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Autore: Dazel    15/06/2013    11 recensioni
Tutte le storie d'amore hanno bisogno di prendersi il loro tempo, eppure, a volte nascono sentimenti anche lì dove di tempo non ce n'è.
Un viaggio di cinque giorni in una città straniera farà incontrare Jonghyun, membro di una rock band sul lastrico, e Kibum, un aspirante stilista trasferitosi in occidente per tentare la fortuna.
Basteranno cinque giorni per innamorarsi di qualcuno? E una volta giunti al termine, si sarà davvero pronti a dire addio alla persona che si è scoperto di amare?
JongKey | 2min (accenni).
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Jonghyun, Key
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cinque giorni. [4/5]

Era già la seconda volta che Jonghyun si svegliava nella camera da letto di Kim Kibum dopo aver passato la notte assieme a lui, ma questa volta il biondo non c'era ad aspettarlo dall'altro lato del letto. La sera prima gli aveva detto che sarebbe stato impegnato per tutta la mattinata per via di alcune cose che avevano a che fare con il lavoro, ma si sentiva un po' deluso del fatto che non si fosse preoccupato di svegliarlo per salutarlo, prima di andarsene.

 

Probabilmente però la sua delusione – e più in generale, il suo malumore – non era dovuto solo a quello. Nel momento stesso in cui aveva aperto gli occhi, Jonghyun aveva capito con esattezza che sarebbe stata una giornata particolarmente orribile. Tutto sembrava andare storto e non riusciva a vedere nulla di negativo in quella situazione. Era il suo penultimo giorno in quel posto, il che significava che le ore che lui e Kibum avevano a disposizione per stare assieme stavano velocemente giungendo al termine. Si erano appena incontrati, avvicinati e – almeno, da parte di Jonghyun – innamorati, e già dovevano dirsi addio. La sola idea di quello che sarebbe avvenuto il giorno dopo stringeva così forte il cuore di Jonghyun da farlo boccheggiare.

 

E, come se non fosse già sufficientemente preoccupato dall'imminente addio con quello che con ogni probabilità era l'amore della sua vita, si era messa in mezzo anche la pseudo crisi di identità dovuta a Minho e Taemin. Da quando Kibum gli aveva detto ciò che aveva visto, Jonghyun non aveva mai smesso di domandarsi quanto poco in realtà conoscesse i suoi due amici. Pensava di sapere tutto di loro, di conoscerli come le proprie tasche, e ora, all'improvviso, scoppiava una bomba del genere. Jonghyun non sapeva cosa pensare.

 

Aveva sempre saputo della sessualità di Taemin – ovviamente -, ma di Minho non aveva mai sospettato, nemmeno per un istante. Sapeva che aveva avuto diverse ragazze durante le scuole superiori e che di recente era uscito da una storia importante con una ragazza che durava da quasi due anni, per cui non gli era mai passato per la testa che potesse avere anche altri interessi. Soprattutto, non Taemin. Loro due erano amici da sempre, si erano avvicinati molto negli ultimi tempi, ma non aveva mai visto la cosa con in quell'ottica. Era possibile che conoscesse davvero così poco i suoi amici? Che non si fosse mai accorto di nulla? Si sentiva frustrato.

 

Si alzò dal letto controvoglia, sbadigliando sonoramente e raccattando la propria biancheria da terra, prima di andare verso il bagno e decidere di staccare la mente da ogni pensiero per una mezz'oretta buona, il tempo che gli serviva per farsi una bella doccia e riordinarsi le idee. In quel momento gli sembrava che la propria vita si stesse rivoluzionando, eppure non stava accadendo proprio un accidente. Sarebbe tornato a Seoul e tutto sarebbe stato esattamente come quando era partito: questo lo spaventava.

 

Quando ebbe finito di lavarsi e dopo essersi vestito, scese nella hall dell'hotel e camminò verso il punto di ritrovo che aveva stabilito con gli altri. Dato che Kibum quella mattina non c'era, l'unica alternativa possibile allo starsene in camera a vegetare e deprimersi era quella di uscire a fare un giro per la città con gli altri. Avrebbe fatto shopping e comprato qualche souvenir e cartolina per la famiglia, mangiato qualcosa assieme e parlato della band, ma Jonghyun non sapeva se la cosa avrebbe funzionato davvero.

