Fandom: Hannibal (NBC)
Tipologia: One shot
Rating: Ho messo l’arancione perché ci
sono alcune immagini un po’ più forti del normale.
Genere: Introspettivo, angst, una
sotto-sotto specie di horror (mah?!).
Personaggi: Will Graham, Hannibal
Lecter
Pairing: Will/Hannibal, più
o meno.
Avvertimenti: slash, e non so se
mettere l’avvertimento OOC, ho cercato di essere il più fedele possibile ai
personaggi, quindi se non dovesse essere così non mancherò di aggiungere il
suddetto avvertimento ;)
Riassunto: “Hannibal sapeva che Will
aveva bisogno di un’ancora alla quale aggrapparsi per non sprofondare
nell’abisso dei suoi incubi, e sapeva anche che lui fosse l’unico a potergli
procurare quell’appiglio.
Era
una forte certezza la sua.
Allora
perché ancora non riusciva a prendere sonno?”
Disclaimer: I personaggi
appartengono sempre a Thomas Harris, poi alla famiglia De Laurentis che ne ha
acquistato i diritti, e alla NBC, insomma e come sempre non a me, nonostante
continui a volerli entrambi XD
Note: è una sorta di
continuo di “Waiting”,
si può leggere anche senza aver letto l’altra, ma io consiglio comunque di
farlo. Mi è uscita un po’ più lunga di quanto pensassi, ma non ho saputo
trattenermi.
(Spero)
buona lettura! ;)
Dreaming
Wolf Trap, Virginia.
C'è molta gente che crede ai sogni
profetici, perché a volte il futuro si realizza come il desiderio lo ha
costruito nel sogno. In questo non c'è nulla di strano, tanto più che la
credulità del sognatore trascura volentieri le considerevoli differenze che
esistono tra il sogno e la sua realizzazione.
(Sigmund Freud)
Will
Graham si era addormentato nuovamente. Di colpo.
Sconfitto
dal freddo che ancora sentiva dentro e dalla stanchezza che lo aveva avvinto
nel sostenere lo sguardo di Hannibal Lecter, era piombato in un sonno diverso
ma così uguale dagli altri.
Il
dottor Lecter lo guardava mentre dormiva, i suoi occhi che guizzavano dietro le
palpebre, chiuse sul mondo ma aperte in quel cosmo parallelo dove poteva vedere
Garrett Jacobs Hobbs imbracciare un fucile e camminare lento tra i boschi su
dei funghi che crescevano grossi e rigogliosi – profumati. Profumo di carne, di vita. Di morte – ai piedi di totem
alati disgustosi e osceni.
Sudava
Will. Nel sonno la sua pelle bruciava, la sua testa bruciava e avrebbe voluto
che qualcuno lo avesse preso e gettato tra la neve fresca e pura che avrebbe
lavato via quegli incubi.
Hannibal
continuava ad osservarlo, immobile, nel silenzio di quella stanza, ogni tanto
interrompeva quell’immobilità per accarezzare Winston che lo guardava con
affetto, aveva imparato a considerare anche il dottore come un amico.
Poteva
vedere i rapidi movimenti degli occhi di Will, la pelle che si muoveva veloce.
Hannibal
Lecter avrebbe voluto penetrargli la mente per osservare ciò che in quel
momento stava sognando. O forse era un incubo?
«Gli occhi distraggono. Si vede troppo,
non si vede abbastanza…»[1]
I suoi occhi l’avevano distratto, non ti
avevano visto per quello che eri.
Lui, Will Graham, al quale bastava vedere
un disegno per immaginare il volto e ogni movimento dell’artista che l’aveva
creato, non aveva visto te.
Non aveva visto il mostro che avevi dentro.
“Mostro? Avere un mostro dentro di sé
implica la dualità di una persona in un unico corpo, ed io non sono Hannibal e
qualcun altro nel solo involucro di ciò che vede la gente.”
Le
maniche della camicia bianca erano ancora perfettamente avvolte all’avambraccio
e poteva sentire il pelo morbido di Winston sulla pelle, il gilet perfettamente
piegato e poggiato sopra la giacca, lontano dalle bocche dei cani di Will: non avrebbe
tollerato che qualcuno di loro gli avesse rovinato l’elegante abito sartoriale.
