Questa one shot racconta di un mio sogno dell’anno scorso, che riguarda tutta la mia classe, ed alcune persone in particolare.
Spero
che vi piaccia, e mi raccomando commentate perché sono curiosa di sapere
cosa ne pensate di come è scritta e anche del sogno in sé… ho cercato di
rendere bene tutto, ma molte cose erano difficili da descrivere, come i
sentimenti, perché essendo un sogno in prima persona l’ho vissuto solamente dal
mio punto di vista, dunque non potevo rendere i sentimenti e le paure degli altri…
e non ho reso bene nemmeno i miei credo, uno perché dormivo e quindi forse non
li ho capiti bene nemmeno io, e due perché tutto il sogno si è svolto molto
velocemente e non ho avuto il tempo di approfondirne nessuno, a parte la paura
quando Giovanni e Terzi… beh, leggere per scoprire…
Mamma che Mummia!!!
Dedicato a tutta la mia classe, anche a quelli
che non sono nominati nel sogno: sappiate che c’eravate anche voi. In
particolare ringrazio la mia amica Martina che mi ha suggerito il titolo
(e a questo proposito i diritti d’autore sul titolo sono suoi… unicamente suoi)…
grazie Marty!!!
Io
e la mia classe eravamo in gita in una vecchia cittadina campagnola, che però
aveva il pregio di possedere un giardino dei più meravigliosi che la nostra
amata Italia potesse avere. Il problema era che in questo giardino c’era un
antico monastero, dal quale la nostra insegnante di Greco e Latino si era ben
raccomandata di stare alla larga e soprattutto di non oltrepassare il bianco
cancello che delimitava il confine tra il giardino dove eravamo e quello di
quel monastero. Tutte queste raccomandazioni erano dovute al fatto che quel
convento era maledetto: era bruciato intorno al 1980-1975 , ma sul suo conto
girovagavano varie leggende riguardo al fatto che fosse ancora lì… quelli che
si erano avventurati dentro sostenevano che sembrava bruciato solamente
all’interno.
Potevamo
forse resistere ad una tale tentazione di movimentare un po’ quella gita che
fino a quel momento era stata una noia completa?
Ovviamente no.
Aspettammo
che la prof si fosse allontanata e varcammo le soglie del bianco cancello,
pronti a tutto. Ma non c’era niente. O meglio, c’era un semplice giardino come
quello da dove provenivamo, solamente che era molto curato, molto pulito, i
colori dei fiori giocavano in combinazioni burlesche, e tutto dava un senso di
allegria che non sembrava essere proprio di tutte le leggende narrate su cosa
si trovava oltre il bianco cancello. In effetti però dovemmo ammettere che
quello che poteva essere causa delle leggende era proprio questo: era come se
quel giardino non fosse mai stato abbandonato… da chi era stato curato se il
convento era andato distrutto?
Raggiungemmo
infine il convento, in silenzio, come se ci fosse qualcosa in quel luogo che
non si potesse profanare con l’uso delle parole, e anche solo per esprimerci
tra di noi usavamo i gesti.
Figurarsi
poi la nostra faccia quando scoprimmo che per una volta le voci erano vere! Il
convento dall’esterno sembrava perfettamente intatto. E ci accorgemmo che non
era così solo dall’esterno. La porta d’ingresso si chiuse da sola contro di
noi, ma non ce ne curammo molto… forse avremmo dovuto farlo, però. In quel
momento l’unica cosa che ci interessava era esplorare quel posto, luogo comune
di molti racconti, a volte tranquilli, a volte raccapriccianti, ma la maggior
parte delle volte imprevedibili. Dopo un po’ che vagavamo allegramente
cominciammo a chiederci cosa mai ci trovassero di così spaventoso le persone. O
almeno lo facemmo finché non sentimmo qualcosa dietro di noi.
KLUNK!
Ci
voltammo di scatto. E dietro di noi il nulla.
-
Cos’è stato? –
domandò Johnny, un ragazzo dai lunghi capelli mori e gli occhi scuri, non molto
alto.
