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Autore: Dania Vento    22/06/2013    1 recensioni
amnesia ‹am·ne·ṣì·a› s.f. Perdita totale o parziale della memoria.
John Watson si risveglia in ospedale senza alcun ricordo della sua vita, assieme a lui solo un uomo che dice di essere suo marito. Se lo ricorderebbe se ne avesse avuto uno no? o almeno non si sentirebbe così smarrito, eppure ogni prova sembra sostenere il contrario. dare una possibilità a quest'uomo sembra l'unica scelta che gli rimane. ma non può fare a meno di pensare che questo Jim Moriarty sia troppo perfetto, come se recitasse una parte presa da un copione di un film romantico scadente...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   “John”    
 
La prima cosa che sentii fu l’odore dei medicinali, aprì gli occhi e il bianco del soffitto sembrava quasi accecante, abbassai lo sguardo incapace di sostenere la luce, e vidi un uomo dai capelli neri, pallido di carnagione, dai lineamenti eleganti e dall’abbigliamento curato, ma ancora la mia vista era appannata e quando lentamente si schiarì, vidi quegli occhi neri: profondi pozzi che parevano volermi risucchiare.
 
John! Allora stai bene, parlami “
 
Il suo tono era gentile anche se lievemente ansioso, decisi di non farlo preoccupare.
 
Cosa è successo?”  
 
La mia voce era roca e le parole mi uscivano a fatica, come se non fossi più abituato a usarle.
 
Hai subito un trauma cranico,
 sei rimasto incosciente per tutta la notte”
 
Cercai di mettermi seduto, ma i miei arti erano come atrofizzati, mi ci volle una gran fatica, soltanto per sollevare le spalle.
 
Tu chi sei?”  chiesi mestamente, mentre il suo braccio cercava di darmi un qualche sostegno.
 
Parve stupito della mia domanda, possibile che lo conoscessi?
 
Non ti ricordi, John? “
 
“ No, mi dispiace.
 Non so chi lei sia e non credo di chiamarmi John “
 
Mi aiutò a rimettermi completamente seduto e mi guardò, interdetto dalla mia affermazione.
 
E allora come ti chiami?”
 
Aprii la bocca, come se il nome dovesse scivolarmi sulla lingua, come doveva essere successo molte altre volte, ma rimasi fermo, con la bocca aperta, incapace di articolare una cosa così semplice.
Arrivò prima la frustrazione, poi la paura che scivolò come un serpente sulla mia spina dorsale e le mani del mio interlocutore parevano il mio unico sostegno.
 
Non ricordo, n-non me lo ricordo… “ Odiai il suono debole e vulnerabile della mia voce.
 
Poi sentii la mano fredda, che mi afferrava con delicatezza il mento, ponendo una lieve pressione che io assecondai istintivamente e che mi riportò a fronteggiare i suoi occhi.
 
Tu sei John Watson Moriarty, e io sono Jim Moriarty, tuo marito “
 
 
 
Ma dove diavolo era finito? Gli avevo chiesto di rispondere al cellulare circa due ore fa e quel dannato aggeggio non la smetteva di squillare, interrompendo i miei preziosi pensieri.
Come poteva pretendere che io mi alzassi per rispondere alle lamentele di qualche imbecille, quando dovevo ancora completare la classificazione di tutte le foglie da thè esistenti.
 
JOHN! “     solo il silenzio mi rispose.
 
Era uscito?  Così presto? Erano solo le sette di sera, troppo presto per un appuntamento e troppo tardi per andare a fare la spesa.
Mi sforzai ad aprire gli occhi e con mio stupore vidi spiragli di luce del sole filtrare dalle tende.
Mi alzai di scatto e con poche falcate raggiunsi la finestra, afferrai con entrambe le mani i lembi della tenda, spalancandola.          
La luce che mi investì, mi fece male agli occhi, e un pensiero più veloce di un fulmine mi colpì la mente:
Era mattina e John non era con me e soprattutto, mancava da troppo tempo.
 
Bussarono alla porta, ma non mi mossi, non avevo tempo per nessuno.
 