Baltimora, Maryland, alcuni giorni prima.
Un sogno è come un microscopio
attraverso il quale osserviamo gli avvenimenti nascosti della nostra anima.
(Erich Fromm)
Hannibal
Lecter non era ancora riuscito ad addormentarsi, ed era una cosa strana per
lui, poiché il suo corpo era un orologio perfetto che seguiva precisi movimenti
e non avrebbe permesso a nessun ingranaggio di rompersi.
La
cena quella sera era stata impeccabile, tutti avevano apprezzato i suoi piatti
così raffinati ed eleganti che erano in un certo qual modo lo specchio del suo
essere, di ciò che gli altri vedevano e di ciò che realmente era dentro, perché
Hannibal Lecter era uno psichiatra affermato, amante dell’arte, della raffinatezza
e dell’eleganza.
E
della cucina.
La tua arte.
Poteva
dirsi un uomo felice, che aveva ciò che desiderava, ma dentro di sé aveva come
un vuoto e sapeva che ben presto avrebbe dovuto colmarlo.
Uccidilo.
Liberatene.
Sarà la tua rovina.
Hannibal
non avrebbe mai ucciso Will, purché non vi fosse stato costretto, era una
questione di sopravvivenza, di sopravvento, di comando.
Non avevi detto che per te non era una
questione di sopravvivenza?
“Le mie Opere non hanno nulla a che fare
con quello, ma devo pur sempre preservare me stesso, devo salvaguardare
Hannibal Lecter da tutti quelli che possono allontanarlo dalle sue Opere e dalla
felicità che ha dentro. È la conservazione della “mia” specie, ma non ha nulla
a che vedere con quello che faccio e sono.”
Hannibal
sapeva che Will aveva bisogno di un’ancora alla quale aggrapparsi per non
sprofondare nell’abisso dei suoi incubi, e sapeva anche che lui fosse l’unico a
potergli procurare quell’appiglio.
Era
una forte certezza la sua.
Allora
perché ancora non riusciva a prendere sonno?
Poi
lo vide, il volto di Will Graham gli apparve nitido davanti agli occhi ancora
aperti al mondo, e si accorse che nel buio della sua camera da letto stava
sorridendo.
Hannibal
Lecter si addormentò con il viso di Will sporco del sangue che era schizzato
dalla gola di Abigail Hobbs, di quelle labbra tinte di rosso che reclamavano il
suo aiuto.
Non essere la sua ancora.
Ti trascinerà nel suo fondale profondo e
buio. Ti rinchiuderà nella sua gabbia e ne gioirà.
Alla fine riuscirà a catturare la tua
essenza.
Hannibal
Lecter era rilassato nel sonno, sulle labbra sempre quel leggero sorriso di chi
era consapevole che in quel letto i suoi sogni e desideri potevano
tranquillamente prendere il largo come un’elegante barca a vela che solcava i
mari scivolando silenziosamente sull’acqua spinta da una leggera brezza.
Lì,
i suoi sogni, nessuno avrebbe potuto fermarli.
Nessuno
avrebbe potuto mettere in gabbia la sua mente e quei pensieri che di notte correvano
verso quell’unico punto, mentre durante il giorno avrebbe dovuto nasconderli,
gettarli in un luogo sicuro dove al calar del sole avrebbe potuto riprenderli
senza problemi.
Il
suo sogno si chiamava Will Graham, e sapeva che ben presto sarebbe diventato il
suo incubo.
L’unico
che avrebbe potuto avere questo diritto.
La
dualità di essere un sogno e un incubo era un privilegio che aveva donato
soltanto a Will, e avrebbe voluto avere egli stesso quell’onore.
Nei
suoi sogni poteva smettere di essere realmente solo, poteva liberare la sua
anima e mostrarla interamente a Will Graham che l’avrebbe afferrata, violentata
e fatta a pezzi.
Nei
suoi sogni poteva prendere la sua, di anima, afferrarla, violentarla e farla a
pezzi.
Lì,
nei recessi della sua mente, avrebbe afferrato Will e l’avrebbe violato.
Soltanto
lì poteva farlo.
E
l’avrebbe fatto.
Wolf Trap, Virginia.
