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Autore: Sam Lackheart    17/06/2013    1 recensioni
"Allora, come va?"
"Parlare non era incluso nella richiesta, o sbaglio?" lo interruppe l' inglese, smettendo di far vagare lo sguardo sulle varie bottiglie di liquore del bancone e posandolo su quello dell' americano.
"Allora avrei dovuto aggiungere 'a bere qualcosa e fare due chiacchiere'?"
"Beh, sì. Avrei avuto più motivi per rifiutare"
"Diciamo che ti ho ingannato"
"Diciamo che ho deciso di cascarci" pensò scettico l' inglese, mentre nascondeva lo sguardo dietro il suo bicchiere di scotch.
[davvero, io ci provo a scrivere UsUk carine e semplici. Ma non ci riesco]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Per lui potevano dire qualunque cosa, non gli importava: la sua capitale avrebbe sempre mantenuto quell' aspetto magico e quasi surreale, tangibile in quel momento: le nuvole grigiastre si appropriavano del blu notte carico di stelle, in un vorace banchetto che risparmiava ben pochi fazzoletti di cielo: da uno di questi si intravedeva la luna. 
Stava per piovere, Arthur Kirkland se lo sentiva: era come un primordiale richiamo della natura che lo spingeva ad uscire subito, senza ombrello. Si era ammalato non poche volte, ma non gli interessava neanche quello, anche se c' era qualcosa che gli sfuggiva. 
Perciò, quando piccole gocce iniziarono a cadere piano, non si curò e non imitò i passanti che si precipitavano sotto le entrate dei negozi o si ritenevano fortunati perchè erano usciti con l' ombrello; osservò di sfuggita i colori sgargianti dei vari k-way che spuntavano come funghi.
Sentiva la pioggia penetrare, attraverso la giacca, direttamente nelle sue ossa, come un benefico bagno purificatore che lo rendeva lindo e lo immacolava dai peccati che aveva commesso. Oh, sapeva di commetterne, e più di tutti a svantaggio di se stesso: nonostante ciò, era proprio da lui che non arrivava il perdono tanto desiderato.
Continuò a camminare imperterrito, a passi lenti e decisi, verso una meta sconosciuta: gli piaceva imbattersi casualmente nelle piccole cose che facevano della sua capitale una magia in movimento, una tragedia in atto: piccoli negozi di cianfrusaglie, strane e inquietanti esposizioni artistiche, una bicicletta abbandonata al suo triste destino di essere inesorabilmente bagnata da quello che ormai era diventato un acquazzone.
Per un attimo, credette di trovarsi in un sogno, e non per la sublimità e la semplicità di quel momento: semplicemente, si accorse di non sentire più le gocce cadere sui suoi capelli, e una strana aura rossa aveva invaso il suo campo visivo. Nonostante in genere fosse molto perspicace, quasi fastidioso, impiegò un lasso di tempo imbarazzante per accorgersi di essere sotto l' ombrello di qualcun' altro. 
Alzò gli occhi stanchi lentamente, prima di incontrare un paio di lenti bagnate e uno strano sorriso, sotto di esse. 
"Alfred" non era un' esclamazione - nonostante fosse curioso di sapere cosa ci facesse lì - nè un' improbabile domanda retorica. Era una semplice osservazione basata, purtroppo per lui, sui fatti. 
"Ancora la mania di girare senza ombrello? Non posso mica venire a recuperarti e curarti ogni volta!" esclamò l' americano, saltando palesemente la parte in cui si saluta. Ma non era questo l' importante, non in quel momento: Arthur capì infatti cosa aveva dimenticato. Era lui a curarlo, ogni volta - come aveva appena detto, con una nota non indifferente di autoaffermazione. 
Ecco, la magia si era spezzata. L' inglese era stato catapultato senza possibilità di tornare indietro nella realtà dei suoi affetti mancati, e dell' assoluto bisogno di questi. Si sentì piccolo, maledettamente piccolo e insignificante, e come ogni uomo che si rispetti, decise di incolpare non la sua fragile psiche, ma la prima persona che gli capitò a tiro.
"Sta' zitto, idiota" rispose brusco, senza mostrare la minima esitazione nei suoi occhi, nonostante la lacerante lotta interiore che stava avvenendo "Che ci fai qui?" chiese, non riuscendo - e in fondo non volendo - nascondere la sua curiosità.
"Volevo venire a trovarti"
"Immagino che adesso dunque tu non lo voglia più"
"Cos ..? Ah" esclamò l' americano, capedo al volo, o quasi "No, lo voglio ancora". A volte gli sembrava di parlare ad un bambino, attraverso tranelli e giochi di parole ostici, ma che in fondo gli piacevano.
"Quindi adesso puoi andartene" al silenzio dell' americano, continuò "Mi hai trovato"
"Allora diciamo che voglio andare a bere qualcosa con te. Sarebbe possibile?"
L' inglese rimase in silenzio. Non aveva nulla, in realtà, contro quell' armadio a due ante che lo guardava, speranzoso. Perchè avrebbe dovuto rifiutare? I miliardi di motivi che aleggiavano nella sua testa non riuscirono a farsi sentire mentre urlavano, disperati. 
"Ok" disse dunque, dando ascolto all' unica voce di cui si fidasse ancora. 
 
