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Autore: nanettaportasfiga    21/06/2013    1 recensioni
Dodici grilletti, dodici fucili puntati verso il suo petto esplosero in un grande fragore.
Un Governo che non transige.
Un'orfana da plasmare.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

 
Portò una sigaretta alla bocca, aspirandone il fumo nel tentativo di alleggerire la tensione che aleggiava nella cabina; il movimento ondulatorio del veicolo lo rendeva inquieto, a discapito dei nervi pronti a crollare. Non lo sorprendeva che quel pomeriggio fossero tutti silenziosi, avvolti in uniformi militari e turbinii di pensieri.
Se il tabacco non gli avesse fornito una temporanea via di fuga dalla realtà di ciò che stavano per compiere, non dubitava che l’ansia e la paura si sarebbero prese possesso di lui. Aveva intravisto il terrore negli occhi dei più giovani, di coloro che avevano da perdere molto più di lui; inevitabilmente il suo pensiero andò alla moglie ed alla figlia nata da poco.
Aveva ereditato i suoi grandi occhi scuri ed era sinceramente compiaciuto che gli assomigliasse anche per il ribelle ciuffo di ricci che le copriva la testa: si poteva intravedere, nonostante le fattezze infantili, che  sarebbe stata molto simile al padre una volta cresciuta.
Si costrinse a sorridere, dopotutto, e spense la sigaretta in un piccolo bicchiere di vetro prima di buttarla ed infilare la mano in tasca, alla ricerca del pacchetto semivuoto.
Osservò con sguardo critico il cartoncino consunto ed il contenuto: non erano rimaste che poche sigarette, e Dio solo sapeva quanto rimediarne altre era diventato difficile. Decise di non lasciare spazio ai dubbi e ne estrasse una seconda, con le mani che gli tremavano appena.
Poche ore ed il Governo sarebbe caduto.
Poche ore e, invece del Governo, sarebbero caduti lui ed i suoi compagni.
Riconosceva sui loro volti una cieca determinazione, ma li conosceva abbastanza da sapere che i loro cuori celavano più timori di quanti ne volessero dare a vedere;  Alexei d’altro canto fissava il vuoto senza battere ciglio da almeno mezz’ora, le braccia massicce incrociate al petto. Ethan dubitava che, dopo aver perso casa e famiglia, avesse qualcosa di cui avere paura. Non conosceva a fondo la sua storia, ma non nutriva dubbi riguardo al fatto che la sua mano destra non fosse magicamente scomparsa per essere sostituita da una protesi in titanio; girava voce che fosse stato torturato, al punto da essere amputato, ma non si era mai curato di smentire o confermare il pettegolezzo. Era semplicemente superiore a tutto ciò, ed Ethan non aveva mai smesso di nutrire una profonda ammirazione per lui.
Ciononostante, non riusciva ad estraniarsi da quella situazione similmente ad Alexei; aspirò l’ultima boccata di fumo e lasciò che fosse qualcun altro ad annunciare la notizia. Al momento, sapeva che la sua voce avrebbe tremato.
Erano arrivati a destinazione.
 
Non c’era nulla nell’ampia via che si parava loro dinnanzi, alla quale bellezza nemmeno le foto rendevano giustizia, che gli ricordasse le tortuose strade di Zot: l’intera squadra represse maldestramente lo stupore ed Alexei non se lo lasciò sfuggire. 
<< La morte non si mostrerà mai col suo vero volto. È ingannevole e sfuggente; non saremo mai altrettanto astuti, ma vivere sotto il suo giogo non è più concepibile. Ricordate, è per questo che lo facciamo. Son… Siamo stanchi. >>
Nessuno fino a quel momento era stato capace di dar voce al proprio stato d’animo; Seth, il più giovane tra di loro, che aveva da poco compiuto diciannove anni, sembrava particolarmente scosso.
Non fu una sorpresa per la squadra vederlo impallidire leggermente, forse dopo essersi reso conto di ciò a cui stava andando incontro. Ethan provò una certa compassione nei suoi confronti: per la giovinezza così evidente sul suo volto e nel modo in cui incassava le spalle, per la promessa di speranza che incarnava e per le aspettative che gravavano su di lui, dal momento che si era dimostrato un ottimo elemento.
Per questo fu felice che fosse finito nella sua stessa formazione per quella missione: fu affidato loro il controllo del tratto di strada sul quale si affacciavano due grandi edifici dalla pianta esagonale. Mancavano due ore alla parata militare celebrativa che, secondo i loro piani e complotti, avrebbe visto il principio della caduta del Governo, e la tensione era palpabile.
Ethan avrebbe voluto fumarsi un’altra sigaretta per smaltirla, ma non era sicuro farlo dove poteva essere visto: il tabacco era illegale da circa vent’anni e, nonostante il commercio in nero fosse in aumento, il suo consumo prevedeva l’arresto immediato, con conseguenze implicite che tutti conoscevano ma che nessuno osava nominare.
Per questo si limitò a picchiettare nervosamente le dita sulla fondina che portava appesa alla vita, nascosto nell’ombra tra gli edifici. Seth si voltò verso di lui, evidentemente in preda all’ansia.
Lanciò un’occhiata al petto del compagno, al centro del quale, all’interno di una mascherina trasparente, era appesa una foto dai colori vivaci: in essa era raffigurata una donna dal volto tondo, incorniciato da morbide onde color cioccolato, che teneva in braccio una bambina.
Questa teneva i pugni ben alzati in aria con espressione quasi di sfida, nonostante fosse evidente che avesse appena pochi giorni, ed una buffa ciocca di capelli che le ricadeva sulla fronte.
Seth la indicò con un dito, deglutendo appena: << È tua figlia? >> Chiese sottovoce, quasi temendo la risposta.
Le labbra di Ethan si stesero in un sorriso, quindi passò una mano sulla barba incolta, con la stessa espressione soddisfatta. << Sì, aveva due settimane quando abbiamo scattato questa foto, qualche giorno fa. La mia guerriera. >>
Nonostante fosse palese la  fierezza con cui ne parlava, Seth distolse lo sguardo, puntandolo al cielo.
<< Allora forse non saprai perdonarmi. >>
Non abbassò il tono di voce, eppure Ethan non fu in grado di sentirlo.
Contemporaneamente infatti, una pallottola sfondò la sua tempia sinistra.
 

