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Autore: jjk    21/06/2013    1 recensioni
perché mai un giovane profiler,che sa che i mostri che si nascondo alla luce del giorno sono più di quelli che abitano le tenebre,dovrebbe ancora aver paura del buio?
Tutti si fanno la stessa domanda quando guardano Spencer Reid,l'unico che ancora non riesce a spegnere la lampada sul suo comodino.
Ma forse la risposta a questa domanda ha radici più profonde di quanto ci si possa aspettare
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Derek Morgan, Jennifer JJ Jareau, Spencer Reid
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Entrò nella stanza avendo trovato la porta aperta.
La notte era già calata e il buio avvolgeva tutto.
Tutto tranne quella stanza.
Era abbastanza piccola e l’abatjour ancora accesa sul comodino la illuminava quasi completamente.
Seppellito sotto le coperte c’era un ragazzo.
O meglio, sembrava un ragazzo, perché proprio quel giorno aveva compiuto 30 anni.
Oramai era un uomo.
-Ancora dormi con la luce accesa ragazzino?- disse con voce scherzosa l’uomo appena entrato facendo svegliare l’altro di soprassalto, il quale non gradì affatto.
-Hai ancora paura del buio Reid?-continuò prendendolo in giro.
Spencer gli rivolse uno sguardo gelido mentre cercava di frenare la rabbia.
-Perché sei qui Derek? È tardi, dovresti essere a dormire-
-Ti ho visto strano oggi e volevo sapere come stavi. Insomma oggi è il tuo compleanno e non puoi addormentarti con questi pensieri in testa. Qualsiasi sia ciò che ti turba se vuoi puoi parlarmene. Voglio aiutarti-
-E ti sembra questo il modo di aiutarmi?!Venire di soppiatto in camera mia, svegliarmi di colpo e prendermi in giro per le mie paure?!!!-
Il suo tono aveva perso il gelo iniziale ed era diventato piano piano sempre più aggressivo.
Il giovane si rese conto che stava urlando e cercò di calmarsi, senza avere molto successo.
-Per favore vai via-disse a quello di colore che lo stava guardando con aria stupita e contrita al tempo stesso.
Reid non si arrabbiava mai, ma questa volta era furioso e la causa era proprio lui, il suo migliore amico che si era sempre promesso di proteggerlo dal dolore.
Invece quella volta aveva toccato un tasto dolente che aveva fatto scattare il dottore sull’attenti.
-Ho detto esci-continuò con tono piatto che tradiva la su ira.
-Spencer…..Io non….-
-Morgan vattene!!-gli gridò allora, ma l’altro non si mosse di un millimetro.
-Continui a chiedermi perché ho paura dell’oscurità. Ti interessa davvero tanto o vuoi solo prendermi in giro?!Io credo di più la seconda!!Hai tanto tatto quando si tratta delle vittime e dei loro familiari. Quando si tratta di chiunque, ma non quando si tratta di me!!L’unica cosa che riesco a pensare è che forse la cosa ti diverte tanto!!Adesso te la faccio io una domanda: Perché tu non hai paura del buio?-
Derek rimase stupito da quella domanda. Non ci aveva mai pensato.
Forse Spencer voleva dirgli che se avesse risposto a quel quesito avrebbe capito, per la legge del contrario, anche perché l’amico non spegneva mai la luce.
Ma adesso l’unica cosa che voleva era rimediare all’errore che aveva fatto.
Aprì la bocca, ma non riuscì a dire nulla con quegli occhi da cucciolo puntato addosso, con un infuriato sguardo accusatore.
-Esci. Torna in camera tua. Qui puoi solo peggiorare la situazione-gli spiegò Reid con la voce rotta dalle lacrime che stavano per fare capolino sul suo viso.
Non ce la faceva a vederlo in quello stato, così gli si avvicinò per consolarlo, ma quello lo spinse via.
-Vattene!!-
-No, io non me ne vado. Non posso lasciarti in queste condizioni-
Grazie a Dio finalmente le parole erano uscite dalla sua bocca.
-Ho detto vattene!!-urlò il giovane con tutto il fiato che aveva in corpo.
Se gli altri non si erano ancora svegliati(in caso stessero già dormendo)lo avevano fatto ora.
