Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Leilani54    14/06/2013    2 recensioni
"Azura capì che i suoi amici si erano finalmente resi conto dell'intricata situazione e che non l'avrebbero più lasciata sola, nemmeno Fujiko. Ma proprio per questo, stavano firmando la loro condanna a morte."
Questa è la mia prima storia, siate buoni! ;)
Ho corretto un po' la storia. Sono cresciuta, ho cambiato leggermente il mio stile e adesso mi sembra che la storia abbia maggiormente senso. Se avete voglia di rileggere... ^3^
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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~~Capitolo 1
Il mare era limpido e colorato di rosso, lo specchio del cielo al tramonto. Le onde si infrangevano sugli scogli e accarezzavano la spiaggia con un tranquillo sospirare. In mezzo a quell’aria infiammata, spiccava una figura snella, una donna, vestita in drappi bluacei, intenta a osservare l’orizzonte. Attraverso le lenti scure degli occhiali da sole vedeva la grande distesa d’acqua, mentre piano piano un senso di pace la pervadeva. Inspirò l’odore così familiare di salsedine… ed ecco che fu messa in allerta. L’odore del mare era differente… ora era accompagnato da un terribile puzzo di bruciato. In lontananza vide una sottile linea nerastra alzarsi elegantemente dalla superficie piatta dell’oceano. “Che diamine…?” fece in tempo a pensare, poi una sagoma scura fuoriuscì dai flutti come un mostro marino. Istintivamente portò una mano al coltello che teneva sempre legato alla coscia. Era in controluce e fece fatica a metterla a fuoco, poi vide chiaramente: dalle onde erano spuntati due uomini, uno dalla giacca rossa e l’altro nera, entrambi dall’aspetto stravolto e malconcio. Quello dalla giacca nera tirava per il kimono un samurai dall’aria altrettanto malridotta e non fece quasi in tempo ad appoggiarlo a terra che crollò sulle ginocchia, finendo lungo disteso sulla battigia. L’altro, dalla giacca rossa, invece, non si era ancora arreso alla fatica e aveva posato una donna vicino agli altri due, guardandola teneramente. L’uomo alzò lo sguardo scorgendo la figura, rimasta impassibile. Improvvisamente, perse le forze e cadde sulla spiaggia, svenendo anche lui. La donna vestita di blu, avvicinandosi solo quando fu certa che non si sarebbe rialzato, gli vide un sorriso tranquillo e un po’ sfacciato stampato sul viso. Tutti e quattro erano ridotti decisamente male. Tuttavia non era dell’idea di curarli. Avevano tutto l’aspetto di essere persone scomode. Li avrebbe lasciati lì, in pasto ai gabbiani. Un po’ le dispiaceva, però era convinta che altrimenti le avrebbero sicuramente portato solo problemi. Si accucciò vicino al tipo dalla giacca rossa e iniziò a frugargli nelle tasche, in cerca di qualcosa di prezioso. Toccò qualcosa di duro e quando lo portò alla luce vide che si trattava di un diamante. Intagliato a forma di una sfera perfetta, liscia, immacolata, al cui centro pareva brillasse un piccolo sole. Le sue mani sottili lo avvolgevano completamente, ma quelle più grandi di un uomo avrebbero potuto nasconderlo fra le dita senza problemi. “Il diamante di Itzamnà.” Pensò, ricordando di averlo visto fra le notizie di pochi giorni fa: stava per essere spostato dal Messico, trovato nella tomba di un imperatore Maya, all’Arabia, acquistato da uno sceicco probabilmente. Se lo mise in tasca. Trovò una pistola bagnata, al momento inutilizzabile, e una serie di gadget strambi. La maggior parte li lasciò sulla sabbia. Quando fece per muoversi verso il corpo successivo, una mano forte la trattenne, facendola sobbalzare. Velocissima, estrasse il coltello e lo puntò alla gola dell’uomo dalla giacca rossa, improvvisamente sveglio. Aveva ancora quel sorriso sfacciato che gli tagliava la bocca.
-Non puntare un’arma, se non la vuoi usare.- disse con un filo di voce. Lei, scioccata, rimase immobile per qualche secondo prima di rilassare il braccio. In effetti, che male le avrebbe potuto fare? Non riusciva nemmeno a mettersi seduto. Le stava praticamente offrendo la schiena e il collo, non avrebbe neppure potuto morire da uomo. Le sorrise.
-Aiutaci.- lei assottigliò gli occhi, decisamente contraria. Però quando lui ebbe un attacco di tosse, lo girò subito a pancia insù, per farlo respirare meglio. Lui rise, nei pochi attimi di respiro che aveva.
-Visto? So che non ci lascerai morire.- disse fissandola negli occhi. –Sei una brava ragazza. Si vede…- poi perse definitivamente conoscenza. La donna in blu gli sentì le pulsazioni: deboli. All’improvviso la inondò un senso di urgenza. Aveva ragione lui, non su tutto, però aveva ragione. Lei non era una brava ragazza, ma di certo non li avrebbe lasciati lì. Quando era diventata così mostruosa?  Come aveva anche solo potuto pensare di abbandonarli in quel modo?  E, ormai a notte calata, non senza fatica, li portò alla Villa.

