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Autore: LimoneMenta    17/06/2013    4 recensioni
Bene e Smir sis sono presi una pausa dal lavoro, o così credono! Dopo aver aiutato una ragazza, viene aperto un caso riguardante proprio lei. Per Ben sarà l'occasione di innamorarsi seriamente.
La lasciate una little recensione??
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Finalmente un po’ di pace, eh Ben?»
« Immagina Semir: da questa sera avremo tre giorni d’assoluto riposo! Niente scartoffie in commissariato per tre santissimi giorni».
« Ehi, ehi, Ben frena, frena!»
« Che c’è adesso, Semir?!»
« Guarda un po’ là, vicino a quell’angolo».
« Ma dove?»
« LÁ!»urlò e gli indicò l’angolo.
« Oh, merda!»
In un angolo, vicino a due cassonetti, due uomini se la stavano prendendo con una ragazza. Uno dei due le teneva le mani dietro la schiena, l’altro, invece, le tirava con forza i capelli.
« Andiamo, Ben!»
« Ho già capito, anche stavolta niente tre giorni di vacanza!» urlò Ben di rimando, scaraventandosi fuori dall’auto e tirando fuori dalla fondina la pistola.
Corsero più veloci che poterono.
« Ehi voi, mani dietro la testa, Polizia Autostradale!» gridò Semir ai due.
Per tutta risposta, uno tirò fuori una pistola e sparò un colpo che lo mancò per pochi centimetri.
« Ehi!»
Il tizio sparò di nuovo, e prese in pieno un bidone, poi saltarono su un’auto nera che partì a tutta velocità.
Probabilmente un terzo uomo era lì ad aspettarli.
Semir tentò di corrergli dietro; Ben intanto si precipitò dalla ragazza.
« Ehi, tutto a posto? Che volevano quei tizi da te?»
« Non lo so, non lo so» rispose lei tra i singhiozzi.
« Sei ferita? Ti hanno fatto del male?»
« Io…mi hanno sbattuta contro il muro, ma nient’altro».
Ben le controllò la testa: a parte qualche livido e un paio di graffi, era ancora tutta intera.
« Ahhh, erano troppo veloci, non sono riuscito a fermarli» riferì Semir, tornando verso di loro.
Ben prese in braccio la ragazza e la portò verso la macchina: « Ora ti portiamo in ospedale, d’accordo?»
La ragazza continuava a tremare e a sussultare, scossa dal pianto.
Semir osservò la scena: « Ah! Stai a vedere che ora…»
Arrivati in ospedale, la affidarono ad un’infermiera che la portò via. Dopo telefonarono al Capo per spiegargli ciò che era accaduto e per sapere cosa fare.
La telefonata durò parecchio tempo, finche Semir non riattaccò.
« D’accordo Capo, a dopo»
« Che ha detto?» chiese Ben.
« DI portarla in commissariato appena finiscono di medicarla».
Neanche a dirlo apposta, un’infermiera comparve nella sala d’attesa, accompagnando la ragazza.
« Non è nulla di grave – spiegò – ma abbiamo dovuto fasciarle il polso, si è slogato. A parte questo, la maggior parte di graffi e contusioni si può curare in pochi giorni con una crema. Èstatafortunata. Ora potete tornare tutti a casa» disse sorridendo.
« D’accordo, grazie infermiera. Arrivederci» le rispose Ben stringendole la mano.
Poi si diressero verso l’auto.
« Ascolta, ora ti dobbiamo portare in commissariato. Sono solo un paio di domande, non preoccuparti» la informò Semir.
Lei annuì e guardò Ben, ancora terrorizzata.
Lui le sorrise.
« Andiamo, dai» proseguì Semir, aprendo la portiera e aiutandola a salire.
Durante il tragitto, nessuno proferì parola.
Ben e Semir si voltarono a guardarla più volte: era rannicchiata contro la portiera, e continuava a piangere.
Si scambiarono un’occhiata, senza rompere il silenzio.
 
2.
 
