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Autore: La neve di aprile    13/06/2013    1 recensioni
Chiudere gli occhi non significava trovare la pace di un buio forzato, ma rivivere con metodica, precisa sofferenza ogni singolo istante che avevano condiviso assieme. I sorrisi separati solo da una scrivania e la brutta copia di un bancone, la consistenza ruvida delle sue carezze nell'incavo del collo, il rumore dei suoi respiri mentre dormiva, la gentilezza con cui le aveva scostato i capelli fradici di pioggia la fatidica sera in cui aveva attraversato ogni confine e infranto ogni regola per avventurarsi sull'insidiosissimo terreno di una felicità precaria al punto da implodere in se stessa, lasciandosi alle spalle un cimitero di speranze e possibilità infrante.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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III


 
       « Può andare così? »
Giada si voltò con una piroetta, sporgendo le labbra in una pantomima di posa sexy.
Il vestito grigio scendeva morbido a fasciarle i fianchi, nascondendo in un velo di stoffa leggerissima il braccio sinistro e lasciando completamente scoperto il destro. Viola pensò che era bella, e che era bello averla di lì di nuovo, ma si limitò ad abbracciarla stretta e sospirare felice.
« Lo prendo come un si. » decretò la bionda quando si decise a lasciarla andare, pizzicandole una guancia in un gesto affettuoso « Tu piuttosto hai deciso cosa mettere? »
Viola scosse il capo, guardando con aria desolata alle ante spalancate dell'armadio e la pila di vestiti scartati che ingombrava buona parte del letto. Li aveva tirati fuori uno ad uno, senza provarli ma limitandosi ad appoggiarseli addosso, e con frustrazione crescente li aveva lasciati cadere a terra con la leggerezza di una bambina che dissemina sul pavimento di casa cartine di caramelle mangiucchiate in fretta. Avevano ancora un'ora e mezza al massimo per finire di prepararsi e uscire con la speranza di accumulare un ritardo che fosse solo accettabile, e non decisamente scandaloso. E si era ritrovata al punto da fissare il suo armadio, i suoi vestiti, come fossero i nemici di una vita, vincitori di una battaglia che andava concludendosi con la sua inesorabile sconfitta.
« Zero. Non ho niente da mettere. » dichiarò, accoccolandosi sul pavimento e raccogliendo il viso tra i palmi delle mani, sconsolata « Un armadio pieno di cose che non si possono vedere! »
« Scemina, ma smettila! » Giada si inginocchiò per abbracciarla rapidamente « Adesso diamo un occhio a questo cumulo di vestiti bistrattati e troviamo qualcosa di adeguato al tenore della serata. »
« Buona fortuna » brontolò Viola, raccogliendo la manica scarlatta di un abitino caduto sul pavimento e storcendo il naso « Perché mai ho comprato una cosa del genere? Perché nessuno mi ha impedito di farlo? È brutto. »
« No, non è vero. Rossetto rosso e le scarpe alte, ti sta una favola e ti ha permesso di passare diritto comparato tra le altre cose. »
La mora abbassò lo sguardo sull'abito, giochicchiando distrattamente con la lampo argentata che lo decorava sul davanti e valutandolo con occhi critico, soppesandone il valore alla luce della rivelazione e del ricordo.
« Si, è vero. » ammise alla fine, ammorbidendosi in un sorriso e sollevandosi in piedi per tornare verso l'armadio e restituire il vestito alla sua gruccia. Lo guardò dondolare morbidamente in mezzo ad un cimitero di grucce svuotate, riflettendo sul perché tutte le volte che le capitava di dover pensare a cosa indossare quella scena si ripetesse puntuale.
« Che ne dici di questo? » le chiese Giada, raccogliendo un tubino verde bosco.
« Formale. » storse il naso Viola, con una smorfia « Stiamo andando ad una festa dove la principale attrazione sono delle drag queen e mi proponi un tubino? No way. »
« Questo? » ritentò pescando dal mucchio un abito senza spalline nero, stretto sotto il seno e dalla gonna plissettata.