***

 
Una piccola crepa si era aperta sul bordo della tazzina, là dove il dito si era fermato; vi passò ancora una volta il polpastrello, scivolando lungo il bordo, poi lo fece di nuovo.
Sapeva che non era veramente sua, quell’abitudine: era consapevole  di farlo col solo desiderio di ricordare Ethan nei suoi gesti. Non era necessario che qualcuno l’avvertisse, incaricasse un ufficiale di annunciarle la morte del marito; il Governo non aveva ovviamente rinunciato ad esibire la propria vittoria.

 
“Ancora una volta, l’Armonia, la Giustizia, hanno dato prova di essere più forti dei seminatori del Caos; ancora una volta hanno  vanificato un attentato ai danni dell’Equilibrio che si è riusciti a stabilire.
Avversari della Pace hanno provato a pervertire la loro essenza, a versare sangue innocente lungo le vie della Capitale, pianificando un attacco
durante la parata Celebrativa volta ad onorare le Vittorie in terra straniera.
Ma hanno fallito, e l’Equità ha trionfato ancora.”

 
Le parole del Governo, proiettate sulla volta celeste così da essere ben visibili a tutti, le avevano fatto raggiungere  la consapevolezza che Ethan non si sarebbe più unito a lei, non avrebbe più potuto abbracciare sua figlia e vedere quanto, di giorno in giorno, diventasse a lui più simile.
Per questo Julie aveva dovuto allontanarsi dalla bambina. Per una passeggiata, si era detta. Era fuggita di casa in preda al panico quella mattina, lasciandola sola ed addormentata nella culla, e nonostante fosse lontana dall’abitazione poteva avvertire i suoi pianti perforarle i timpani, infilarsi sottopelle come aghi e tormentarla costantemente.
Era una pessima madre, così come era stata una pessima moglie, incapace di badare alla salvezza dell’uomo che amava. 
<< Ne è valsa la pena, non credi? >>
Gracchiò senza paura di essere udita, una mano tra i capelli arruffati ed un ghigno sul volto.
<< La gloria, la speranza… Credere è servito a qualcosa, no? La sopravvivenza, la promessa di giustizia. >>
Posò un palmo sul ventre,  improvvisamente addolcita.
<< Sta per nascere, Ethan. Una femminuccia. >> Gli occhi le si inumidirono. << Come la chiamiamo? È una bambina forte, lo sento. Fa male. >>
Si rannicchiò sullo schienale della sedia col fiatone, le lacrime impastate alla polvere sul viso. Strinse i pugni sulla canotta leggera, graffiando la pelle sottostante fino a farla sanguinare; si piegò in due, come colpita da una fitta, artigliandosi i fianchi sottili ed urlò.
La gola bruciava, già irritata per le lacrime, ma il dolore era troppo intenso, un’agonia troppo vivida per ignorarla.
<< Ethan, toglila da lì, uccidila, toglila, fa troppo male… >> gridò alle pareti spoglie del locale. Non c’era nessuno, in quel bar abbandonato allo scoccare del coprifuoco, che potesse aiutarla.
<< Ti prego, non la voglio >> lo strepito si trasformò in una supplichevole litania senza risposta.
Ethan, Ethan, Ethan Ethan Ethan Ethan.
Le porte di vetro si spalancarono e, nonostante Julie non sentisse che un fragore attutito, sorrise. Aiuto.
Alzò lo sguardo, raggiante verso gli uomini in divisa, le mani macchiate di sangue lungo i fianchi martoriati.
<< Ethan è sopravvissuto. Sopravviverò a questo dolore, Ethan è sopravvissuto, vivrò. >>
Dodici grilletti, dodici fucili puntati verso il suo petto esplosero in un grande fragore.




***
Angolo autrice! Questo è un progetto iniziato un po' per caso, piuttosto velocemente per
i miei standard, e quindi non vuole avere grandi pretese.
La seconda parte del prologo è sicuramente meno riuscita, ma ero terrorizzata all'idea di non
trasmettere tutto ciò che volevo; spero di non aver esagerato.
Bene, non c'è molto da dire! Spero di piaccia (:

  
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