Il Capo gli venne incontro correndo.
« Che cosa le è successo?» chiese avvicinandosi.
Semir sintetizzò: « Quello che le ho spiegato al telefono, Capo. L’abbiamo trovata per strada, due uomini la stavano picchiando, ma non credo volessero ucciderla. Siamo intervenuti, ci hanno sparato due colpi addosso, nessuno si è ferito. Ho provato a seguirli, ma non ce l’ho fatta. L’abbiamo accompagnata in ospedale, poi siamo venuti qui».
« Bene. Chiederò a Susanne di mandare qualcuno laggiù. Ora ti porteremo di là e ti faremo un paio di domande, ok?» disse rivolgendosi alla ragazza.
L’altra annuì e s’incamminò con lei.
« Capo! – disse Ben afferrandole un braccio – Capo, ci vada piano, d’accordo? Èancora molto scossa»
La donna lo guardò severa: « So fare il mio lavoro, se non se lo ricorda. E questo non è un interrogatorio, sono solo domande!» lo rimproverò.
« Certo Capo, mi scusi»
Si diresse verso l’ufficio, accompagnato da Semir.
Il loro era proprio di fianco a quello del Capo e attraverso una grossa lastra di vetro che separavano le stanze, seguirono il colloquio tra le due.
« Ècarina, vero?» chiese Semir sogghignando.
Ben non le aveva tolto gli occhi di dosso da quando l’avevano soccorsa.
Era strano per lui: non si poteva certo negare che Ben fosse un ragazzo attraente.
Se Semir fosse stato al suo posto, ne avrebbe approfittato, Ben invece, non gli dava molto peso; e per quanto le donne lo adorassero, lui non se ne accorgeva mai. O, almeno, non gli dava gran importanza.
Questa volta invece no.
« Cosa hai detto, scusa?» chiese, senza distogliere lo sguardo.
« Ehi, svegliati! Sto parlando della ragazza: è carina, no?»
  Ben la guardò attentamente: i capelli erano di un colore strano, tra il  biondo                                                     scuro e il castano chiaro, ed erano raccolti in una treccia. Il viso era di forma  allungata, occupato da una bocca rossa e carnosa e da un nasino a punta.
 Gli occhi erano verdi e marroni e terribilmente tristi e spaventati. La carnagione era simile a quella di un fantasma, estremamente pallida.
« Già. Ma Semir, sei troppo vecchio, sei sposato e hai due figlie!
Non ci vorrai mica provare?!»
Questa volta si girò verso di lui, sbalordito.
Semir ridacchiò. « Io no di certo…e in ogni caso non sono vecchio, ho trentacinque anni» rispose offeso.
Ben tornò a guardare il Capo e la ragazza: un’altra agente, Susanne, le aveva portato una tazza di tè, ma lei non ne aveva bevuto neanche un sorso.
Rispondeva alle domande tenendo la testa bassa e notò che una lacrima continuava a scendere sulla guancia.
Il Capo le fece una carezza sulla testa e uscì dalla stanza.
« Rebecca Chräger, figlia di Hans Chräger, 20 anni appena compiuti. Credeva che suo padre lavorasse in un’agenzia di telecomunicazioni, e ora ha appena scoperto di essere la figlia di uno dei maggiori rappresentanti del nucleare. Sua madre è morta in un incidente d’auto 14 anni fa,  non la ricorda più.
Pensando di proteggerla, il padre le raccontato di svolgere tutt’altro lavoro, invece non le è servito a nulla. I due tizi che avete visto volevano convincerlo a fare qualcosa, usando la figlia, nel tentativo di spaventarlo. Susanne ha provato a rintracciarlo, ma è scomparso da questa mattina».
I due ascoltarono tutto senza fiatare.
« Ok, grazie. E con lei cosa facciamo?» chiese Semir, accennando a Rebecca.
« Ottima domanda. Dice che quando è uscita di casa aveva le chiavi con sé, ma ora non le trova più. Facendo presente che non ha una borsa, devono averle prese loro. Qualcuno dovrà tenerla a casa sua».
« Capo, non per essere scortese, ma non potrebbe tenerla lei? Insomma, lei è…bé, sì, siete entrambe…andreste più d’accordo e …» Semir non sapeva come esprimersi.
« Purtroppo la mia casa in questo momento non può essere usata. Stanno facendo dei lavori di ristrutturazione, e dormo da una amica. La affido a voi, decidete chi dei due può ospitarla».
« Bé, io ho moglie, figli e una casa non molto grossa, non saprei dove tenerla. Ma Ben ha un appartamento enorme e vive solo, c’è un sacco di spazio, no?» gli chiese ridendo.
« Sì, ma io…non so se…non possiamo chiedere a Susanne?»
« Susanne domani parte e starà via una settimana. – precisò il Capo -  Perciò la affido a lei. So che posso fidarmi. Perciò, vado ad avvertire la ragazza.»
Detto questo, tornò in ufficio.
« Ahah, lo sapevo. Bé, non sei contento? Neanche mi ringrazi?» domandò Semir ammiccando.
« Questa te la potevi risparmiare,  Semir. Adesso che faccio?»
« La porti a casa tua e la proteggi dal mostro cattivo. Tanto lo so che ti piace!»
« Non mi piace, invece!»
« Ti piace e parecchio! Ti conosco, te lo leggo in faccia!»
« Ufff…a volte sei seccante, sai?»
Semir ridacchiò.
Il Capo ricomparve con la ragazza al seguito.
« Bene. Rebecca, ora dovrai andare a casa con lui. – disse indicando Ben – Si chiama Ben Jäger, è l’agente che ti ha soccorso insieme all’agente Semir Gerkan. Non aver paura, con il Signor Jäger sarai al sicuro».
« Posso tornare a casa mia?» chiese Rebecca speranzosa.
« No, ci dispiace. Quegli uomini possono aver preso le chiavi, non saresti al sicuro. No, per ora starai a casa di Jäger. Sarà per poco tempo, vedrai» dichiarò sorridendo. Poi andò da Susanne.
 Ben chiese a Rebecca di aspettarlo un attimo fuori dall’ufficio, quindi si rivolse a Semir: « Le mie chiavi di casa le hai, dovesse succedere qualcosa…»
« Tranquillo Adone, sarete al sicuro nel vostro castello» scherzò l’altro.
« E smettila!» disse tirandogli un pugno sulla spalla.
Uscirono dalla stanza.
« Ehi, ricordati – disse Semir sorridendo, rivolto alla ragazza – con lui sarai protetta adeguatamente. Non temere, d’accordo?»
Rebecca accennò un sorriso, poi fece per alzarsi dalla sedia, ma barcollò e cadde a terra.
Ben si chinò subito ad aiutarla: « Ehi, ehi, attenta. Stai bene?»
Lei annuì.
« Bene, allora andiamo a casa. Ciao Semir» disse facendogli un cenno con la mano.
« Ciao ragazzi».
 
