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Autore: __21century    18/06/2013    6 recensioni
Dean Winchester è il capitano della squadra di football, è fidanzato con la ragazza più bella della scuola -Lisa-, ha tanti amici, le ragazze gli sbavano dietro e metà della popolazione maschile della scuola venderebbe un rene per essere nei suoi panni. Eppure, la sua vita non è come aveva desiderato. Orfano di madre, con un padre che sta tentando di non cadere in depressione e un fratello che progetta di andarsene al più presto possibile. La sua famiglia è solo un vago ricordo, oramai preferisce considerare suo padre il coach Singer. Le cose sembravano andare sempre peggio, quando un giorno un angelo, o qualcosa del genere, lo salva da quell'inferno che è la scuola. Occhioni blu, così lo chiamò la prima volta, pensando a lui. Dean riesce davvero a vedere la luce alla fine del tunnel, come se il lieto fino potesse davvero esistere.
Possibile OOC. Universo Alternativo. Slash.
Buona lettura!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fandom: Supernatural
Pairing: Destiel, Dean/Lisa, Megstiel accenni alla Sam/Jessica.
Rating: giallo per ora.
Beta: no way.
Genere: romantico. 
Warning: probabile ooc, au, slash.
Words: 2201/?
Capitolo: 1/?
Summary: Dean Winchester è il capitano della squadra di football, è fidanzato con la ragazza più bella della scuola -Lisa-, ha tanti amici, le ragazze gli sbavano dietro e metà della popolazione maschile della scuola venderebbe un rene per essere nei suoi panni. Eppure, la sua vita non è come aveva desiderato. Orfano di madre, con un padre che sta tentando di non cadere in depressione e un fratello che progetta di andarsene al più presto possibile. La sua famiglia è solo un vago ricordo, oramai preferisce considerare suo padre il coach Singer. Le cose sembravano andare sempre peggio, quando un giorno un angelo, o qualcosa del genere, lo salva da quell'inferno che è la scuola. Occhioni blu, così lo chiamò la prima volta, pensando a lui. Dean riesce davvero a vedere la luce alla fine del tunnel, come se il lieto fino potesse davvero esistere.


Buona lettura!


 




«Dean Winchester! Ti sembra questo il momento per fare un pisolino?»
La voce squillante della professoressa di Storia svegliò Dean. Quella insieme  alla sua mano vecchia, ricoperta di vene varicose e rughe che sbatté con violenza sul banco.
«Mi scusi...» bofonchiò, con la voce ancora impastata dal sonno. La notte prima era restato alzato fino alle quattro per aiutare il padre a sistemare la moquette dell’hotel. Idea geniale quella, davvero. Non poteva credere che il vecchio avesse davvero deciso di comprare quel posto e tentato di riavviare un’attività destinata a morire in pochi mesi. Cadeva a pezzi, maledizione! Era anche vero che avevano bisogno di ri-iniziare, dopo la morte di mamma, ma ognuno a modo suo. Dean voleva solo trascorrere più tempo con la sua bambina, ovvero l’auto che un tempo era del padre mentre Samuel, suo fratello, si era concentrato sugli studi, così da poter essere ammesso in un college prestigioso. Messa così, poteva sembrare che le cose stessero andando decentemente, mentre invece stavano cadendo a pezzi sempre più in fretta. John Winchester, padre, odiava tutto e tutti, persino i suoi figli. Era completamente impazzito, con i suoi pensieri di vendetta. Era convinto che ad appiccare l’incendio in cui la moglie aveva perso la vita fosse stato qualcuno, quando invece era stato solo un incidente. Dean aveva cercato di seguire le regole di John e di renderlo felice, ma si era rivelato tutto più difficile di quanto credesse. E, tanto per cambiare, la scuola lo stava pressando parecchio e Lisa, la sua ragazza, insisteva con il volere qualcosa di serio, invece delle solite scappatelle nei bagni pubblici. Dean Winchester non era un ragazzo da storia seria, non a diciott’anni.