« Oh, è un amore quello lì » Viola arricciò il naso, deliziata, salvo poi aggiungere che « L'ho già messo all'ultima Jota però, quindi no. »
Giada alzò gli occhi al cielo con aria esasperata, riponendolo nel mucchio con delicatezza.
       Succedeva prima di qualsiasi serata mondana. Il panico, l'armadio improvvisamente inadeguato, le ore passate a tentare, combinare, scartare e riprovare senza trovar pace. E dopo i vestiti c'erano i capelli, e dopo i capelli c'era il trucco, e una volta scelte anche le scarpe e la borsa generalmente si era fatto così tardi che il più delle volte la mezzanotte era già passata. Ma era divertente, e la Jota era la loro festa da quando ci erano capitate la prima volta un po' per caso, intrufolandosi in un mondo di glitter, ciglia finte e uomini trasformatisi in donne bellissime, dai vestiti rubati ad un secolo sbagliato e i colori squillanti. Una giungla popolata da uccelli del paradiso, nascosta del buio di una piccola città di provincia: l'avevano amata, oltre ogni immaginazione, facendone un rituale rinnovato ad ogni occasione possibile, solo quando erano tutte e cinque assieme.
« Ok, lo so io cosa ti ci vuole. »
Giada riavviò i capelli con un gesto deciso, raccogliendoli sulla nuca e poi lasciandoli ricadere in una criniera biondissima, dai riflessi di miele, che si arricciava ad incorniciarle il volto pulito mentre tornava con passi rapidi verso il letto sommerso di vestiti e si metteva a frugare con foga.
Viola si sporse di lato, cercando di scoprire cosa l'amica stesse tramando, e quando questa si voltò verso di lei non poté fare a meno di illuminarsi in un sorriso.
« Si. Oh, si. »
 
       « Chi sono queste due straniere? » esclamò Mia quando le vide arrivare, correndo loro incontro a braccia spalancate. Le strinse in un abbracciato deciso e « Siete bel-lis-sime! » esclamò, la voce impastata di capelli, stoffe e sciarpe.
Lucrezia e Claudia si unirono all'abbraccio, e tutte assieme presero a saltellare in cerchio con gridolini estasiati ignorando le occhiate perplesse che le accarezzavano accompagnandosi ora a sorrisi ora a commenti sarcastici.
Fu Lucrezia la prima a staccarsi, strofinando con attenzione le dita sotto gli occhi come a voler arginare il trucco scuro che li cerchiava. Indossava un abito blu elettrico e un blazer nero come i tacchi indossati con disinvoltura, sandali tutti laccetti e piccole fibbie.
« Ciao tesori » baciò le nuove arrivate con calore, indugiando nell'abbracciare nuovamente Giada.
« Vi siete fatte aspettare, eh? Cucciole! » Claudia si fece avanti per seconda, scompigliandosi i capelli nerissimi e socchiudendo gli occhi in due schegge di luce, cangianti di nebbia e morbide di velluto. Tra tutte era quella che indossa i colori meno vivaci, e tra tutte era quella che si faceva più notare nelle pieghe morbide dell'abito color crema e l'ampia porzione di gambe lasciate scoperte tra l'orlo e gli stivali morbidi.
Come lei, anche Viola aveva indossato degli stivali neri da biker, abbinandoli al giallo canarino di un vestito dalla linea asimmettrica, stretto sotto al seno e dalla gonna morbida corta davanti e poco più lunga dietro. Chiodo sulle spalle, come Mia che aveva rinunciato al suo solito total black in favore di un abito rosso fuoco abbinato a delle zeppe altissime, e capelli raccolti in uno chignon che di disordinato aveva solo l'aspetto, frutto di una buona mezz'ora di tentativi.
« Intanto siamo arrivate, no? » le fece una linguaccia Giada.
« Mai come quella volta che Lù si è addormentata sul divano e noi ad aspettarla sotto la pioggia, eh.. » sogghignò Viola, prendendo a braccetto la rossa che non fece neanche lo sforzo d'indignarsi.
« Ho una certa età, è più che comprensibile » si difese freddamente, principessa altezzosa incoronata da ciocche di rame ben arricciate « Piuttosto ci beviamo una cosa, che dite? Grazie a dio è abbastanza presto, se andiamo adesso finisce che stiamo lì un'ora a girarci i pollici. »
« Hydro? » propose Giada.
