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Autore: xbiebersvoice    16/06/2013    8 recensioni
Sarei dovuto divenire un angelo custode.
Quelli erano stati i miei programmi: completare la preparazione, aspettare che mi venisse affidata un’anima da proteggere e successivamente sorvegliarla dall’alto, dal mio posto nel Paradiso.
E invece cos’ero finito a fare?
Mi avevano spedito giù sulla Terra, a ricoprire un ruolo secondario che sarebbe dovuto invece spettare ad un principiante. Non ad uno come me.
E tutto questo per cosa? Per lei.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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9.

 

 

 

La strada scorreva veloce sotto le ruote della mia macchina e l’ambiente al di fuori dei finestrini ne stava al passo, immobile e silenzioso al nostro passaggio.
Cercavo di concentrarmi sulla guida ma la realtà era che ancora un residuo di adrenalina scorreva insieme al mio sangue, rendendomi difficile portare la mia completa attenzione sul percorso che stavo attraversando. Ma un incidente era appena stato scampato, non serviva che ora fossi io a causarne un altro.
Deglutii e portai una mano allo spiraglio dal quale fuoriusciva l’aria condizionata fresca, seppur fuori ci fossero a malapena dieci gradi. Avevo i palmi estremamente sudati e la sensazione non mi piaceva per nulla.
Giusto pochi secondi dopo la spensi, supponendo che se io ero in grado di sostenere le temperature esterne grazie alle mie condizioni privilegiate rispetto agli umani, per Helena non era lo stesso.
Le lanciai un’occhiata di sottecchi, trovandola intenta a guardarsi le punte delle scarpe ai piedi del sedile. Non aveva detto una parola da quando era salita in macchina –tranne il darmi una vaga indicazione su dove dovessi andare– ed io non l’avevo forzata, supponendo che dovesse riprendersi un poco dallo spavento che doveva essersi appena presa.
Non volevo pensare a ciò che sarebbe potuto accadere se il mio corpo non si fosse inspiegabilmente mosso da sé, tirandola via dalla strada prima che l’auto che stava venendo verso di lei avesse potuto colpirla. Ma ero un poco arrabbiato, perché il mio lavoro era quello di guardarle le spalle e cercare di individuare quale male l’avrebbe presto presa di mira, non quello di salvarle direttamente la vita.
Questo era compito di Mihael, dove diavolo era stato? Avrebbe potuto perderla se non ci fossi stato io.
Mi inumidii il labbro inferiore, rallentando un poco quando intravidi la scuola in lontananza.
Helena mi aveva precedentemente detto di dirigermi verso di essa e, una volta giunti lì, mi avrebbe spiegato come proseguire per giungere a casa sua. Immaginavo fosse perché non le andava di parlare poi più di tanto.
La mia ipotesi che fosse un tipo silenzioso o quantomeno timido era stata confermata quel giorno, in quelle poche quasi due ore che avevo trascorso con lei. Non che questo mi infastidisse o fosse in qualche modo in contrasto con il mio carattere, ma mi avrebbe reso solo le cose più difficili.
«Svolta a destra» avvertii la sua voce bisbigliare ad un tratto, e tanto ero perso fra i miei pensieri che esitai un attimo prima di premere più determinatamente il piede sull’acceleratore.
Dopo un paio di indicazioni, ci trovammo in un quartiere circondato da case per la maggior parte a due piani, tutte con la propria staccionata e la propria cassetta delle lettere ad un lato del vialetto. Notai che aveva avuto ragione quanto prima mi aveva detto che nei quartieri di periferia avrei trovato parecchio verde. Ogni casa aveva il suo cortile e diversi alberi fiancheggiavano la strada che stavamo percorrendo, lasciando che i rami la coprissero quasi interamente.