Il gran desiderio d'un cuore inquieto è
di possedere interminabilmente la creatura che ama o di poterla immergere,
quando sia venuto il tempo dell'assenza, in un sonno senza sogni che non possa
aver termine che col giorno del ricongiungimento.
(Albert Camus)
Will
Graham si mosse, ma dormiva ancora profondamente.
“Cos’e questa musica, Will? È un
Requiem? Il tuo Requiem?”
“Non lo so, vai via! Sparisci di qui!”
“Non posso, Will, io sono te, la tua
mente, il tuo spirito, la tua paura. Il tuo tormento.”
Sentivi un fluido colarti lungo il viso,
un’orribile e rossa pioggia che ti offuscava la vista, ti entrava in bocca. E la
sfioravi con le labbra, la assaporavi a fondo.
Sapeva di metallo, l’odore era acre e
dolce al contempo, sapevi cosa fosse, ma non ti nauseava.
Eri preparato al sangue, lo vedevi, lo
sentivi. Lo bevevi.
Aveva il tuo sapore.
Era il tuo sangue, Will.
Quella musica ti risuonava in testa e ti
faceva male, erano mille spilli premuti sul cervello, brucianti e strazianti.
E il sangue continuava a scivolarti
sulla bocca, sulla gola, fino al petto, dove si addensava in una linea
verticale che ti squarciava la maglietta madida di sudore che pian piano svaniva
lasciando la pelle nuda.
Era bastato un attimo, quella musica si era
fatta più alta ed eri riuscito ad aprire appena gli occhi e lo avevi visto.
Avevi visto i suoi, di occhi, marroni,
intensi, letali, che ti osservano con brama.
Si avvicinava, il predatore aveva
fiutato la tua paura e la tua debolezza ed era sopra di te, sul tuo corpo che andava
in fiamme, bruciato dal tuo stesso sangue che scorreva.
Sentivi il suo peso schiacciarti a
terra, la sua stretta forte attorno ai polsi che ti teneva immobile, incapace
di fare alcun movimento.
E non volevi.
“Sai chi è il predatore, vero, Will?”
Hannibal
Lecter continuava ad osservarlo nell’immobilità e nel silenzio della stanza,
dove si sentivano soltanto il respiro di Winston e il tremore di Will. Ogni
tanto muoveva appena la testa per seguire le scosse che percorrevano il corpo
di Will.
Le sue dita sulla tua bocca, quei tocchi
che avevi sempre desiderato.
Un dolore al petto ti fece urlare, un
urlo forte, straziato, che sovrastava quella melodia mentre osservavi quel
tratto di sangue farsi strada tra la carne, fino in fondo, fino a dove il
battito era accelerato.
Lì, dove il tuo cuore pompava sangue che
lambiva il tuo viso, il tuo sguardo. Le tue labbra.
La sua lingua che ti leccava il sangue
sulla gola, risalendo lento fino al mento, ruvido per la barba incolta ormai
bagnata da quel liquido scarlatto che aveva riempito l’aria con il suo acre
aroma.
Percepivi la sua lingua umida sulla
pelle, il suo caldo respiro che t’infiammava dentro, nel profondo. Si era
fermato ad assaporare la dolcezza di quell’assaggio, e fu quando deglutì la tua
essenza, che le pupille gli si dilatarono prima di assalire famelico le tue
labbra.
Era un bacio indecente, nauseante, ma
sentire il gusto del tuo sangue mischiato al suo sapore, era qualcosa d’inebriante
che ti spingeva verso un’eccitante pazzia.
Le sue labbra bramavano le tue, le
torturava, le stringeva tra i denti. Le spingeva con forza alle tue
risucchiandoti l’anima che ardeva sempre di più. Era doloroso ma seducente,
stava rapendo ogni fibra del tuo essere per imprigionarla dentro di sé.
Fu un attimo, una nota stonata che aveva
interrotto la sinfonia, e uno strappo al petto bloccò il tempo, dilatando lo
spazio intorno a te, dove tutto scomparve e non restavate che tu e Hannibal che
impugnava una parte di te.
Il tuo cuore, stretto nella sua mano, era
ancora vivo, pulsante, e lo guardavi muoversi, ritrarsi ed espandersi tra le
sue dita, dove il sangue scendeva, lento, inesorabile, a lambire l’avambraccio
fino alla camicia ripiegata con cura.