« Hydro. » risposero le altre in coro.
       L'Hydro City, o più semplicemente Hydro, era un buco di locale comparso dal nulla con la fama di essere un gran posto. E in effetti, dimensioni a parte, si era sempre dimostrato all'altezza della sua fama: la fila di ragazzi e ragazzi in attesa ai due banconi, il continuo via vai di camerieri  carichi di vassoi ricolmi di bicchieri, l'odore dolciastro e il pavimento appiccicoso di cocktail rovesciati erano un classico del sabato sera triestino.
« Tre ordinano e due si siedono? » propose Lucrezia, adocchiando uno spiraglio della massa schiacciata contro il bancone e al tempo stesso un tavolino vuoto, circondato da cinque sgabellini bassi e scarsamente illuminato da una luce tremula che ricordava quella di una candela.
« Chi ha i tacchi si siede, dai » concesse Viola, afferrando Claudia mentre già stava avviandosi verso il tavolo e trascinandosela dietro nella calca.
« Che palle, solo perché non avevo voglia di mettere i tacchi non significa che abbia anche voglia di rischiare una doccia di alcol! » protestò questa, alzando gli occhi al cielo.
« Dai, non fare la fastidiosa.. » la punzecchiò Viola, irriverente « Se ci sei tu c'è una buona possibilità ci offrano qualcosa in fondo. »
« Stai anche dicendo che devo impegnarmi a far la carina? »
« Nessuno ti obbliga, ma il mio portafoglio gradirebbe assai. »
« Non ti pagano abbastanza in palestra da permetterti di comprare un drink? »
« No, decisamente non mi pagano abbastanza. Mi pagano pure in ritardo, detto tra noi, ottobre  è ben che iniziato e io la paga non l'ho vista neanche in cartolina! »
« Magari sei troppo impegnata a guardare altro per vedere i soldi. »
« Ah-ah-ah. Non sei divertente. »
« Si che lo sono, bugiardella.. »
« Non in queste circostante » Viola si fece largo tra due giovani ben più alti di lei, aggrappandosi al bancone e sporgendosi per attirare l'attenzione del barista. Questi le rivolse un cenno, indugiando qualche istante su Claudia che comparve al suo fianco dopo un attimo.
« Ciao, mi fai cinque pestati alla frutta? » ne approfittò quest'ultima, sfoderando un sorriso ammiccante e una disinvoltura invidiabile. Il ragazzo le fece l'occhiolino, allineando cinque bicchiere davanti a sé e versando sul fondo di ognuno un cucchiaio e mezzo di zucchero di canna.
« Sorridi un po' di più, Clà, poi vedi come ce li offre » sillabò Viola a denti stretti, senza perdere il sorriso e controllando il barista che aveva iniziato a pestare con buona lena la frutta fresca « O quanto meno non ci propina dei bibitoni annacquati. » considerò con leggerezza, sbirciando i succhi di frutta spacciati per alcolici che stavano sorseggiando un gruppo di ragazzi poco più in là.
« Violetta bella, se non la smetti il fanculo è assicurato. »
« Non essere volgare, non ti si addice. Guardo che vado a raccontare a tua madre quanto sboccata è la sua santa figliola, eh.. » la minacciò senza cattiveria, punzecchiandole un fianco con la punta delle dita. Claudia si scostò ridendo, in perfetto accordo con la terribile battuta che il barista aveva appena finito di declamare piazzandole davanti i cinque cocktail fatti e finiti.
« Quant'è? » chiesero in coro, mani alle pochette e sorrisi identici sulle labbra.
« Questi ve li offre la casa, buona serata ragazze! »
 
       « Te l'avevo detto, te l'avevo detto, te l'avevo detto! » canticchiò vivacemente Viola, senza suscitare che una vaga indifferenza in Claudia.
« Che cosa? » chiese Mia, alzando gli occhi verdissimi dall'orlo del bicchiere e abbandonando la cannuccia che stava mordicchiando.