3.
 
Ben guidava velocemente. Accanto a lui, Rebecca era accucciata sul sedile.
Lui per primo, che era un poliziotto, avrebbe dovuto dirle di sedersi in maniera corretta, ma preferì evitare.
Ad un semaforo si voltò a guardarla: era sveglia.
« Tutto a posto? Ti serve niente?»
Rebecca prima annuì, poi scosse la testa.
« Bene»
Era così triste per lei!
« Senti, so che hai paura e che sei sconvolta, ma tenerti dentro tutto non ti aiuterà, sai? Che ne dici se provi a sfogarti un po’, eh? Non immagini quanto faccia bene»
Per tutta risposta, la ragazza continuò a tacere.
«Va bene, non è ancora il momento giusto. Ecco, siamo arrivati, quella è casa mia».
Rebecca alzò impercettibilmente la testa, tanto quanto bastava per vedere l’enorme palazzina che la fronteggiava.
Ben andò ad aprirle la porta e l’aiuto a scendere.
Certo che non si reggesse ancora bene in piedi, le prese un braccio e se lo passò intorno al collo, per aiutarla a camminare.
Entrati in casa, Ben gettò le chiavi su un tavolino.
Si voltò verso di lei e si accorse che stava piangendo. Si chinò ad asciugarle leggermente una lacrima.
« Cosa ne diresti di darti una rinfrescata? Ti porto degli asciugamani puliti, e dopo puoi mettere una crema sui lividi, se vuoi. Può andar bene?» le chiese gentilmente.
Rebecca abbozzò un sorriso, ma le faceva male la guancia, e la faccia si riprodusse in  una smorfia di dolore.
Si limitò ad annuire.
« D’accordo, vado a prendere gli asciugamani. Che ne diresti di sdraiarti su quel divano? Così puoi riposarti un po’. Fa come se fossi a casa tua, ok?» le urlò Ben mentre andava nella sua camera.
Che sensazione strana, per la prima volta si sentiva a disagio. Non gli era mai capitato con le ragazze, forse perché non aveva grandi rapporti.
Con lei invece era diverso, tutto più difficile, non sapeva come comportarsi. Che confusione!
Andò a posare gli asciugamani in bagno e tornò da lei nell’ingresso.
La trovò nello stesso punto in cui l’aveva lasciata prima, non si era mossa di un passo.
« Ho fatto tutto. Ti ho anche riempito la vasca d’acqua calda. Vieni, ti accompagno» le disse, e tese un braccio per aiutarla.
Rebecca si mosse leggermente verso di lui, ma dopo un passo gemette di dolore e cadde a terra: « La mia gamba! Che male!» gridò.
Ben corse ad aiutarla e la prese in braccio.
Lei assunse un’aria spaventata: « Che vuoi fare?» sussurrò terrorizzata.
Ben la guardò sorridendo: « Solo portarti in bagno. È chiaro che non ci riesci» le disse tranquillo.
Il terrore di Rebecca mutò in dispiacere.
Lui se n’accorse e tentò di consolarla: « Sai, non credo tu ti debba dispiacere per qualcosa che non è colpa tua. Tu sei l’ultima che può essere responsabile per quanto è successo».
La posò con delicatezza davanti al bagno e le aprì la porta.
« Grazie – gli sussurrò lei – per tutto». Lo guardò attenta per un attimo, poi sparì nel bagno, lasciandolo lì.
Ben rimase fermo qualche minuto a fissare la maniglia, imbambolato. La sentì gemere mentre si svestiva e tirare un sospiro di sollievo mentre entrava nell’acqua calda.
Si ricordò all’improvviso di una cosa e bussò alla porta. La voce di Rebecca arrivò flebile attraverso la porta.
« Sì?» chiese piano.
Ben si schiarì la voce e rispose imbarazzato: « Se vuoi puoi darmi i tuoi vestiti. Posso metterli a lavare» le propose.
Ci fu un momento di silenzio, poi Rebecca rispose: « Ehm, d’accordo».
Ben si sentì avvampare: « Allora…Posso entrare?»
Rebecca esitò un attimo, poi acconsentì.
Ben fece un lungo respiro ed entrò nel bagno.
Si guardò intorno: la stanza era immensa, completamente arredata con uno stile che ricordava il mare. Le pareti erano bianche; una di essa interamente ricoperta da un acquario pieno di pesci colorati.
Il soffitto era decorato da centinaia di lucine, che assomigliavano alle stelle del cielo.
Il pavimento era ricoperto da lastre di vetro; sotto di esse, uno strato di sabbia dava l’idea di trovarsi in spiaggia, grazie anche alle conchiglie che facevano capolino luccicando.
La parete di fronte all’acquario era occupata da un grosso lavabo bianco e da un lungo mobile, entrambi sospesi.
Sopra di essi, un’enorme specchio rifletteva tutta la stanza.
La parte “clou”, però, era la vasca: era completamente incavata nel pavimento.
Le pareti ed il fondo erano azzurri, così da dare l’impressione di trovarsi in una piscina.
Era larga almeno metà bagno e profonda circa un metro e mezzo.
Ben fissò Rebecca: era nella vasca, appoggiata alla parete.
Dall’acqua spuntava solo la testa bagnata.
Aveva i capelli bagnati che le scendevano sulla schiena e lo fissava negli occhi.
« Dove sono i vestiti?» le chiese.
Rebecca diede un piccolo colpetto di tosse, poi gli rispose: «Lì, in quell’angolo».