-Non costringermi a spingerti verso la porta!-
Sapeva che non ci sarebbe mai riuscito.
Morgan era troppo forte per lui, ma l’aveva detto lo stesso per fargli capire che quella volta non avrebbe ceduto.
Non aveva speranza di aiutarlo in qualche modo, lo avrebbe solo ferito di più ed era l’unica cosa che non avrebbe mai fatto di proposito, così aprì la porta e, una volta in corridoio, se la richiuse alle spalle.
Appena lo fece le lacrime sgorgarono copiose dagli occhi di Reid.
Vide i suoi colleghi affacciati alle proprie camere e aspettò che qualcuno facesse la domanda che era scritta sui loro volti.
-Cos’è successo?-chiese Prentiss
-Non lo so-rispose
-Cos’ha Reid?-
Questa volta fu Hotch a parlare che, come se la squadra fosse la sua famiglia, si preoccupava sempre per tutti loro.
-Io…..Non lo so. Non vuole parlare con me, mi ha cacciato. Non l’ho mai visto così arrabbiato-
-Ci penso io-disse JJ.
Tutti sapevano che con lei avrebbe parlato, o almeno lo speravano.
Se anche lei avesse fallito avrebbe voluto dire che la situazione era molto grave.
-Voi tornate a dormire. Domani sarà di nuovo tutto come sempre-
Tutti annuirono e rientrarono nelle stanze, compreso Morgan che non riusciva a levarsi quella reazione contrita e sgomentata, causata dalla reazione dell’amico alle sue parole e cercava disperatamente di capire cosa aveva detto che lo aveva potuto ferire  in quella maniera.
Risuonavano nella sua mente le dure parole che l’altro gli aveva vomitato addosso, accusandolo di divertirsi nel farlo soffrire.
Non avrebbe mai detto quelle cose se non ci avesse pensato parecchio.
Doveva essersele tenute dentro per troppo tempo e finalmente era esploso
Ripensò a tutte le volte che lo aveva preso in giro.
Per lui era sempre un gioco, ma evidentemente per Reid era un continuo essere messo in ridicolo davanti a tutti.
Davanti alla squadra come davanti a perfetti sconosciuti con cui doveva per forza avere a che fare a causa del suo lavoro.
Si rese conto solo in quel momento che non si era mai preoccupato di ciò che provava la sua vittima preferita.
Come aveva fatto ad essere così stupido?!
Eppure era un profiler!
Si maledisse e si ripromise che, se mai il genietto glielo avesse permesso gli avrebbe subito chiesto scusa.
Vedendolo così stranito JJ gli diede una pacca sulla spalla.
-Non ci pensare, ok? Qualsiasi cosa ti abbia detto non lo pensa davvero.  È solo nervoso. Lo sai che è sempre così il giorno del suo compleanno da quando Gideon se ne è andato-
No, non lo sapeva.
O meglio non ci aveva mai fatto caso.
Quanto poteva essere stato cieco!
La donna gli sorrise vedendolo tornare a dormire e, dopo aver aperto la porta affianco, scomparì nel buio che c’era oltre la soglia.
-Derek ti ho detto di andare via!!-
Il giovane provò, ma il pianto che stava cercando di soffocare non glie lo consentì.
-Non sono lui. Sono JJ-Rispose avvicinandosi a lui.
Solo allora riuscì a vederlo.
Malgrado la sua manica del pigiama fosse fradicia, il volto  era ancora completamente rigato di lacrime.
Sentì un colpo al cuore.
La situazione era più grave di quello che pensava.
L’altro si asciugò velocemente gli occhi nella vana speranza che l’amica non si accorgesse di nulla.
-Se ti ho svegliato mi dispiace. Non volevo…..-
-Smettila di fingere che vada tutto bene-lo zittì lei sedendoglisi vicino e avvolgendolo con le sue braccia.
Quell’abbraccio infranse la debole barriera che aveva cercato di costruire attorno al suo dolore e ricominciò a piangere, affondando il capo nella spalla della donna che le accarezzava i capelli come una madre fa con il proprio figlio.
-Sono anni che va male-mormorò dopo qualche minuto, trovando il coraggio di confidare a qualcuno quel segreto che da tempo lo faceva soffrire.
