Note dell'Autrice: Salve a tutti. E' un po' che non mi faccio viva, ma spero di fare cosa gradita. Scritta in occasione del compleanno di Mukuro, che se non vado errato qui ci si è scordati di festeggiare. Non l'ho messa su il 9 perché... Bah, tra quando la scrivo, quando la correggo e quando mi decido a pubblicarla, il passaggio non è mai immediato.
Anzi, per una qual forma di decenza (tipo non aspettare giugno 2014) ho fatto piuttosto in fretta l'ultima fase, quindi spero non mi siano avanzati errori, almeno non troppi.
Avvertimenti: Mhhh, linguaggio un po' scurrile, ma non troppo. Si concentra molto sul senso della metempsicosi. Il genere è molto "Famiglia" anche se non sapevo con che sostituirlo. E' ambientato 7 anni dopo la fine della saga.
Buona lettura.
Tempo.
Tic.
Tac. Tic. Tac.
La vita è una corsa contro il tempo, disse
qualcuno, perché i secondi scorrono come un rivolo d’acido che corrode tutto
quello che tocca: la pelle, la carne, l’anima.
Guardi un orologio e guardi il boia che lucida
meticolosamente la lama, ne cura il filo con la delicatezza che non avrebbe
avuto per la pelle di un’amante. Stai fermo, immobile, aspetti e inconsciamente
sai che prima o poi è il tuo turno. Le lancette camminano e la lama squarcia i
tessuti, le arterie, il sangue scorre e resta solo il buio della morte.
Allora corri, corri perché devi riuscire a
fare tutto prima che il tempo si esaurisca, corri perché non è mai abbastanza. Se
vivi, non c’è niente di peggio che morire.
Tic. Tac. Tic.
L’unica vera consolazione della morte è che
quando muori, beh… muori. Finisce la corsa, ogni
pensiero, dolore, preoccupazione e rabbia si dissolvono. Il boato di un
palloncino che esplode, un bimbo che piange e il silenzio. Non il rumore roco
dei tuoi affanni, ma il silenzio. Una benedizione. Il tempo è finito, è vero,
ma almeno hai la pace.
Tic.
Tac. Tic. Tac.
Poi ci sono i casi particolari, i casi come
il suo, quando ascolti il tonfo sordo di un pendolo che si muove nella notte e
ti chiedi se lo scorrere dei secondi non sia che un rubinetto che perde, le
gocce scendono una dopo l’altra sul marmo lucido del lavandino, e alla fine non
sarà servito a niente se non a pagare di più la bolletta dell’acqua.
Che lui non paga, tanto per dirne una.
Quando il tuo problema è che non riesci a
morire, allora non sai neanche cosa sia il tempo.
Se c’è qualcosa che ha imparato quando è
precipitato tra le fiamme ardenti dell’inferno, è a tornare indietro dalla
morte. Capacità terribilmente utile quando il tuo scopo è uno sterminio di
massa, ma se non muori non avrai pace, mai.
Il tempo non esiste, non c’è un istante che
determina un inizio e uno che determina una fine, è un ciclo continuo che si
ferma solo se riesci a spezzarlo, se sei abbastanza forte.
Forse è in quel laboratorio, che ha perso
il concetto del tempo. Quanti anni aveva, quattro? Cinque?
Non c’erano orologi in quella stanza che
puzzava di muffa e sudore stantio, solo una finestra. Il tempo era l’alternarsi
di albe e tramonti. Almeno per un po’. Poi divenne l’alternarsi dei periodi che
passava sdraiato sul tavolo del laboratorio e quello che passava in camera con
gli altri bambini.
Quando hanno iniziato a riempirlo di
droghe, è sfumato pure quello, così come il concetto di giusto e sbagliato, di
vita e di morte. Era lucido ad intervalli, una lampadina che non fa contatto in
una cantina deserta. Sprazzi di coscienza che lo tormentavano di tanto in
tanto, e non era in grado di dire cosa gli fosse accaduto nel frattempo, chi stesse
diventando.