Ben li raccolse delicatamente da terra, poi si girò a guardarla: « Tutto a posto? Ti serve qualcosa?». Continuava ad essere preoccupato per lei e non riusciva a smettere di chiedersi se stesse bene.
Si chinò sul bordo della vasca e la fissò negli occhi: « Come vanno i lividi?» le chiese serio.
Sul suo volto erano comparse alcune chiazze scure, dove era stata picchiata.
« Fanno male» rispose lei triste.
Ben le sorrise incoraggiante: « Passeranno. Quando hai finito potrai metterci sopra una crema e vedrai che domattina non li sentirai più».
Si alzò e uscì dal bagno lasciandola da sola, e si diresse verso la cucina.
Dopo una giornata così, lo stomaco reclamava!
Non era sicuro se dovesse cucinare qualcosa anche per lei, ma se avesse avuto fame, gliene avrebbe fatto più tardi.
Mentre aspettava che Rebecca finisse, fece friggere un uovo.
Lo ingoiò in fretta, meditando su chi potesse aver fatto una cosa del genere.
“ Chi può essere stato? Per chi lavorano quei due tizi? Che vorranno da suo padre?”, un sacco di domande continuava a frullargli nella testa, finchè una voce leggera interruppe i suoi pensieri.
« Ehm, scusa?»
Ben si girò di scatto a guardarla: era scalza, avvolta nell’asciugamano che le aveva portato, i capelli bagnati che le ricadevano sulle spalle.
« Sì?»
« Bè, ecco…Prima hai preso i miei vestiti e ora non so cosa mettermi…».
« Oh, sì certo…guardo se ho qualcosa da darti, ok?» disse lui dirigendosi verso la sua camera.
Rebecca annuì.
Qualche minuto dopo, Ben tornò con un fagotto in mano.
« Questa l’ho trovata in un cassetto. Probabilmente ti andrà un po’ larga, ma meglio così, no?» mentre parlava, le diede la maglietta.
« Forse ora dovresti mettere la crema sui lividi…».
Rebecca annuì di nuovo.
« Allora te la prendo subito. Èin questo scaffale» disse allungandosi per prendere la scatola.
Mentre Ben era girato, Rebecca ne approfittò per infilarsi la maglietta.
Notò che le arrivava a metà coscia, tanto era lunga.
« Ecco, questa è la crema, tieni. Siediti pure sul divano».
Rebecca si sedette sul sofà di pelle chiara e poggiò una gamba sul tavolino di fronte.
Mise un po’ di crema su un dito e iniziò a massaggiare i lividi, lamentandosi ogni volta che li sfiorava.
Terminate le gambe, Ben le propose di metterle la crema sul viso.
Rebecca accettò.
« Cercherò di fare piano, ok?» le disse tentando di rassicurarla.
Prese un po’ di crema sulla mano e la passò su un livido sulla guancia.
Rebecca sussultò in modo evidente, gemendo di dolore.
Ben ritrasse in fretta la mano. « Scusa, non volevo farti male» disse mortificato.
Lei scosse la testa: « Non è colpa tua. Quei tizi picchiavano duro. Và avanti, posso sopportare».
Ben sospirò abbattuto e continuò a massaggiarle la guancia e la fronte.
« Bene, ho finito» disse poco dopo.
« Ecco, in realtà…Potresti controllare la schiena? Credo di aver battuto anche lì…».
Le guance di Ben avvamparono, poi le sfilò piano la maglietta.
Tirò un sospiro di sollievo: per un attimo aveva creduto che non indossasse nulla sotto, invece portava un piccolo reggiseno color carne che si confondeva con la sua pelle.
Lanciò un lungo fischio, colpito: da sotto il gancio si diffondeva, su quasi tutta la schiena, una grossa chiazza violacea.
« Porca…!» disse sconcertato.
« Che cosa c’è?» chiese lei preoccupata.
« Certo che dovevano picchiare veramente sodo quei tizi! La tua schiena è un’enorme livido. Questo sì che è un colpo ben dato! Cioè, scusa, so che è la tua schiena che hanno colpito, ma…complimenti!» disse.
Prese quasi tutta la crema dal contenitore e la spalmò sull’intera schiena.
Nonostante cercasse di fare piano, la sentì tendere i muscoli per sopportare il dolore.
« Ecco – disse – ora ho veramente finito».
Rebecca s’infilò la maglia e lo ringraziò.
« Di nulla. Èil mio lavoro» le rispose sorridendo e alzandosi dal divano.
« Bene, credo che sia per entrambi ora di andare a riposarci un po’. Vieni, ti mostro la camera».
La prese per mano e la condusse verso la sua stanza.
« Questa è la mia camera, dovresti stare abbastanza comoda. Se hai bisogno di qualcosa, io sono di là, ok?»
Rebecca piegò la testa da un lato: « E tu dove dormirai?» chiese perplessa.
« Oh, non ti preoccupare. Il divano del salotto è comodissimo».
Rebecca spalancò gli occhi: « Oh no, non posso. Andrò io sul divano, non è un problema, sul serio».
Ben ridacchio: « Guarda che non è una proposta di matrimonio, devi solo dormire nella mia stanza! E poi, credo che per i tuoi lividi sia meglio dormire in un letto, non trovi?»
Rebecca aprì la bocca per ribattere, ma poi la richiuse, rassegnata.
« Grazie»
Ben le sorrise: « Non c’è di che. Buonanotte»
«‘Notte» rispose lei, entrando nella stanza.
 