«Bel quartiere» commentai, in cerca di qualcosa da dire per spezzare il silenzio. E poi lo pensavo davvero.
«Sì, è anche abbastanza tranquillo» confermò lei.
Dopo qualche metro, mi fece segno di accostare al ciglio della strada; così feci.
Lanciai un’occhiata alla casa. A tre piani, era dipinta di grigio scuro con gli infissi bianchi. La parte inferiore era però lasciata volutamente in mattoni color terra, come il camino che sbucava al di sopra del tetto dalle tegole nere. Diversi cespugli la circondavano mentre un corto vialetto portava alla scalinata che giungeva sul portico dov’era l’entrata.
Era senza dubbio una bella casa, non il genere da persone esageratamente benestanti ma molto curata per essere una di quelle tipiche ordinarie abitazioni di periferia.
Cambiai la marcia per mettere l’auto in sosta e spostai gli occhi su di lei, che velocemente si era chinata per poter afferrare la borsa che aveva riposto ai suoi piedi. Quando ebbe fatto, si girò nella mia direzione ma parve essere imbarazzata all’idea di incrociare il mio sguardo.
«Grazie» bisbigliò appena e se non ci fosse stato un silenzio praticamente tombale, probabilmente non l’avrei nemmeno sentita.
«E per cosa? Tu mi hai aiutato a fare quella maledetta lavatrice, siamo pari» la rassicurai, sollevando appena le labbra in un sorriso.
Alzò gli occhi e, notando la mia espressione perlopiù rilassata, parve tranquillizzarsi un poco a sua volta.
«A dire il vero eravamo già pari» commentò poco dopo, però, quando si accorse di quella confusione a quanto pare palese sul mio viso, si affrettò a spiegarsi meglio. «Sai, in biblioteca, i libri... ricordi?»
Alle sue parole, compresi ciò che avesse voluto dire. Mi sorpresi nel notare che lo ricordasse perché onestamente, notando come si comportava con me e come attenta pareva essere quando ero nei dintorni, credevo di non averle dato l’idea che non fossi un tipo da temere. Voglio dire, avendola aiutata quel giorno, supponevo che avesse compreso che non avevo intenzione di darle alcuna sorta di problema, oltre al fatto che comunque non avrei avuto motivo di farlo.
«Cioè, forse non te lo ricordi...» bisbigliò in seguito, fraintendendo il mio silenzio.
«Sì, certo, lo ricordo» mi affrettai ad interromperla. «Eri quella montagna di libri con le gambe che aveva quasi rischiato di cadere, giusto?»
I suoi occhi volarono sul mio volto per verificare la mia espressione. Quando notò che stessi solo scherzando, senza alcuna ombra di vera presa in giro, si lasciò andare appena ad un sorriso.
Annuì leggermente, ridendo poi un poco. «Proprio quella.»
Pensai questo fosse il primo suono simile ad una risata che riuscii a strapparle. Il che poteva ritenersi una buona conquista, se si pensava che aveva appena rischiato un incidente. Oppure una assolutamente pessima, se si considerava che era da più di una settimana che cercavo di ottenere qualcosa di simile, o anche solo di rivolgerle la parola.
Portò la borsa sulle sue gambe, prossima a scendere.
«Ad ogni modo, intendevo grazie per... uhm, tutto. Insomma, per prima» aggiunse rapidamente, quasi come se le fosse impossibile buttare fuori quelle parole. Non insistetti, comprendendo ciò che intendesse.
Scossi appena le spalle, spostando la mano ancora posata sul volante.
Compresi che avesse voluto chiarire i suoi ringraziamenti ma, ad ogni modo, che non intendesse approfondire quanto accaduto, quindi non me la sentii di dire nulla che riconducesse a quell’episodio.
Portò una mano alla maniglia dell’auto, tirandola e aprendo in questo modo lo sportello. Si fermò all’ultimo, voltandosi un poco incerta. «La ricordi la strada per tornare indietro?»
Mi sorpresi del suo interessamento, ma mi ripresi in tempo per annuire. «Certo.»
