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Autore: bomerhalder    15/06/2013    1 recensioni
E' l'ultimo anno al liceo e Daniele e Alessia sono migliori amici da quando sono alti un metro e uno sputo. La loro amicizia è invidiata da tutti per quanto forte e indissolubile. Tutto sembra andare nel migliore dei modi tra feste, uscite, serate tra amici e ansie da adolescenti, finché un giorno Daniele non riceve una notizia dal padre..
~
“Caro diario,
oggi sono andata da Daniele. Rovistava tra gli scatoloni in casa sua e faticavo a trattenere le lacrime.
Gli addii non sono facili come sembrano.
Ho provato a fare un sorriso e lui anche, ma rischiavamo entrambi di scoppiare in lacrime.
Perciò ci siamo abbracciati, in quell'appartamento così vuoto che sembrava fare da specchio a come mi ero sentita le ultime due settimane.
I muri ci fissavano quasi avessero voluto piangere.
Non abbiamo detto una parola.
Sapevamo che ci saremmo mancati di più, altrimenti.
E sappiamo benissimo entrambi che un abbraccio di qualche minuto, non puo' mai alleviare la sofferenza che porta cio' che sta per essere strappato per sempre dalla nostra vita.
Non voglio che vada via. Non voglio solo delle maledette fotografie che mi ricordino la sua assenza.
Io voglio che rimanga qui. Per sempre.”
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Caro diario,

non so ancora per quanto tempo riuscirò a sopportare la mia prof di latino che continua a torturarci ricordandoci che quest'anno abbiamo la maturità. Voglio dire, siamo ancora in maggio, c'è ancora tempo!

E poi comunque non c'è bisogno che ce lo ricordi, visto che molti di noi sono già in ansia da quando facevano il ginnasio (me compresa, lo ammetto!).

A volte è una vera rottura di scatole, quella donna.

Per fortuna che c'è Daniele che prova a farmi distrarre ogni tanto e farmi dimenticare per un attimo gli esami, la prof, i problemi, (anche se lui stesso è un problema, spesso e volentieri).

Mi porta qui, a quella che abbiamo ribattezzato come 'nostra' panchina e si stende a testa in giù mentre io scrivo e parla, parla, parla.

Ogni giorno qualcosa di diverso: tipo il suo outfit per qualche serata fuori a tema, quello che dovrà fare con sua madre la sera in cui avranno pinco pallino a cena e roba così, ma non mi annoia mai. Riesce sempre a farmi ridere, non a caso è il mio migliore amico anche se a volte vorrei ucciderlo.

Oggi mi sta parlando del suo compito di mate. Come al solito si beccherà l'ennesimo 4, da quel che ho capito. E' un caso perso. E anch'io.

Dovrei iniziare a studiare qualcosa da adesso per gli esami, forse ha ragione quella di latino.

Ma è ancora presto. Forse più tardi.

Ora ascolto cosa dice il ritardato mentale appeso a testa in giù sulla panchina.

Magari se faccio finta di sentire quello che dice, finisce di parlare subito e io posso studiare in pace!

Tua,

                                                                                                        Ale                                                                            ”

 

 

 

 

Metto il diario in borsa e mi stendo accanto a lui.

«Ma tu scrivi sempre?» dice con una smorfia.

«Daniele, ma te parli sempre?» ribatto.

«Io parlo il giusto. Non sono quella di latino» fa imbronciato.

Alzo gli occhi al cielo che in questo caso tecnicamente sarebbe a terra.

«Allora? Cosa ti metti alla festa di Laura?» mi chiede cambiando discorso.

«Ma è tra una settimana!» gli rispondo.

«Quindi?»

«Perché tu hai già scelto il tuo outfit?» rido.

«Non ridere di me. E comunque sì» ride anche lui.

«Dovrai farmelo vedere, allora.»

I suoi occhi azzurri si illuminano. Alzo gli occhi a terra di nuovo e sorrido. Fa sempre così quando si tratta di apparire. Come se non fosse già bello di suo, poi, e avesse bisogno di attirare maggiormente l'attenzione.

«Sei un egocentrico, te l'ho mai detto?» gli dico mentre si tira su.

Sorride. Mi tiro su a sedere anch'io.

«Un milione di volte, come minimo» mi dice stampandomi un bacio sulla guancia.

«Solo oggi» ribatto ridacchiando.

Un gruppo di ragazze passano e lo fissano a bocca aperta. Lui non sembra farci caso, ormai è abituato.

Passano gli occhi su di me e mi guardano di traverso. Credono sia la sua ragazza, che idiote.

E' solo il miglior amico del mondo ed è anche bello: un mix perfetto, insomma.

Quando passano ridacchiano e ci scommetterei tutto che parlano di quanto sia bello Daniele.

Lui fa una smorfia disgustato.

Rido.

«Quelle ti amavano solo perché non ti conoscevano» lo stuzzico.

«Tu dici? Mh, per me è il mio outfit di oggi» risponde.

Lo guardo ed ha una maglia a maniche corte con una stupida stampa su e un normale paio di jeans. Sembra solo un ragazzo normale.

Scoppio a ridere.

«Oh, sicuramente» faccio sarcastica.

Il cellulare mi squilla.

E' mia mamma. Rispondo.

«Dove sei? Tra poco è pronto. Viene anche Daniele, vero?» la solita solfa, insomma.

«Certo, mà. Arriviamo subito. Che hai preparato?» chiedo preparandomi a ripetere tutto a Daniele sottovoce.

«Pollo e patatine fritte» risponde e prima che possa dire qualunque cosa, Daniele scatta in piedi e prende la borsa, sentendo non so come attraverso il cellulare.

Scoppio a ridere.

«Okay, a tra poco.»

Riattacco.

«Andiamo?» mi fa coi suoi occhi azzurri che brillano.

«Ma te c'hai un radar o cosa?» chiedo riferendomi alla telefonata.

«Fame» mi risponde tranquillamente.

Dio, quanto è idiota.

«Muoviti, cretino» rispondo ridendo e mentre ci incamminiamo per la nostra strada ridendo, si gira verso le ragazze sedute poco distanti e urla.

«Comunque trucco orribile e tinte da quattro soldi non fanno per me!» e fa loro un occhiolino.

Inizio a picchiarlo mentre lo trascino via e faccio spallucce alle ragazze con aria di finte scuse.

Quando siamo abbastanza lontani, cominciamo a ridere ripensando alla scena di poco prima.

«Sono pazzo, eh?» mi chiede.

«Da manicomio, proprio. Non so cosa ci sia di sbagliato in te» gli rispondo con una smorfia di finto disgusto.

«Ah, beh, nemmeno io» mi risponde con faccia da finto innocente, alzando le mani in un gesto teatrale.

Mi prende sottobraccio e mi trascina verso casa mia ridacchiando come un ragazzino.

  
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