-
Probabilmente il
vento. – gli rispose Leonardo, mantenendo la calma, seppur scrutando intorno a
sé con i suoi occhi azzurri.
-
Già. – lo
appoggiarono alcuni.
Ma
voi non credete, vero, che fosse stato il vento? Ecco in realtà non ci
credevamo nemmeno noi. Continuammo tuttavia a camminare, questa volta più
cauti, e tutto filò liscio per buona parte del piano che stavamo esplorando.
Poi però…
KLUNK
KLUNK
KLUNK
Lo
strano rumore sembrava essere sempre più vicino e quasi avevamo paura a
voltarci. Ma stare fermi non sarebbe servito comunque a nulla. Prendemmo un
grosso respiro, come prima di un’immersione e ci voltammo, trattenendo il
fiato.
Sempre
più vicino.
E
finalmente la causa di quel rumore spuntò improvvisamente da dietro un angolo.
Ecco che vedemmo un ammasso di bende giallastre che però avevano stranamente la
forma di un essere umano. Una mummia.
Lei
si fermò a scrutarci con i suoi occhi rossi. Noi eravamo già fermi per la
sorpresa e anche per la paura.
Ci
fu un secondo lungo un secolo di silenzio.
-
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!
– urlammo buttando fuori tutta l’aria che avevamo nei polmoni.
E
poi ci voltammo, cominciando a correre più che veloce che potevamo, senza
fermarci, a perdifiato.
Percorrevamo
corridoi su corridoi, senza renderci conto molto bene di dove fossimo, ma
queste informazioni ci sembravano relative, anche perché sentivamo sempre il
KLUNK minaccioso della mummia dietro di noi, anche se non la vedevamo.
Più
del KLUNK si stava facendo sentire la fatica, e infatti alcuni di noi, tra cui
me e Johnny, non riuscivano più ad andare avanti. Ci fermammo per riprendere
fiato, e si fermarono anche tutti gli altri.
Volevamo
uscirne vivi? Dovevamo stare uniti!
-
Così non funziona. –
pensai a voce alta.
A prendere la parola fu Giovanni, un ragazzo
alto e moro, con gli occhi di colore camminate tra il verde e l’azzurro. – Va
bene. – mi guardò. – Allora voi andate a nascondervi nella stanza laggiù. –
indicò l’ultima stanza del corridoio a destra. – Io, Terzi e Leonardo la
tratteniamo. Appena la seminiamo vi raggiungeremo nella stanza. -.
Volevamo uscirne vivi? Dovevamo separarci!
Annuimmo, e dunque noi andammo a chiuderci
nella stanza che Gio ci aveva indicato. Chiudemmo la porta appena in tempo.
Sentimmo la voce di Lorenzo, un ragazzo
alto, grande, e forte, biondo scuro, con gli occhi verdi. – Ehy, mummia di
toporagno! Vieni a prenderci! -.
Erica, una ragazza mulatta, dai capelli
castani ricci, che rimbalzavano meglio di un pallone da basket, appoggiò la
schiena sulla porta dopo averla chiusa dietro di sé, sospirando, e nessuno osò
proferir parola finché il KLUNK fu scomparso. Poi lei decise di rompere il
silenzio. – Ok. – disse. – Facciamo il punto della situazione. Dobbiamo trovare
una via d’uscita per quando gli altri torneranno. -.
Io, dal canto mio, stavo osservando la
stanza in cui eravamo chiusi di nostra spontanea volontà. Era quadrata, non
molto grande, tuttavia lo era abbastanza perché ci entrassero comodamente 17
persone. Sulla parete a destra rispetto a quella dove c’era la porta si trovava
un piccolo letto in ferro, con la testata d’angolo con la parete opposta a
quella della porta, ed era accanto alla finestra. Davanti al letto e accanto
alla porta c’era l’armadio, in legno. Notai una particolarità del letto: se la
testata era di dimensioni normali, la parte opposta, davanti all’armadio, era
alta, fatta a sbarre di ferro orizzontali, quasi come se fosse… sì, quasi come
se fosse una scala.