La campanella suonò e quel suono era decisamente fastidioso per una persona che dormiva in piedi. Dean decise di saltare la lezione di Chimica, che in ogni caso riteneva inutile, così da poter bere un caffè al piccolo bar della scuola. Scese in fretta le scale, sperando di non incontrare qualche professore ficcanaso. Una volta raggiunto il bar, ordinò il suo caffè e si sedette al tavolino a fianco al bancone, quello che si nascondeva perfettamente dal corridoio. Riusciva comunque a vedere chi entrava lì e, quando vide Lisa, gli venne un colpo. Non voleva vederla, era troppo appiccicosa per i suoi gusti, ma allo stesso tempo lo conosceva così bene da sapere che si sarebbe rifugiato lì, quel giorno.
«Hey, Dean. Cosa ci fai qui?» gli chiese, sedendosi affianco a lui e spalmandosi al suo petto, come la nutella sul pane. Dean era infastidito da quel contatto. Lisa era davvero bella, aveva un corpo da urlo e tutto quanto, ma faceva dannatamente caldo. Il suo essere appiccicosa ora non sarebbe stato solo teorico, ma anche molto pratico.
«Lezione di chimica. In ogni caso non passerò l’anno, quindi...» rispose, con un sorrisino tirato.
«Non dire così... lo sai che ti voglio al college con me l’anno prossimo.» squittì lei, con quella sua vocina fastidiosa. Se c’era qualcosa che Dean non aveva intenzione di fare, era andare al college con Lisa. Piuttosto sarebbe morto.
«Ci proverò solo per te, piccola.» le disse, con una falsità a dir poco imbarazzante. Nel frattempo il barista aveva appoggiato una tazzina di caffè sul tavolino traballante. Dean voleva berlo subito, quand’era ancora bollente, ma Lisa sopra di lui glielo impediva. Alzò gli occhi al cielo.
«Bravo, tesoro.» gli disse in risposta e il suo tono di voce sembrò alzarsi di un’ottava, «Ora vado, ho le prove delle cheerleader e senza di me non sono capaci neanche di fare una capriola.» rise, stampandogli un bacetto sulla guancia e andandosene. Dean notò che muoveva i fianchi più di quanto fosse necessario per camminare; sapeva che lo faceva per lui, per farsi notare. Era un bello spettacolo, sì, ma restava una stronza. Era viziata, un’oca viziata. Allungò una mano e bevve il caffè senza neanche metterci lo zucchero, come gli piaceva. La cosa assurda era il fatto che tutti lo considerassero un grande, un esempio da seguire, quando invece era fatto di cocci che non riusciva a raccogliere. Stava con il capitano delle cheerleader ed era a sua volta il capitano della squadra di football, le ragazzine gli sbavavano dietro e più della metà dei ragazzi avrebbe venduto un rene per essere al suo posto. Davvero interessante. Fu distratto dai suoi pensieri da una voce familiare. Chi poteva essere se non il coach Singer?
«Non dirmi che stai saltando un’altra ora!” gli disse, con fare autoritario, sedendosi di fronte a lui. «Dean, sai benissimo che con questi voti non hai le credenziali per far parte della squadra. Alza il culo e fai qualcosa. Abbiamo bisogno di te.»
Dean lo sapeva bene, anche se la questione dei voti gli sembrava assurda. Tentò di ribattere, ma venne subito messo a tacere.
«So che non te ne frega niente, so che hai altro per la testa, come Lisa o quello che è. Lo so, ero come te io. E ora guardami! A fare il coach per una patetica squadra di provincia. Concentrati. E ora fila dalla preside.» gli intimò. Bobby Singer era stato come un padre per lui, da quanto aveva iniziato le superiori. Gli era stato vicino, perché aveva visto del potenziale in lui. Dean gli voleva bene e conosceva i motivi delle sue scelte.
«Dalla preside? Dai, no, Bobby!» lo implorò. Non voleva prendersi un’altra strigliata, non con tutte quelle cose per la testa. Bobby era irremovibile, però.
«Sì, fila. E smettila di chiamarmi Bobby, se ti sentono ti sgridano anche peggio.»