Non esiste il tempo quando stai annegando,
quando non hai consapevolezza delle tue azioni, quando sei legato e ti
iniettano in corpo qualunque cosa pur di strapparti via l’anima e buttarla
nell’inferno, tra le bestie, tra i demoni, le piante e gli dei. E poi farla
tornare indietro, di nuovo tra gli umani, con un occhio corrotto come allegro
souvenir.
Quanto cazzo ha vissuto nei sei reami?
Secoli o Un istante? Non riesce a fidarsi della propria memoria, allora era
così imbottito di farmaci che le sue percezioni facevano schifo.
Gli hanno distrutto il tempo, gli hanno
distrutto il dolore. La morfina fa miracoli, specie se te la sparano in vena
continuamente, l’unico dolore che gli era rimasto era l’astinenza. Quella sì
che faceva male, male da vomitare, tremare e non reggersi in piedi.
Male al punto da sottoporsi quasi di
propria volontà alle torture di quei bastardi, purché il suo corpo la smettesse
di sudare, di fremere e i crampi non gli levassero più il fiato dalla
disperazione.
Si è venduto come una puttana per una dose.
Non si è ribellato quando poteva, sperando per dieci fottuti secondi di stare
meglio, solo per ritrovarsi peggio di prima. Ma il tempo non esiste e quei
secondi per lui erano un’eternità, un’eternità in cui sentiva di morire, ma non
moriva mai davvero.
Lo scorrere del tempo, allora, era contare
i segni che riportava addosso. Le nuove ferite, le nuovi cicatrici, la vista
che peggiorava, il suo nuovo occhio.
Anche dopo che ha ammazzato tutti quei
bastardi, gli è rimasto solo questo. Guardarsi allo specchio cercare di capire
quanto sia cambiato dall’ultima volta che l’ha fatto, pensare a quanto c’abbia
messo per ridursi in quel modo. Quanto ci vorrà per ridursi ancora peggio. E
fino a che giorno non impazzirà del tutto.
Mukuro
sa di non poter morire, non come gli altri almeno. Dopo quello che ha visto e
vissuto, crede davvero che lo aspetterà un nuovo ciclo, e poi un altro ancora,
finché non arriverà a perdere quella lamina sottile di lucidità che gli resta.
Lo incuriosisce sapere cosa gli rimarrà
quando il filo si spezza. Se gli rimarrà qualcosa.
Di certo non il silenzio. Non quello che è
una benedizione.
Deve dire grazie ai Vindice per questo.
Loro più di chiunque altro sono stati vicini ad ucciderlo. Perché con un colpo
di grazia rischiava di rinascere, magari nel corpo di una delle tante vittime
possedute, il proiettile degli Estraneo serviva proprio a questo, in fondo.
Rinchiuso in una cella, senza acqua, né
aria, né cibo, né luce, era quanto più inerme potesse essere. Non ha idea di
quanto ci sia rimasto dentro, non ha mai voluto veramente parlarne. In fondo,
la sua concezione di tempo e quella degli altri è completamente diversa, per
quanto ne sa lui è rimasto lì dentro per sempre, in metà dei suoi incubi lo è
ancora.
Non c’era nulla contro cui correre nella
prigione Vendicare, non c’erano affanni e sospiri, ma il silenzio assordante di
una solitudine forzata, in compagnia solo dei propri pensieri, della propria
mente corrotta.
Se sei morto, il silenzio è una
benedizione. Quando non riesci a morire, il silenzio è un urlo che ti squarcia
i timpani, strappa le orecchie, stordisce il tuo senso dell’equilibrio e ti
picchia violentemente in testa fino a farti raggiungere la follia, fino a farti
cercare disperatamente un contatto di qualunque tipo, purché tu non debba
ascoltare l’eco della tua disperazione che ti uccide lentamente da dentro. Così
lentamente che alla fine non morirai e la sentirai per sempre.
Sarebbe impazzito davvero se Nagi non fosse stato capace di sentirlo, se non fosse stata
capace di rispondergli. Se la sua piccola Chrome
avesse scelto la morte alla sua compagnia, non gli sarebbe rimasto altro.
Si è aggrappato a lei in modo maniacale,
ne ha corrotto la purezza dell’anima e del corpo e lei ha scelto di rimanere al
suo fianco, anche quando l’ha lasciata libera. La ama per questo. Perché
continua a lottare contro i suoi demoni, benché è chiaro che ne moriranno
entrambi.