Detto questo, scese dall’auto e si fermò affianco ad essa. 
«Ci si vede a scuola, quindi» mi salutò per la seconda volta della giornata, ma questa volta probabilmente sarebbe stata l’ultima per davvero. 
La salutai a mia volta, non insistendo oltre perché era ormai ora di cena e supponevo i suoi la stessero aspettando all’interno.
Chiuse lo sportello ed attesi qualche secondo prima di rimettere in moto l’auto. Lanciai uno sguardo alla sua figura che si stava avviando lungo il vialetto d’accesso, poi diedi un’occhiata allo specchietto retrovisore per vedere se stesse venendo da questa parte qualche macchina. La mia attenzione venne catturata da ciò che era posizionato sui sedili posteriori, che subito riconobbi come il sacchetto degli abiti puliti di Helena, che poco prima appena entrati in auto avevo messo dietro poiché fra i suoi piedi sarebbe risultato ingombrante.
Feci subito scendere il finestrino, sporgendomi poi un poco verso di esso.
«Helena!» la richiamai a gran voce per farmi sentire, visto che aveva ormai già messo un piede sul primo gradino che portava al portico.
Si arrestò di colpo e si voltò verso di me, con la fronte corrugata per la confusione. Le feci velocemente segno di tornare indietro, ritornando poi al mio posto siccome la schiena iniziava a farmi male.
Quando raggiunse il mio finestrino, le porsi il sacchetto. 
Lei arrossì all’istante e chiuse gli occhi, quasi come se si stesse prendendo qualche istante per maledirsi mentalmente. «Scusa, non so dove ho la testa. Grazie ancora» biascicò imbarazzata, incespicando nelle parole.
Le sorrisi in risposta e lei indietreggiò per tornare sui suoi passi, quando improvvisamente si bloccò e tornò a puntare lo sguardo all’interno della macchina. Le sue sopracciglia si aggrottarono, creando fra di esse qualche increspatura nella sua pelle.
Mi domandai cosa mai fosse successo, non muovendo un solo muscolo nell’attesa che lei si spiegasse.
«Aspetta...» disse d’un tratto, fermandosi poi a labbra dischiuse. Mi lanciò un’altra occhiata, quasi come se stesse cercando sul mio volto la risposta che le serviva, ma ovviamente non avrei potuto dargliela se nemmeno sapevo quale la sua domanda fosse. «Come lo sai?»
Assottigliai appena gli occhi, non comprendendo comunque ciò che intendesse.
Avete presente quei momenti in cui tutto quello che avete attorno vi sembra star scorrendo al contrario e anche solo il cadere di una foglia vi pare stia accadendo in modo sbagliato? Ecco, era come mi sentivo in quell’istante. 
Non capivo il motivo del suo sguardo inquisitorio né tantomeno la domanda che mi aveva appena rivolto.
«Che cosa?» mi azzardai a chiederle lentamente, temendo quasi di risultare stupido per non aver subito afferrato quello che stesse intendendo. 
Quella sua confusione quasi mischiata al disappunto crebbe. Dischiuse le labbra, ma impiegò qualche minuto prima di parlare. 
«Il mio nome» si spiegò, lasciando uscire quelle poche parole in un soffio.
Mi si raggelò il sangue nelle vene e probabilmente i miei occhi si spalancarono un poco, ma subito mi appurai di nascondere esteriormente quanto stavo provando all’interno. E oh, la mia anima era in trambusto e se qualcosa avrebbe mai dovuto raffigurarla, sarebbe probabilmente stata una tempesta. 
Perché non avevo pensato prima di parlare? Mi era sfuggito il suo nome dalle labbra per richiamare la sua attenzione, cosa piuttosto normale. Ma non se io teoricamente non avrei dovuto saperlo, perché a tutti gli effetti sarebbe dovuto essere così.
«Come lo sai? Io non te l’ho detto» continuò, ancora più disorientata di prima, iniziando a notare probabilmente qualcosa di strano in quel mio non proferire parola.
Dannazione. E ora cosa mi sarei inventato?