-Di cosa parli Spence?-
-
Io…….Io……..Non l’ho mai detto a nessuno e…….-
L’esitazione di cui erano impregnate le sue parole dimostravano quanto la cosa fosse importante e personale per il giovane agente.
-Non dirò niente a nessuno, tranquillo. Lo giuro-
-Lo so. Mi fido ciecamente di te-le disse mentre prendeva qualcosa dal cassetto del comodino che gli porse con mano tremante, come se fosse in grado di ferirlo.
La bionda prese in mano quello che si rivelò essere un plico di cartoline contenente anche una lettera.
Una sola di cui, malgrado non l’avesse mai vista prima, era certa di conoscerne il contenuto, in una busta bianca su cui, in grani lettere, c’era scritto “Spencer”.
-Cosa sono queste?-domandò senza aprirle, ma intuendo la riposta.
-Non chiedermi perché me le porto dietro. Non saprei dirtelo. Me ne arriva una a natale e una per il mio compleanno. Ogni anno da quando se ne è andato. Sempre.-
Fece una pausa e poi continuò.
-Ero felice di partire così non l’avrei ricevuta prima del mio ritorno a casa, ma sembra quasi aver deciso di torturarmi. Sono sempre poche parole, ma…….-
-……..Fanno male-comprese lei completando la frase mentre osservava attentamente ciò che aveva in mano.
Ogni cartolina raffigurava un posto diverso e i messaggi scritti sul retro erano sempre molto brevi.
“Non mi sono dimenticato di te Spencer. Tanti auguri!”
“Come va all’unità? Salutami tutti e auguragli buon natale da parte mia”
Inutile dire che lui non l’aveva mai fatto.
“Mi dispiace non esserci stato al funerale di Haley,ma non posso tornare. Spiegalo tu a Hotch, anche se penso che lo sappia già. Comunque buon compleanno!”
Reano tutte molto simili, così JJ smise di leggerle e si limitò ad osservare le foto dei posti, a volte belli, a volte no.
-Perché non ci hai mai detto nulla? In fondo…..-
-Si forse avrei dovuto dirvelo. Dopotutto c’erano anche dei messaggi per voi, ma credo che lo sapesse che non ve lo avrei mai detto-
-Ti conosceva abbastanza bene da capire come avresti reagito-disse lei rileggendo le cartoline.
Ognuna portava la data in cui era stata scritta.
Forse fu solo per quello che si accorse che ne mancava una.
Si rivolse  all’amico che ancora piangeva, ma senza emettere un suono.
Gli asciugò le lacrime e infine lo fece notare anche a lui.
-Spence, manca quella di quest’anno-
-No, non manca-rispose l’altro tirando su con il naso.
Poi si alzò e andò a prendere qualcosa nella sua fedele tracolla.
-Le hai lette tutte?-le chiese.
-Mi manca solo l’ultima-
-La più importate-mormorò lui, così piano che lei a malapena lo sentì.
Non sembrava diversa dalle altre se non fosse che raffigurava una cittadina poco distante da Washington, ma questo la biondina non lo sapeva.
C’era scritta qualche riga in più del solito.
“Ho saputo che ha nevicato a Quantico! Vi siete divertiti? Già vi immagino a giocare a palle di neve. E come devono essersi divertiti Henry e Jack!
“un momento…..”pensò leggendo
“….come faceva a sapere di Henry? Lui se ne era già andato quando scoprii di essere incinta”
Concentrarsi su questo non la avrebbe portata a nulla, così continuò.
“Domani rincontrerò Stephen dopo tanto tempo, spero che mi abbia perdonato E tu? Per ora non importa, ma sappi che prima o poi ci rivedremo te lo prometto. Buon natale”
Quando alzò gli occhi il dottore le stava porgendo un computer portatile su cui era già aperta una mail.
-Non manca l’ultima, è solamente in un formato diverso-
-Come fa da avere la tua mail? Nemmeno io la so!-
-Me l’ha creata lui quando mi ha reclutato nell’FBI.Era logico la sapesse-
-Come fa a sapere di Henry?-chiese allora lei, ma come risposta ricevette solo un cenno che indicava il PC .
Solo quando cominciò a mettere a fuoco le parole riuscì con difficoltà ad udirlo pronunciare le parole che prima gli erano rimaste incastrate in gola.