 

Non sapeva come avrebbe reagito guardando in faccia Minho e Taemin, come si sarebbe sentito sapendo che gli stavano nascondendo qualcosa, che si comportavano come se nulla fosse, ma in realtà gli mentivano in continuazione. Era questo che lo faceva stare male, solo e unicamente questo. Se glielo avessero detto avrebbe capito, forse li avrebbe addirittura supportati in questa cosa, ma il fatto che lo tenessero all'oscuro di tutto lo faceva imbestialire. Lui non ci sarebbe riuscito.

 

«Hyung!»

 

La piazza principale era gremita di gente e turisti come al suo solito, eppure sentì chiaramente la voce di Taemin chiamarlo dal bel mezzo della folla. Si diresse nella direzione dalla quale aveva sentito provenire la voce e trovò gli altri che evidentemente lo stavano aspettando già da un po'. «Che problema hai con la puntualità, tu?» domandò Jinki un po' stizzito. Jonghyun non rispose nulla, si limitò ad alzare le spalle. Trovarsi lì, davanti a loro, gli aveva fatto passare la voglia di parlare.

 

«Che faccia abbattuta, Kibum questa notte si è messo in sciopero?» scherzò Minho, ma Jonghyun non trovò lo scherzo affatto divertente. Lo fulminò con lo sguardo in modo del tutto automatico e vide Minho stupirsi nel ricevere un'occhiata così tetra. «E tu, invece? Immagino che ti sia divertito parecchio. Perché non ce ne parli?»

 

Jinki e Taemin, che avevano iniziato a parlottare poco prima di dove andare a pranzare, di colpo tacquero. Minho fece un'espressione confusa e smarrita. «Di che parli?» riuscì solo a domandare e Jonghyun combatté per un paio di secondi con sé stesso. Non sapeva se era il caso di parlare o meno, se doveva tirare fuori tutto subito o attendere che loro avessero l'occasione di chiarirsi. Poi pensò che era ingiusto tutto quello, che loro avrebbero avuto lo stesso tutto il tempo che volevano per qualsiasi cosa avessero o non avessero, mentre lui di tempo non ne aveva, non ne aveva affatto, e anche se questo ragionamento non era del tutto logico o maturo, decise che era il caso di parlare, perché farlo lo avrebbe fatto sentire meglio. «Tu e Taemin dovreste sapere bene di che parlo, non è così?»

 

Taemin sgranò gli occhi e aprì la bocca per dire qualcosa, ma Jonghyun lo interruppe subito. «Congratulazioni, comunque. Grazie mille per avermelo fatto sapere!» sorrise in modo fintissimo e poi, rivolto a Taemin, fece «E hai avuto anche il coraggio di trattare male Kibum come se ti desse davvero fastidio il nostro rapporto. Ti diverte giocare con le persone? Volevi che io mi sentissi in colpa e che Kibum si sentisse di troppo, e poi alla prima occasione infilare la lingua nella bocca di Minho?»

 

Non gli importava di rovinare tutto, di superare il limite, di mandare a fanculo le cose. In quel momento, ogni sua parola gli sembrava giusta. Qualsiasi riflessione, film mentale o pensiero gli stessero passando per la testa, erano quelli giusti, perfetti, inscindibili. Non c'era possibilità di errore. Era così e basta, e non gli importava nemmeno se magari non era vero. «Dovreste ringraziarmi, ora non dovete più nascondervi! Tante felicitazioni di nuovo, e andatevene al diavolo!» e con quella imprecazione finale, Jonghyun tirò dritto in mezzo alla piazza, camminando a passo veloce. Avrebbe voluto prendere a pugni qualcuno o qualcosa solo per sfogare tutta la rabbia che sentiva dentro. Tutta la frustrazione, la tristezza, il dolore. Lo sapeva che non era per Minho e Taemin. Sapeva che era una scusa, un appiglio. Lo sapeva che se stava così male, che se era così velenoso e arrabbiato, era solo perché stava finendo. Ogni secondo che passava si avvicinava sempre di più la fine e lui non poteva farci nulla.

 

Si sentiva impotente, inutile e abbattuto.

