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Autore: NeeKaily    14/06/2013    5 recensioni
Come potevano pensare di lasciarlo sulla nave mentre facevano una cosa così importante? Così importante per lui poi! Avevano davvero paura che non fosse guarito abbastanza? No, sicuramente. Sapevano che era un osso duro e che le sue ferite guarivano sempre molto velocemente. Le ferite del corpo. Perché nessuno avrebbe potuto immaginare il dolore dell'anima o la sua reazione nel caso le ricerche si sarebbero concluse con il ritrovamento non del comandante Shepard, ma del suo cadavere.
Garrus è così motivato e speranzoso di ritrovare Shepard dopo la guerra contro i Razziatori che impiegherà tutte le sue ultime forze pur di riuscirci, così abbagliato dal suo desiderio da non rendersi conto della realtà che lo circonda. Ma chi ama disperatamente, si sa, non ha occhi nè pensieri che per la persona amata.
[One-shot, romance: Garrus/Shepard]
-NK-
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Hello everybody! Sono un pò in ansia per questa one-shot, diciamo che è il mio esordio... ebbene sì, la mia prima fanfiction!
Sinceramente avevo un pò di dubbi nel pubblicarla, non mi convinceva del tutto, l'ho scritta e lasciata sul desktop per una settimana, lì in vista sempre pronta a tormentarmi dicendo "pubblicami, puuuubblicami!" e allora ho buttato fuori dalla finestra ripensamenti di ogni tipo ed eccola qui! Ciò vuol dire che aspetto i vostri commenti e anche le critiche ovviamente (purchè costruttive, abbiate pietà!) 

La storia è ambientata alla fine della guerra contro i Razziatori ma non vi dico che tipo di finale c'è, fa parte della storia! Garrus e Shepard stanno insieme (adoro infinitamente questa coppia, Shakarian per convinzione!). Non ci sono caratteristiche essenziali di Shepard, se eroe, rinnegato, che tipo di passato ha avuto o cose così, in questa fanfiction non è necessario, lascio tutti i meriti alla storia e alla vostra immaginazione! 

Spero di avervi incuriosito e che possiate apprezzare il mio lavoro (anzi, che il mio lavoro sia apprezzabile!)... io personalmente vi consiglio di sprecare quei 5 minuti e darci un'occhiata fino alla fine ;) 

Prima di lasciarvi alla lettura ho un messaggio breve, anzi delle scuse: stavo seguendo e recensendo delle storie ma per via degli esami scolastici non ho più avuto tempo per leggere, ma presto tornerò e recupererò! *sììììì full immersion nelle fanfiction!!*


Bye bye, saluti e baci da -NK- <3

I personaggi di questa fanfiction non sono di mia invenzione ma appartengono a Bioware.

 



Hope is in Her Eyes


 

Non poteva sopportare di stare fermo con le mani in mano. Lì piantato su quel lettino nell'infermeria della Normandy per delle semplici ferite, almeno questo era ciò che pensava lui. La dottoressa Chakwas aveva un parere totalmente opposto al suo.

Soprattutto in un momento come quello. Erano tornati sulla Terra da poco, atterrati in quella città che gli umani chiamano Londra, che fino a una settimana prima era stata devastata dai Razziatori.

I Razziatori erano spariti, sterminati miracolosamente e i portali galattici, dopo qualche ora di mal funzionamento, erano tornati attivi, merito dell'alta tecnologia Prothean.

Ma a lui non importava nulla di tutto ciò, poteva anche essere tornato tutto alla normalità per mano di un mago perfido o per un accordo con il diavolo che prima o poi gli avrebbe chiesto l'anima ma a lui non era cambiato nulla. Non finché non sarebbe tornata lei al suo fianco.