Non è il momento signora Hudson, farà le pulizie dopo”
 
Il mio tocco non è così femmineo, fratellino”
 
      Mycroft! È proprio vero che non c’è mai fine al peggio.
 
“Non ho torte qui, vattene!”
“Ci sarebbero se John fosse tornato “
 
Mi fiondai sulla porta senza neanche pensarci e quando la spalancai mi ritrovai davanti l’espressione compiaciuta di Mycroft.
 
Come vorrei esser figlio unico” pensai.
 
“Sei sempre più distratto, Sherlock, ti sei perso un dottore per strada”
 
Gli ringhiai contro, per fargli capire che non avevo voglia di giocare, parve capire l’antifona e il suo viso si fece serio.
 
“Tu sai che ho collegamenti a tutte le strutture di rilevanza a Londra, compresi gli ospedali”
 
Quell’ultima parola, incominciò a farmi preoccupare seriamente.
 
“Arriva al punto, Mycroft ”
 
“Uno dei miei assistenti mi ha fatto notare il nome del tuo dottore, tra i pazienti del Royal London Hospital”
 
Sentii la paura annidarsi nel mio cervello e cercai di soffocarla.
 
“Da quanto lo sai?“
 
La mia voce risuonò gelida, ma leggermente incrinata per l’irritazione.
“Da ieri sera”
 
Respirai a fondo per evitare di incominciare a urlare e la mia voce contrita, tradiva la mia rabbia e la mia preoccupazione.
 
E perché non ne sono stato informato? “
 
Poggiò il suo peso sull’ombrello con fare casuale, come se stessimo parlando di banalità, repressi il desiderio di picchiarlo.
 
“Caro… a dire il vero è tutta la notte che provo a chiamarti, ma tu non hai risposto costringendomi a portare la mia persona qui davanti alla tua porta”
 
Restai qualche secondo in silenzio a darmi dell’imbecille e a maledire la mia pigrizia e senza dire nulla afferrai il mio cappotto e la mia sciarpa e mi diressi verso l’uscita superando Mycroft.
 
“Portami lì”
 
 
 
 
 
“Non mi credi vero?” disse con tono lamentoso che mi impietosì.
 
Me lo ricorderei se avessi un marito” 
 
L’uomo si sporse verso di me, tanto che potei sentire l’odore pungente del suo dopobarba.
 
Hai subito un incidente John, il trauma deve aver causato una perdita di memoria”
 
La mano, ancora appoggiata sul mio mento, scese fino alla mia e la prese delicatamente come se avesse paura di spezzarla e intrecciò le dita con le mie, facendomi notare le fedi nuziali.
 
“Ci siamo spostati cinque anni fa, era primavera, non mi ricordo mai il mese, so solo che è stato il giorno più bello della mia vita”
 
Spontaneamente sorrisi, sembrava la frase di un film, o almeno penso di aver visto dei film con delle frasi così, ma ero incerto, e anche se non cercavo di farlo notare, lui sembrò accorgersene e sospirò come se fosse frustrato, allora mi disse:
 
“Guarda
 
 Liberò la mano dalla mia e afferrò l’orologio che stava intorno al mio polso che mi accorsi solo in quel momento di avere.
Sganciò il cinturino, lo portò davanti ai miei occhi, facendolo dondolare leggermente come un ipnotizzatore con un pendolo.
L’orologio sembrava vecchio e usurato, ma era chiaramente di valore:
il quadrante era nero con lancette e numeri romani in oro, protetto da un vetro con varie sfaccettature che gli davano l’aspetto di un diamante, circondato da una ghiera in oro, da cui partiva un cinturino di pelle nera. Lo voltò lentamente mostrandomi il retro del quadrante in cui vidi una piccola incisione che recitava:

“ Così potrai contare il tempo passato assieme, cucciolo mio”
 
Lessi con stupore la frase che sembrava scritta da una dodicenne alla prima cotta e forzai un sorriso lievemente imbarazzato.
 
L’hai fatto per me? È …uhmmm… dolce”
 
E lo era, ma un po’ troppo forse, ma ormai non c’erano più dubbi, quell’umo davanti a me era mio marito.
 
 
  
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