 

 

 



Rimasi a fissarlo per qualche istante, dopo avergli rivolto quella mia domanda.
Non avevo idea del perché avessi avvertito il bisogno di chiederglielo, ma effettivamente l’avevo trovato strano ed ora che gli avevo domandato spiegazioni, ero ancora più curiosa di sentire la sua risposta.
Come già detto, non ero la classica ragazza nota a tutta la scuola o per l’aspetto o per qualche vicenda in grado di suscitare interesse negli altri studenti. Quindi, era ben poco probabile che qualcuno gli avesse parlato di me o ancora meno che avesse sentito il mio nome uscire dalle bocca di qualche suo amico o compagno.
Non vedevo davvero come potesse sapere il mio nome.
«Io, ehm...» iniziò a parlare, ma si bloccò all’istante, mantenendo le labbra dischiuse come se fosse pronto ad aggiungere dell’altro, ma non fu così.
Che storia era questa? Non capivo se mi stesse prendendo in giro, ma non ne avrebbe avuto motivo, o almeno supponevo. Dimenticare come si era venuti a conoscere il nome di una persona non doveva essere facile. Era almeno possibile?
«Tu come sai il mio?» mi sentii domandare poi, di punto in bianco.
Ci impiegai qualche secondo per assimilare quanto mi aveva chiesto. Dopodiché, mi sentii colta in fallo senza un motivo preciso. 
Come faceva a sapere che ero a conoscenza del suo nome? Ero sicura di non averlo mai chiamato con esso da quando avevamo iniziato a parlare. In assoluto, ci avrei messo la mano sul fuoco. Però restava il fatto che avesse ragione. Sapevo il suo nome. 
Dai suoi occhi puntati con determinazione sul mio volto, mi accorsi che era anche piuttosto sicuro di quanto aveva appena sostenuto indirettamente.
«Perché tu sai il mio nome, non è così?» mi sollecitò, prendendo probabilmente il mio silenzio come una conferma che gli permise di acquistare maggiore sicurezza.
Deglutii e mi allontanai un poco dal finestrino, non sapendo cosa fosse meglio fare.
Se avessi detto la verità, ovvero che avesse ragione, non avevo idea di ciò che avrebbe pensato. Non volevo che credesse fossi una di quelle tante ragazze che a scuola sospiravano ogni volta che lui passava loro affianco. Ma alla fine cosa mi sarebbe importato? 
Primo fra tutto, lui in prima persona doveva essere consapevole di avere parecchio successo fra le ragazze o in generale di essere conosciuto in tutta la scuola, quindi probabilmente era stato proprio questo a fargli supporre che io fossi a conoscenza di come si chiamasse. E, in secondo luogo, non mi interessava l’idea che si sarebbe fatto di me, perché tanto con tutta la gente che gli girava attorno, già dal giorno dopo non si sarebbe ricordato di me o quanto meno non gli sarebbe importato di venire a parlarmi. Solo perché era stato gentile con me e aveva evitato che venissi messa sotto da un auto, non significava che io gli interessassi in qualsiasi sorta di maniera. 
Quindi, mi ritrovai ad annuire semplicemente. 
Lui distese appena le labbra in un sorriso, ma stranamente non apparve in alcun modo arrogante o presuntuoso come mi sarei aspettata da un qualsiasi bel ragazzo una volta che si sarebbe trovato davanti un’ennesima conferma della sua popolarità.
A dirla tutta, non avevo nemmeno mai sentito alcuna voce infamante sul suo conto –proveniente probabilmente da qualche maschio che si sentiva minacciato dalla sua presenza nella scuola– né avevo mai avvertito qualche ragazza lamentarsi dopo essere venuta a scoprire che lui ci avesse provato con qualcun’altra che sfortunatamente non era lei. Forse era semplicemente per il fatto che fosse arrivato da non più di una settimana, eppure avevo comunque qualche dubbio.
«A domani» sentii la sua voce dire infine, e poco dopo il finestrino venne tirato su fino a chiudersi totalmente, non dandomi così modo né di salutarlo, né di rivolgergli una qualsiasi altra domanda. Che, molto probabilmente, sarebbe stata un’altra inutile ricerca di spiegazioni.
Okay, mi aveva fatto comprendere che sapesse che io ero a conoscenza del suo nome... ma questo cosa centrava? Non aveva risposto alla mia domanda. Lui come sapeva il mio?
Strinsi nella mano il sacchetto con gli abiti puliti e mi affrettai ad entrare in casa, siccome faceva piuttosto freddo all’esterno. 
Non appena varcai la soglia, il viso di Adrianne spuntò da dietro l’angolo.
«Helly, pensavamo ti fossi persa!» mi accolse con i suoi classici modi esuberanti e sempre pieni di vita. «Per fortuna ho finito solo qualche attimo fa di preparare la cena.»
Avvertii un certo profumo provenire dalla sala da pranzo, ma inalandolo mi resi conto di non avere per nulla fame. Appesi il cappotto all’appendiabiti, poi riafferrai nella mano il sacchetto con i vestiti ancora bagnati per portarlo all’asciugatrice.
