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Autore: Sibilla9    19/06/2013    4 recensioni
Stiamo nel 1179 e ci troviamo a Parigi.
Il mondo è sotto assedio quindi non c'è nulla di romantico, scordatevelo.
Vampiri classici ( fuggono dalla luce e combattono ) contro umani deboli e indifesi.
Elena e Damon da che parte staranno ? Solo una cosa vi posso dire: sono insieme.
Oh pov Damon !
Genere: Azione, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Matrona della Morte





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Da acoltare per tutta la Os ( se termina rimettetela please perchè è necessaria  ) Device - You think you know







Parigi, Anno Domini 1179
Il mondo era in piena guerra e solo disperazione e paura, ormai, albergavano nei cuori degli uomini, costretti a fuggire e a nascondersi come infimi scarafaggi.
        
εδ

Rivolsi gli occhi al cielo: quella era una notte limpida, piena di stelle e con una sfavillante Luna calante.
Ella ci concedeva le forze necessarie per combattere e noi ne eravamo succubi fedeli.
Osservai in basso e vidi le micragnose case e le infime botteghe degli uomini distrutte, o in procinto di esserlo, campi lasciati alla mercé delle cornacchie e dei roditori, strumenti da lavoro e carri fracassati nella piazza, mentre il silenzio faceva da piacevole accompagnatore all’oscurità assordante che mi circondava in totale rispetto.

Il caldo della stagione estiva faceva odorare chiaramente il tanfo asfissiante dei cadaveri in putrefazione lungo le strade aride, il quale ricopriva quello degli escrementi, delle muffe, dell’incenso e della paia secca e bruciata. Mosche, zanzare e pipistrelli non osavano approssimarsi alla mia riguardevole persona ma udivo chiaramente il loro lontano brusire alla disperata ricerca di carne per potersi cibare.
Avvertivo il terrore che si spandeva con il tiepido vento del sud, fin dove mi ero sistemato ad aspettare le mie prede annusando l’aree in eccitazione.

Ero accovacciato sulle punte degli stivali, vigile e guardingo, a gambe divaricate sulla parte più alta che avevo scorto.
Ai miei lati facevano la loro inquietante presenza due gargoyle della quasi del tutto distrutta  Cattedrale di Notre Dame.
Nella mano destra impugnavo con estrema pazienza l’elsa della mia spada a due lame, poggiandone la destra sul mio collo: ero pronto al massacro in caso fosse stato necessario.

Volevo uccidere e bere perché ero infinitamente assetato.
La fame mi logorava le viscere e m’ infuocava la gola rendendomi irascibile.

Diedi un’ occhiata ai miei soldati: i ribelli non ci avrebbero mai scorto quassù, ci confondevamo fin troppo egregiamente tra le tenebre.
Quello era il nostro posto, quella era la nostra natura.

Eravamo vestiti completamente di nero come le nostre armature che ci proteggevano soprattutto la parte sinistra del torace : dove c’era la parte più vulnerabile di noi, le spalle e le gambe.
 Ma io differivo dagli altri perché indossavo un mantello rosso e un elmo ricolmo di punte acuminate dal quale scendevano i miei capelli scuri e lunghi fino alle spalle.
Quelle non erano le sole difformità rispetto ai miei compagni: sulla destra del collo, sull’ impugnatura della mia spada e sulla cintura stretta sui fianchi, campiva,  in bella mostra, il marchio a fuoco dell’ insegna reale: Ecate.

Dea discendente dai Titani ed in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli Dei ed il regno dei Morti.

Unica eccezione al nero del mio vestiario erano i miei occhi indaco, di un colore unico e antico quanto la mia anima dannata.

Me lo sentivo nelle ossa: erano vicini, questa volta sarebbe stata la volta buona o, in caso avessimo fallito di nuovo, per i miei soldati: Alaric, Jeremy, Klaus ed Elijah, sicuramente, non ci sarebbe stata la possibilità di poter rivedere di nuovo la Luna. Aveva già ucciso con le sue mani Kol, Lexi, John e Finn. Un sorriso amaro mi attraversò il viso, ripensando ai di lei, non troppo velati, avvertimenti, nel frattempo che mi alzavo ad ispezionare la zona circostante.

Avrei ucciso volentieri tutti quei bastardi rivoluzionari, ma lei li desiderava vivi per la maggior parte, perché conoscevo cosa si celava nel suo cuore arido: vivi per torturarli a suo piacimento.
E gli ordini, anche se non espliciti, non potevano essere in alcun modo ignorati o raggirati: ero rinomato e temuto per la mia ceca e incondizionata fedeltà alla Regina.

εδ

Ad un tratto sentii un rumore e sorridendo guardai a terra, scorgendo delle ombre fuggire veloci per cercare con mal celata idiozia di raggiungere la Senna, per provare a bere o ad affogarci. Senza allarmarmi feci segno ai miei uomini di attaccare: erano stati degli sciocchi, per salvarsi avrebbero dovuto tenersi la loro sete.

