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Autore: White_099    18/06/2013    1 recensioni
Katniss è morta nei 74th Hunger Games.
Questa è la storia di come Prim sopravvive, di come da significato di nuovo alla sua vita.
Di come riesce a conservare quello che era prima, di come non cede alla crudeltà del mondo.
E' la storia dei denti di leone.
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Primrose Everdeen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Grazie ad Irene, se vi arrivano queste storie è anche colpa sua che mi sostiene sempre e ama Hunger Games come me.
So che odi le Gale/Prim, ma tanto prima o poi ti convincerò che sono tra le migliori.
TI voglio bene <3


Life goes on

Primrose Everdeen era una ragazzina come tante altre.
Primrose Everdeen era orfana.
Suo padre ormai non se lo ricordava nemmeno.
Morto troppo presto, quando lei era troppo piccola per poter avere ricordi da conservare. Ogni tanto, in qualche sogno, la visitavano immagini calde di mani callose che la tenevano delicatamente, di una barba mal rasata che le sfiorava la guancia, di gambe muscolose su cui si sedeva. Ma questo era tutto.
Non avrebbe mai saputo come era in suono della sua voce quando cantava, non l’avrebbe mai aiutato a portare la legna per il fuoco dentro casa.
Ormai l’aveva accettato, e suo padre piano piano si era sbiadito nella sua memoria ed era diventato un mito da conservare, con gli altri ricordi di tempi lontani e felici.
Ricordi di un tempo in cui la morte non esisteva.
Sua madre invece la ricordava benissimo.
Se ne era andata anche lei, quindici mesi e quattro giorni prima.
Lei che guariva la morte, lei che era in grado di far sparire le più brutte ferite, era stata portata via da una semplice febbre. Era troppo debole per resistere al freddo, alla fame e alla malattia, e si era spenta velocemente. Dopo tutto era ancora una ragazza di città.
I suoi capelli, una volta biondi come i suoi, si erano sbiaditi nel grigio della cenere, il poco grasso che la ricopriva si era consumato, fino a quando non erano sembrate restare solo le ossa.
Erano restate insieme fino alla fine. Prim le aveva continuato ad accarezzare la sua fronte sudata eppure gelata fino a quando il suo cuore non aveva smesso di battere.
Aveva continuato a sorriderle.
Il suo ultimo respiro, una nuvoletta di vapore che si stava disperdendo nell’aria, era rimasto sospeso per un po’ nella stanza. A Prim sembrava così irreale, che la persona che fino a qualche secondo prima viveva accanto a lei, ora non esistesse più.
Poi erano arrivati i Pacificatori a portare via il corpo, e tutto aveva preso consistenza.
Il dolore e la solitudine l’avevano avvolta.
Ma c’era stata anche un’altra persona nella famiglia di Prim.
Sua sorella. Katniss.
Katniss che era morta nei 74° Hunger Games.
Katniss che si era offerta al suo posto, che si era offerta perché lei non dovesse morire.
Katniss che si era immolata per lei di fronte a tutta Panem.
Tutta la scena prendeva vita non appena chiudeva gli occhi, un crudele replay della morte di sua sorella. Erano rimasti in tre: lei, Peeta e il Tributo del 2, Cato.
E Katniss era così forte, così coraggiosa. E Prim credeva davvero che sarebbe tornata da lei.
Perché gliel’aveva promesso.
E mentre dall’Arena arrivavano le immagini della fine dei Giochi lei continuava a sperare.
Nel Distretto ormai tutti respiravano allo stesso ritmo, gli occhi appiccicati allo schermo, sobbalzando e respirando insieme mentre guardavano i Giochi andare verso la loro inesorabile fine.
Le immagini ancora vivide si susseguivano veloci nella memoria di Prim. Gli ibridi. La corsa disperata.
Peeta che rimaneva indietro, i piedi di Katniss che scivolavano sul metallo dorato.
Ma ce l’avevano fatta. Avevano raggiunto la Cornucopia.
Ed erano due contro uno, Peeta e Katniss.
E Prim poteva sperare ancora.
Ma ora Cato aveva Peeta. E Prim sapeva che Katniss non avrebbe mai ucciso il ragazzo di cui era innamorata, neanche se ciò avesse significato tornare a casa. Erano immobili, tutti gli occhi degli abitanti di Panem su di loro. Nel Distretto nessuno si muoveva, nessuno respirava.
Sua sorella aveva incoccato velocemente una freccia, seguendo un segno di Peeta.
Stava per lanciare, e poi tutto sarebbe finito, finalmente.                                                                   
Prim stava per lasciarsi andare a qual sospiro di sollievo che non si era neanche accorta di trattenere.
Quando era successo. Un ibrido più piccolo e leggero degli altri era riuscito ad aggrapparsi al bordo della Cornucopia, vicinissimo ai pieni di Katniss.
Le aveva graffiato il piede, lei si era spostata e la freccia diretta alla mano di Cato aveva mancato il bersaglio.
E lui aveva colto l’opportunità al volo.
Aveva tagliato la gola a Peeta e poi si era avventato contro di lei.