«Non ho fame, scusate. Buon appetito» declinai velocemente la cena, salendo poi velocemente le scale prima che potesse fare altre domande o peggio, arrivasse mio padre a domandarmi se ci fosse qualcosa che non andava. Si preoccupavano sempre per ogni minima cosa.
Quando terminai di sistemare le cose lavate alla lavanderia self-service, mi diressi nella mia stanza.
Una volta che la porta si chiuse alle mie spalle, mi ci appoggiai contro e avvertii immediatamente tutto ciò che avevo cercato di reprimere, riaffiorare prepotentemente.
Mi ripassarono attraverso la mente quegli istanti di panico che avevo vissuto quando, giusto meno di venti minuti prima, avevo rischiato uno spaventoso incidente. Non avevo idea da dove fosse spuntata quell’auto, perché ero sicura di aver controllato prima di mettere piede sulla strada per attraversare. 
Era stato tutto così veloce che nemmeno ricordavo cosa avessi pensato l’istante esatto in cui avevo avvertito il clacson insistente di quella macchina. A dirla tutta, ricordavo solamente quella presa prepotente che aveva agguantato il mio braccio e che mi aveva trascinata indietro, tirandomi via da dove probabilmente non mi sarei mossa altrimenti.
Era stata una fortuna avere Justin lì. Era stata un’estrema fortuna che lui si fosse accorto al posto mio del pericolo che stavo per correre. E, a proposito, come aveva fatto a rendersene conto lui quando io in prima persona non me ne ero accorta?
Solo ora pensai a questo e mi ritrovai a fremere. Non sapevo nulla di quel ragazzo se non il suo nome –come lui aveva appena constatato– eppure c’era qualcosa in lui... qualcosa che mi diceva che dovessi in assoluto sapere di più sul suo conto. Come se ne avessi il bisogno. Però, allo stesso tempo, questa sensazione mi disorientava fin tanto da spaventarmi. Non sarebbe dovuto essere così.
Se il giorno dopo l’avrei rivisto a scuola, ero sicura che mi sarei trovata in difficoltà davanti a lui. Una parte di me avrebbe voluto andargli incontro, ma l’altra con certezza avrebbe sentito l’urgenza di darsela a gambe.
Ma sapevo che quest’ultima reazione sarebbe stata scaturita da qualcosa di ben molto più profondo. Era solo che più scorreva il tempo, più i suoi modi di fare mi davano un senso di familiarità. Non che io l’avessi già conosciuto prima o qualcosa di simile... semplicemente mi ricordava una persona, e non doveva essere così.
Posai la borsa sulla scrivania, poi mi svestii per infilare velocemente il mio pigiama. Mi legai i capelli in una coda poco curata, poi mi infilai sotto il piumone caldo. Era stata una giornata parecchio faticosa e la stanchezza si era impadronita con facilità del mio corpo.
Cercai di abbandonarmi al sonno, ma tutto il trambusto avvenuto quel giorno non mi permise un poco di tranquillità nemmeno in quel silenzio totale.
La realtà era che non potevo far a meno che pensare costantemente a come Justin avesse scoperto il mio nome. E se non l’avessi incontrato alla lavanderia, che ne sarebbe stato di me in questo momento? Anziché nel mio letto, mi sarei trovata in una stanza d’ospedale? Forse, non avevo realizzato appieno quanto lui aveva fatto per me e quanto a dirla tutta sarei dovuta essergli grata.
C’era qualcosa di strano in tutta quella storia. Anche riguardo il perché lui sapesse il mio nome. Doveva esserlo venuto a sapere da qualcuno... ma era stato perché lui in prima persona se ne era interessato? Sarebbe mai stato possibile?
Stavo per richiudere gli occhi per cadere nel mondo dei sogni, quando vidi qualcosa brillare sulla scrivania sotto la luce della luna, ancora ai primi passi del suo cammino nel cielo. Assottigliai le palpebre, poi riconobbi il portachiavi che era legato alla cinghia della mia borsa. 
Il portachiavi dov’era sopra scritto il mio nome.
E in un attimo, avvertii una gelida ondata di tristezza cadermi addosso.
Ecco dove molto probabilmente Justin aveva letto il mio nome. Altro che informarsi sul mio conto, doveva essergli solo caduto lo sguardo su quella piccola targhetta. E tutta l’ultima parte misteriosa della conversazione prima che se ne andasse doveva essere stata solo un gioco divertente per lui. Ma infondo, di cosa mi sorprendevo? Era ovvio che non poteva esserci stato niente di meno banale dietro. Come se per una volta qualcosa si sarebbe potuto rivelare positivo e soprattutto interessante.
E non seppi se amareggiarmi maggiormente per questa constatazione o se, invece, farlo per come improvvisamente ricordai chi mi avesse regalato quel portachiavi il giorno del mio quindicesimo compleanno. 
Non volevo passare la notte fra le lacrime.