Ormai sono anni che è libero e sì, magari
la sua vita non fa più schifo come prima, ma la verità è che si può guarire da
tutto, ma non da se stessi. I segni che riporta non sono quelli del corpo, ma
dell’anima.
Non riesce più a dormire di notte: il buio
lo rende fottutamente violento, stava per aggredire Chrome
l’ultima volta che si sono addormentati insieme nella sera. Ha bisogno di
contatto fisico costante, perché dimentica troppo spesso cosa sia reale e cosa
no. Ascolta continuamente musica a volume assordante, e a volte è persino
disposto a dar retta a quegli idioti che vivono nella villa pur di avere una
conversazione decente. E ancora non sa cosa sia il tempo.
Non è diverso dall’anno passato, tanto meno
lo è dal giorno prima. Non è una persona migliore, non è cambiato affatto e non
ha nulla di nuovo.
Quindi, la presenza del suo presunto Boss
alle quattro di mattina è piuttosto inutile. Ma di nuovo, è di Tsunayoshi Sawada che si sta
parlando, il capo della più grande famiglia
di lagne e piagnistei e chiacchiere inutili con cui la mafia abbia mai
avuto a che fare.
“Come l’hai scoperto?” chiede con un mezzo
sorriso dei suoi. Un sorriso cattivo.
“Ho letto il tuo dossier ufficiale”
risponde il ragazzino – benché abbia vent’anni ormai – in un’alzata di spalle.
“Vuoi farmi credere che hai imparato a
leggere? L’Arcobaleno ne sarà così
soddisfatto” lo prende in giro.
Tsuna
lo ignora, lo conosce da troppo tempo per non aspettarsi una reazione del
genere. Mukuro è uno di quelli che mettono in atto
l’attacco come miglior difesa.
“Ho un regalo per te.”
“Mi lascerai possedere il tuo corpo senza
fare storie?”
“No.”
“Allora non è un regalo gradito.”
“E’ il tuo compleanno, Mukuro.”
“Hai intenzione di dirmi qualcosa che non
sappia già, o stai ciondolando qui solo perché non riesci a prender sonno?”
Tsuna
non dice niente, lo guarda soltanto per tempo indeterminato, poi si siede al
suo fianco nel divano del soggiorno buio.
La vicinanza con il suo Boss lo disturba
alquanto e sarebbe anche abbastanza cinico da buttarlo allegramente giù dal
divano, se non temesse che il fracasso possa svegliare tutti gli altri. Dio non voglia
che debba sopportare anche i cani da guardia del moccioso.
“Tsunayoshi, se
ti aiuta a levarti dai piedi, sappi che è un giorno come un altro” gli dice
sperando di liberarsene.
“Non lo è.”
“Se mi dai il regalo, poi te ne vai al
diavolo?”
“Forse.”
“Dammelo.”
Quando Mukuro
scarta la confezione indaco – tanto per essere originali – che gli ha porto Tsunayoshi, deve trattenere l’impulso di picchiare la testa
contro il tavolino da caffè che ha di fronte.
“Un orologio” constata, quasi incredulo.
“Già.”
Mukuro
tace per qualche secondo, poi non riesce proprio a trattenersi “Ora capisco
perché Daemon Spade ha tradito Giotto.”
“Ho preso da lui l’idea.”
“Da Daemon Spade?
Lo sapevo che non eri una volpe, ma questo è troppo stupido anche per te.”
“No da Giotto. Tu sei un mio Guardiano.”
“E quindi mi regali un orologio, mi sembra
logico.”
“E quindi non puoi non reputare importante
ogni momento che trascorriamo insieme” lo corregge, scuotendo la testa. “Lo
sai, non ho idea di che hai passato prima che uscissi di prigione, ma qualunque
cosa sia stato non è un buon motivo per non riuscire ad apprezzare quello che
hai oggi.”
“Non hai idea. Appunto” ribatte Mukuro asciutto.
“Mi spiace.”
“Non vedo come possa spiacerti, visto che
tu non c’eri.”
“Mi spiace perché ci tengo a te.”