Mentre facevo queste osservazioni dentro di
me, Giulia aveva trovato una specie di piattaforma di ferro dietro l’armadio.
-
Ha le dimensioni del
letto! – esclamò lei.
Lei, mia omonima, era alta un po’ più di me,
aveva i capelli castani lunghissimi e gli occhi marroni.
-
Va messo lassù. –
indicai una specie di buco nella parete opposta, alla stessa altezza della fine
di quella specie di scala che avevo notato prima. Tommaso, un ragazzo
abbastanza alto, con i capelli ricci e la faccina ad angioletto (ma in realtà
non lo era) e Niccolò, di colore, alto, che vestiva bene e aveva i capelli con
le treccine e gli occhi scuri, sistemarono la lastra scoperta dalla Giulia, e
poi io e lei ci salimmo sopra. Da lì al soffitto c’era poco spazio, infatti
stavamo tutte e due in ginocchio, e cominciammo a battere sul soffitto, piano,
senza far rumore, credendo che ci fosse una botola… altrimenti non avrebbe
avuto senso tutto quello. E infatti Giulia la trovò.
-
Eccola! – esclamò.
Spinse il soffitto, la botola si aprì e la
spostò. Salimmo.
Eravamo finiti in una stanza molto simile a
quella di prima. Non sentivamo nessun KLUNK, quindi aprimmo la porta
lentamente, e ci trovammo in un altro corridoio identico all’altro: a destra
delle scale, a sinistra continuava il corridoio. Voltammo a sinistra, per il
corridoio, e ci accorgemmo che due porte più in là c’era l’uscita. O meglio
c’erano le scale principali che portavano all’uscita.
Tornammo vittoriose dagli altri, e
annunciammo la nostra scoperta.
-
Bene! – esclamò
Sergio, un ragazzo robusto, moro, con gli occhi scuri. – Andiamo, allora! -.
-
Cosa? – domandai. –
Nemmeno per idea! Dobbiamo aspettare gli altri! -.
-
Intanto ci avviamo! –
insistette qualcuno.
Era una cosa sensata. Sarebbe bastato che
qualcuno fosse rimasto, il resto poteva andarsene. Martina, alta, con i capelli
biondi lunghi e gli occhi scuri, era venuta con me e Giulia prima nel corridoio
di sopra, quindi si prese la responsabilità di fare da guida a gli altri,
mentre io e la Giulia restammo lì ad aspettare Leo, Gio e Terzi.
Non arrivavano. Non ci piaceva. Mi sentivo
terribilmente in colpa: si erano fatti inseguire per darci il tempo… se gli
fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonata. Sentivo un peso sullo
stomaco che neppure Giulia riusciva a togliermi, anche se ripeteva “Vedrai che
arrivano”.
E poi lo sentimmo sulle scale di sinistra.
Sentimmo il KLUNK. A questo punto i casi erano 2:
- c’erano
anche Gio, Leo e Terzi
- c’era
solo la mummia e gli altri erano morti.
Sperai con tutto il cuore che fosse la
prima. E grazie a Dio lo era.
Entrarono dentro trafelati, chiudendo la
porta.
-
Dove sono gli altri?
– domandò Leo.
-
C’è un passaggio
sopra. – spiegò Giulia.
-
Non abbiamo molto
tempo. – constatò Giovanni.
Aveva ragione: il KLUNK era sempre più
vicino.
La mia omonima salì velocemente, poi fu il
turno di Leo. Eravamo rimasti in 3 e io stavo salendo sulla piattaforma per
passare di sopra.
La maniglia della porta si mosse. Terzi e
Giovanni si voltarono, aspettando che la mummia aprisse la porta.
-
Alla mummia pensiamo
noi. – sorrise Lorenzo, come se lo prendesse come un gioco.
-
Vai! – mi ordinò
Giovanni.
-
No! – mi opposi. – Non
vi lascio soli, non questa volta. -.
-
Non prendere
iniziative! Vai! – mi spinse su, senza attendere la mia risposta, e Leo mi tirò
via, afferrandomi, chiudendo la botola con un calcio e spostandoci sopra il
letto.