 
 
 
 
 
 
4.
 
Si appoggiò alla porta e osservò attentamente la camera.
Anche lì, le pareti erano bianche.
Appoggiata alla parete sinistra, una cassettiera scura richiamò la sua attenzione.
Sopra al mobile, c’era un flaconcino di vetro pieno di profumo trasparente.
Ne spruzzò un po’ in aria e annusò: era forte, pareva quasi d’annusare la corteccia degli alberi, il muschio e la felce selvatica.
Le sembrò d’essere stata trasportata in un bosco pieno di profumi.
Si voltò per osservare il resto della camera.
Fu subito catturata dalla figura imponente del letto.
Era alto, a baldacchino, di legno scuro e morbide coperte scure che sembravano invitarla a riposarsi nel loro caldo abbraccio, dopo quell’estenuante giornata.
Notò che al fondo della camera, due spesse tende ricoprivano l’intero muro.
Si avvicinò per aprirle e rimase folgorata dalla vista che le si presentò davanti.
Al posto dei mattoni e del cemento, il muro era composto da una pesante lastra di vetro che permetteva di vedere tutto ciò che accadeva al di fuori.
Restò paralizzata ad osservare le luci della città: Le lampade accese nelle case, cinema, negozi, bar, autostrade, macchine…Ogni cosa era illuminata.
Sapere che suo padre era chissà dove là fuori, da solo, in pericolo le fece piangere il cuore.
S’infilò nel letto, al buio, tentando di addormentarsi, ma l’unica che riuscì a fare fu soffocare i singhiozzi nel cuscino, riempiendolo di lacrime.
 