« Che Matteo le avrebbe chiesto di uscire » intervenne Lucrezia, circonfusa dall'alone dorato di luce spanta sul tavolino dall'unica lampada appesa alla parete.
« Dopo anni che ti muore dietro, detto tra noi. » aggiunse Giada, lasciando ricadere il blackberry nella pochette e incrociando le braccia al petto « C'era stato un periodo in cui giravano scommesse su quando il misfatto sarebbe avvenuto. »
« CHE COSA?! » ruggì Claudia, svestendo l'alterigia in favore di uno sdegno feroce.
« Si, ma eravamo tra il primo e il secondo anno ancora. Poi quando si è visto che Matté non combinava nulla la cosa è morta da sé, non ti preoccupare. »
« Non è mai uscito al di fuori della nostra facoltà, non ti preoccupare. »
« Vero, il gruppo facebook funzionò poco. »
« GRUPPO FACEBOOK?! »
« Io avevo puntato su dicembre » rivelò Mia con aria birichina « Ti ricordi quella volta che dovevamo uscire per vedere le bancarelle e all'ultimo abbiamo tutti tirato bidone? »
« No. »
« Bugiarda! Beh, fatto sta che avevamo organizzato tutto nella speranza che trovasse il coraggio di invitarti a bere una cosa, ma tu hai avuto la brillante idea di confidargli tutti i tuoi problemi con… come si chiamava il tizio con cui ti vedevi? Alberto? »
« No, forse era Luca. O Marco. » intervenne Lucrezia, dubbiosa « Quella volta gli hai fatto passare ogni voglia di chiederti di uscire e abbiamo tutti perso. »
« Ma voi siete malate, avete scommesso su di me! »
« No, non su di te. Sulle palle che Matteo ha tirato fuori con anni di ritardo rispetto alla tabella di marcia. »
« TABELLA DI MARCIA?! »
Viola ridacchiò tra sé e sé, aspirando rumorosamente il fondo del bicchiere e ascoltando i battibecchi delle altre. Amava quel genere di normalità. Il piacere dello stare assieme senza bisogno d'altro, le chiacchiere e le risate, senza problemi e senza peso. Stare in silenzio e al tempo stesso essere partecipe di ogni parola, di ogni battuta, di ogni scoppio di risa come li avesse detti lei. Ne avevano passate tante, assieme. Dagli isterismi delle sessioni d'esame senza fine alle serate senza scopo, passando per le delusioni d'amore e i dolori inaspettati che la vita aveva propinato loro senza chiedere il permesso e senza preavviso; avevano cementato il loro affetto saltandosi alla gola per i motivi più sciocchi e scoppiando a piangere due ore più tardi implorando il reciproco perdono. Erano cresciute assieme, abbandonando le ombre dell'adolescenza che le aveva viste separate per sbocciare poi giovane donne l’una accanto all’altra. Pensare a quello che avevano avuto e a quello che ancora non era arrivato ma che le avrebbe trovate assieme, legate dai vincoli di una scelta infinitamente più forte del sangue, le scaldava il petto di una gioia improvvisa e le ricordava, nei momenti più bui, che loro erano e sarebbero sempre stato il posto cui appartenere. Erano la chiave che le permetteva di tradurre i suoi incubi in sogni. Anche quelli ad occhi aperti.
       Enrico.
       Sbatté le palpebre, chiedendosi se la sua fosse solo immaginazione, se il secondo cocktail – onestamente pagato – non le fosse salito alla testa più di quanto credesse. O se davvero era lui quello che aveva appena varcato la soglia del locale mettendo mano al portafoglio nella tasca posteriore dei jeans scuri. Che indossava un ampio maglione di lana dalle maniche tirate su sugli avambracci ancora ambrati d’estate sopra una camicia bianca e che stava ridendo al fianco di Gian e un altro dei ragazzi del loro gruppo di spinning del lunedì. Matteo, Mattia. Marco? Non ne era sicura, non aveva mai imparato a distinguerlo dai tre che venivano subito dietro ed erano immersi in una conversazione fitta fitta. Non aveva mai imparato a distinguere nessuno di loro, a dire il vero, perché erano qualcosa di subordinato alla presenza di Enrico. Presenze accessorie.