Dean guardò il coach andarsene, probabilmente ad allenare le matricole. Si alzò di malavoglia e si diresse verso la segreteria. Si fece dire dalla bidella se la preside era a scuola e con delusione ella le rispose di sì. Si sedette sulle scomode sedie rosse di plastica, sfondate. Al suo fianco stava seduto un ragazzo mingherlino, con la pelle del colore della luna. Capì subito che doveva essere qualche rappresentate di classe, da come era seduto. Cercava di occupare meno spazio possibile e stringeva una cartellina tra le braccia, mentre lui teneva le gambe stese davanti a sé, come a voler fare lo sgambetto a qualcuno e onestamente sembrava che stesse anche prendendo il sole.
Dean si voltò, così da poter osservare la gente passare per il corridoio. Sperava silenziosamente nel passaggio delle cheerleader, in tutina verde e nera, parecchio corta. Sentiva uno sguardo addosso, che gli perforava la schiena. Se ne accorgeva, quando qualcuno lo guardava, e quel rappresentate lo stava decisamente fissando.
«Che hai da guardare?» gli chiese, con troppa aggressività, girandosi di scatto. Vide il ragazzino arrossire e farsi ancora più piccolo. Aveva gli occhi azzurri, notò Dean.
«I-io... niente. Scusami.» rispose, prima un po’ indeciso poi con fare sostenuto. Si era sistemato meglio sulla sedia, quasi meno impaurito. Doveva essere del terzo anno, massimo del quarto.
«Cosa ci fai qui? Hai infranto qualche regola?» rise Dean, sapendo benissimo che non era quello il caso. Sghignazzò, con fare superiore.
Il ragazzo sollevò un sopracciglio, evidentemente infastidito.
«Mi occupo del giornalino della scuola che è stato sospeso in quanto non aggradava la preside.» spiegò, gli occhi fissi in quelli di Dean. «Sai, nell’ultima copia c’erano parecchie critiche al lavoro svolto da professori e compagnia bella.»
Dean notò il piccolo ghigno sul viso del ragazzo e se lo immaginò come uno di quei giornalisti infidi, che pur di avere una notizia avrebbero ucciso un uomo con le proprie mani. Poi il suo viso si distese in un sorriso e quell’impressione se ne andrò.
«Immagino. Non l’ho letto, però. Vedi di non farla arrabbiare troppo, che dopo se no mi sbatte fuori.» rise Dean e riprese a guardare la gente passare. Era la prima volta che vedeva quel ragazzino, anche perché aveva sempre reputato la gente del giornalino sfigata. Lui non sembrava un perdente, invece. Dean lo catalogò come “strano” e lasciò perdere. Dopo qualche minuto sentì la sua sedia muoversi e mentre si girava lo vide entrare nell’ufficio della preside. Sentì entrambi alzare la voce dopo qualche dialogo di cortesia. Il colloquio durò mezz’ora. Dean sperava di perdere anche l’ora dopo, aspettando lì, ma non andò così. Fu ricevuto in fretta e furia, non ebbe il tempo di dire una parola che si ritrovò una punizione e qualche avvertimento blaterato velocemente. La giornata proseguì come sempre, con Lisa che lo seguiva come un cagnolino, gli allenamenti e le lezioni che sembravano essere più noiose del solito. Quando suonò l’ultima ora, raccolse le sue cose con flemma e si trascinò nell’aula punizioni. Non c’era ancora nessuno e probabilmente non si sarebbero nemmeno presentati. Tanto meglio. Consegnò al docente il suo libretto scolastico che venne firmato con ben poca voglia. Prese posto all’ultimo banco, in fondo a destra. Buttò le sue cose a terra e si stravaccò sul banco, senza troppi complimenti. Era ora di farsi una dormita. Stava per appoggiare la testa quando il ragazzo del giornalino entrò nell’aula silenziosamente. Fece firmare il libretto anche lui e si sedette due posti avanti a lui. Non sembrava completamente nuovo a quel posto. Quell’ora sarebbe stata una delle più noiose della sua vita, tanto valeva evitare di renderla anche peggio.
«Psst. Hey, tizio del giornalino.» sussurrò, sporgendosi il più possibile verso di lui. «Dai, so che mi senti. Girati!»
Il ragazzino si voltò, accigliato. Sembrava quasi seccato. Dean dovette riconoscere che aveva davvero dei begli occhi blu. Dean gli sorrise, non il sorriso che riservava alle ragazze ma quello di quando passava il pomeriggio con Sammy, il suo fratellino.