Con la spada in mano arrivai, con un solo balzo, al rosone distrutto della cattedrale e inclinando la testa, divertito da quella caccia momentanea, spiccai il volo facendo volteggiare il mio mantello cremisi.
In un secondo toccai il suolo polveroso, piantando entrambe le lame nella schiena di un vecchio: lui tanto non sarebbe servito. Mi arrivò al petto un coltello, ma lasciando a terra la carcassa, me lo tolsi con svogliatezza, fino ad arrivare con passo deciso verso i miei soldati, intenti a catturare gli ultimi umani scappati dalla città che avevamo amorevolmente concesso loro per vivere.
Cercavano di difendersi con croci, acqua santa e recitando in latino, senza freni, salmi e lodi a Dio, se ancora esisteva.


Il SIGNORE è la mia luce e la mia salvezza;

di chi temerò?
Il SIGNORE è il baluardo della mia vita;
di chi avrò paura?
Quando i malvagi, che mi sono avversari e nemici,
mi hanno assalito per divorarmi,
essi stessi hanno vacillato e sono caduti.
 Se un esercito si accampasse contro di me,
il mio cuore non avrebbe paura…
(Salmo 27 )


Risi a più non posso per la loro stoltezza: come potevano  avere ancora coraggio ?
Feci roteare la spada sulla testa e ruppi i loro simboli che bruciavano la mia pelle candida e per ammutolirli del tutto squarciai la gola ad uno di loro.
Per non sprecare quel liquidi vitale, permisi ai miei quattro soldati di dissetarsi e poi feci definitivamente disporre, quel pregiato cibo, nei carri chiusi e serrati.

Perfetto, li contai: erano dieci uomini, tre fanciulli e quattro donne tra cui una neonata.
Li avevo recuperati quasi tutti e in più era nata una femmina.

Sentivo ancora le loro preghiere e le loro imprecazioni così come i loro pianti struggenti e la loro rabbia.
Quel terrore mi deliziava infinitamente, però, una volta giunti a destinazione battei brutalmente sul legno e feci loro crudeli minacce per farli stare zitti, perché a lei non piaceva udire simili lamenti.

Non potei non sorridere, pensando a lei …
La mia Regina sarebbe stata contenta dell’ infante: era utile per procreare altre fonti di sostentamento che, una volta cresciuti, ci avrebbero saziato.
Lei, lei e soltanto lei… crudele e spietata: Magnifica.
Indiscussa Dea della Luna e Matrona della Morte: Elena.

εδ

Ordinai di portare i prigionieri nel loro ghetto, da cui, mi ripromisi, non sarebbero più fuggiti. Non capivo a che pro fuggire ?
La libertà era solo un fattore apparente.
In fondo venivano trattati con riguardo, permettendo loro di lavorare al nostro servizio e di poter mangiare alle nostre spalle; tenevamo sotto controllo solo le nascite, certamente imponendo loro di nutrirci come, dove e quando ce n’era la necessità e obbligandoli a procreare, ma d’altronde quella era la nostra città ideale, non la loro.

<< Generale, la Regina chiede di voi. >> mi ridestai annuendo.

εδ

Mi tolsi l’elmo e, passandomi una mano tra i capelli, mi rassettai il vestiario.
A passo spedito mi diressi immediatamente nella sala del trono, ripensando fortemente alla mia sete.
Lei era la più spietata ed era così sadica da ledere, a chiunque, pian piano quel sottile filo che lega la vita alla speranza di una morte dignitosa.
Elena era la crudeltà fatta persona e io ne adoravo ogni singolo battito di ciglia o gesto aggraziato.

Arrivava : udivo in lontananza i suoi tacchi alti, ticchettavano sul lastricato marmoreo bianco venato di nero dello sfarzoso palazzo.
E già quello mi faceva fremere dalla voglia di assaggiarne le seducenti carni.
Lei era l’essenza vampiresca.

εδ

La porta venne spalancata dai suoi soldati: la sua armatura era lucida ma ad abbagliarmi era la sua straordinaria e perfetta bellezza.
Senza soffermarmi troppo a guardare i suoi meravigliosi occhi mi inchinai ad omaggiarla osservando le sue lunghe gambe strizzate in pantaloni neri aderenti che spuntavano fuori dagli spacchi centrale e laterali, vertiginosi, che aveva nella gonna rosso scarlatto a vita bassa e lunga fino a terra. Il suo corto bustino nero le terminava con una scollatura profonda sul seno, aderendo completamente, e lasciando la pancia in mostra ornata da una cinta di diamanti neri aderente alla sua pelle olivastra. Ai fianchi indossava un’ altra cintura di cuoio da uomo da cui pendeva la sua meravigliosa spada, l’ Ensis.
Dagli spallacci d’ oro bianco, decorati da punte, sulle spalle, scendeva il suo mantello nero che terminava in un breve strascico.
Il metallo di protezione continuava solo lungo il seno sinistro fino a fasciarle il busto, da sinistra a destra, arrivando sui reni, completamente scoperti, fino a raggiungere il retro del collo disadorno.
La fascia serpentina serviva per proteggerle il cuore.