Una volta entrato nel mio appartamento, lasciai che la porta sbattesse alle mie spalle.
Mossi qualche passo nell’atrio, posando le chiavi di casa sul mobile affianco alla soglia. Ero leggermente inquieto ma, soprattutto, ero un poco infastidito per quanto era appena successo. Non per Helena e il suo voler sapere come sapessi il suo nome, era piuttosto comprensibile ed ero riuscito a scamparla abilmente, ma più che altro ancora per la storia del mancato incidente.
Portai una mano alla parete in cerca dell’interruttore e, quando accesi la luce, feci un balzo indietro.
Mihael era appoggiato allo schienale del divano e aveva il viso rivolto verso il soffitto, mentre soffiava contro una piuma per mantenerla sollevata nell’aria. Dalla forma e dal color bianco sgargiante, compresi non l’avesse ricavata da nessun cuscino o altro, bensì da una delle sue ali ora però invisibili.
Dopo lo spavento iniziale, fui felice di vederlo perché era proprio la persona che stavo cercando. Non che avrei mai potuto cercare nessun altro, siccome la cerchia dei miei ‘amici’ si restringeva ad un numero minore delle dita delle mie mani.
Gettai la giacca di pelle che neanche mi apparteneva sul divano, dando modo all’angelo di rendersi conto che fossi entrato in casa, anche se doveva avermi sentito di suo arrivare. Per questo probabilmente non si mosse di mezzo millimetro.
«Dove sei stato ultimamente?» gli domandai, non riuscendo a contenere quella leggera traccia di disappunto che sporcò il mio tono altrimenti normale.
«Uh?» mugugnò lui, portando la sua attenzione su di me, lasciando lievitare incontrollata la piuma che terminò poi con il posarsi sul pavimento. «Lassù, dove vuoi che sia stato?»
Dal suo modo di rispondere pareva che nemmeno fosse a conoscenza del pericolo che Helena aveva corso. Il che sarebbe stato pressoché assurdo. Lui era legato a lei quindi ogni sua emozione, soprattutto quelle spiacevoli, lui avrebbe dovuto avvertirle seppur in maniera lieve.
«Lo so perfettamente, perché Helena ha rischiato di farsi dal male e a tutti gli effetti così sarebbe stato, se non ci fossi stato io» gli svelai, lanciandogli uno sguardo accusatorio.
Lui aggrottò la fronte e si portò subito in piedi, scostandosi dal divano.
«Cosa vuoi dire? L’hai finalmente conosciuta?» mi domandò, confuso ma allo stesso tempo felice per questa sua ultima scoperta.
Effettivamente, non gli avevo ancora riferito che avevo finalmente fatto la sua conoscenza, ma ad ogni modo lui non avrebbe dovuto già saperlo? Pensavo che da lassù mi tenessero d’occhio e controllassero i miei movimenti. Certo, non sempre, ma almeno ogni tanto.
«Sì, l’ho conosciuta» dissi sbrigativamente, scacciando poi via la questione con un gesto della mano siccome non aveva importanza al momento. «E le ho anche evitato un incidente se vuoi proprio saperlo, siccome non c’eri tu a farlo. Dov’eri?!»
Siccome prima non ci aveva dato peso, realizzando praticamente solo ciò che aveva voluto lui, ora che tornai a ripeterglielo una sorta di paura gli velò il viso.
«Te l’ho detto, ero su. Ma non ho sentito nulla» si giustificò all’istante, con gli occhi un poco spaventati.
Come? «Cosa vorresti dire?» gli chiesi spiegazioni.
Era pressoché impossibile che lui non avesse avvertito il suo essere in pericolo.
«Quello che ho detto: non mi sono accorto di nulla» ripeté ancora, confermando quanto avevo capito. Si fermò e si portò una mano ai capelli, puntando lo sguardo nel vuoto mentre probabilmente si perdeva dietro una serie di suoi pensieri. «Non va bene questo, Justin.»