 
 
Nonostante il divano fosse abbastanza comodo, c’era qualcosa che non gli permetteva di dormire.
Forse erano le tasche dei jeans, che con i loro bottoni premevano contro la pelle e lo facevano sbuffare dal fastidio.
O forse era il divano stesso: Ben si era tolto la maglia prima di andare a dormire, ed ora la pelle del sofà gli si appiccicava addosso.
Dopo essersi girato inutilmente varie volte, decise di andare in cucina.
Riempì un bicchiere d’acqua e lo vuotò in poche sorsate.
Fece per tornare in salotto, ma un leggero rumore attirò la sua attenzione.
Tese l’orecchio e ascoltò: un debole pianto proveniva proprio dalla sua camera.
“ Rebecca” pensò allarmato.
Si diresse subito verso la camera ed entrò senza nemmeno fermarsi a bussare.
Era avvolta nelle coperte, rannicchiata come in un piccolo bozzolo, con la testa affondata nel cuscino nel tentativo di soffocare i singhiozzi.
Si avvicinò lentamente e si sedette di fianco a lei sul letto, accarezzandole la testa.
Faticò non poco per liberarla dalle coperte in cui si era  arrotolata, poi la attirò a sé, stringendola con le braccia.
« Sssst, tranquilla, sono qui…»
Le scostò i capelli ancora umidi dal viso e le asciugò le lacrime con le dita.
Restò così per diverso tempo, stringendola contro il petto, la guancia contro la sua fronte, dondolando avanti e indietro, aspettando che si calmasse.
Quando finalmente s’addormentò, Ben la stese sul letto, poi si coricò di fianco a lei, cingendola ancora tra le braccia.
Avvertiva il suo respiro sul petto ed il busto alzarsi e abbassarsi lentamente.
Fu l’ultima cosa che sentì prima di addormentarsi.
 