« ...non è vero, Viola? » la richiamò all'ordine Mia.
« Eh? »
« Appunto. L'abbiamo persa. » confermò di Lucrezia, chiudendo un discorso cui Viola non aveva prestato attenzione.
« Posso spiegare.. » iniziò a dire, occhieggiando ora le sue amiche e ora il gruppetto in attesa al bancone, in coda alla fila che sfociava in ressa vera e propria poco più avanti.
       Le spalle di Enrico, la linea ferma di muscoli e pelle ambrata che poteva solo immaginare celarsi sotto la linea morbida della lana, il collo scoperto e il vivo contrasto tra il colletto immacolato della camicia e l'attaccatura scura dei capelli scompigliati.
« Ma si può sapere che stai guardando? » le chiese Giada, scivolando nella cadenza sfacciata di un accento romano. Viola strinse le labbra, passando in rassegna uno ad uno i visi che la scrutavano con attenzione nel silenzio che aspettava solo di riempirsi delle sue parole. E poco più in là la voce di Enrico proruppe in una risata improvvisa, regalandole una fitta dolorosamente piacevole al cuore.
« Ok. » decise, sporgendosi in avanti sul tavolino ingombro di bicchieri, invitando le altre ad imitarla « Dovete giurarmi di non gridare e di non fare nulla che mi faccia pentire di quello che sto per dirvi. »
Le guardò annuire, una ad una, e si fece coraggio prendendo un profondo respiro.
« C'è Enrico » bisbigliò dopo un tempo che le parve infinito a quattro visi che la guardarono con la stessa identica, perplessa espressione. « Il ciclista. »
« Se ad ottobre uno è ancora così abbronzato, vuol dire che non si lava abbastanza. » fu il commento insospettabilmente caustico di Giada, pronunciato un istante prima che le altre tre si esibissero in uno strillo acuto che fece girare tre quarti dei presenti in loro direzione.
Viola alzò gli occhi al cielo e gemette sconsolata, sprofondando il viso tra le mani.
« Ma è proprio figo! » squittì Mia, deliziata.
« Si, è veramente figo. » convenne Lucrezia, sporgendo lateralmente sul seggiolino per guardare meglio non solo Enrico, ma anche il gruppetto che lo accompagnava « E i suoi amici non è che siano da meno.. »
« Ma il biondino? Cioè, perché non hai mai parlato del biondino, piuttosto che del ciclista? » fece Claudia con una sfumatura di indignazione nella voce.
« Claudia sei scandalosa. »
« Perché, cosa ho detto? »
« Matteo ti ha appena chiesto di uscire e tu sei già a caccia? »
« Stai insinuando che sto facendo la zoccola? »
« Oh, perché sei sempre così suscettibile? Sappiamo tutte del tuo amore per il bello, è inutile che adesso ritratti mesi e mesi e mesi di chiacchiere! »
« IL MIO AMORE PER IL BELLO?! »
« I bei vestiti, i bei tramonti, i bei ragazzi.. soprattutto i bei ragazzi. »
« Dateci un taglio tutte, vi avevo chiesto di non dar spettacolo e state strillando come un branco di galline isteriche! » sibilò Viola al culmine dell'imbarazzo, sprofondando la testa tra le braccia incrociate sul tavolo e desiderando di poter precipitare il più rapidamente possibile al centro della terra.
       Non ebbe il coraggio di sollevare il viso fino a quando lo strano, allarmante silenzio delle sue amiche non la insospettì. Mia raschiava i fondi del suo cocktail rumorosamente, gli occhi verdi spalancati e fissi nella stessa direzione dove con finto disinteresse guardava anche Lucrezia, attortolandosi una ciocca ramata tra le dita con fare volutamente ammiccante; Giada, al suo fianco, stava facendo finta di digitare un sms alla madre – un'accozzaglia di lettere e vocali prive di alcun significate che vennero puntualmente inviate per dare tono alla finta -. Claudia invece scrutava Viola con l'aria sorniona di un gatto che ha teso la sua trappola e aspetta solamente di veder cadere la propria preda nel tranello.