Trafiggendola con la spada prima che lei potesse urlare. Un urlo di stupore che non avrebbe mai potuto emettere in gola, gli occhi ancora pieni del sangue di Peeta.
Prim aveva teso una mano verso lo schermo, cercando di afferrare quella di Katniss mentre precipitava giù dalla Cornucopia. Sentiva un dolore sordo in fondo alla testa, tutto martellava.
Era caduta a terra come un uccello nell’aria abbattuto da una freccia.
Sua madre l’aveva abbracciata forte, le aveva sussurrato va tutto bene, la voce spezzata dai singhiozzi.
Qualche giorno dopo erano arrivate dalla Capitale due casse nere.
Due casse che contenevano tutto ciò che restava di due vite spezzate. E loro erano là dentro. I visi bianchi come porcellana, gli occhi vuoti chiusi. Non c’erano ferite sui loro volti. Gli abiti bianchi in cui erano avvolti erano puliti e profumati.
Quella non era Katniss.
Questo era tutto ciò a cui Prim riusciva a pensare.
Katniss era sempre sporca di carbone, aveva i pantaloni strappati per le cadute nel bosco, i capelli sempre spettinati. Katniss tornava a casa con dei conigli morti infilati nella cintura e un sorriso soddisfatto sul volto. Katniss dormiva sempre con una gamba giù dal letto per poter scattare in piedi appena si svegliava.
Prim aveva serrato gli occhi fino a quando le bare non erano state chiuse.
C’erano poi stati i funerali. Ricordi sfumati di lacrime, strette di mano e abbracci. La mano tremante di sua madre nella sua. La sensazione del braccio caldo di Gale sulle sue spalle. La certezza che non l’avrebbe mai lasciata andare alla deriva.
E poi la vita era ricominciata, piano piano.                              
Ora Prim si trovava, per ironia della sorte, proprio nel posto da cui Katniss aveva provato così tanto a tenerla fuori. L’istituto, dove si “piazzavano” i bambini scomodi, quelli che non avevano famiglie a mantenerli.
Quando i Pacificatori l’avevano lasciata sola per prepararsi non aveva preso molto con se. Non aveva molte cose degne di essere conservate.
Lo specchietto da barba di suo padre, che aveva pulito ogni giorno da quando lui era morto.
Il nastro che la sua capretta Lady portava al collo, il nastro che Katniss le aveva comprato quel giorno, tanti anni prima.
Un grande libro con la copertina di pelle, stipato di disegni di piante fatti da sua madre e poi continuati da suo padre. Il libro che ormai aveva studiato fino a saperlo a memoria durante le lunghe notti in Istituto.
Ranuncolo, sempre più magro e deperito, ma sempre fedele, l’aveva seguita e ora viveva nascondendosi dai Pacificatori e cibandosi dei topi che affollavano le loro stanze.
Una spilla dorata a forma di Ghiandaia Imitatrice. Ancora macchiata di sangue su un’ala. Una spilla consegnatale dal Mentore di Katniss. Haymitch.
Prim non era stata spaventata da quell’uomo alto e muscoloso, con quella barba nera incolta sulle guance e l’odore di alcool nel fiato, che si era fatto spazio nella folla del funerale per consegnarle la spilla di Katniss, che gliel’aveva messa delicatamente in mano e aveva sussurrato qualcosa di incomprensibile prima di barcollare via. Lei aveva osservato per qualche minuto l’oggetto posato nella sua mano, e poi aveva stretto le dita attorno alla spilla.
Con questi ricordi infilati nella borsa di pelle di Katniss si era avviata verso la sua nuova casa.
E poi c’era Gale. Gale che era stato più di un migliore amico per sua sorella, e che le aveva promesso che non avrebbe mai lasciato accadere niente a Prim.
Quando sua madre si era ammalata aveva girato il Distretto dopo il suo turno in Miniera per trovare medicinali, provava a convincerla ad accettare di condividere più delle razioni di cibo della sua famiglia, ma Prim le rifiutava. Sua madre le aveva insegnato abbastanza da poter capire quando non c’era più niente da fare.
Ma Gale ormai non era più solo il migliore amico di sua sorella, era il ragazzo che l’aveva sostenuta in tutti quegli anni, quello che l’aveva abbracciata quando era rimasta sola a piangere sua madre.
Che era più di un amico ormai. Che le portava sempre una pagnotta calda quando la veniva a trovare perché sapeva che, anche se non l’avrebbe mai ammesso, Prim soffriva la fame.
Katniss aveva sempre trovato ironico che i cittadini di Capitol City non si facessero problemi a vedere ogni anno ventitré ragazzi massacrati, ma protestassero se si spargeva la voce che nei Distretti i bambini orfani morissero quasi certamente di fame.
Gale aveva aiutato Prim a capire che l’istituto non l’avrebbe mai cambiata, che era rimasta la ragazzina fragile e indifesa che piangeva se Katniss uccideva un cerbiatto.
Era rimasta dolce.
Era rimasta buona.
Ogni volta che la tristezza la assaliva pensava che Katniss le aveva donato la vita, e che certo non poteva sprecarla vivendola apaticamente.