-Era lì.ad un soffio da noi e non…….-si bloccò sentendo una lacrima percorrere il sentiero già tracciato dalle sorelle.
Non poteva piangere ancora per lui, non se lo meritava.
Regnava il silenzio nella stanza, ma non nella mente della donna che poteva sentire la voce di Gideon  pronunciare le parole che erano sullo schermo luminoso.
“Mi dispiace Spencer. So che non si inizia mai con un ‘mi dispiace’, ma questa volta dev’essere così perché ho capito di aver sbagliato. Non ad andare via, ho sbagliato con te.
Dovevi poter dimenticare e io invece ti ho costretto a ricordare.
Vorrei non averti mai spedito nulla, forse ora mi odi solo di più e avresti ragione. Mi ero illuso di poter avere ancora un qualche rapporto con te, ma ho capito che se è  senso unico non è un vero rapporto. Forse temevo solo che ti scordassi di me e mi sostituissi con qualcun altro. Scusami.
Ho sbagliato anche a parlarti di Stephen. Mi ha perdonato e mi ha presentato sua moglie e le sue figlie, ora siamo a tutti gli effetti una famiglia.
Sono a pochi km da te, ma questo già lo sai vero? Non ho avuto il coraggio di bussare alla tua porta e me ne vergogno, ma  voglio farmi perdonare e manterrò fede alla mia promessa. La prossima volta che ti parlerò sarà di persona.
Per ora….Buon compleanno Spencer”
Alla fine c’era la foto dell’ex-agente con il figlio e la famiglia di questo e tutti sorridevano felici.
Finalmente comprese perché l’amico era sempre così…..così arrabbiato il giorno del suo compleanno e spesso anche a natale, ma c’era ancora una cosa che non riusciva a spiegarsi.
-Perché hai litigato con Morgan?-
-Io…..Io….Mi dispiace, sono stato uno stupido, non dovevo urlargli contro, ma……Non sono riuscito a trattenermi-
-Cosa ti ha detto di preciso? Non saresti scoppiato per un nonnulla-
Quanto lo conosceva!
Era una cosa che adorava, ma a volte non avrebbe voluto che si accorgesse proprio di tutto.
-Una stupidaggine, nulla di davvero importante-
-Se non me o vuoi dire non importa, ho sentito tutto-
Che stupido era stato a credere che nessuno avesse udito le loro parole!
Probabilmente tutta la squadra aveva ascoltato ogni singolo momento del “litigio” se così si poteva chiamare perché alla fine ad arrabbiarsi era stato solo lui.
-Allora perché me lo chiedi?-
-Perché sei t che lo devi capire in fondo. Io so ciò che vi siete detti, ma non perché ti sei infuriato-
Lo aveva messo con le spalle al muro e finalmente comprese.
Non era mai stata “l’intrinseca mancanza di luce” a fargli paura.
Seduto sul letto si portò le ginocchia al petto e nascose in esso il viso, tant’è che JJ fece fatica a capire cosa stesse mormorando.
-Non è solo la lue ad essere portata via-
-Cosa vuoi dire?-
-L’ho spenta, la mia lampada, quella notte. Doveva essere orgoglioso di me, altrimenti se ne sarebbe andato, perché gli latri bambini dormivano al buio e lui preferiva gli latri bambini a me, e invece doveva volermi per rimanere. Io avevo bisogno che restasse, così ho lasciato che la luna fosse l’unica portatrice di luce. E poi mi sono addormentato, ma al mio risveglio lui non c’era e non l’ho più visto fino ad un paio di anni fa-
Stava parlando del pare.
Quel padre che era andato via lasciandolo solo a cecare di crescere mentre si occupava della madre schizofrenica.
Il peggior padre del mondo.
-Sai, anche lui mi scrive ogni tanto. Le sue lettere sono sempre lunghe, ma io non riesco mai a scrivergli più di un paio di righe-
Piano piano tutto stava diventando più chiaro per la donna che, con una mano sul suo braccio, senza parole, lo incitava a continuare.
-Forse ti sembrerà sciocco, ma credo sia per questo-
-Non è sciocco, ma è successo una volta, tanto tempo fa. Non accadrà più-
-Non è vero!-protestò asciugandosi con violenza gli occhi che non ne volevano sapere di smettere di lacrimare.