Il pub era deserto, nonostante non avesse ancora smesso di piovere. Si sedettero, senza la minima traccia di imbarazzo, anche dopo che, una volta ordinato da bere, calò il silenzio più assoluto. 
"Allora, come va?"
"Parlare non era incluso nella richiesta, o sbaglio?" lo interruppe l' inglese, smettendo di far vagare lo sguardo sulle varie bottiglie di liquore del bancone e posandolo su quello dell' americano.
"Allora avrei dovuto aggiungere 'a bere qualcosa e fare due chiacchiere'?"
"Beh, sì. Avrei avuto più motivi per rifiutare"
"Diciamo che ti ho ingannato"
"Diciamo che ho deciso di cascarci" pensò scettico l' inglese, mentre nascondeva lo sguardo dietro il suo bicchiere di scotch.
"Perchè sei sempre così difficile?" chiese Alfred  di colpo, pogggiando il bicchiere mezzo vuoto della sua birra rossa. 
"Forse sei tu ad essere troppo semplice" 
"Non mi hai risposto"
"Questa perspicacia ti è sempre appartenuuta oppure è un talento che hai sviluppato in questi ultimi anni?"
A quella risposta, l' americano si chiuse in un mutismo esemplare, ma l' inglese capì subito che non era offeso: si sarebbe sentito morire dentro, ormai conosceva troppo bene quella sensazione.
Uscirono lentamente come erano entrati, ancora in silenzio.
"Finalmente ha smesso di piovere" disse Alfred, più rivolto a se stesso che all' altro, che lo seguiva con lo sguardo a terra.
"Vorrei davvero che le cose fossero più semplici, tra di noi" aggiunse, dopo un attimo di finta esitazione. 
Arthur sembrò non sentirlo, mentre guardava il Tamigi scorrere, arrabbiato. Che ce l' avesse con lui? Si chiese, dubbioso.
"Perchè?" disse dopo un attimo, e non seppe, in quel momento, se lo stesse chiedendo al fiume o all' americano. 
"Perchè ci tengo a te"
Infastidito, l' inglese ebbe la tentazione di zittirlo: non parlava con lui. Ma poi il suono delle sue parole giunsero finalmente al suo cervello, dopo secoli di sosta sulla soglia delle sue orecchie.
Si voltò, veloce, e osservò, forse per la prima volta in vita sua, la sincerità negli occhi dell' altro: era quella la purificazione di cui aveva bisogno, quello l' unico motivo per il quale aveva deciso di seguirlo. Come si sentiva patetico, in quel momento.
Ma niente a che fare con la sensazione di sembrare l' essere più patetico dell' intero universo, mentre avvicinava lentamente le sue labbra a quelle screpolate dell' americano. 
 
"A cosa pensi?" chiese di colpo Alfred, rompendo il silenzio dei loro corpi nudi tra le lenzuola immobili.
L' inglese impiegò un pò di tempo per rispondere. A cosa stava pensando? Non lo sapeva. 
"All' alba. Ha lo stesso colore dei tuoi capelli" sussurrò. 
 
 
*** note ***
Blame on Patti Smith.
Ormai "finale no sense" è il mio secondo nome. 
  
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