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Autore: Queenofsockpuppets    13/06/2013    3 recensioni
Angelica si sta recando alla festa di compleanno di una sua amica,quando un guasto al suo fuoristrada la blocca nella foresta. Qui farà un incontro singolare...
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Merda!” urlò Angelica rabbiosamente,calciando una ruota del suo fuoristrada.
Controllò ancora una volta l’orologio, che le rispose la stessa cosa che le aveva detto cinque minuti prima: era in ritardo.
E pensare che era anche partita con mezz’ora di anticipo per evitare qualsiasi contrattempo e non perdersi neanche un minuto della favolosa festa di compleanno che la sua migliore amica Iris aveva organizzato nel suo cottage di montagna,e invece le si era fermata la macchina pochi chilometri prima, in mezzo a quella accidenti di foresta artificiale fatta di alberi dal fusto sottile e altissimo.
L’aveva attraversata parecchie volte con i suoi amici,ma ora era sola, e le fronde degli alberi erano fitte al punto di impedire alla luce lunare di penetrarvi, così Angelica poteva vedere fin dove arrivava il fascio di luce dei suoi fari, il resto era buio pesto.
Prese il cellulare dalla borsetta e chiamò la sua amica per dirle che molto stupidamente dopo un mese che aveva la patente si dimenticava ancora di controllare se aveva abbastanza benzina nel serbatoio, ma dopo alcuni squilli entrò in funzione la segreteria telefonica: “Non sentirà il telefono…sicuramente la festa è già iniziata” pensò,scaraventando l’apparecchio sul sedile posteriore.
Si appoggiò sospirando al suo veicolo, le mani nei capelli: lanciando uno sguardo all’interno dell’abitacolo poteva scorgere il luccichio della carta rosa che rivestiva il pacco contenente il regalo per la sua amica, una borsa firmata che aveva acquistato tre giorni prima.
“In fondo non è molto lontano” pensò.
“Posso benissimo arrivarci a piedi e chiedere della benzina a uno degli invitati”.
Aprì il bagagliaio,prese la tanica vuota che portava sempre con sé,la torcia,si mise il regalo sottobraccio e la borsa in spalla.
Stava per partire,quando si fermò vicino al cassettino portaoggetti sotto al cruscotto: lì teneva la sua pistola,un Beretta Taurus, regalo di suo padre quando sei mesi prima aveva ottenuto il tanto agognato porto d’armi.
“Che me faccio della pistola?” si chiese ad alta voce.
“Bè, potresti incontrare un cinghiale…o qualcos’altro” le rispose una vocina nella sua testa.
Rapidamente Angelica scacciò quel pensiero prima che il suo cervello potesse partorire fantasie macabre sul “qualcos’altro” che avrebbe potuto incontrare nella foresta, tolse le chiavi dal quadro del fuoristrada e si incamminò,benedicendo le sue scarpe da ginnastica che indossava sempre per guidare al posto dei tacchi, che giacevano sul fondo della sua capiente borsa.
Si voltò un’ultima volta per guardare il suo Toyota Land Cruiser, che giaceva a fari spenti come un fedele cane di lamiera che attendeva il suo ritorno: quindi accese la torcia e ripartì.
Il terreno era soffice,erboso e costellato da rametti e pezzetti di corteccia che scricchiolavano in modo ovattato al suo passaggio,ma anche da piccoli e insidiosi cespuglietti di more selvatiche, le cui spine stracciarono rapidamente i collant della ragazza.
Ben presto il freddo tagliente settembrino mise a dura prova il suo vestitino blu di taffetà, e dopo aver vagato per circa un’ora Angelica finalmente ammise a se stessa di essersi irrimediabilmente persa.
“Incredibile” sbottò rabbiosa, posando a terra il regalo,la borsa e la tanica.
“Ho attraversato almeno una decina di volte questa maledetta foresta…”.
Squarciò il buio attorno a sé con la falce di luce della sua grossa torcia a batterie,cercando invano un punto familiare, un albero conosciuto, un segno che le potesse dire dove si trovava.
“E’ veramente ridicolo,sembra un film dell’orrore di serie zeta” mormorò, cercando il telefonino: improvvisamente si ricordò di averlo lasciato in macchina,l’aveva lanciato sul sedile posteriore.
“Una foresta buia, una ragazza sola e sperduta, la macchina senza benzina e niente cellulare” pensò Angelica: “Un classico. Manca solo il mostr…”
Uno schiocco secco dietro di lei la fece sobbalzare, interrompendo le sue riflessioni.
Si voltò di scatto, facendo danzare tutt’intorno a lei il fascio bianco di luce della torcia.