Non ebbe bisogno di alzare gli occhi e guardare alle spalle per sapere che Enrico era lì, dietro di lei.
       Ne avvertiva lo sguardo sulla pelle, caldo e scuro; una carezza cui non avrebbe mai voluto veramente sottrarsi se l’imbarazzo non le avesse spennellato le guance di un rosso così vistoso da risultare evidente persino nella penombra del locale.
« Ciao! » fece lui sfondando il muro di indugi e timidezza frettolosamente eretto da Viola, ancora incapace di guardarlo.
« Ciao » biascicò questa imbarazzatissima, costretta ad alzarsi in piedi e strattonare verso il basso l’orlo cortissimo del vestito giallo. D’un tratto l’idea di apparire così sgargiante non le sembrava più così tanto buona.
« Quindi non vivi in palestra! » la incoraggiò Enrico, ammiccando e schiudendo la bocca in un sorriso che la tramortì all’istante, mozzandole il fiato in gola.
« No, di tanto in tanto riusciamo a trascinarla fuori dal suo loculo al cloro. » esordì Claudia con aria ammiccante, guadagnandosi in cambio un’occhiata di fuoco che ignorò senza troppi scrupoli.  Enrico rise, Viola strusciò un piede a terra e finse di non sentire un tuffo al cuore quando lo vide tendere la mano ad ognuna delle sue amiche, presentandosi.
« Enrico, piacere di conoscervi ragazze. Viola non mi ha mai detto di avere delle amiche così belle. »
« Forse perché non avete mai parlato davvero. » esalò Giada prima che una gomitata nel fianco la zittisse bruscamente. Viola fece finta di niente e si strinse nelle spalle con aria innocente, premurandosi di non perdere il sorriso che sentiva incrostarsi in maniera permanente sulla faccia.
« Passa così poco tempo con noi » intervenne Lucrezia in sua difesa, quando venne il suo turno di stringere la mano al giovane « che non sarebbe sbagliato presumere si scordi di noi più di quanto non lasci credere. Lucrezia, tanto piacere. »
« Male, Viola, male! » rise lui con leggerezza, lasciando la mano della rossa e tornando a guardarla con un sorriso che lei sentì scivolare oltre gli strati di bieca nonchalance con cui cercava di affrontare la situazione. Era un sorriso che le sarebbe rimasto stampato dentro, accanto al ricordo preciso della prima volta in cui l’aveva chiamata per nome. Un sorriso che non avrebbe saputo, né mai voluto dimenticare.
« E va bene, lo ammetto, sono colpevole! » sbuffò teatrale, facendo scivolare lo sgabello sul pavimento appiccicaticcio « Quindi il prossimo lo offro io. »
« Yay per Viola! » esclamò Mia, alzando un braccio nel tintinnare gioioso di troppi braccialetti. Viola sospirò e guardò Enrico come a volergli dire che non era colpa sua ma si ritrovò, suo malgrado, ad arrossire davanti alla pienezza della sua risata.
« Dai, non fare quella faccia! » fraintese lui, posandole una mano sulla schiena nel condurla verso la ressa schiacciata attorno al bancone « Si vede che ti vogliono bene. »
       E tu cosa vuoi da me?Si ritrovò a pensare Viola, sentendosi bruciare dove le dita di Enrico premevano contro la stoffa gialla del suo abito. Accantonò il pensiero in fretta, con la sola certezza di non esser affatto sicura di voler conoscere la risposta, e imbastì un sorriso intimidito al gruppetto che li guardava avvicinarsi con occhi curiosi.
« Ma non puoi darle tregua almeno quando non è su in palestra? » chiese Gian ad Enrico, dando segno di averla riconosciuta subito e dedicandole un cenno di saluto. Viola ricambiò incerta, a disagio come tutte le volte che si trovava costretta ad affrontare una situazione inaspettata.
« Capisco che il giallo le doni più del verde acido, ma insomma… ne avrà anche le palle piene di noi! » intervenne uno dei ragazzi di cui non ricordava il nome, dopo averle rivolto un ampio sorriso gentile.