-
Andiamo! – disse
solamente aprendo la porta. Uscimmo e andammo sulle scale, cominciando a
scenderle diretti verso l’uscita. – Veloci. – ci spronava lui.
Poi risentimmo il KLUNK e ci fermammo. Ci
nascondemmo contro un muro in un corridoio, aspettando che la mummia
continuasse a salire le scale senza vederci. La cosa che catturò la mia
attenzione fu un rumore di passi, molto affrettati.
-
Terzi? – provai a
chiedere.
Ma non era Terzi. Era una suora. “INCENDIO”
urlava. Tutte le porte del corridoio si aprirono e tutte le suore uscirono nel
corridoio, correndo e urlando.
-
Ma non era
disabitato? – chiese Giulia.
Mi aveva preoccupata l’incendio. Mi
avvicinai alle scale. Come temevo: l’incendio proveniva dal basso. Dal basso
era venuta la mummia. E insieme a lei in basso c’erano anche Terzi e Giovanni.
Mi sporsi.
-
GIOVANNI! – urlai. –
TERZI! -.
Leo mi afferrò per le braccia, tirandomi
via. – Vieni via! Dobbiamo andare! -.
Opposi nuovamente resistenza. – NO! GIO!
TERZI! -.
Mi strattonò via. E di lì cominciammo a
risalire, cercando di essere più veloci delle fiamme che facevano la loro
macabra danza tutte intorno a noi. dovevamo trovare una via d’uscita. Ma le
scale finirono. C’era una porta e la aprimmo. Altre scale.
-
Dove portano? –
domandai.
Nessuno mi rispose. Nessuno lo sapeva. Ma le
fiamme venivano dal basso, quindi dovevamo salire. Arrivammo in cima: c’era una
specie di scivolo, chiuso. Forse portava fuori. Forse portava tra le fiamme.
Non avevamo tempo di porci domande di cui non conoscevamo la risposta, e ci
infilammo nello scivolo, uno dietro l’altro.
-
Ahia! – esclamò
Giulia. Eravamo atterrati fuori e avevamo battuto il deretano sul terreno duro
e umido. Ci voltammo automaticamente tutti e tre verso il convento: adesso
sembrava bruciato. Era ridotto ad un rudere.
Il bianco cancello era chiuso, e fummo costretti
a scavalcarlo, per raggiungere finalmente gli altri. Tra di loro vidi Terzi e
Giovanni, e la cosa mi lasciò molto perplessa, e tuttavia sollevata e felice.
-
Ma… ma… non eravate
morti? – domandai. – Mi avete fatto venire un infarto! L’incendio… -.
Giovanni scoppiò a ridere. – Ah, quello!
L’ha appiccato Terzi. -.
Ci voltammo verso di lui, che diventò ancora
più rosso di com’era di solito. – Beh… - cominciò. – la mummia ci aveva quasi
raggiunti, quindi ho pensato di mettere del fuoco tra lei e noi. E poi siamo
usciti da dove siamo entrati. -.
E quindi era questo il mistero che aveva
causato l’incendio in quei tempi lontani. Nessun cataclisma. Solamente Terzi.
La paura aveva abbandonato i cuori di tutti,
e anzi, ridevamo tutti di quell’avventura. Qualcuno propose addirittura di
farsi un altro giro… in fondo ci eravamo divertiti, avevamo scampato la solita
gita noiosa.
Tuttavia a quella proposta un vecchio si alzò dalla panchina lì vicino, ripiegando il giornale e mettendolo sotto il braccio. Si mise il cappello e prese il bastone. Dunque ci si avvicinò, ci guardò, e sorrise maleficamente. – Ma come? – ci disse. – Non ne avete avuto abbastanza? -.
Non aspettò neppure la nostra risposta,
rimasti senza parole, limitandoci e vedere lui che oltrepassava il cancello,
apertosi da solo, e poi che spariva nel nulla.
All’improvviso ci ricordammo dove avevamo
già visto quello sguardo. Lo sguardo della mummia.
Quell’uomo era la mummia.