-Anche lui credeva fosse così. Diceva di volermi bene, di avere fiducia in me. Di essere orgoglioso di me, ma se davvero lo era perché…….-
Si fermò per riprendere fiato e per cercare di placare la rabbia che il dolore del ricordo gli suscitava.
-Volevo dimostrargli che le mie paure infantili le potevo sconfiggere, così sarebbe stato fiero di me. Mi sarei dimostrato degno di essere stato scelto dall’FBI e forse avrei riempito il vuoto lasciato da mio padre. So che non dovevo aspettarmi nulla del genere, ma l’inconscio non si può governare, per quanto io ci abbia provato. Allora ho fatto un secondo tentativo: ho spento ogni luce della casa e ho chiuso gli occhi.
Ilo giorno dopo non è venuto a giocare a scacchi e l’ho aspettato. Dio solo sa quanto l’ho aspettato. Ma non è venuto. Il buio aveva portato via anche lui. È una cosa irrazionale, lo so, ma è successo. Forse il buio non inghiotte davvero le persone. Non quello che ci circonda almeno-
Sapeva a cosa si riferiva.
Non credeva ce esistessero i mostri come credono invece i bambini.
O meglio non intendeva i mostri come quelli classici che popolavano fiabe e racconti  di ogni epoca, ma era profondamente convinto che ci fossero.
Solo che erano molto più subdoli e meno dominabili di quelli di cui il folklore di tutto il mondo parlava.-
Stephen King stesso lo aveva detto: “I mostri sono reali, e anche i fantasmi sono reali. Loro vivono dentro di noi e qualche volta loro vincono”.
Era un profiler.
Conosceva la mente umana molto meglio di quanto avrebbe voluto e sapeva come funzionava, non poteva quindi ignorare quei mostri che abitavano dentro le persone e che le portavano infine a diventare quelli che loro chiamavano SI.
Certo non tutti reagivano allo stesso modo: Gideon e suo padre se ne erano semplicemente andati.
Non avevano fatto del male a nessuno.
A nessuno tranne a lui.
Gli avevano lasciato delle ferite che, a quanto pareva, non avevano nessuna intenzione di guarire.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per aiutarlo a superare tutto ciò, ma era fin troppo consapevole che anche lei aveva peggiorato la sua sindrome abbandonica.
Se ne era andata, aveva lasciato il BAU.
Era stato solo per alcuni mesi, ma l’aveva fatto.
Non di sua spontanea volontà, lei non avrebbe mai scelto di andarsene dalla sua famiglia, ma la cosa importante era che fosse successo.
Lo ricordava il suo sguardo da bambino, colpito ancora una volta nei suoi affetti più profondi, con gli occhi lucidi che minacciavano di piangere da un momento all’altro malgrado lui cercasse di controllarsi.
Sarebbe voluta rimanere lì per consolarlo, ma non poteva.
Avevano continuato a vedersi,certo,ma lei sapeva che se avesse avuto bisogno di lei mentre erano sul campo, lei non ci sarebbe stata e lui sarebbe stato solo.
Non l’avrebbe chiamata per il troppo timore di disturbarla e si sarebbe rivolto a Morgan o a qualcuno degli altri solo s non ne avesse potuto fare a meno.
Lei lo aveva lasciato solo con i suoi fantasmi e non se lo sarebbe mai perdonato.
Ma non aveva combinato solo questo: il danno che aveva fatto era stato ben più grave di quello stupido allontanamento.
Lei gli aveva fatto credere che Emily fosse morta.
E la morte è la peggiore forma di abbandono che esista poiché è irreversibile.
OK, quella di Prentiss non lo era, ma lui si era fidato delle sue parole e aveva pianto per mesi la morte di una delle sue più care amiche, e lo aveva fatto sulla sua spalla.
Cosa che aveva incrinato i loro rapporti quando la verità era venuta a galla.
Riconquistare la fiducia di Spencer era stato difficile, ma mai quanto convivere con la consapevolezza di essere la causa della sua sofferenza.
Di lui, a cui la vita aveva già giocato troppi tiri mancini, a cui aveva regalato fin troppi dolori, soprattutto per mano delle persone che amava di più.
E lei era tra loro.
Tra tutti quelli che lo avevano fatto sentire solo, indesiderato, fragile e vulnerabile.