Lo sentivi cadere a terra, goccia dopo
goccia, nota dopo nota seguendo il tuo personale Requiem.
Le sue labbra si piegarono in un sorriso
soddisfatto che si trasformò ben presto in una risata indecente e rivoltante
dal sapore del tuo sangue.
«Volevi che avessi il tuo cuore, vero,
Will?» e il tuo cuore pulsava nella sua mano.
«No!
No! Non in questo modo!» Will spezzò il silenzio della stanza con quelle parole
che risuonavano in una melodia piuttosto terrificante, sentiva ancora il sapore
delle labbra del dottor Lecter mischiato al suo.
Hannibal
si alzò lentamente dalla poltrona dalla quale lo aveva guardato in preda ai
suoi incubi, mentre Winston era già corso ai piedi del letto di Will.
«Will,
calmati. È stato soltanto un incubo.» ma Hannibal lo sapeva benissimo che non
era stato soltanto quello, lo aveva visto dal modo in cui aveva stretto il
cuscino a sé, afferrato le lenzuola zuppe del suo sudore.
Era
consapevole che non era solo quello, ma non conosceva con esattezza ciò che
Will avesse visto.
Will
Graham iniziò a pulirsi le mani sulle lenzuola, come se avesse qualcosa sopra
di esse, e il dottor Lecter cercò di afferrargliele per tentare di calmarlo, ma
Will si scostò, negli occhi aveva impressa la paura e la scintilla di un
desiderio.
Si
portò le dita sul viso e iniziò a graffiarsi la pelle per togliere quel sangue
che non c’era ma che ancora vedeva, ne sentiva l’aroma che gli attorcigliava lo
stomaco.
Stavolta
Hannibal fu più svelto, afferrò le mani di Will con forza, e gli parve di
sentire di nuovo quella stretta ai polsi, ma non fece niente per scostarsi, si lasciò
trasportare dal suo tocco, dai suoi movimenti lenti e delicati, poteva sentire
le sue stesse dita carezzare il suo stesso viso, strette tra le mani del dottore.
«La
senti, Will, la tua pelle? Senti che non c’è niente su di essa?»
No,
non c’era niente, ma la sua pelle bruciava, bruciava intensa, un fuoco
scatenato da quel contatto così caldo e freddo al contempo.
«Era
soltanto un incubo.»
Will
Graham ogni notte aveva soltanto un
incubo, avrebbe voluto soltanto
chiudere gli occhi e allontanarsi dalla realtà per nascondersi in quel mondo
dei sogni dove ogni persona normale poteva rifugiarsi per trovare un po’ di
felicità, un desiderio che soltanto in quel luogo poteva realizzarsi, un sentimento
lontano e difficile da afferrare.
No,
per Will nel sonno non c’era niente di tutto questo.
Will
dormiva con i suoi demoni, con la sua pazzia, con Garrett Jacob Hobbs che
vegliava il suo sonno e i suoi incubi.
E
poi c’era lui.
«Soltanto
un incubo.» lo sguardo di Hannibal sembrò placare la sua inquietudine.
Il tuo Requiem.
E
quella melodia d’inquietudine ricominciò a risuonare nella sua testa.
«Dottore,
la prego, può spegnere questa musica? Mi sta facendo venire il mal di testa.»
«Non
c’è nessuna musica, Will. È solo un incubo.»
Aveva il tuo cuore stretto in una mano.
«Sì
che c’è, è angosciante, non la sente?»
«No,
Will, non la sento. Ci siamo soltanto tu ed io. E Winston, anche lui
preoccupato quanto me per la tua condizione.»
«La
mia condizione? Oh, no, dottore, non cerchi di psicoanalizzarmi in ogni momento
della giornata. Non sono pazzo! La sento questa musica! Chiara e piuttosto
forte che rimbomba nella mia testa!»
Will
Graham si alzò di scatto dal letto, spingendo Hannibal lontano da sé ed iniziò
a cercare in ogni angolo della stanza una possibile fonte di quella musica.
Aprì
cassetti svuotando tutto il contenuto a terra, così come i vestiti nell’armadio
che con rabbia finirono sul pavimento, gettò via i cuscini e strattonò le
lenzuola.