 

Non c'è Shepard senza Vakarian”

 

Quella frase continuava a tormentarlo come un eco, un eco che non trovava fine e che mai si stancava di ripetersi. Lo tormentava quella voce, la sua voce, limpida e sensuale, autorevole e dolce allo stesso tempo, bella e unica in ogni sua sfumatura. Una voce forte che spesso gli aveva impartito ordini, gentile che lo aveva aiutato e rincuorato, calda che lo aveva destato dalle sue stupide calibrazioni, pungente che lo aveva sfidato. Poteva ancora sentire il respiro caldo di lei vicino al suo viso mentre gli sussurrava quella frase; poteva ricordarsi quasi ogni occasione in cui il suo respiro gli aveva accarezzato la pelle. Poteva ricordarsi ancora le sue labbra muoversi nel pronunciarla, quelle labbra rosa e carnose, che si chiudevano come un bocciolo nella sua tipica espressione imbronciata e seria e che di tanto in tanto si piegavano di lato in un sorriso malizioso. Una bocca così umana e così estranea alla fisionomia del viso turian, così malefica, così attraente in un modo tanto alieno da farlo vergognare le prime volte che la fissava sentendosi salire un brivido dall'interno.

Ma ciò non importava, tanto lui non era un buon turian. Aveva finto di esserlo per anni e anni ma alla fine la sua vera natura lo aveva tradito e allo stesso tempo aiutato. Aiutato ad essere quello che era, un agente che aveva rinnegato l' SSC, un vigilante, un sottoposto che amava il suo comandante e che non si faceva più scrupoli ad ammetterlo e a dimostrarglielo.

 

Per questo motivo non poteva restare ulteriormente lì, fermo, bloccato su quel lettino e in quella stanza umida e inospitale; sentiva che gli stava, a poco a poco, rubandogli tutto l'ossigeno rimasto.

 

Si mise in piedi a fatica, la gamba non si era ancora ripresa del tutto da quando quel Mako gli era atterrato addosso e anche la spalla, fasciata, era ancora dolorante.

<< Fermo Garrus! Non fare un altro passo, sai che ancora non devi alzarti da solo o rischieresti di romperti l'osso del collo! >> si ritrovò il medico davanti non appena stava per varcare la soglia di quella maledetta infermeria, con una mano su un fianco con fare autorevole mentre con l'altra mano si spostava un ciuffo di capelli grigi cascatole davanti agli occhi. Il suo comando giungeva fermo ma dolce allo stesso tempo, lui però non aveva tempo per questo, non sarebbe riuscita a farlo ritornare a letto.

<< Dottoressa Chakwas lei non capisce io sto bene e devo andare! >>

<< Per favore torna dentro hai bisogno di continuare le cure altrimenti... >> la voce della donna era diventata più forte e imperiosa e lo sguardo stava cambiando, il suo modo di fare non era più paziente e comprensivo, stava iniziando a preoccuparsi.

<< Mi dispiace ma non mi lascia altra scelta... >> le disse pericolosamente prima di piantarle un potente colpo sulla testa con l'avambraccio. La dottoressa cadde a terra tramortita e svenne, non era preparata a ricevere un attacco da una persona così fidata come Garrus.

 

Garrus all'inizio la guardò giacere sul pavimento grigio sperando di non averle fatto troppo male, il senso di colpa stava per inghiottirlo, tremava. Ma quel tremore causato dalla paura dopo pochi attimi si trasformò in adrenalina, pura energia, che superava ogni cosa e che lo eccitò talmente tanto da farlo camminare senza sentire alcun male. Anche il dolore alla spalla, eccentuato maggiormente dallo sforzo causato dal colpo inflitto alla povera donna, andava via via attenuandosi, lasciando spazio soltanto a determinazione e forza. Sì recò nella batteria principale, recuperò la sua corazza, una Carnifex, munizioni, medi-gel e si diresse velocemente verso l'uscita della Normandy.

 

Si sorprese di non trovare IDA a bloccarlo ma non se ne preoccupò molto; probabilmente era molto impegnata, come tutti gli altri dell'equipaggio, a cercare il corpo di Shepard.

 

Come potevano pensare di lasciarlo sulla nave mentre facevano una cosa così importante? Così importante per lui poi! Avevano davvero paura che non fosse guarito abbastanza? No, sicuramente. Sapevano che era un osso duro e che le sue ferite guarivano sempre molto velocemente. Le ferite del corpo. Perché nessuno avrebbe potuto immaginare il dolore dell'anima o la sua reazione nel caso le ricerche si sarebbero concluse con il ritrovamento non del comandante Shepard, ma del suo cadavere.

