto di ciò che, per una volta, ero riuscito a fare. Mi era piaciuto così tanto cantare su quel palco. Mi ero sentito libero per la prima volta da tanto tempo.

A canzone finita scrosciarono – per modo di dire, visto che saranno state una decina di persone – gli applausi e sentii un nodo salirmi in gola. Ero così felice.

Iniziai a respirare velocemente perché potevo benissimo immaginarmelo mentre si commuoveva sul palco per essere finalmente riuscito a fare qualcosa. Riuscivo a vedermelo, lì, piccolo ed imbarazzato che si ripeteva che non andava poi tutto così male come sembrava. Dopo tutte quelle cassette uno spiraglio di felicità mi sembrava quasi un'utopia.

« Blaine, ottimo lavoro. Tra mezz'ora appenderemo la lista delle ammissioni, e fossi in te sarei fiducioso. » continuò la stessa voce che avevo associato all'insegnante gestore del club. Feci un inchino di assenso e mi appostai dietro la porta, emozionato come non mai ed intento ad analizzare quella sensazione che tutti chiamavano felicità. Ero sicuro fosse quella. Avrei avuto un posto, un posto tutto mio, con gente vera, con persone che – forse – non mi avrebbero giudicato. Ci sarebbe stato Finn, ma avrei semplicemente potuto ignorare te e lui, Rachel.

Se solo tutto fosse andato come la fantasia, della quale ero ben provvisto, aveva immaginato.

Ma non successe.

Di colpo si aprì la porta dell'auditorium ed uscisti tu, Rachel, ti ricordi? Chiudesti tutto alle tue spalle e mi guardasti con un sorriso che non era veramente un sorriso. Per essere un'attrice che aspirava a Broadway, fosti incredibilmente pessima quel giorno. Forse volontariamente.

« Blaine, ottima esibizione, ma devo chiederti una cosa. » dicesti, continuando a sorridere.

« Cosa? » domandai, confuso su cosa tutto quello significasse.

Cercasti di aggirare il punto.

« Vedi, il solista del Glee Club ora è Finn, immagino tu lo sappia. So anche ciò che è successo tra di voi, e mi dispiace davvero molto, sono sincera. Il punto è che rischieresti di soffiargli il posto perché sei... diciamo piuttosto bravo. » vide che non capivo e continuò. « Se comincerai a dargli noia, nonostante probabilmente lui non farà niente, i ragazzi del football la prenderanno sul personale. Gli amici di Finn – che sono innumerevolmente superiori ai tuoi, numericamente parlando – ti renderanno la vita ancora più un inferno di quanto non sia già. Fossi in te mi darei ascolto. Immagina se iniziassero a distribuire volantini, o a insultarti all'interfono, o ridere di te, farti del male, impedirti di cantare... »

Dicesti tante cose. Fu un discorso completamente sensato, e me ne rendevo incredibilmente conto. Quello che non riuscii a capire all'epoca fu quanto fosse di natura egoista. Avevi paura per la popolarità del tuo ragazzo ma, soprattutto, temevi eclissassi la tua. Non mi era mai passato per la testa che tu potessi temermi, non mi reputavo nemmeno lontanamente alla tua altezza; ma, andiamo, cadere così in basso? Io mi fidai di te, entrai dentro l'auditorium e mi ritirai, troppo spaventato anche solo per provare.

Non riuscivo ancora a vedere nessuno in faccia.

« Oh, Blaine, i risultati verranno appes... »

« Sono qua per ritirare la mia partecipazione, mi sono reso conto che scolasticamente parlando mi sarebbe impossibile partecipare a questo club. » mentii. Mentii così spudoratamente che mi veniva da piangere come a una stupida ragazzina.

« Davvero? E' un vero peccato, perché... »

Interruppi immediatamente l'insegnante.

« Mi dispiace davvero, mi creda. » mormorai, e uscii dall'auditorium, scappando via, tornando a casa e subendo i miei regolari insulti nei corridoi.

Come poteva essere possibile avere una vita così miserabile?

Tornai a casa e mi sedetti nel soggiorno, piangendo quasi involontariamente, con le palpebre spalancate mentre mi rendevo conto che non sarei ma riuscito ad essere felice. Stavo perdendo le speranze sempre di più.

Ed avrei creduto che lo avessi fatto per il mio bene se Tina non ne avesse parlato con Mike e lui non mi avesse lasciato un biglietto nell'armadietto.