***

Il tesoro. L’isola. Un ricordo odiato. La polizia. L’esplosione. L’acqua che gli entra nel naso, nella bocca con le sua dita invisibili, comprimendogli il petto, tentando di soffocarlo. Goemon sta annegando, trascinato sul fondo del mare dal pesante kimono di cotone. Lo afferra e lo porta fuori, sotto un cielo tinto di rosso. Lo costringe a sputare un po’ dell’acqua che ha ingoiato e gli tiene la testa sopra la superficie. Lupin regge Fujiko. Lui lo segue. Lo segue dappertutto. Si fida di lui come di nessuno, è il suo migliore amico, suo fratello. Poi toccano la sabbia, camminano stravolti. L’aria gli schiaffeggia le guance, il suo cappello per poco non vola via… e l’ultima cosa che vede è la schiena di Lupin. Piomba nel buio.

 Jigen si svegliò, avvolto da un lieve torpore, disturbato da un raggio di sole che gli colpiva gli occhi. Provò a continuare a dormire, il profumo di sapone e i muscoli finalmente rilassati erano un richiamo molto invitante al riposo. Il sole però sembrava volergli perforare le palpebre. Mosse un braccio e raggiunse il cappello sul comodino, anche se le fasciature glielo resero più complicato del previsto, mettendoselo sul viso. Un momento… Fasciature?? Comodino?? Ora Jigen era completamente sveglio. Si tirò a sedere, forse un po’ troppo velocemente, visto che una fitta dolorosa gli trapassò il fianco. Per fortuna gli passò rapidamente, anche perché per uno come lui che aveva combattuto migliaia di battaglie e duelli non era poi così insopportabile, ci era abituato. Si guardò intorno e vide Lupin e Goemon che dormivano pacifici nei loro letti, anche loro medicati premurosamente. Fujiko non c’era. Probabilmente era stata medicata in una stanza differente. Sentì il bisogno di fumare una sigaretta. Si mise a frugare nei cassetti e nelle tasche dei vestiti, puliti, ricuciti e ben piegati su una sedia. Scovò solo una bussola, rotta, visto che l’ago continuava a ruotare senza logica. Non trovando né sigarette né accendino, fregandosene delle ferite, si alzò dal letto e si vestì, evitando di mettersi la giacca: faceva già caldo anche se l’orologio alla parete segnava che erano solo le nove di mattina. Non trovò la propria Magnum. Questo lo preoccupò di più. Era indeciso se lasciare soli i propri compagni e andare ad esplorare il posto, o rimanere a vegliare su di loro. Poi pensò che nulla in quel posto sembrava minaccioso o pericoloso. Se li avevano curati, voleva dire che li volevano vivi. Almeno per il momento. Scalzo (Che fine avranno fatto le scarpe, hanno fatto una passeggiata?), uscì dalla stanza calandosi il cappello sugli occhi per ritrovarsi in un lungo corridoio. Passò in mezzo a quadri che ritraevano paesaggi e scene di opere teatrali, prima che la stanza si aprisse sulla destra, facendolo finire in un salotto degno di un re: due delle pareti erano in vetro, davano sulla spiaggia bianchissima, aperte, e il vento leggero che entrava muoveva piano le delicate tende di lino bianco; tre divani circondavano un tavolino rotondo al cui centro si ergeva un palo di legno su cui erano cresciute delle piante rampicanti che ora creavano una meravigliosa cascata di fiori viola e violetti; il parquet era lucido e levigato, in alcuni punti recava dei simboli che a Jigen ricordarono subito le lettere indiane. Sul tavolino trovò un pacchetto di sigarette, non le sue Pall Mall, erano Lucky Strike, ma poco gli importava in quel momento. Purtroppo, niente accendino. Le prese comunque e se ne ficcò una in bocca.
-Oh, e cosa abbiamo qui?- commentò sottovoce. Aveva notato un luccichio venire da una scatola tenuta nel ripiano inferiore del tavolo. Sperava di trovarci qualcosa di utile, magari la propria pistola, ma quando l’aprì vide solo cacciaviti, chiavi inglesi di varie dimensioni, chiodi e un martello. Prese il martello, per sicurezza, si disse. Poi rimise le cose a posto e si incamminò sulla spiaggia, mordendo il filtro rigido della sigaretta, nervoso. Stava seguendo delle impronte sulla sabbia levigata dal vento, che sperava lo portassero a qualcuno che gli potesse dare delle spiegazioni. Camminò per un quarto d’ora fino ad arrivare ad una spiaggetta più riparata dalle altre. Un asciugamano era abbandonato su degli scogli. Gli andò vicino, stringendo il martello, i sensi tesi a captare ogni possibile avviso di pericolo. Poi uno scroscio d’acqua lo fece voltare verso il mare. Allora, vide uscire dalla spuma, come una Venere nascente, una delle donne più belle che avesse mai visto. Era in costume da bagno e i morbidi capelli biondo-scuro le ricadevano sulla schiena, gocciolando un po’; il fisico era atletico e slanciato, la pelle bianca non sembrava nemmeno essere stata sfiorata dall’ardente sole di quell’isola tropicale e i suoi due grandi occhi azzurri lo guardavano tra lo stupito e il divertito. La sua voce dolce e composta interruppe il silenzio e Jigen quasi non si rese conto che gli si era avvicinata:
 -Quando hai finito di ammirare, signor Jigen Daisuke, mi passeresti l’asciugamano?- Meccanicamente Jigen ubbidì, accorgendosi solo in quel momento di aver lasciato cadere il martello per lo stupore. Incantato, ma diffidente, ebbe così il primo incontro con quella donna misteriosa.
  
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