Ed ora era lì e avrebbe dovuto dirgli che tutto sarebbe passato, che non avrebbe più sofferto, che i mostri non esistevano, quando sapeva che era una bugia.
No, non se la sentiva di dirlo e, peggio ancora, non poteva pronunciare le uniche parole che avrebbero fatto sentire meglio il giovane genio.
“Nessuno ti abbandonerà più”.
Non voleva perché non sapeva se davvero sarebbe stato così.
Sarebbe potuto morire qualcuno, oppure essere trasferito, o decidere di abbandonare tutto e tutti come aveva fatto Gideon.
Non poteva far uscire dalla sua bocca quelle parole perché se fosse successo, se qualcuno lo avesse di nuovo abbandonato sarebbe stato come se lei lo avesse tradito un’altra volta, dicendogli l’ennesima bugia.
E questo non doveva succedere.
-Non bisogna vergognarsi delle proprie paure-disse infine.
Era l’unica frase che il suo cervello era riuscito a produrre.
-No JJ. Davvero pensi che non dovrei? Ma come posso non vergognarmene se tutti voi le avete superate?-
-Non è vero. Ognuno di noi ha la sua paura-
-Già, ma quanti di voi hanno mille paure come me? Io  non ne ho solo una e lo sai. Chi di voi ha ancora paura del buio?-
La donna non rispose.
Nessuno di loro aveva più paura del buio sin da quando erano bambini .
Avevano imparato a sconfiggere anche gli incubi che il loro lavoro gli procurava e che, invece, qualche volta, costringevano ancora Reid a lunghe notti insonni.
Non sapeva cosa dire anche perché lui conosceva già la risposta alla domanda che aveva posto.
-Non sforzarti di inventare qualcosa che possa farmi sentire meglio. Conosco la verità. Nessuno ha paura dell’oscurità. Nemmeno Jack ed Henry-
Vedendo la faccia interrogativa dell’amica si affrettò a spiegargli come lo sapeva.
-L’altro giorno sono rimasti a dormire da me-
Lo ricordava.
Lei, Will, Hotch e Beth erano andati a cena fuori e, dato che Henry sarebbe stato da Spencer, Jack aveva insistito per poter andare lì anche lui insieme al “cugino acquisito”.
-Li ho messi a letto e stavo per andarmene lasciando accesa una lucetta sul comodino quando Henry mi ha fermato. “Puoi spegnerla zio. Siamo grandi, ormai non abbiamo più paura del buio”-
La donna face una smorfia.
Possibile he suo figlio, per quanto in buona fede, dicesse sempre la cosa sbagliata?!
-Non fare quella faccia. Avevano ragione, sono grandi e quando si cresce quella paura più di tutte le latre deve scomparire. Ma io sono strano e infantile e anche i miei timori lo sono-
Ma perché pensava sempre cose del genere?!
Non aveva nemmeno un briciolo di autostima?!
Evidentemente no.
-Ma come ti salta in mente una cosa del genere?!Tu sei speciale, non strano!-
-Le stesse parole che mi ripeteva mia madre. Non mi convincevano allora e non mi convincono adesso-
Meglio lasciar perdere questo punto perché, se era vero che era un po’ strano(in senso buono però!)di certo non era infantile.
-Davvero credi di essere infantile?-
-Certo. Non lo sono forse?-
-No che non lo sei! Spence…..Sei stato tenuto in ostaggio e rapito così tante volte che ho perso il conto. Sei morto per qualche minuto, sei diventato farmacodipendente e sei riuscito a ripulirti…..-
 
Chissà perché stava rivangando tutte l sofferenze che aveva patito?
-Hai visto milioni di morti, salvato migliaia di vite, fatto ragionare serial killer. Ti hanno sparato, hai preso l’antrace e ne hai scoperto l’antidoto impedendo che altri venissero contaminati, ma rischiando di morire, eppure non ti sei fatto prendere dal panico e sei rimasto lucido aiutandoci a risolvere il caso.
Per non parlare del fatto che sei riuscito a prenderti cura di una madre schizofrenica per cui preoccupi sempre…..-
-Si, infatti appena ho potuto l’ho rinchiusa in una casa di cura. Dopo tutto quello che aveva fatto per me! Sono un pessimo figlio ,ecco cosa sono!-
-L’hai fatto solo per il suo bene! E sei riuscito a crescere senza un padre, ad andare avanti dopo Gideon. E mi hai perdonato per Emily-concluse in un sussurro sperando che fosse così.