«Will,
calmati,» ma Will afferrò il materasso e lo rovesciò, sconfitto ed esausto alla
fine rovinò sulle ginocchia.
Il tuo Requiem.
Il tuo cuore.
La tua pazzia.
Will
Graham si portò le mani alle orecchie e le spinse con forza, sperava che quel
contatto avesse interrotto quel suono, voleva soltanto poter chiudere gli occhi
e riposare in pace, senza nessun’immagine terrificante a tormentarlo.
«Che
mi sta succedendo?»
Hannibal
Lecter si avvicinò a Will e lo osservò per alcuni istanti in quella posa che
trovava così pietosa, eppure lo affascinava. Tutto di Will Graham lo
affascinava.
E
alla fine sarebbe stata un’Opera perfetta.
La tua opera.
«Il
silenzio della notte amplifica le nostre percezioni, un capello si posa su una
pagina di un libro e noi sentiamo un rumore assordante, così la quiete del
sonno fa altrettanto con la nostra psiche. Crea una cassa armonica, dove la
realtà si distacca dai rami della nostra vita, – dove è ancorata a causa dei nostri
condizionamenti dati da una classificazione di giusto e sbagliato che ci impone
la società in cui viviamo – espandendosi come l’universo verso l’infinito.
Qui
tutto è libero, non abbiamo limitazioni, possiamo uccidere senza sentirci in
colpa, possiamo amare qualcosa di proibito senza dover affrontare le
conseguenze, possiamo essere ricchi o fare un lavoro che ci piace maggiormente.
Tu,
Will, hai semplicemente un albero più grosso degli altri, più rami che toccano
un vasto spazio di realtà e sensazioni altrui, e hai più frutti che si staccano
per ampliarsi e andare lontano, verso l’illimitato.
E
il rumore che senti non è solo assordante, ma è inascoltabile per qualsiasi
essere vivente, forse anche per Dio stesso, così colmo di sinistro senso
dell’umorismo: ti ha donato questa percezione, questo tuo sentire la realtà in
modo migliore di chiunque altro. È un dono, Will, ma è un’arma tagliente e mortale,
e in questo è insito il suo umorismo.
Come
può pretendere che tu ripulisca il mondo dal Male, se il Male vive in te e ti
uccide giorno dopo giorno? Come può donarti un qualcosa che sa, avrai la
capacità di utilizzare in maniera così limitata nel tempo? Come può donarci il
ristoro del sonno se poi lo popola di mostri e incubi, e al risveglio siamo più
stanchi di quando ci siamo messi nel letto?
Dio
si prende spesso gioco degli uomini, Will, ma tu non sei pazzo.»
Hannibal
Lecter s’inginocchiò davanti a Will, ad incontrare i suoi occhi così timorosi,
e parve scorgere un po’ di tranquillità quando strinse nuovamente le mani alle
sue, per un attimo rimasero immobili, le dita del dottore che spingevano le sue
alle orecchie per ovattare quella musica che pian piano scemava.
Hannibal
gli sorrise prima di togliere le mani dal suo viso, insieme con quelle di Will,
e stettero lì, sul pavimento, dove le loro anime si spinsero l’una verso
l’altra, come le galassie che avevano nel petto.
“Ti prego, fallo di nuovo. Prendi le mie
labbra. Prendi il mio cuore tra le dita.”
«Coraggio,
Will, alzati.» Hannibal si era rimesso in piedi davanti a lui e tendeva la mano
per aiutarlo a sollevarsi, Will lo guardò per alcuni istanti prima di stringere
quelle dita e tornare a guardarlo negli occhi. «Non permetteremo a Dio di
giocare con te.»
Will
si guardò intorno, quel caos che aveva creato in pochi minuti, era niente in confronto
al disordine che aveva dentro, a quel cumulo di macerie che bruciavano nella
sua testa come un ammasso di corpi dall’odore rivoltante.
Will
Graham non avrebbe più voluto dormire.
Non
avrebbe più voluto quei demoni nella testa.
Non
avrebbe più voluto vivere quei sogni che non erano nient’altro che un
appagamento fasullo di un desiderio nascosto nell’anima.
Il tuo Requiem. Il tuo cuore. La tua
pazzia.
Sognare
Hannibal Lecter lo avrebbe distrutto.