       Troppo tesa per poter cogliere il complimento, Viola azzardò una risatina nervosa e si fece piccola piccola, strusciando i piedi a terra negli ultimi passi. Non amava stare al centro dell’attenzione, non in quel modo. Certo, era divertente scambiare qualche battuta con loro quando a dividerli c’era il bancone della reception, era divertente fantasticare di conoscerli stando al fianco di Enrico proprio come stava succedendo. Ma, appunto, era la fantasia ad essere divertente. La realtà la terrorizzava e aveva la netta sensazione di avere il volto in fiamme per l’ennesima volta, cosa che non l’aiutava a togliersi di dosso la sensazione di disagio mitigata solamente dal calore dell’uomo che le stava alle spalle. E anche quello, alla lunga, stava iniziando ad agitarla più di quanto non volesse ammettere ma al tempo stesso non voleva privarsi del suo tocco deciso tra le scapole.
« Tranquilli, neppure se mi offre da bere riesce a raccimolare uno sconto per i prossimi ingressi…! » scandì incerta, guadagnandosi le risate dei ragazzi e uno sguardo di apprezzamento da parte di Enrico che le pizzicò la spalla giocosamente. Una scarica elettrica si dipanò attraverso la ragnatela delle sue terminazioni nervose, irradiando un brivido che si raccolse poi in una fitta improvvisa.
Quando era piccola Viola aveva chiesto alla sua maestra d’asilo se per case sapesse come si sentisse il sole, costretto a bruciare e consumarsi ogni giorno tutti i giorni, senza mai trovare pace. La donna l’aveva guardata perplessa e, carezzandole i capelli, aveva ammesso di non averne la ben che minima idea ma che, in fondo, tutto quel bel calduccio dorato non doveva essere poi così male. Ora Viola invece avrebbe voluto ricordarsene il nome, e non solo l’odore di plastilina e biscotti, per poterla rintracciare e dirle che sapeva come si sentiva il sole e che no, non era affatto piacevole quel bel calduccio: era un inferno di desiderio accecante, incandescente, che divorava ogni suo pensiero per affogarlo in una voglia irruenta, impulsiva.
 
       « Terra chiama Viola, Terra chiama Viola! »
La voce di Giada la strappò ai suoi pensieri mentre, scarpe in mano la prima e trucco sfatto la seconda, si arrampicavano una accanto all’altra lungo le stradine della città vecchia per arrivare a casa di Viola. Guardò l’amica di sbieco, gli occhi limpidi come cieli primaverili e i capelli raccolti in un nodo distratto. Senza pensarci tese la mano per sfilare l’elastico, liberandole sulle spalle una pioggia di ciocche color grano maturo.
« Devi smetterla di tormentare questi tuoi poveri capelli, ti stanno benissimo sciolti. »
« Ma sono scomodi! » sbuffò la bionda, prendendola a braccetto e posando la guancia contro la sua spalla. Viola le schioccò un bacio tra i capelli, chiudendo gli occhi.
« Tutto ciò che non è il mio letto è scomodo in questo momento. » sbadigliò assonnata, sotto lo sguardo divertito di una miriade di stelle. L’alba non era troppo lontana, ma nell’ora buia l’unica luce che scaldava i vicoli era quella dei lampioni appesi ai muri delle case vicine. Non fosse stato per il loro aspetto scarmigliato e i timbri neri sul dorso delle loro mani, sarebbero potute sembrare due fantasmi scappati ad un passato vivo nel ricordo delle pietre ruvide della città vecchia.
Viola guardò Giada e sbatté le palpebre sugli occhi lucidi di stanchezza e dei residui di una sbronza che l’avrebbe costretta a patire, l’indomani, il suo lascito di mal di testa.