“Chi c’è?” chiese con voce stridula.
“Forse un animale” cercò di tranquillizzarla la parte razionale del suo cervello: “Le foreste ne sono piene,se non lo sai. Controllati,ragazza.”.
Stava seriamente considerando l’idea di tornare al suo fuoristrada e al diavolo quella stupida festa, quando intravide non lontano da lei,quella che le sembrò una figura umana.
Illuminando in quella direzione scoprì proprio che sì,era una persona: nella fattispecie un uomo con un elegante completo giacca e pantalone nero,testa bianca perfettamente rasata,girata di spalle.
“Cosa ci fa un uomo vestito così in mezzo al bosco?” si domandò Angelica, salvo poi rispondersi sbrigativamente: “Cosa me ne importa, a me basta uscire da questa foresta di merda. Me ne frega assai di chiedere aiuto ad un castoro parlante o a un uomo ben vestito.”.
Lo strano individuo pareva non essersi accorto di lei, e continuava a darle le spalle nonostante lei continuasse a puntargli addosso la torcia.
“Scusi,lei” esclamò infine la ragazza.
“Potrebbe gentilmente aiutarmi? Mi sono persa, e ho la macchina senza benzina poco più giù…o più su…non so neanche dove sono…” le sfuggì una risatina nervosa: quello continuò a non considerarla.
“Ma insomma!” strillò Angelica.
Udito il grido, l’uomo si girò di scatto: la ragazza sentì la mandibola spalancarsi in un’espressione di terrore e sorpresa, i muscoli tendersi e irrigidirsi, l’aria fuoriuscire dai suoi polmoni con un rantolo.
Quell’uomo non aveva la faccia! Dove avrebbero dovuto esserci occhi,naso e bocca non vi era altro che una liscia superficie bianca: le braccia,abnormemente lunghe, toccavano quasi terra.
Subito l’istinto la fece da padrone, e Angelica si voltò,iniziando a correre come in trance: correva, la torcia stretta in mano, la cui lama di luce rischiarava tremolando il suo percorso.
Poteva sentire dietro di lei i tonfi e i passi veloci di quella specie di essere umanoide che la stava inseguendo.
“Devo arrivare alla macchina” pensò lei,freneticamente: “Devo….”
Improvvisamente la terra le venne a mancare da sotto i piedi, e iniziò a cadere giù per una ripida discesa.
Un pensiero carico di terrore la invase: “NO! NON DEVO CADERE,MI PRENDERA’!”, e poi toccò terra pesantemente.
Si rialzò più velocemente che potè, le gambe graffiate e sanguinanti, il vestito a brandelli, nei capelli spettinati fili d’erba e foglie secche: si  voltò indietro per vedere dove fosse il suo inseguitore, e quando si rigirò sbattè violentemente contro qualcosa.
Il suo fuoristrada! Angelica rise istericamente mentre tentava di aprire la portiera bloccata: improvvisamente ricordò di aver lasciato le chiavi della macchina dentro la borsa che aveva lasciato cadere quando era fuggita.
“Non è vero!” urlò,scoppiando a piangere: “E’ un incubo! Sembra davvero uno di quegli assurdi film dove…” improvvisamente si bloccò.
Di solito nei film c’era una ragazza sola e indifesa: ma quello non era un film.
Con gli occhi della mente vide con chiarezza la pistola proprio lì, nel cassettino portaoggetti sotto il cruscotto.
Si alzò in piedi di scatto, impugnò la grossa torica al contrario e si servì del retro per sfondare il finestrino: l’urto con il vetro ne fece saltare via le batterie, così la ragazza la lanciò lontano.
Infilò un braccio nell’abitacolo e aprì il vano portaoggetti, impugnando l’arma.
“Ah-ah! Ti ho fottuto, figlio di puttana!” urlò voltandosi e tenendo la pistola alta davanti a sé: l’uomo senza volto non c’era più.
Angelica puntò l’arma a destra e a sinistra, ma di quell’essere nessuna traccia.
“Non ho certo intenzione di scoprire dove sia” pensò la ragazza: “Devo cercare di raggiungere il cottage di Iris.” .
Stava per rimettersi in marcia, quando vide emergere dal buio quella creatura, le lunghe braccia protese verso di lei: immediatamente sparò, mirando al petto.
Nel piccolo spiazzo dove si trovava il fuoristrada la detonazione fu assordante: subito Angelica sentì le orecchie fischiare, e il familiare puzzo della polvere da sparo invaderle le narici.
Con sommo suo orrore però, l’uomo senza volto non cadde a terra, ma si fermò, riprendendo poi a correrle incontro.