 
“Da dove diavolo arriva tutta questa luce?” pensò Ben irritato appena aprì gli occhi.
Si girò verso l’origine del chiarore e si coprì gli occhi con una mano, infastidito.
“Ma chi è che ha tirato le tende? Se lo prendo…”
Piano piano riaprì gli occhi: non aveva mai visto la città all’alba, eppure trovò che fosse un panorama magnifico.
Si voltò di nuovo dall’altra parte: di fianco a lui c’era Rebecca, che continuava a dormire, silenziosa.
I capelli biondi erano sparpagliati sul cuscino, le gambe rannicchiate contro il petto, la schiena ricurva.
Rebecca allungò le gambe e si girò dalla sua parte, respirando profondamente.
Ben rimase a fissarla per un tempo che gli parve interminabile, ma non riusciva a smettere d’osservare la sua figura illuminata dalla luce del giorno.
Doversi alzare e lasciarla lì fu quasi una sofferenza, ma si costrinse a farlo per andare a preparare la colazione.
Di solito beveva in fretta un caffè (spesso del giorno prima) e andava in commissariato, oggi invece, aveva messo tutto il suo impegno per preparare una colazione degna di un re: caffè, latte, tè, succo di frutta.
E ancora: macedonia, croissant, cereali, yogurt…
Ora doveva solo aspettare che si svegliasse.
Avrebbe dovuto infilarsi una maglia, ma non voleva entrare in camera e correre il rischio di destarla.
Non dovette attendere molto, però: poco dopo Rebecca uscì dalla stanza.
« Buongiorno» disse con voce flebile, passandosi una mano tra i capelli.
« Buongiorno. – le rispose Ben sorridendole – Come ti senti?»
« Come se fossi stata investita da un pullman. Per il resto tutto ok».
Lui sorrise e fece un cenno verso il tavolo.
« Prego» disse, invitandola a sedersi.
« Grazie».
Lei si accomodò su uno sgabello e fissò perplessa la tavola.
« Ehm, tu solitamente mangi tutta questa roba?»
Ben ridacchiò: « No, non sempre. Allora, tè, caffè, latte…?»
« Succo» gli rispose prendendo un croissant.
« E succo sia…e da mangiare?»
« Ho preso il cornetto, grazie»
« Soltanto quello? Tieni, o il mio capo mi ucciderà pensando che non ti nutro abbastanza!» disse riempiendo una ciotola di frutta.
« Ma…Grazie» rispose rassegnata, prendendola.
Era squisita.
La colazione passò lentamente, tra silenzi e sguardi furtivi.
« Posso mettere a posto io qui, se vuoi. Tu va’ pure a farti una doccia» gli disse sorridendo.
« Cosa? Oh no, non se ne parla proprio. Non esiste!»
« Guarda che lo faccio volentieri, non è un problema per me» lo rassicurò.
Ben la guardò indeciso, poi sospirò rassegnato.
« E va bene, se proprio ci tieni…Se hai bisogno di qualcosa grida, intesi?»
« Intesi» rispose lei ridendo.
Lo guardò allontanarsi, turbata: nessuno era mai stato così buono con lei, tranne suo padre. Lui invece era diverso, si preoccupava seriamente per lei.
Continuò a rimuginarci sopra mentre sistemava la cucina, aspettando che Ben uscisse dal bagno.
All’improvviso qualcuno entrò in casa, imprecando.
« Quel maledetto portaombrelli! Prima o poi morirò a forza di inciampare in quel coso…Ah, buongiorno!» disse quando vide Rebecca.
Lei soffocò a stento le risate: « Buongiorno…Semir, giusto?»
« Precisamente. Allora, come ti senti oggi?»
« Come se fossi stata tirata sotto da un tir…o forse era un pullman? Bè, scherzi a parte, mi fa male dappertutto, ma sono ancora intera».
Semir ridacchiò alla battuta.
« Ma quella non è una maglietta di Ben?»
Le guance di Rebecca avvamparono: « Ehm, sì…Ieri ha messo i miei vestiti a lavare, poi però non sapevo cosa mettere e allora mi ha dato una delle sue maglie e…».
Non c’era bisogno di impegnarsi per capire quanto fosse imbarazzata.
« Ehi, Semir!» Ben comparve sulla porta del bagno, avvolto in un asciugamano di spugna.
« Ah! Buongiorno! Te la prendi comoda, eh? A proposito, quel dannato portaombrelli…Che aspetti a toglierlo da lì in mezzo?! Per poco non mi uccideva!» esclamò indicando fuori dalla porta.
Rebecca tentò di nuovo di trattenere le risate, poi scoppiò a ridere appoggiando una mano sulla spalla di Ben per evitare di cadere.
Lui le circondò la vita con un braccio e con l’altra mano si coprì la faccia, mentre lacrimava dal ridere.
« Bè…? Ma guarda te questi due…Li lasci soli una sera e…» continuò Semir, fingendosi indignato.
Ben e Rebecca si asciugarono le lacrime, poi scoppiarono di nuovo a ridere.
Lei appoggiò la testa sul suo petto e lui le accarezzò i capelli, tremando dal ridere.
Poco a poco, i due smisero di ridere e tornarono seri.
« Bene. Vado a vestirmi, ci metto due minuti, ok?» disse fissandola negli occhi.
Lei gli sorrise e annuì, poi rimase sola con Semir.
 
5.
 
« Allora…A quanto vedo siete diventati amici in fretta, eh?» chiese lui con un ghigno malizioso.
Rebecca si sedette su uno sgabello, imbarazzata.
« Èstato davvero gentile. Si è preoccupato che stessi bene. Non ci sono parole per dire quanto è buono con me. Del resto, cerca di svolgere il suo lavoro meglio che può» disse stringendosi nelle spalle e fissando il pavimento.
« E non solo quello» mormorò Semir sorridendo.
Rebecca percepì l’odore del profumo di Ben aleggiare nell’aria, proprio mentre lui rientrava nella sala e alzò la testa di scatto.
« Eccomi! Che si dice di bello?» chiese insospettito dal sorriso di Semir.
L’altro gli rispose, beffardo: « Oh, niente, le solite cose…» disse, facendo il vago.
Ben lo guardò, diffidente: « Sì, certo…Qui ci sono i tuoi vestiti, se vuoi cambiarti.
In ogni caso, per ora devi rimanere qui, quindi se vuoi tenere la maglietta, fa pure…» disse rivolgendosi a Rebecca.
Mentre parlava, posò i vestiti sul divano.
« Grazie. Tengo la maglia, se non ti dispiace, e i vestiti li metto nella tua camera».
Ben annuì sorridendo.
« D’accordo. Non vorrei, ma se vogliamo trovare tuo padre devo andare in commissariato. Fa  ciò che vuoi, ma non uscire e non aprire a nessuno, intesi?»
Lei alzò gli occhi al cielo, ma glielo promise.
I due si avviarono verso l’uscita, ma Rebecca li chiamò all’improvviso.
« Ehi, aspettate!»
Tutti e due si voltarono: « Cosa c’è?» chiesero all’unisono.
Rebecca li strinse entrambi in un forte abbraccio, ringraziandoli.
Semir rimase confuso da quel gesto, ma ricambiò subito imitando il compagno che, invece, non ci pensò due volte a stringerla tra le braccia.
Rebecca fissò Ben incerta, poi si alzò sulla punta dei piedi e gli diede un piccolo bacio sulla guancia.
Lui restò imbambolato per un attimo, poi le accarezzò la guancia, sorridendo.
Fatto ciò, uscirono entrambi di casa, lasciandola sola.
 