 

Analgesici, medi-gel e adrenalina; un miscuglio letale che non l'avrebbe fatto esitare davanti niente e nessuno, nessuno avrebbe dovuto impedirgli di cercare la donna della sua vita e di scoprire la verità, avrebbe fatto qualunque cosa per andare avanti, persino uccidere un compagno per quanto si trovava su di giri in quel momento.

 

Il paesaggio davanti ai suoi occhi era desolante: macerie, morti, devastazione dappertutto.

La luce del giorno stava lasciando spazio all'abbraccio oscuro della sera, c'era tanto fumo, poteva inspirare le polveri di ogni cosa che ormai era bruciata, c'era una specie di nebbia molto densa. Non si vedeva bene e il suo respiro era affannoso per via della pesantezza dell'aria.

Cadde a terra di colpo e provò un dolore lancinante alla spalla, avrebbe dovuto controllare la benda ma non aveva tempo per questo, doveva proseguire. Si morse il labbro inferiore e si rimise in piedi.

Guardò a terra e si rese conto di essere inciampato sul cadavere di un'asari, il cui sangue ormai secco si confondeva con il disegno tatuato sul viso. - Spiriti...- Un brivido lungo la schiena lo percosse.

Ad un certo punto ebbe l'improvvisa consapevolezza di quanto di strano stesse accadendo attorno a lui: la nebbia si faceva sempre più fitta e a parte il ritmo forte irregolare del suo cuore che batteva, del sangue che gli pompava nelle orecchie e del suo ansimare, non sentiva alcun rumore. Intorno a lui non c'era nessuno, se non strade distrutte, palazzi crollati e corpi senza vita.

Poteva percepire perfettamente le gocce impregnate di sudore che gli colavano lente dal viso, l'umidità dell'aria che gli aderiva pesantemente sulla pelle ruvida e segnata dalle battaglie, ma assolutamente non sentiva neanche una voce, se non un leggero brusio in lontananza.

<< Ma dove sono spariti tutti quanti? E l'equipaggio della Normandy? Dovevano essere qui, non riesco nemmeno a chiamarli né a intercettare le loro comunicazioni... Com'è possibile? >>

 

Non poteva fermarsi, no. Stava iniziando ad essere spaventato dall'intera situazione ma non poteva permettersi di bloccarsi lì. Glielo doveva. Lo doveva a lei, che lo aveva salvato più volte, che gli aveva mostrato la vita vera, che l'aveva amato nonostante tutte le difficoltà e responsabilità che doveva affrontare durante la guerra contro i Razziatori.

Ma la guerra era finita e lei non doveva essere morta. Non poteva. Non dopo aver lottato più di tutti e sacrificato qualunque cosa.

 

Il suo sguardo venne attirato come una calamita da una testa con una capigliatura liscia rossa fuoco, proprio come quella di Shepard. Il corpo era irriconoscibile, schiacciato totalmente da qualcosa di enorme, non riusciva a distinguere se fosse un masso o un muro o un veicolo o qualunque altra cosa. Si arrestò di colpo. Occhi blu spalancati, fermi su quei capelli. Si abbassò lentamente. Girò la testa con la mano. << Non è lei... grazie Spiriti >> Un respiro di sollievo, profondo. Si rialzò e proseguì.

 

La stanchezza iniziava a farsi sentire e l'effetto degli analgesici stava sparendo, ma lui si sarebbe fermato soltanto quando sarebbe morto.

O quando avrebbe trovato morta lei.

 

Camminava senza sosta fino a che qualcosa davanti agli occhi non gli fece quasi fermare il cuore. Aveva trovato a terra la Paladin, l'arma preferita di Shepard. Era sicurissimo che fosse la sua perché solo gli Spettri erano autorizzati a possederla e lui aveva visto infinite volte le sue mani stringerla e le sue dita affusolate premere il grilletto. La prese e la osservò. Davanti a lui affiorò l'immagine di lei, con un occhio chiuso e le braccia in avanti tenere la Paladin e guardare nell'obbiettivo, concentrata, mirare il punto giusto in cui colpire il nemico per atterrarlo.

 

Forte, audace, splendida, pericolosa e letale. Unica.

 

Così era stata descritta la Paladin da una di quelle noiose pubblicità sulla Cittadella, non appena uscita in commercio anche se per pochi eletti.

