Ognuno di noi si alza la mattina; mette i piedi fuori dal letto, passando da un dolce dormire a un duro vivere.
Come prima cosa ci si guarda allo specchio. Il brutto di guardarsi allo specchio è che la maggior parte delle persone si domanda perché debba avere quel naso, quel mento, quel neo, quel fisico, quella pancia, quei piedi, quella faccia, quel tutto. Ciò che rende brutto guardarsi, in generale, è il criterio maligno con cui ci auto valutiamo. Quel non amarsi che ci butta giù, che ci fa rifiutare a volte noi stessi.
E allora uno che fa? Che fa uno che si rifiuta? Uno che non si vuole? Prega. Qualcuno. Qualcosa. Dice “Salvami”;”Tienimi a galla”, c’è chi lo dice a una persona, chi a un animale, chi a una passione. Tienimi a galla per vivere. Non farmi annegare in questo mare, non voglio esser trascinato dalla corrente fino al buio del fondale, a nuotare coi pesci che hanno rinunciato.
Tenetemi, tenetevi. Attaccatevi alla vostra ancora. Adesso, iniziate. La verità è che non esiste qualcuno che sappia star da solo: nessuna persona può vivere con se stessa, con quest’eco di rifiuto continuo. Siamo animali: selvaggi, sì, da morire, ma fondamentalmente incompleti. Separati, soli, non siamo nulla. Abbiamo bisogno di un’ancora bella forte per tenerci. E se perdiamo ciò che ci impedisce di annegare iniziamo una disperata ricerca di qualcosa che almeno assomigli a ciò che abbiamo perduto: una boa, uno scoglio, qualcosa che diventi la nostra ancora. E quando lo troviamo, finalmente, possiamo respirare meglio, nonostante continuiamo a imbarcare acqua nei nostri deboli polmoni. Vivere, pertanto, può essere riassunto in varie soste per riprendere fiato, mentre si vaga a nuoto in questo mondo di mare, immersi in una sola vera ricerca: quell’ancora che possa donarci sostegno, per prendere aria, per continuare. Vivere.