“Oh Dio, risparmiami. Cos’è di tanto
importante che dovrei apprezzare? E, bada Tsunayoshi,
se ti sento dire la parola famiglia
ti butto giù dal divano, ti picchio a sangue e me ne frego se i tuoi segugi
si svegliano.”
“Non me lo sentirai dire” ribatté il
giovane Don alzandosi dal divano e dirigendosi verso l’uscita “anche perché c’è
scritto sul retro del quadrante.”
“Tu sai che non lo indosserò mai, vero, Tsunayoshi?”
“Sei libero di non farlo.”
“E che lo distruggerò quanto prima.”
“Sei libero di fare anche questo, è tuo
ormai. Io dovevo solo dartelo.”
“Tsunayoshi” lo
ferma prima che possa andarsene di nuovo a letto.
“Dimmi.”
“La prossima volta che ti vengono di queste
idee, prova con una torta al cioccolato. Costa di meno e non devo far finta di
apprezzare una vaccata.”
“Come se avessi fatto il minimo sforzo!”
mormora tra i denti il suo Boss. Sospira, tanto ormai con quei Guardiani non
c’era speranza. “Avrai la tua torta al cioccolato.”
“E i bignè?”
“Anche i bignè.”
“E i profitterol?”
insiste con un ghigno. Se Tsunayoshi è in vena di
ingozzarlo di dolci, lungi da lui fermarlo solo perché la motivazione gli
sembra stupida.
“Avrai un intero buffet di dolci e né tu e
né Chrome avrete delle missioni oggi. Posso anche
chiudere un occhio su i danni che combinerete tu e Hibari
quando ti darà gli auguri, a patto
che non mi distruggiate completamente la villa. E terrò gli ananas che ti ha
mandato Fran lontani dalla magione.”
“Mi ha mandato ananas?” chiede con stizza.
Tsuna
non può fare a meno di ridacchiare. “Credo siano illusioni, ma è da una
settimana che arrivano casse intere.”
“Appena lo prendo…”
“Io torno a dormire, Mukuro.
E dovresti andarci anche tu. Buon compleanno.”
Mukuro
non risponde, aspetta che il ragazzo esca dal soggiorno e si ributta con un
sospiro sul divano. E’ ancora buio e col buio non riesce a prendere sonno. Ha
dormito troppo tempo tra le tenebre che lo avvolgevano.
Un’eternità quasi. E di nuovo, si trova a
chiedersi che significato abbia lo scorrere delle lancette dell’orologio che ha
tra le mani. Tic. Tac. Tic. Tac.
Apprezzare
i momenti importanti, come se quell’orologio servisse a farlo.
Doveva quasi essergli grato di non avergli regalato un portafoto allora, quello
sì che glielo avrebbe lanciato direttamente in fronte. L’orologio, almeno,
poteva rivenderlo a buon prezzo.
Tsunayoshi Sawada è un povero illuso, di questo Mukuro
ne è certo. Non è il suo primo compleanno, compiere gli anni non lo ha mai
salvato da quel laboratorio, né ha convinto i Vindice a rilasciarlo. Non lo ha
mai salvato dalla mafia.
Ma d’altronde, Tsunayoshi
non ne sa nulla di mafia, per poter capire.
Allaccia l’orologio al polso, solo perché
altrimenti lo abbandonerebbe sul tavolino e si dimenticherebbe di doverlo
rivendere. Poi si alza e ritorna in camera sua. Appena si sdraia tra le
lenzuola, Chrome si gira ad abbracciarlo.
Tic.
Tac. Tic.
Lo sente ancora nelle orecchie il rintocco
del grande pendolo che era appartenuto al Primo dei Vongola Fessi. Il tempo
scorre, la vita scorre e lui è bloccato in un limbo personale senza pace, senza
tregua, senza un domani, ma un presente infinito che è una specie di gabbia.
Eppure, col calore di un altro corpo
stretto al proprio, un orologio di cui sbarazzarsi al più presto e un buffet di
dolci in arrivo, l’idea che il tempo si fermi davvero non gli spiace così
tanto.
Note post-lettura: Ok, più che sul compleanno di Mukuro, lo scopo è mostrare quanto è figo Tsuna in versione Boss, ma vabbé. <3