Lei non avrebbe voluto che la sua morte la cambiasse. E per Prim lei era sempre vicino a lei.
Quando si stendeva sul materasso tarmato, quando lo stomaco le brontolava dalla fame, Katniss era lì a cantarle una ninnananna.
Quando i bambini andavano da lei per farsi medicare i tagli inflittigli dai Pacificatori, Prim si immaginava la faccia schifata di Katniss, la ricordava che si voltava e scappava nei boschi.
Prim sorrideva ancora.
Gale la andava a trovare, quando trovava il tempo, tra il lavoro in miniera e i problemi a casa, e insieme andavano a fare un giro per il Distretto. Visitavano il cimitero e Gale le comprava un dolce con i soldi che aveva risparmiato da mesi di stipendio da fame. Che aveva risparmiato per lei.
E oggi era uno di quei giorni. Con l’unica differenza che il giorno seguente ci sarebbe stata la Mietitura. Oggi Gale sarebbe venuto, come l’anno passato.
L’ombra di paura della Mietitura così vicina era una luce di paura nei suoi occhi, era l’abbraccio di Gale più forte del solito. Era una sfumatura di dolore nelle loro risate.
Prim sapeva di avere probabilità di venire estratta molto più alte di quelle di chiunque altro nel Distretto, ma riusciva a non pensarci quasi mai, con quell’innocenza che non era mai stata concessa a Katniss.
Ormai Prim era una giovane donna, temprata dal lutto e dalla sofferenza, ma aveva mantenuto la sua fantasia da bambina, che faceva sorridere Gale anche nei momenti più disperati.
Era scampata alla temuta Edizione della Memoria.
Ma Katniss era stata in assoluto una delle concorrenti più amate dal pubblico, e si mormorava che a Capitol City morissero dalla voglia di vedere sua sorella.
“Quasi dovessi essere una sua reincarnazione” si lamentò Prim con Gale mentre camminavano per il Distretto, tentando di scherzarci su.
Gale rise. Rideva sempre alle sue battute penose.
Il braccio che aveva attorno alle sue spalle la strinse forte. Nonostante ormai Primrose avesse quattordici anni e fosse cresciuta, tra lei e Gale restava una differenza di altezza impressionante, che la faceva sentire indifesa, che la faceva sentire ancora una volta la bambina che giocava con Katniss a nascondino, e che si preoccupava se non riusciva a trovarla. Poi Katniss usciva sempre, esasperata dal pianto della sorellina, e la abbracciava fino a quando lei non si convinceva che era stato uno scherzo.
Ma non questa volta, questa volta Katniss aveva giocato ad un gioco più pericoloso, un gioco da cui non si tornava indietro.
Prim sentiva le lacrime pungerle gli occhi, sentiva la tristezza lottare per invaderla, ma si concentrò sul sole che le batteva sulla pelle, sul terriccio che le pizzicava i piedi anche attraverso le scarpe.
Sul corpo di Gale vicino al suo.
Lui la strinse forte senza guardarla.
Non chiese niente. Non lo faceva mai.
Aveva trovato in Primrose un nuovo motivo per andare avanti e forse qualcosa di più.
Qualcosa era cresciuto tra loro, nell’ombra della paure per i Giochi, nel mezzo di così tanto dolore.
Qualcosa che forse un giorno sarebbe potuto sbocciare.
Era diverso, questo sentimento, da quello che Gale aveva avuto, che forse provava ancora per Katniss.
Katniss si poteva amare solo accettandola, sacrificando una parte di te. Era un amore, forse più potente ma distruttivo. Era un amore che forse non poteva esistere tra due persone così forti.
Primrose invece amava delicatamente
, ma quando sceglieva, sceglieva con determinazione. Amava incondizionatamente.
Ti entrava dentro, con pazienza, non curandosi dei difetti.
Non che non li vedesse, erano fin troppo evidenti, ma li sapeva accettare, con una comprensione che Katniss non aveva mai avuto.
Sapeva sopportare.
Katniss ti piegava con la sua forza, Katniss andava convinta del fatto che qualcuno potesse amarla.
Prim era solo da raccogliere.
Era un fiore delicato in mezzo ad un prato e aspettava solo una mano gentile che lo raccogliesse e lo proteggesse. Non avrebbe mai abbandonato.
Piuttosto sarebbe appassito, piano, in silenzio per non disturbare.
Ma Gale non aveva intenzione di lasciarglielo fare.
Mentre andavano al cimitero così abbracciati Gale si fermò, raccolse un mazzo di denti di leone e li offrì a Prim per metterli sulla tomba di Katniss.
Lei gli sorrise.
 
Katniss non era tornata, ma non tutte le storie possono finire male.


***
Angolino di White 
Gale/Prim, wow.
Non ci avevo neanche mai pensato fino a quando non mi è capitato di leggerne una, e mi sono innamorata di questo pairing <3
Comunque, spero vi sia piaciuta e che vi abbia tenuto compagnia come l'ha tenuta a me mentre scrivevo.
Recensioni negative, positive, neutre, corte, lunghe, medie, belle, brutte, sono tutte gradite :)
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui.
White
   
 
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