Lo sapevo perfettamente che non andava bene, e non servì nemmeno che lui esternasse le sue preoccupazioni per comprendere quali queste fossero. La supposizione più probabile era che qualsiasi cosa avrebbe presto cercato Helena, si stava facendo più vicina. Ed era perfino in grado di interferire nella relazione emotiva e sensoriale fra lei e il suo angelo custode, siccome Mihael non si era accorto di nulla. Questo era seriamente preoccupante.
Gli spiegai velocemente tutto ciò che era accaduto, in modo che potesse farsi un’idea più chiara della situazione.
«Ascolta, c’è qualcosa che non va. È meglio che torni su e ne parli con gli altri» ne venne fuori alla fine, chiaramente agitato e preoccupato. «Finché non se ne sa di più, vedi di starle il più vicino possibile.»
Non che prima non avessi dovuto farlo, ma compresi che questa volta intendesse che avrei dovuto fare davvero il possibile per essere il più possibile nei suoi paraggi. Se ancora fosse capitato che lui non avrebbe avvertito il pericolo che avrebbe potuto colpirla, quantomeno ci sarei stato io ad assicurarmi che le cose filassero lisce.
«Hai detto che l’hai accompagnata a casa, quindi sai dove abita, giusto?» mi domandò poco prima di lasciare la stanza, come se se ne fosse ricordato solo all’ultimo.
Annuii, non comprendendo cosa questo centrasse.
«Bene, allora sorvegliala anche la notte, è il momento della giornata che mi preoccupa di più» spiegò in seguito, con la voce leggermente spezzata per l’agitazione.
In un primo momento, mi soffermai solamente alla sua ultima parte del discorso. Sapevo cosa intendesse: la notte, quando la luce del Sole non illuminava la Terra, era quando era più facile per loro agire. Tutti, quando si faceva buio, divenivano un poco più fragili e deboli. Tutti a parte le persone ‘cattive’. Ma se così erano, non era propriamente merito loro. Permettevano solamente che loro avessero la meglio sulla loro anima.
In seguito però realizzai la prima parte del suo discorso. Sorvegliarla la notte... cosa voleva precisamente dire con questo?
«Come?» gli domandai spiegazioni, aggrottando la fronte.
Lui alzò gli occhi al cielo, poi mi lanciò uno sguardo d’ovvietà. «Hai capito perfettamente. Stai attento.» E detto questo scomparve dalla mia vista.
Rimasi immobile a guardare il punto dov’era stato fino ad un attimo prima, continuando a ripetermi le sue parole nella mente. 
Avevo capito che Helena era in pericolo, ma fino al punto che avrei dovuto farle la guardia perfino mentre dormiva? Non che sarebbe stato un problema per me, come già detto la stanchezza dovuta al sonno non l’avvertivo quindi potevo pure far passare giorni prima di percepire una fioca fatica generale e un lieve indebolimento dei miei sensi.
Però... addirittura giungere a questo? Vabbene, non avevo da lamentarmi. Ero qui per una ragione, quindi era meglio per me che svolgessi il mio compito nel miglior modo possibile. E se questo comportava sorvegliarla per minimo nove ore di fila mentre lei dormiva serenamente nel suo letto, allora così avrei fatto. Dopotutto volevo o no il mio avanzamento di grado? Allora dovevo guadagnarmelo.
Dirigendomi verso il bagno, mi sfilai la maglia per potermi fare una doccia rilassante prima di tornare nuovamente nel posto che avevo appena lasciato.
Mi ero anche dimenticato di ricordare a Mihael che stavo ancora aspettando degli abiti colorati.