 

«Yah! Hyung!» Taemin lo aveva raggiunto e preso per un polso. Se Jonghyun fosse stato davvero furibondo come credeva di essere, allora probabilmente si sarebbe divincolato e lo avrebbe intimato a lasciarlo in pace, ma si sentiva troppo stanco persino per combattere. Si fermò e decise di ascoltare qualsiasi cosa l'altro avesse da dirgli. «Sei impazzito, sei impazzito! Che stavi dicendo prima su me e Minho?! Qualsiasi cosa tu ti sia messo in testa, ti giuro che-»

 

«Che cosa?» domandò Jonghyun, ma poi gli passò per la testa una domanda: davvero mi importa? Era così importante per lui che Taemin e Minho stessero assieme? Probabilmente no. In qualsiasi altra circostanza non gliene sarebbe importato. Solo ora se ne rendeva conto: aveva fatto una cazzata solo perché voleva sentirsi meglio. Arrabbiarsi con qualcun altro era un modo facile per smettere di pensare a quanto in realtà fosse arrabbiato con sé stesso. «Anzi, senti, mi dispiace. Davvero, non erano affari miei e non avevo il diritto di sputtanare la cosa se voi non avevate intenzione di dirlo. Sono stato un coglione. Sappi solo che non mi interessa, tu e Minho per quanto mi riguarda potete anche convolare a nozze. Solo una cosa: ora lasciatemi solo. Voglio essere lasciato in pace.»

 

▪▫▪▫

 

Con ogni probabilità, quella era l'idea più folle, pazza e assurda che gli fosse mai venuta in tutta la sua vita, eppure anche se ne era consapevole non riusciva in alcun modo a scacciarla via. In confronto l'aver fatto una scenata in mezzo ad una piazza, poco prima, era una cosa normale e tranquilla, ma Jonghyun non importava. Non aveva niente da perdere del resto, quindi tanto valeva giocarsi il tutto per tutto. Alle undici del giorno dopo sarebbe stato seduto su un sedile scomodo di un aereo in partenza per la Corea del Sud, il che significava che mancavano meno di venti ore al suo addio con Kibum, alla fine di quell'avventura, storia o qualsiasi cosa potesse essere definitiva. Non c'era motivo per aver paura di qualcos'altro, dal momento che quella situazione, già di per sé, lo terrorizzava come mai nulla prima di allora.

 

Poteva permettersi il lusso di esagerare.

 

Per questo, contrariamente ad ogni logica e buon senso, aveva deciso di andare a trovare Kibum sul lavoro. Gli aveva accennato dove si trovasse il posto in cui lavorava e grazie al GPS istallato sul suo cellulare era riuscito a trovarlo. Era entrato nel grande grattacielo e aveva chiesto di lui usando tutte le poche parole di inglese che conosceva e, alla fine, aveva scoperto che il suo ufficio si trovava al settimo piano. Jonghyun era entrato nell'ascensore e aveva premuto il pulsante con una bizzarra agitazione in corpo. Si sentiva come se da quello dipendesse tutta la sua vita. Mentre l'ascensore saliva piano dopo piano su per il grattacielo, Jonghyun pensava sempre più intensamente che l'altro lo avrebbe ucciso per aver fatto una cosa del genere, ma ne sarebbe valsa la pena. Doveva dirglielo e doveva farlo ora. Doveva.

 

Con un “dling” le porte metalliche si aprirono e il suo cuore cominciò a battere molto più veloce del normale. Coraggio, Kim Jonghyun, puoi farcela. Camminò lungo il corridoio e lesse ogni targhetta sulle porte di ogni ufficio e quando finalmente trovò quella sulla quale era inciso “Kim Kibum”, si fermò. Tutta la fretta era sparita, tutte le sue intenzioni se n'erano andate via con essa. Mentre se ne stava in piedi davanti alla porta, si rese conto che forse era una cazzata troppo grande persino per lui. Kibum stava lavorando, non aveva sicuramente tempo per le sue cazzate. Jonghyun prese un respiro profondo, cercando di darsi coraggio. Lui di tempo ne aveva ancora di meno.

 

Bussò contro la superficie lignea e quando sentì provenire un «avanti!» dall'altra parte della porta, fu davvero tentato di darsela a gambe levate. Ma non lo fece. Scappare non avrebbe avuto senso. Posò la mano contro il pomello e lo girò, entrando nell'ufficio in cui Kibum lavorava. Era una stanza piccola e luminosa, alle pareti erano appese un sacco di fotografie e disegni. C'era una scrivania standard e una reclinabile, come quelle che aveva visto tanto tempo prima in uno studio di architettura. Kibum era di spalle e indossava una camicia bianca e dei pantaloni neri. Era estremamente elegante e bello. Jonghyun era senza parole e, quando Kibum si voltò e lo trovò sulla porta, rimase senza parole anche lui.