-Queste non sono cose da persona infantile, ma da persona adulta,matura.Da persona forte-
Lo guardò in faccia.
Non sembrava convinto di ciò che lei aveva detto, ma non voleva contraddirla.
In fondo, forse, anche lei sapeva perché il giovane avesse ancora paura di molte cose, prima tra tutte dell’oscurità.
Si ricordò di quelle volte che sua madre e suo padre le facevano vedere che non c’erano mostri sotto al letto, e quante volte lei e Will lo facevano con Henry.
Ma chi lo aveva fatto con Reid?
-Sai perché non hai mai smesso di avere paura del buio?-
L’altro ci pensò su.
Ci aveva ragionato per anni.
Perché malgrado tutto ciò che sapeva non aveva paura di affrontare un nuovo caso, ma aveva il terrore di spegnere la luce?
-No-mormorò infine
-Perché nessuno ti ha mai insegnato come si fa-gli rispose lei.
Aveva paura di aver sbagliato, di averlo ferito di nuovo.
Ma lui aveva un’aria distante, perso nei suoi ricordi di quando era bambino.
Dopo una giornata passata a studiare per il liceo o l’università e dopo aver preparato la cena accompagnava sua madre a letto, non prima di averla costretta a prepararsi per la notte, si metteva accanto a lei e lei gli leggeva sempre qualcosa.
A volte si addormentava prima di riporre il libro e lui ne approfittava per accoccolarsi accanto a lei e dormire nel grande letto matrimoniale che per i suoi stupidi sensi sapeva ancora di papà.
Sentiva ancora il suo odore tra le lenzuola e i cuscini, malgrado li cambiasse personalmente ogni  settimana.
Sentiva il suo odore ,malgrado fossero passati anni da quando era andato via, solo perché lo ricordava alla perfezione.
Eppure neanche lì riusciva a premere l’interruttore che avrebbe reso tutto nero.
Ma più spesso era lui stesso ad interrompere la madre mentre leggeva vedendo che era prossima ad addormentarsi.
Le deva il bacio della buonanotte e sua madre lo abbracciava dicendogli sempre la stessa cosa:
“Sogni d’oro piccolo mio. E stai attento! Ricorda che i cattivi sono ovunque”.
Dopodiché lui andava nella sua stanza e si raggomitolava sotto le lenzuola fissando la piccola lucetta che teneva lì vicino.
“Ora la spengo” si riprometteva ogni notte.
E ogni notte chiudeva gli occhi senza aver mantenuto la promessa.
Ci provava ,costringendosi a ricordare le ultime parole che suo padre gli aveva rivolto dopo l’ennesima discussione con sua madre, dove lui minacciava di andarsene e lei lo pregava di restare.
Era andato da lui che era già a letto e, vedendo la luce accesa, convinto che dormisse, aveva detto con voce sconsolata:
“Spencer, Spencer. Possibile che ha dieci anni ancora non riesci a spegnere quell’aggeggio?!Tutti i bambini non hanno più paura del buio da tempo ormai. Tutti tranne mio figlio! Ma che ho fatto di male per meritarmi tutto questo?!Una mogli schizofrenica e un figlio super-intelligente che spara statistiche a raffica, ma che non riesce a stare al buio! Poteva andare peggio di così?”
Poi se n’era andato.
Lui si era tirato su appoggiandosi sui gomiti e aveva spento l’abatjour.
Suo padre s e ne sarebbe accorto, sarebbe stato orgoglioso di lui e sarebbe rimasto con loro….
Poi il giorno dopo si era svegliato.
Sua madre piangeva e suo padre era sparito portando con sé tutte le sue cose.
L’aveva fatto.
Alla fine se n’era andato.
L’oscurità l’aveva preso per sempre.
-Ehi. Tutto ok?-
Le parole di JJ lo svegliarono dal suo sogno, o meglio dal suo incubo ad occhi aperti.
Aveva paura di aver detto qualcosa che non doveva dire.
Lo poteva leggere nei suoi occhi colmi di preoccupazione.