Il resto del corpo non aveva protezione: in battaglia lei non usava scudi, io ero il suo scudo.
I capelli lunghi, lisci e scuri erano lasciati sciolti con le sue inconfondibili ciocche rosse e sulla fronte spiccava la sua corona: una sottile e pregiata fascia d’ oro bianco e piccoli diamanti rossi.
Li stessi che arricchivano anche la scollatura.

La pelle olivastra della sua mano destra, sulla quale possedeva un anello che terminava in un ampio bracciale sul polso, era meravigliosamente sporca di sangue : doveva essersi cibata da poco.
Mi guardò per bene ma non mi fece segno di alzarmi da terra, nel frattempo che lei si disponeva sul suo semplice seggio dorato, su cui si dispose accavallando le gambe in modo provocante.
<< Generale, mi hanno riferito che, finalmente, avete ricondotto alle mie amorevoli sottane tutti  i miei fuggiaschi. >>
Avevo fallito: una volta ero stato giocato e quello non lo potevo sopportare.
<<  Sì, mia Regina. >> deglutii perché sapevo che mi avrebbe fatto pesare il fallimento della notte scorsa.
<< Se avessi fatto da me ci avrei impiegato di certo meno tempo.>> fece un’espressione d’indolenza, portando le sue braccia ai braccioli vellutati di rosso del seggio e guardandomi malignamente.
Abbassai il capo, digrignando i denti: l’ avevo delusa e mi sentii un vero inetto.
Elena  si osservò la mano insanguinata, portandosela alle labbra ed io, sentendo  e vedendo il sangue scenderle lungo il braccio, inumidii le labbra: non mi era permesso di cibarmi dei prigionieri.

Io ero particolare …

Mi osservò e sorridendo impercettibilmente, si leccò le dita dallo smalto nero, per poi farmi segno di avvicinarmi ai suoi piedi:
<< Avete fame, Generale ? >>
<< Sì, mia signora, ma so come sopportarla. >> dopo cinquecento anni, sapevo come risponderle.
Lei mi affamava per rendermi più feroce in battaglia.
Inclinando il capo in un lato, guardandomi dentro gli occhi, fin troppo gentilmente mi porse la sua mano e io, guardandola annuire, gliela leccai, tenendola tra le mie.
La sensazione era inspiegabile: mi eccitava e mi faceva ardere come fuoco.
Poi d’ improvviso, con l’altra mano, mi bloccò il collo e se lo portò velocemente alla bocca, mordendomi con una ferocia che non aveva nulla di umano.
Il dolore fu intenso ma non osai dire nulla.

<< Sono il vostro comandante, non vostro cibo.>>
Alla fine  sputai a denti stretti e fiero mentre la ferita si chiudeva, intanto che lei ancora mi aveva tra le sue adorabili, quanto assassine, mani e si leccava le labbra dal mio sangue.

<< Credi che per me faccia alcuna differenza ? >>
<< No, assolutamente no, mia Regina. >>
Lei mi aveva trasformato: poteva fare di me quel che voleva.

Pulendosi gli angoli della bocca con le dita, aprì le gambe e per farmi disporre celermente all’interno. Dalla sorpresa, mi appoggiai ai braccioli del seggio, ma lei ridendo, sin troppo in fretta, mi baciò sulla bocca, sfiorandomi con le sue affusolate dita il marchio sul collo, portandomi ancora più vicino al suo corpo voglioso. Io non attendevo altro: schiusi immediatamente le labbra per farla entrare e poi morderle la lingua con denti affilati.

La sentii ritirarsi, quindi, sorridendo malvagiamente la presi violentemente per i capelli, portandomi il suo volto al mio baciandola, sentendo il sapore del suo sangue passare dalla sua lingua alla mia e poi fluire lungo la mia gola ardente e allo stomaco vuoto. Intanto le accarezzavo la schiena e i capelli, stando ancora scomodamente inchinato sopra di lei.

Mi staccò soddisfatta e io ne approfittai per mettermi in ginocchio e baciarle il seno prosperoso e la pancia levigata mentre lei si mordeva un polso, portandolo alle mie labbra, per concedermi di dissetarmi.
Poco dopo, mi tirò per i capelli spostandomi repentinamente da lei e guardandomi, mi ordinò:
 << Ora potete andare Generale Damon.>>
Riprese subito: << Al mio risveglio, pretendo la vostra presenza nei mie alloggi. >>

<< Mia Regina. >> mi inchinai indietreggiando da lei, saggiando ancora tra le mie labbra inaridite il suo nettare prelibato, pensando intensamente: “Mia Elena” …

 Lei voleva la Terra tutta ai suoi piedi e l’avrebbe avuta: io gliela avrei data.












Spazio personale:

Che dire ... mi è venuta così ....

E io la amo !

Grazie a chi la leggerà e a chi avrà l'accortezza di farmi sapere la sua opinione.

Ciao !

P.s Ricordo a tutti la mia favolosa Long ;-P - Delena - 1864/65 : Cambio d' Ali - La Cura.
   
 
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