“Non è possibile!” pensò Angelica, fuggendo: “Non posso averlo mancato!” .
Corse in salita, faticosamente, le articolazioni che bruciavano, i muscoli che le dolevano, le lacrime di terrore che le rigavano il viso sudato e sporco di terra.
Continuò a correre, finchè non scorse in lontananza la sagoma scura di un’abitazione: il cottage della sua amica.
Ma perché tutte le luci erano spente? Non doveva esserci una festa?
L’essere dietro di lei emise una specie di forte mugolìo, quasi rabbioso, strappando un urlo spaventato alla ragazza.
Con ultimo,disperato sforzo Angelica raggiunse l’abitazione: fuori erano parcheggiate le macchine dei suoi amici, con i vetri appannati e imperlate di condensa rilucevano piano nella luce lunare.
Si scaraventò contro la porta,con l’intenzione di bussare come una dannata, ma la trovò aperta: con un gridolino di sorpresa piombò nel soggiorno ruzzolando pesantemente sul pavimento di legno.
Ansimando con i polmoni serrati dal terrore e dalla fatica,chiuse la porta con un calcio e strisciò sotto il tavolo da biliardo, rimanendo lì, in attesa.
Intorno a lei potè scorgere bicchieri di carta vuoti e stelle filanti: i resti di una festicciola.
Ma dove erano andati? Si mise una mano davanti alla bocca per non far sentire il suo respiro pesante.
Il vento freddo all’esterno soffiava e fischiava attraverso le imposte di legno: la vecchia casa si assestava scricchiolando, e ogni rumore sembrava farle pensare che quell’essere fosse entrato.
Finalmente si decise a raccogliere tutto il suo coraggio e ad uscire fuori da sotto il tavolo: avrebbe preso un’auto e sarebbe scappata.
Fece due passi verso la porta, quando da dietro il divano qualcosa saltò fuori,piombandole addosso.
Angelica fece per urlare,ma si fermò quando udì una voce familiare dirle:”No! Sono io,sono io!”.
La sua amica Iris, la proprietaria del cottage, la fissava disperata, i capelli spettinati, il viso bianco e sudato da cui la scrutavano i grandi occhi sgranati.
“Angelica,sei veramente tu?” le chiese piangendo.
“Oh grazie a Dio,grazie a Dio!” “Ma dove sono gli altri?” domandò Angelica.
“Li ha presi lui!” “Lui chi?” insistette,afferrandole le mani.
“Slender!” sussurrò l’amica: “L’essere che vive nel bosco! Oh Angie, se solo fossi arrivata prima…lui li ha presi...con quelle braccia così lunghe…li ha portati via. In una specie di portale…in un’altra dimensione!”.
Le due amiche rimasero a guardarsi,respirando pesantemente.
“Prendiamo una macchina” disse Angelica, infine.
“Andiamocene da qui.”.
Diede una rapida occhiata fuori dalla finestra: potè scorgere la vecchia Volvo di Roberta, una loro amica, che era la macchina più vicina.
Di quell’essere nessuna traccia.
“Al mio tre apro la porta, e corriamo più veloce che possiamo verso l’auto di Roberta” sussurrò a Iris: lei annuì,decisa.
“Uno…” strinse la maniglia della porta, talmente forte che vide le sue nocche diventare bianche.
“Due…” guardò negli occhi la sua amica,lo sguardo terrorizzato che però diceva: “Ho paura,ma adesso non sono più sola, so che insieme ce la possiamo fare.”.
“Tre!”
Spalancò l‘uscio, e Iris si fiondò fuori: le corse dietro,fiumi di adrenalina le scorrevano nelle vene.
Pregava che l’auto non fosse chiusa,quando sentì Iris urlare: “Sta arrivando! Sbrigati!”.
Si voltò indietro: Slender si stagliava alto, in controluce, una figura nera da cui spuntava il cranio bianco senza volto.
Tirò la maniglia della portiera, inutilmente: era chiusa.
Sferrò una gomitata al finestrino,mandandolo in frantumi: pezzi di vetro le si conficcarono nella carne dell’avambraccio,facendola sanguinare copiosamente.
Salì a bordo insieme a Iris, tastando freneticamente sotto il volante alla ricerca dei cavi dell’accensione: li trovò e ne strappò via uno,sfregando le una contro l’altra le due estremità.
“Dai,forza…” la incitò Iris,a denti stretti.
Il motore della Volvo tossì faticosamente: Angelica strofinò i due pezzi di filo più velocemente, facendone fuoriuscire un filo di fumo, premendo più a fondo che potè il pedale della frizione.