BEN
 
Semir continuò a fissare Ben per tutto il tragitto verso la macchina; finchè lui lo esclamò spazientito: « Bé, si può sapere che hai da guardare con quella faccia?»
L’altro ridacchiò: « Ma hai visto la faccia che avevi quando ti ha dato quel bacio? Così beato, così sereno…aaahh, l’amour, l’amour…- disse con aria ispirata – che figure ci fa fare, questo sentimento che ci rende così ciechi, ma estremamente felici, aaahh…»
Ben diventò rosso fino alla punta delle orecchie. Entrò nell’auto, al posto di guida, mise in moto il motore e cominciò a guidare verso il commissariato.
« Che è successo tra voi due questa notte, eh?» continuò Semir, con un sorriso sornione sulla faccia.
Ben prima alzò gli occhi al cielo, spazientito e sbuffò, poi, incapace di trattenersi, rispose: « Abbiamo dormito insieme. Nella mia camera».
Provò una piacere enorme ad osservare la sua faccia stupita, tanto che scoppiò a ridergli in faccia.
« Ma veramente?»
« Sì»
« Giuralo!»
« Te lo giuro. Ma non è come pensi tu» spiegò rabbuiandosi.
« Sì, certo…»
« Sono serio! Questa notte, mi sono alzato per andare a bere. Dormivo, o almeno stavo tentando di dormire, sul divano nel salotto. Fin qui mi segui?»
« Sì»
« Bene. Torno dalla cucina e la sento piangere nella mia camera. Entro, ed è avvolta nella lenzuola, la faccia nel cuscino, che piange. Allora, la prendo in braccio finchè non si addormenta. Così sono rimasto a dormire lì con lei; avevo paura che piangesse ancora».
Semir ascoltava rapito, tanto che non si accorse che erano arrivati.
« Sarà come dici tu – disse scendendo dall’auto – ma non puoi negare che ti piaccia parecchio. Come tu piaci parecchio a lei, del resto».
Ben si voltò di scatto: « E tu come lo sai? Te la detto lei?»
« Bè, in pratica… » disse con nonchalance.
« Che cosa? Ma tu se matto! Ma se la conosco solo da ieri!»
« Eh allora? Guarda come sei finito! Innamorato perso, non resisti due minuti  standole lontano…Ben si è innamorato! Ben si è innamorato!» lo canzonò Semir.
« Aaahh, smettila! Sembri tua figlia Asia, ma lei ha cinque anni!»
Semir tornò serio e gli poggiò una mano sulla spalla, sorridendo: « Tutto sommato sono contento: è bello vederti così. Sai, quando ne parli hai una luce diversa negli occhi, sei così…felice. La dovrò ringraziare. Bè, per ora preoccupiamoci di tenerla al sicuro» gli disse dandogli una pacca sulla spalla.
« Giusto!» rispose Ben entrando nel commissariato.
 
6.
 
Le prime ore, Rebecca le passò a guardare la tv, sfogliare i pochi libri presenti in casa e a girovagare.
Aveva sperimentato tutti gli attrezzi della palestra, si era immersa nell’acqua fredda per alleviare il dolore dei lividi (rischiando di finire in ipotermia), curiosato tra i vestiti di Ben e passato un’ora a fare zapping alla televisione sdraiata sul divano.
Stanca e affamata aveva deciso di preparare qualcosa per riempirsi lo stomaco.
Rimase allibita dopo aver aperto il frigorifero: vuoto. Totalmente, completamente vuoto. Due uova, qualche vasetto di yogurt e il succo avanzato dalla colazione.
Alla fine, il pranzo fu dell’altro succo e un barattolino di yogurt.
Rovistando tra i cassetti riuscì a scovare dei cereali rinsecchiti da poter mischiare allo yogurt. Almeno buttò giù qualcosa.
  
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