Forse  doveva dirle qualcosa per tranquillizzarla, ma il suo cervello era completamente preso da un altro pensiero che la sua bocca non riuscì a tacere.
-Se spengo la luce qualcun altro mi abbandonerà-
Maledisse la sua voce infantile e incrinata dal pianto, e si senti stupido ad aver detto quella frase.
Lei lo guardò con dolcezza, sentendo il suo istinto materno risvegliarsi.
Lo abbracciò forte.
Reid si stese sul materasso e lei accanto a lui, sempre circondandolo con le sue braccia.
-Spegni la luce Spence. Se lo fai non succederà nulla. Io resto qui con te. Non ti abbandonerò mai.-
Sentiva che stava piangendo e allungò un amano per asciugare quelle lacrime che, sperando di non essere viste, silenziosamente avevano cominciato a bagnare il viso del giovane genio.
Anche lui allungò la mano, ma per porre fine alla sua più grande paura, quella che per tutta la vita lo aveva oppresso e che finalmente aveva trovato la forza di combattere, anche se non da solo.
 
Il giorno dopo aprì li occhi al suono del suo cellulare che squillava incessantemente.
Grazie a Dio era la sua sveglia e non una chiamata di qualche membro della squadra, cosa che avrebbe significato guai.
Si guardò attorno e notò che la su a amica aveva mantenuto la promessa: lei era ancora
 Lì.
Andò a farsi una doccia e quando uscì dal bagno la trovò in piedi, già vestita.
-Buongiorno JJ-
-Buongiorno Spence. Hai finito in bagno? Dovrei lavarmi….—
-Si, si scusa. Vuoi che ti aspetti?-
-No. Raggiungi gli latri e digli che fra poco scendo-
Lui fece come gli aveva detto e, appena giunto di sotto, trovò tutti intenti a fare colazione.
Fece per unirsi a loro, ma Morgan lo prese in disparte prima che potesse sedersi.
-Reid…A proposito di questa notte ….Io volevo scusarmi per…..-cominciò a dire, ma il più giovane lo interruppe prima che potesse finire la frase.
-Derek, ti chiedo scusa per ieri sera. Io non volevo aggredirti in quel modo e tanto meno volevo dirti quello che ti ho detto. Non lo penso nemmeno un po’.So che per ,me ci sarai sempre e che non mi feriresti mai intenzionalmente-
-Però lo faccio, non è vero?-
Lo sguardo dell’altro lo convinse di aver centrato il bersaglio.
-Come pensavo. Perdonami per tutte le volte che ti ho ferito. Non ti prenderò più in giro. Prometto-
-Non fare promesse che non puoi mantenere……E poi…..Se non lo facessi non saresti più il Derek Morgan che conosco e questa è l’ultima cosa che vorrei. Fai finta che ieri non sia successo nulla ok?-
-OK, amici come prima-
“No” pensò Spencer
“Amici Più di prima” ma non disse nulla.
Tornarono dagli altri a cui nel frattempo si era aggiunta JJ.
Li guardò e sorrise.
Aveva ragione la bionda: non sarebbe successo niente se spegneva la luce.
Ed ora si sentiva preparato ad affrontare il suo vecchio mentore.
Lo avrebbe  trovato cambiato più adulto, temprato dalle sofferenze che la vita gli aveva regalato dopo Gideon, ma anche dalle gioie.
Anche quelle lo avevano cambiato.
Henry in primis.
Ma soprattutto lo avrebbe trovato pronto a capirlo, a perdonarlo, a volergli di nuovo bene.
Avrebbe trovato un nuovo Spencer.
Uno Spencer che non aveva più paura del buio
 

nota:qualche tempo fa mi sono rivista l'episodio 2x6(l'uomo nero) e mi sono chiesta perchè,malgrado tutto quello che ha visto e tutto quello che sa su serial killer&co Reid abbia ancora paura del buio.
Ho provato a dare una risposta,ma non so quanto possa essere giusta,quindi fatemi sapere cosa ne pensate.
lo so che ho un'altra FF da finire e giuro che lo farò,appena mi verrà restituita(manneggia a me quando presto le cose!!!)quindi vi prego non lapidatemi.
Spero che questa storia vi sia piaciuta.Giuro che mi sono impegnata,poi non so come sia venuto il risultato,sta a voi dirmelo!
  
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