«Ciao.» gli disse il ragazzo, atono. ‘Partiamo bene...’ fu il pensiero di Dean, che smorzò l’entusiasmo. Gli fece un segno con la testa, indicando la sedia al suo fianco. Sperava che il ragazzino non si facesse troppi problemi e che venisse a fargli compagnia. Con non poca sorpresa lo vide alzarsi per mettersi lì vicino. Il professore continuava a leggere il giornale imperterrito, con una tazza di.. tè? Di sicuro non era intenzionato a dargli compiti di castigo se avessero parlato.
«Sono Dean.» si presentò, tendendo la mano. Dopo un attimo che sembrò un epoca, l’altro si decise a stringerla. Stava valutando se farlo o no, manco avesse la peste!
«Castiel.» mormorò Occhioni Azzurri, come se si vergognasse. In un attimo, Dean fu catapultato nel passato, a quando sua madre gli raccontava degli angeli e di come loro vegliassero su di lui. Conosceva quasi tutti i nomi degli angeli e si ricordava perfettamente la loro ‘giurisdizione’.
«Sei nato di giovedì?» chiese, con un sorriso timido. Magari non c’entrava nulla la questione degli angeli con il ragazzo.
«Sì... non dirmi che conosci gli angeli e quelle cose!» rispose stupito Castiel.
Dean era internamente felice di averlo colpito, con così poco.
«Diciamo. Mia madre ne andava pazza.» rispose, tranquillamente. Il pensiero della madre era ancora doloroso, ma poteva cavarsela.
«Oh. Sei la prima persona che incontro a saperlo.» Ora il ragazzino sembrava curioso e di sicuro ben più disposto a intrattenere una conversazione.
«Che onore.» ridacchiò Dean. «Cos’hai combinato per finire in punizione?»
Aveva già una mezza idea che fosse stato l’incontro con la preside a portarlo in quel posto, ma preferì aspettare una risposta.
«Teoricamente il fatto che non abbia chiesto la professore se potevo andare dalla preside, in pratica non le sono piaciute le mie critiche.» rispose, con un sorrisino mesto, come rassegnato. Dean sapeva come andavano le cose in quella scuola; se non dicevi che era tutto bello e che tutto funzionava alla grande la preside ti faceva chiudere la bocca a furia di pomeriggi passati in quell’inferno.
«Immaginavo. Quella donna pensa solo a fare bella figura, quando le basterebbe concentrarsi davvero sui problemi che ci sono per farla. Ma hey, questa è solo la mia opinione.» disse, sapendo bene che Castiel condivideva. Se lo sentiva. Lo vide annuire, come se avesse la testa altrove. Magari tra le nuvole.
Passò qualche minuto e Dean stette zitto. Non sapeva cosa dire e Castiel sembrava preferire così. Rimase frastornato quando si mise a parlare, infatti.
«Che ne dici se ti salvo da qui?» chiese, quasi banalmente.
«E quale sarebbe il tuo piano geniale?» Dean inarcò le sopracciglia. Come se quel moccioso potesse aiutarlo a scappare. La sua arroganza gli dava quasi fastidio. Gli sembrava uno di quei ragazzini che si credono chissà chi e poi non sono in grado neanche di affrontare la morte del loro pesciolino rosso.
«Tu prepara la tua roba e non fare domande di nessun genere.» disse sbrigativo Castiel, per poi alzarsi di getto e andare dritto alla cattedra.
Dean lo sentiva bofonchiare qualcosa riguardo al non sentirsi bene, per poi vederlo uscire come se fosse uno zombie. Magari il fingersi malato sarebbe funzionato per lui, ma lui e basta. L’aveva fregato.
Passò un quarto d’ora, che Dean passò a pensare a quello strano ragazzo. Il nome già era bizzarro, il carattere poi! Sbuffò, ripensando al fatto che l’avesse abbandonato ad annoiarsi. Fu un attimo e sentì dell’acqua addosso, come se fosse sotto il diluvio universale. Sollevo il viso e notò che qualcuno aveva fatto scattare l’allarme anti-incendio. Beh, forse Castiel non l’aveva abbandonato come credeva. 
  
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