L'arma perfetta è quella che rispecchia le caratteristiche di chi la impugna e ne risalta il suo talento, e non c'erano parole migliori per descrivere Shepard.

 

<< Resisti ti prego, sto arrivando, so che sei qui vicino! >> le sue gambe erano mosse da una grande volontà e forza, virtù che lo ripagarono presto.

 

Infatti, poco più avanti la vide.

Riconobbe i suoi capelli rossi sparsi sul viso sporco di terra e sangue.

Riconobbe la corazza nera e dorata e il simbolo N7.

Riconobbe Reyna Shepard.

 

Gettò l'arma a terra e corse con le ultime forze rimaste verso di lei. Corse con tutta la convinzione del mondo, corse senza pensare alla fatica, al dolore, al fiato che gli mancava, corse vedendo solo lei avvicinarsi sempre più.

Si piegò in ginocchio e la raccolse delicatamente tra le braccia, iniziando a chiamarla disperatamente, con tutta l'anima. - Shepard svegliati! Svegliati ti prego! Rispondimi ti supplico svegliati! -

Il suo volto era stranamente sereno, l'espressione rilassata. Non sembrava morta, solo... addormentata.

La fissò e anche lui divenne tranquillo. Si ritrovò come immerso nel suo viso, distratto, mentre con le sue lunghe dita le sfiorava le guance.

Si ricordò di controllarle il battito, trattenne il respiro prima di premere due dita sotto la sua mascella, spaventato da ciò che avrebbe potuto constatare.

Ancora una volta un respiro di sollievo. Il battito c'era, seppur flebile; tamburellava lento e timido, come se avesse timore di svegliarla.

Ci fu un tremore leggero, impercettibile, delle ciglia di lei, poi le sue palpebre piano piano si sollevarono, rivelando gli occhi verdi come le foglie dei giardini del Presidium; quel colore che prima per Garrus era appartenuto ad una vita vuota e monotona da qualche tempo aveva iniziato ad amarlo.

<< Garrus... >> gli disse con voce dolce e flebile << … ti stavo aspettando sai? >> sorrise.

E finalmente sorrideva anche lui. E rideva, felice come un bambino, felice come quando ti incontri di nuovo con delle persone amate che da tempo non vedi, felice come quando scopri che la persona di cui sei follemente innamorato è ancora viva dopo tutto quello che è successo, dopo una guerra.

Felice come non era stato mai.

Rideva incontrollato mentre lei le sorrideva, comoda e protetta tra le sue braccia.

E non si domandava minimamente come avesse a fatto lui a trovarla per primo mentre altri, spariti misteriosamente nella nebbia, la cercavano da giorni. O come avesse fatto Shepard a sopravvivere a quella immensa esplosione e a tutti quei Razziatori che sparavano mentre lei giaceva a terra ferita. O come avesse fatto a restare in vita nonostante quelle ferite profonde che le avevano fatto perdere tanto di quel sangue, né come accidenti avesse fatto a sopravvivere per più di una una settimana senza acqua e senza cibo.

No, lui rideva ed era felice perché lei era lì tra le sue braccia, ed era viva.

Lui rideva ed era felice perché sapeva che la guerra era finita, i Razziatori sconfitti e sarebbe rimasto accanto a lei sempre.

 

Sempre. Sempre. Sempre...

 

 

Si tirò su di getto. Il respiro era affannoso ma dopo un po' iniziò a rallentare. Con le mani si strofinò gli occhi, stanchi, che non riuscivano proprio a restare chiusi per più di tre ore a notte.

 

“Ancora quel maledetto sogno...” pensò.

 

Tastò poi lo spazio di letto accanto a dove dormiva lui ma era vuoto. Era una specie di rituale per verificare quale fosse la realtà, anche se ormai la conosceva benissimo, purtroppo.

Shepard non c'era più, era come sparita, polverizzata, invisibile nell'aria pacifica che aleggiava attorno a tutti i sopravvissuti alla guerra, squarciati dalle perdite subite ma speranzosi e felici di avere la possibilità di ricostruirsi un futuro.

 

In quel sogno - o incubo, non sapeva bene come definire quella crudele illusione - lui era sempre circondato da un'atmosfera insolita, irreale, confusa e con miscugli di voci lontane, ma riusciva a percepire bene ogni sensazione che provava. Dalla paura all'angoscia, il terrore, l'energia, la gioia.