Slender era molto vicino,potevano quasi contare le righe del suo abito gessato, sentire lo spostamento d’aria prodotto dall’agitare di quelle mostruosamente lunghe braccia…
Il motore ruggì all’improvviso, facendo sobbalzare le due amiche.
“Si’!” esultò ferocemente Angelica, annodando il filo.
“Parti! Parti!” le urlò Iris.
L’amica non se lo fece ripetere: accese gli abbaglianti,tolse il freno a mano, innestò la marcia e premette l’acceleratore.
L’auto balzò in avanti, e  con una sterzata violenta evitò di poco il porticato del cottage, imboccando il vialetto che scendeva nel bosco e terminava nella statale.
Lungi dall’utilizzare il freno, Angelica curvava bruscamente nei piccoli tornanti di terra battuta: ma la vecchia Volvo era lunga,e quindi non molto adatta a quei percorsi.
Ben presto uscì dal tracciato e Angelica, perso il raggio di sterzata, si ritrovò a scendere a velocità folle giù per il ripido bosco, facendo una gimkana tra gli alberi.
“Vedo le luci della statale!” urlò Iris: “Non fermarti!”
Angelica scorse i lampioni che costeggiavano la strada asfaltata: ingranò la quinta, evitando per un soffio un grosso albero, lanciandosi a tutta velocità sul dislivello di terra che la separava dal bosco.
Il muso della Volvo si alzò, ricadendo poi pesantemente sull’asfalto con un gemito di sospensioni, e si fermò bruscamente con uno stridio di gomme.
Angelica innestò immediatamente la marcia per non far spegnere l’auto e ripartì a tutta velocità: il tachimetro saliva rapidamente, facendo aumentare la distanza tra loro e Slender.
Iris si accasciò sul suo sedile: “Dobbiamo andare alla polizia” disse.
“Ah si? E cosa diremo? Che un essere senza faccia ha rapito i nostri amici?” disse Angelica, sarcasticamente.
“A me basta essere riuscita a fuggire da quel coso”.
Iris non rispose, voltò il capo e guardò fuori dal finestrino.
I minuti passavano: dieci, venti, trenta… Ma cosa succedeva? La prima città avrebbe dovuto essere a una decina di chilometri, ma Angelica guidava da ormai mezz’ora e la statale sembrava infinita.
“Ma non l’abbiamo già sorpassato questo tratto?” le domandò Iris.
“Sarà la ventesima volta che vedo quel cartello” “Non lo so”, rispose Angelica, distratta, perquisendo il paesaggio buio.
“Voglio solo raggiungere la città. O anche un paese. Mi accontenterei anche solo di una frazione.”
Intanto era salita la nebbia, e la luna gettava una bluastra luce spettrale: dopo aver sorpassato per l’ennesima volta lo stesso cartellone pubblicitario, Angelica tirò il freno a mano e disse: “Non è possibile. Stiamo girando in tondo, e la statale è dritta”.
Iris la guardò con aria interrogativa, poi guardò fuori e disse: “C’è una luce là, tra gli alberi!”.
Le due amiche scesero dall’auto e lentamente si diressero verso la fonte luminosa.
“Oh no…” mormorò Iris. “Non è possibile…”.
La luce che le aveva attirate era un faro: un faro acceso di una Volvo.
L’auto era letteralmente accartocciata contro uno degli alberi, il cofano ridotto ad un ammasso di lamiera contorto.
Dal finestrino sfondato del conducente spuntava fuori una mano con una chiave di violino tatuata sul dorso, una linea di sangue che gocciolava impietosa giù lungo un dito con l’unghia curata smaltata di nero.
Le due amiche si guardarono, e immediatamente capirono di non essere in realtà mai riuscite a fuggire dalla foresta.
“Noi… Siamo morte, vero?” le chiese Iris con voce tremante.
Angelica non rispose: le tremava il labbro inferiore.
Continuava a fissare la sua mano che sporgeva fuori dal finestrino, e pensava alla sua famiglia, alla scuola, al suo fidanzato, a tutte le cose che non avrebbe più potuto fare, e che le sembravano sempre più lontane.
Iris le appoggiò una mano sulla spalla, facendola trasalire: “Dobbiamo andare con lui” le disse.
Angelica si voltò: Slender le attendeva vicino alla carcassa fumante dell’automobile, lunghe braccia protese verso di loro.
La ragazza si voltò un’ultima volta indietro, come per dare l’addio definitivo alla sua vita, poi si accoccolò insieme alla sua amica nell’abbraccio di Slender.
 

 
 
   
 
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