Non avresti dovuto ascoltare Rachel, lo diceva per tornaconto personale. Aveva paura che gli rubassi il ruolo di stella, perché hai talento, sul serio. Blaine, non farti mettere sempre i piedi in testa dalle scuse. Me lo ha confidato Tina. -Mike.”

Accartocciai il biglietto e lo gettai nella spazzatura. Ero furioso. Erano state solo scuse, e lo sapevo, ma erano anche scuse di verità. Tutto ciò che avevi detto sarebbe effettivamente successo. Conoscevo quella scuola. Conoscevo la sua fauna. Sapevo quanto il loro appetito fosse insaziabile. Sapevo che lì ero effettivamente destinato a perdere. Era semplicemente così.

In ogni caso grazie, Rachel Berry, per aver strangolato il mio unico momento di felicità. Non voglio sembrare una drama queen, anche se ormai è probabilmente troppo tardi, ma se devo dirti le cose davvero come stanno, ho intenzione di esternare esattamente come mi sono sentito.

La mia vita è un po' tutta una montagna in salita. Quando pensi di essere arrivato in cima e poterti godere il panorama, in realtà è solo un'insenatura nella roccia che si prende gioco di te. E non ho ancora finito. Manca poco.

Mi dispiace solo di abbandonare la partita prima di avere visto la cima. L'ho solo intravista una volta. E non è stata questa.

Stop.

Entrai in casa con il mazzo di chiavi fradicio. Nelle tasche interne le cassette erano al sicuro. Mi levai di dosso il cappotto zuppo e lo mollai per terra nell'atrio. Ci avrei pensato il giorno dopo. Cercai di fare meno rumore possibile, ma conoscevo mio padre, Finn e sua madre, e sapevo che il loro sonno era così pesante da essere impossibile da interrompere. Riflettendo, la macchina di Finn non era parcheggiata fuori, questo significava che era ancora in giro. A fare cosa, poi, non ne avevo idea. Forse si sentiva come se fosse la sua punizione, quella di non poter riposare, e non lo biasimavo. Chissà quando sarebbe toccato a me.

Contrariamente alle mie aspettative, mentre salivo le scale si aprì una porta e la madre di Finn uscì dalla stanza con la vestaglia e un soprammobile in mano. Sembrava quasi volesse colpirmi, ma poi accese la luce del corridoio e mi riconobbe. Fossi stato lei non ci sarei riuscito vedendomi in quelle condizioni – i capelli distrutti, le occhiaie, gli occhi arrossati dal pianto, i vestiti zuppi – probabilmente mi sarei scambiato per un malvivente.

« Kurt? Sei tu? Mio Dio, mi hai fatto venire un infarto... » si appoggiò con una mano al muro ed abbassò la statuetta. « Cosa ci facevi fuori a quest'ora? Io e tuo padre credevamo fossi a letto. » disse, e cominciò a rendersi conto di ciò che stava accadendo. Vidi il sospetto arrivare sul suo viso e poi una lieve irritazione. Mamma Carole stava emergendo. Non avevo tempo per questo.

« Ti spiegherò domani, ora per favore ho una cosa davvero importante da fare, scusami Carole. » sussurrai, per non svegliare mio padre. Sentivo il peso delle cassette nelle mie tasche. Pensai a quella che avevo appena ascoltato e mi sforzai per non piangere. Non ero mai stato un debole. Che diavolo mi aveva fatto Blaine Anderson?

« A quest'ora di notte? » domandò, esasperata. Annuii e, grazie al cielo, la stanchezza fece la sua parte, così Carole cedette.

« Domani voglio una spiegazione convincente. » affermò con tono fermo e, barcollando per il sonno, rientrò in camera chiudendosi la porta alle spalle.

Mi precipitai nella mia stanza, mi levai i vestiti zuppi e rimasi con la canottiera e le mutande, troppo sconvolto, di fretta, stanco, esasperato, spaventato per mettermi addosso qualunque altra cosa.

Mi sedetti sul letto con le gambe distese davanti a me e, con le mani tremanti, premetti nuovamente play.

Play.

So perfettamente chi viene ora e, credimi, non avrei voluto arrivare a te. Anzi, forse non vedevo l'ora. La prossima cassetta è molto importante. Ciao Kurt.

Stop. Click.

Il nastro era finito. Il cuore mi martellava nel petto come un metronomo impazzito mentre cambiavo la cassetta con fiato corto.

























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Spazio Autrice:

Scusate l'immenso ritardo. Maturità D:

   
 
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