 

«Che... Che ci fai qui, tu?» domandò stupito.

 

«Io...» Jonghyun era nel panico. Non era mai stato così spaventato in tutta la sua vita. Cosa ci faceva lui, lì? Non lo sapeva con esattezza, l'unica cosa di cui era a conoscenza era che era la cosa giusta da fare. Sapeva che era stato bellissimo trascorrere quei giorni assieme, sapeva che non esisteva niente al mondo di più bello del suo sorriso, che gli sarebbe mancato tutto di lui, ogni piccola cosa, e che la sola idea di dirgli addio lo faceva sprofondare nella tristezza. Sapeva di amare le sue labbra, il taglio dei suoi occhi, il suo collo, la forma delle sue spalle. Amava tutto di lui. Amava lui e basta. «Kibum» e senza che potesse controllarsi, si ritrovò con il viso rosso dall'imbarazzo e gli occhi umidi. Stava facendo la figura del coglione, ma non poteva controllarlo.

 

«Oddio, è successo qualcosa?! Stai bene, stanno tutti bene?» fece Kibum preoccupato, avvicinandosi a lui e posando le mani sulle sue spalle, scuotendolo piano. «Non farmi preoccupare, Jonghyun!»

 

«Ti amo.» sussurrò Jonghyun e la sua voce suonò come quella di un bambino che chiede scusa ai genitori dopo aver combinato un danno. Kibum rimase in silenzio, guardandolo con l'espressione più scioccata che avesse mai attraversato il suo volto. «C-Cosa...?»

 

«E' assurdo, lo so! Accidenti, Kibum. Accidenti! Io domani parto per la Corea e mi sono fottutamente innamorato di te! Questo non è giusto.» Jonghyun si premette le mani sul viso ed emise un verso frustrato. «Perché non mi sono mai innamorato davvero e succede proprio adesso che la cosa è impossibile?! Ci conosciamo da quattro giorno e – oddio, questo è davvero insensato. Non ha senso, non lo ha! Mi disp-» il suo fiume di parole venne interrotto da un bacio da parte di Kibum, breve, ma estremamente dolce. Quando le loro labbra si separarono Kibum lo strinse forte, affondando il viso nell'incavo tra il collo e la spalla.

 

«Jonghyun...» il tono di voce di Kibum era basso, tanto che quasi Jonghyun non lo sentì. Le mani di Kibum accarezzarono le spalle di Jonghyun, che poteva sentire con chiarezza il cuore del biondo battere contro il suo petto. «Sei uno stupido. Il più grande stupido di sempre» Jonghyun non poté trattenere un sorriso. Si avvicinò alle labbra di Kibum e lo baciò di nuovo, dolcemente. Non sapeva perché, ma solo averlo ammesso lo faceva sentire molto meglio.

 

Kibum approfondì il bacio e attrasse Jonghyun maggiormente a sé, indietreggiando fino a sedersi sulla sua scrivania. Il moro fu sorpreso dal gesto, ma non se ne lamentò, continuando a baciare profondamente l'altro, accarezzandogli i fianchi con le mani e alzando un po' la sua camicia, sfiorando la sua pelle liscia. «E se qualcuno venisse...?» domandò qualche istante dopo, staccandosi dal bacio quasi senza fiato.

 

«Non verrà nessuno, ma nel caso qualcuno lo facesse... Farà meglio a bussare» ridacchiò Kibum, dando un piccolo morsetto al collo di Jonghyun e affondando le dita trai suoi capelli. Jonghyun socchiude gli occhi e lasciò che i suoi polpastrelli vagassero sulla schiena di Kibum, facendo rabbrividire l'altro. Slacciò la sua camicia bottone dopo bottone, fino a sfilargliela e farla cadere a terra. «E' la prima volta che faccio una cosa del genere in ufficio» confessò il biondo un po' imbarazzato.

 

«Meglio così.» fece Jonghyun posando un bacio sotto il suo orecchio. «Vorrà dire che da domani, ogni volta che entrerai qui dentro penserai a me.»

