Lechatvert
Salve!
Sotto
maturità si scrive di più, sarà per il
caldo, sarà perché ogni volta che cerco di
studiare trovo migliaia di cose più interessanti da fare.
Una di queste è Da Vinci's Demons. Un'altra è
Girolamo Riario. Mi sono chiesta come una persona simile ha "iniziato"
a uccidere, visto che lo fa a sangue freddo in ogni singolo episodio.
Ebbene,questo è quanto è scaturito dalle mie
riflessioni.
Buona lettura, e buona fortuna a chi, come me, è sotto maturità! :D
La
chiamavano Papavero, e Girolamo Riario ne ricordava
perfettamente le fattezze, le risate, i capelli, tinti dello stesso
rosso delle
fiamme dell’Inferno.
Danzava come le spighe di grano al vento, cantava come un usignolo in
vista
dell’alba. Era la figlia di Madonna Manfredi e Francesco
Ordelaffi, il signore
di una Forlì ormai caduta ma che conservava un
bell’aspetto.
Quando si incontrarono per la
prima
volta, Girolamo Riario aveva appena compiuto dodici anni. Bianca Maria
Ordelaffi, così si chiamava, ne aveva undici.
I loro genitori impegnati in un importante incontro diplomatico; lui
scappato
alla custodia del padre che lo voleva presente, lei dimenticata a
cucire su una scalinata del suo stesso palazzo.
Riario
ricordava la sua voce flebile fuoriuscire dalle labbra sottili
quando ella si presentò, scusandosi per chissà
quale scortesia. Aveva
un suono frivolo ma piacevole.
« Dovete perdonarmi se le mie mani sono così
martoriate », gli disse, quel
pomeriggio, quando lui le prese tra le sue. « Non sono ancora
molto brava a
ricamare i fazzoletti ».
Lo disse con rammarico, anche se un piccolo sorriso brillava sul suo
volto,
quasi si facesse forza divertendosi con il suo stato.
Lui aveva scosso il capo, stringendo quelle dita sottili per omaggiare
con
un piccolo bacio. Subito lei si era ritratta, arrossendo, ma i suoi
occhi verdi
erano felici.
Dopo quel pomeriggio, Girolamo aveva pregato suo padre di organizzare
un
altro incontro. Aveva dovuto aspettare un mese, ma dopo
quell’estenuante attesa
vi erano state molte feste, molte cerimonie, molti eventi a cui gli
Ordelaffi
erano stati invitati. Le famiglie cominciavano a parlare di
fidanzamento,
qualcuno sospettava un’unione strategica con i signori di
Forlì; per Girolamo,
non erano altro che occasioni per baciare di nuovo quelle mani.
E fu proprio durante un battesimo, quando all’imbrunire gli
invitati si
erano ritirati all’interno per la cena, che la
invitò a seguirlo verso la
campagna.
« Venite con me », le disse, incamminandosi a passo
spedito. « C’è un
ruscello, dietro la collina ».
Bianca Maria rise, seguendolo senza indugi e prendendolo a braccetto
con
soddisfazione. Il mese prima aveva compiuto tredici anni, evidentemente
ora si
sentiva adulta, perfettamente scusata a saltare una cena di famiglia
per
passare del tempo con un esponente della famiglia del Papa.
Passeggiarono a lungo, attraversando la campagna e discorrendo su
ciò che era
accaduto dall’ultima volta in cui si erano visti.
« Mia cugina Beatrice ha preso marito », gli disse,
scrutando con
attenzione la sera scurire il panorama.
« Deve essere stato senz’altro un’unione
felice », constatò Girolamo.
Si guardò un po’ attorno, fin quando non
trovò la ripida scalinata di
pietra che scavalcava la collina.
« Da questa parte! »
Si arrampicarono su quella scalinata abbandonata dai fattori che un
tempo
l’avevano costruita, rovinando i loro vestiti puliti e
graffiandosi la pelle
sui rami selvatici delle vigne.
In cima, la vista si apriva sulla vastità della campagna
illuminata
soltanto dalle lanterne di qualche contadino in procinto di fare
ritorno a
casa.
Sorridendo, Girolamo prese la mano di Bianca, avanzando verso quel
paesaggio
sconfinato.
Lei, però, non si mosse.
« Non dovremmo essere qui », mormorò,
tentennante. « Ci staranno cercando
».
« Il torrente è qui sotto. Non ci vorrà
molto! »
Ma ancora, la ragazza non si mosse.
Girolamo si voltò a guardarla, lasciandole la mano.
« Cosa c’è ora? »,
sbottò.
Lei sussultò.
« Io … non ci voglio venire »,
mormorò. « Girolamo, perdonatemi, ma vorrei
tornare indietro! »
« Vi sentite male? »
Girolamo non capiva.
Bianca sospirò, mortificata.
« Non voglio restare da sola … con voi. Non si
addice a una signora,
capite. Vi prego, non prendetevela a male, cercate di capire
… »
Non riuscì a finire la frase.
La delusione che Girolamo provò dopo la prima frase si fece
tristezza, e da
tristezza divenne rabbia prima che la ragazza riuscì a
concludere il suo
discorso. Era evidente che lei non lo amasse, che lo aveva soltanto
preso in
giro.
Troppo ferito per pensare, la colpì con il suo bastone da
passeggio,
guardandola cadere a terra sulla terra sporca della collina. Con lucida
freddezza riprese il bastone e la percosse ancora, una volta, due
volte, tre
volte, fino a che il braccio non gli fece troppo male per continuare.
Mentre la picchiava lei urlava, tendeva le mani per proteggere il suo
grazioso visino. Lui piangeva e gridava più forte, e ad ogni
lacrima che egli
versava, i colpi diventavano più forti.
Quando Girolamo posò il bastone, lei aveva ancora la forza
di
rialzarsi, di
guardarlo, spaventata e dolorante, dal viso che era stata fin troppo
brava a
proteggere.
Non disse una parola, si voltò e cominciò a
correre verso le scale.
Girolamo non la lasciò scappare e la raggiunse, afferrandola
per le spalle.
Lei gridò pietà, lui la gettò
giù dalla collina, facendola rotolare su
quella ripida scalinata che per giorni aveva progettato di mostrarle.
Soltanto quando il corpo della ragazza si fermò tra le
campagne, Girolamo fu
in grado di realizzare quanto era appena successo. Gli cadde tutto
addosso: la
delusione, la tristezza, le grida, la violenza e la sua folle idea di
punire la
causa della sua rabbia.
« Bianca! »
Raggiunse velocemente il corpo della sua amata, scostando la chioma
rossa
dal suo viso. La guance erano bianche, sporche di sangue, e le labbra
rosee,
dischiuse, assieme alle sopracciglia aggrottate esprimevano terrore.
Attonito, Girolamo la prese tra le braccia, baciando quella fronte
pallida,
accarezzando le morbide goti della ragazza quasi incantato.
Il colore dei suoi capelli, ora dipingeva sinuose figure sulla sua
pelle
profumata di lavanda. Gli occhi suoi verdi, fissavano il cielo scuro
della
notte.
La chiamavano Papavero, e Girolamo Riario non l’aveva mai
amata tanto come
in quel momento.