E persino i ricordi di lei, nonostante fossero appunto solo ricordi e per di più in un sogno, erano vividi, vivi. Il contatto con la sua pelle, il suo caldo respiro, lo sguardo profondo che lo disarmava e le labbra così morbide su una pelle così dura e ruvida come la sua. Riusciva a sentirla vicino mentre la stringeva, e mentre la cullava a terra in mezzo alle macerie era alleviato dal suo calore vivo e allo stesso tempo impossibile per un corpo tanto debole e provato.

 

Ma per quanto tutte quelle sensazioni fossero ogni volta devastanti, non c'era nulla da fare: Shepard non era accanto a lui e non ci sarebbe stata mai più.

Erano passati più di due anni ormai e lui aveva intrapreso una vita in solitudine, con quei pochi affetti e amici che aveva conosciuto a bordo della Normandy. I primi tempi in cui si presentò quel sogno si svegliava felice e certo di trovare il suo corpo accanto a lui, ma la disillusione era talmente grande che lo portava alla disperazione di non averla potuta accompagnare nella battaglia fino all'ultimo minuto.

Poi divenne assuefatto da quell'illusione, ne aveva bisogno per trovare motivazione e andare avanti, aveva bisogno di vederla tant'è che si sforzava di dormire e si infuriava quando non la sognava.

Infine, poco a poco, iniziò a superare il trauma di tutto ciò che era successo e si rassegnò a sognarla, godendo di quelle sensazioni sulla pelle e di quelle emozioni nel cuore, portandosele dentro e mantenendo sempre vivo il suo ricordo.

 

Mantenne vivo il ricordo di Shepard portandosi nel suo appartamento ogni cosa che aveva trovato nella sua cabina e che le apparteneva; dalla raccolta di libri che usava per abbellire la sua libreria ai suoi abiti, il suo vecchio caschetto, i suoi oggetti personali, l'unico pesce sopravvissuto alla fame mangiandosi gli altri, quell'animaletto a forma di piccola buffa palla pelosa di cui non si ricordava mai il nome e che correva tutto il tempo su una ruota. Una volta aveva provato a prenderlo in mano, così tenero, fragile e soprattutto veloce visto come era riuscito a correre via; non riuscì a mettersi l'anima in pace finché non l'ebbe recuperato e rimesso nella gabbietta che non aprì mai più, non voleva certo deluderla di nuovo facendo scappare quella peste piccola buffa e pelosa.

Mantenne vivo il suo ricordo aiutando i suoi amici, i loro amici, ogni qual volta avessero bisogno di appoggio, di una mano o di una spalla, dirigendo le costruzioni e le riparazioni delle città, stando accanto alle comunità: ormai vivevano tutti insieme, non c'era più differenza tra alieni e sintetici.

Inizialmente voleva starsene da solo, lontano da tutto e tutti, poi si rese conto che non era giusto e soprattutto che Shepard non avrebbe approvato; era morta per salvare l'universo e ora toccava a lui continuare il suo duro lavoro.

Soffriva per la sua mancanza, sentiva un buco nero incolmabile dentro di sé, la sua vita era troppo silenziosa, l'ossigeno nel suo appartamento era troppo per lui e a volte paradossalmente si sentiva soffocare dalla pesantezza di quel vuoto.

Ma teneva duro per lei, lavorava per lei e per mantenere vivo e alto il suo ricordo, come comandante Shepard e come la donna che lui amava.

 

Infondo però sentiva come se, quando le parlava nel buio, lei in qualche modo sconosciuto lo stesse ascoltando e, silenziosa, gli rispondeva. Era come se nell'aria che lui respirava ci fosse qualcosa di Shepard, qualcosa del suo corpo che era misteriosamente sparito, bruciato, eppure invisibile c'era.

La poteva vedere nei sogni, nei ricordi vividi, e negli occhi di tutti.

Negli occhi verdi come le foglie dei giardini del Presidium, verdi come quelli di lei, dove la speranza non era mai mancata.

 

Per lui – e un po' anche per tutti – Shepard ci sarebbe stata sempre.

  
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