 

«Questo è un guaio» Kibum inclinò il collo all'indietro, mentre Jonghyun lasciava sopra di esso una scia di baci umidi. «Perché già penso a te tutto il tempo. Davvero

 

Jonghyun sorrise e schiuse le labbra, lasciando che la punta della sua lingua leccasse piano la pelle dell'altro. Gli sarebbe mancato il suo sapore, il suo calore, il suono della sua voce. Gli sarebbe mancato tutto di lui, ogni piccola cosa. Se avesse potuto lo avrebbe portato via con sé senza pensarci due volte, ma le persone erano strane. Erano abbastanza coraggiose da dire di amarsi, da fare sesso assieme, ma non abbastanza da fare il possibile per restare assieme. Davanti a un possibile abbandono, le persone diventano deboli e impotenti. Era così che, da quando aveva visto per la prima volta Kibum, Jonghyun si era sentito.

 

▪▫▪▫▪

 

Si era ingenuamente aspettato di ricevere una dichiarazione d'amore in risposta alla sua, ma questo non era avvenuto. Dopo aver fatto sesso – l'amore, per quanto riguardava – assieme a Kibum nel suo ufficio, erano rimasti assieme per tutto il pomeriggio, parlando del più e del meno. Kibum aveva evitato l'argomento “partenza” e l'argomento “sentimenti” in modo abile e preciso, lasciando ben intendere a Jonghyun che non aveva intenzione di discuterne. Questo un po' lo aveva ferito, ma poteva capirlo. Non tutti erano così disperati da lasciarsi travolgere da sentimenti così grandi in così poco tempo: alla maggior parte delle persone serviva del tempo e, si ritrovò a pensare di nuovo, loro di tempo non ne avevano mai avuto.

 

Jonghyun chiuse la sua valigia e ci si sedette sopra. Era così che si era sentito Taemin per tutto il tempo in cui erano stati assieme? Essere amati, ma non ricambiati era qualcosa di demoralizzante, aveva scoperto Jonghyun. Si sentiva così piccolo e vuoto nella sua stanza, così teso e agitato all'idea che a una parete di distanza ci fosse Kibum. Eppure, non si sentiva ancora pronto per andare di là. Sapeva che quando lo avrebbe fatto, allora sarebbe cominciato il loro addio. Cosa sarebbe successo? Jonghyun se lo domandava insistentemente, ma non poteva dire di non saperlo già: avrebbero fatto sesso, di nuovo, così tanto da dimenticare tutto per un po', e poi, esausti, si sarebbero addormentati uno tra le braccia dell'altro.

 

Il sole sarebbe sorto troppo presto per i suoi gusti, Kibum sarebbe stato addormentato affianco a lui. Si sarebbe vestito e lavato, lo avrebbe svegliato e poi... Poi sarebbe arrivato il momento di farlo. Di salutarlo, di dirgli addio. Jonghyun temeva quel momento perché non aveva mai vissuto un'esperienza simile in tutta la sua vita e non sapeva come gestirla. Avrebbe pianto? Sperava di no, perché sarebbe stato imbarazzante. Eppure, ora, sentiva un così forte bisogno di piangere da confonderlo. Probabilmente avrebbe pianto davvero e Kibum avrebbe riso di lui, ma non in modo offensivo, in modo carino, imbarazzandosi. Gli avrebbe detto che le cose sarebbero andate bene.

 

O forse, non gli avrebbe detto proprio nulla. Forse Jonghyun si sarebbe svegliato e Kibum non ci sarebbe stato. O forse, sarebbe stato Kibum a svegliarlo, ricordandogli che se non si sarebbe mosso gli altri sarebbero partiti senza di lui.

 

Jonghyun affondò il viso nei palmi delle sue mani, sospirando forte. Perché doveva essere così difficile? Perché doveva torturarsi così?

 

Per un attimo, uno solo, pensò che sarebbe stato meglio non partire affatto. Kibum era la cosa più bella che gli fosse mai capitata, ma che importanza aveva se non era destinato a durare? Quei sentimenti così forti, quell'amore, si sarebbe assopito lasciandogli l'amaro in bocca per diverso tempo prima di svanire del tutto.

 

Qualcuno bussò alla sua porta e Jonghyun sentì il cuore stringerglisi nel petto. «Chi è?» domandò in coreano.

 

In fondo, sapeva già chi c'era dall'altra parte.

 

   
 
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