 

 

 

 

 


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Ditemi che non sono la sola che sta morendo dal caldo.
Io odio sudare. Okay, immagino per tutti sia così. Ma io lo odio particolarmente lol
Vabbé, siccome non intressa a nessuno, passiamo alla storia.

Sì, non so, non è che succeda molto, ma il fatto è che ora piano piano i due si devono conoscere, e non ho intenzione di farli diventare subito 'best friend forevah'  lol
Sarebbe troooppo scontato. E quello che cerco di fare, e rendere questa storia tutto il contrario. Spero di starci riuscendo );
C'è qualche problema fra Helena e il suo -seppur lei non sappia di averlo- angelo custode, ma tanto c'è Mr. Bieber che agisce come da sua ombra.
Ed ora deve anche farle da guardia del corpo di notte lol come deve essere diverteeente. #sarcasm
Ma Justin è carino e coccoloso quindi non si lamenta... perché l'ho deciso io lol
Poi, ha rischiato un infarto quando si è accorto di essersi lasciato sfuggire il nome di Helena, ma se l'è scampata piuttosto bene. Eeeh, sì: deve stare più attento.
E Helena ha dissipato ogni suo dubbio credendo che Justin l'abbia scoperto a causa del portachiavi della sua borsa. Il maledetto portachiavi che resuscita vecchi ricordi :(
Com'è fortunato, Bieber. Ma non sarà sempre così: ne combinerà delle altre lol
Ma ok, stop, non dico altro!

Grazie mille per chi occupa un po' del suo tempo a recensire, dico davvero: non avete idea di quanto mi faccia piacere leggere le vostre recensioni.
E lo so che lo dico sempre, ma ci tengo a ripeterlo e ricordarlo! 
Spero mi facciate sapere anche qua ciò che ne pensate, perché per me è davvero molto importante.

Per il resto: alla prossima! :)
   
 
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