« Comunque, giusto per chiudere questa inopportuna digressione su materassi ancora troppo lontani, non mi hai risposto. »
« Perché non ho neanche ascoltato la domanda, Giada. »
« Gran bel modo di fare, signorina. Ti ho chiesto se col ciclista è successo qualcosa quando siete spariti al bancone. »
Viola non poté fare a meno di arrossire. Non era successo niente, in realtà: passati i canonici trenta secondi di battute di cortesia si era limitata ad aspettare il suo turno e aveva declinato con un sorriso nervoso l’offerta di Enrico di aiutarla a portare i cocktail al tavolo. Non sono così presa male dai, aveva riso stentata, ma grazie lo stesso. Lui aveva inclinato il capo verso la spalla destra, valutando prima lei poi i troppi bicchieri colmi che teneva tra le mani, ma non aveva insistito. Scrollando le spalle aveva sorriso di nuovo e le aveva augurato di passare una bella serata; poi non lo aveva più visto e la notte era scivolata via in fretta.
« Ma cosa vuoi che sia successo, dai! » sospirò Viola, frugando nella borsa in cerca delle chiavi di casa « Hanno elemosinato un po’ di sconti in palestra ed è finita lì. »
« Sembrava stessi andando a fuoco quando sei tornata indietro » obiettò Giada, posandosi contro la parete più vicina per massaggiarsi la pianta di un piede scalzo «  Dio, queste scarpe mi hanno uccisa. »
« Team stivali tutta la vita! » esultò la mora, componendo la V della vittoria con le dita.
« Lascia stare, non mi è ancora chiaro per quale oscuro motivo ho voluto mettere i tacchi. »
« Perché ti stanno bene, come i capelli sciolti. »
« Non cambiare argomento di nuovo. »
Viola tacque, scoperta, per qualche attimo.
« Ma davvero non è successo nulla, che palle! »
« Ok, ok, scusa! Non serve agitarsi! »
« Ma io sono agitata quando si tratta di… » Viola sbuffò, tenendo il portone aperto e aspettando che l’amica sgusciasse nel freddo umido dell’atrio, incapace di mettere in voce il pensiero che sentiva martellarle il cranio assieme ai primi sintomi del mal di testa che l’avrebbe accolta al risveglio.
« Lo so, ti mette a disagio. Sia il fatto che lui ti piaccia, sia che questo ti metta ancora di più a disagio. Sei il disagio fatto persona, in effetti. »
« Per lo meno non ascolto gli One Direction. » cercò di difendersi Viola, arrampicandosi sulla prima di una lunga serie di rampe.
« Non è vero, prima ho vista che qualche loro canzone su Itunes ce l’hai. »
« Giada, ti voglio bene ma sei una stronza impicciona. Pensa piuttosto al tuo scortese Limonatore, grande assente della serata. »
« Chi sarebbe la stronza, scusa? »
« Chi sarebbe quella che cambia argomento, scusa? »
Si fermarono, contemporaneamente, con una mano premuta sul petto e il fiato corto alla quarta rampa.
« Sono una stronza a disagio, hai ragione. » singhiozzò Viola, a corto di respiri e parole per raccontarsi, la fronte aggrottata e gli occhi fissi in quelli chiarissimi di Giada « Non so come comportarmi in queste situazioni. Andrea è stato il mio primo e unico ragazzo, ci siamo messi assieme al terzo anno di liceo e mollati al primo di università; non so capire quando qualcuno è interessato a me. »
« E io mi perdo dietro un tizio a caso che mi ha limonata ad una festa e due ore dopo aveva già la lingua in gola ad un’altra. » concesse Giada con voce morbida d’affetta. Ripresero ad arrampicarsi lungo i gradini spogli, scivolando con la punta delle dita sulle vecchie pareti scrostate.
« Nel tuo caso lui è un completo deficiente e te l’abbiamo sempre detto. »
« E nel tuo invece non saprei proprio cosa dirti, come te non sono in grado di capire se un tizio ci prova o è solamente gentile. Però Viola… » la bionda fece una pausa, aggrappandosi al passamano mentre l’amica faceva scattare le mandate della serratura « Il modo in cui ti guarda non fa pensare ad una persona estremamente gentile. »
« Perché, come mi guarda? »
« Ti guarda come si guarda un cioccolatino che non si vede l’ora di scartare. »


 


Lo ammetto, sono troppo stanca per mettermi a rivedere eventuali errori di battitura.
Abbiate pietà, e perdonate anche l'immenso ritardo che ho accumulato già al terzo capitolo.
Un bacio grande.
   
 
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