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Autore: Shizue Asahi    22/06/2013    1 recensioni
Prima classificata contest "Di amori, avatar e dominatori" indetto sul forum di EFP da KumaCla.
Jinora aveva quasi diciotto anni quando le visite di Bolin iniziarono ad essere più frequenti. Il ragazzo andava al Tempio dell’Aria spesso, anche se Korra ormai non viveva più lì. Tenzin lo guardava con sospetto, anche se Pema lo rimproverava.
Più volte sua moglie era stata costretta a trascinarlo via, per evitare che mettesse in imbarazzo Jinora. Lo faceva anche la mamma, pensò amaramente Tenzin.
{Raccolta di Oneshot e Flash Bolin/Jinora}
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altro personaggio, Bolin
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi: Bolin, Jinora, Altri;
Pairing: Bolin/Jinora;
Rating: verde;
Avvertimenti: Fluff, Missing Moments, Romantico;
Note: è una raccolta di storie di varie lunghezze; è ambientata dopo la cattura di Amon, inizia circa cinque anni dopo il Libro 1. Credo di essere la prima a scrivere su loro due. Ringrazio KumaCla per aver indetto il contest e avermi finalmente dato la possibilità di shipparli selvaggiamente e di tornare a scrivere in questo meraviglioso fandom. E anche per la sua immensa pazienza ❤
 
 

A KumaCla, che riesce sempre a farmi scrivere in questo fandom ed è un’infinita fonte di ispirazione

 
 

Let the sun beat, on our forgetfulness

 
 
 
 
Il Tempio dell’Aria era silenzioso, il luogo ideale dove poter trovare sollievo dal trambusto della città e i monaci si adoperavano per mantenerlo lustro e pulito, tanto che era possibile specchiarsi in alcuni dei pilastri della zona Nord. 
A Bolin non piaceva il Tempio dell’Aria, era abituato al frastuono della città, al ritmo caotico e disordinato di Republic City, alle grida degli spettatori, quando si trovava nell’arena, allo strano grugnito che faceva Mako appena sveglio. Non importava quanti anni fossero passati, continuava a sentirsi fuori posto, a disagio, un pesce fuor d’acqua, mentre camminava nei corridoi del tempio, scortato da uno dei figli di Tenzin o da uno dei monaci.
Korra, d’altro canto, si era intestardita a non voler lasciare l’isola per alcun motivo, con la scusa di aver faccende da Avatar da sbrigare, così Bolin era costretto a farle visita, di tanto in tanto, per poter continuare gli allenamenti. I Furetti di Fuoco avevano ancora un’importante incontro davanti a loro, anche se sembrava che se ne ricordasse solo lui.
Mako era impegnato col lavoro, praticamente un fantasma. Si faceva vivo solo per mangiare o per prendere un cambio di vestiti. Bolin sospettava che avesse litigato con Korra, aveva anche provato a investigare, ma con pochi risultati. Alla fine Ikki era riuscita laddove lui aveva fallito e gli aveva detto che l’Avatar era arrabbiata col dominatore del fuoco per una certa faccenda.
Era stata una cosa strana, di cui si vergognava anche un po’. Un pomeriggio Korra l’aveva mandato a zonzo per il tempio, con la scusa di avere una riunione con Tenzin e gli altri consiglieri. Una cosa rapida, diceva, ma Bolin aveva i suoi seri dubbi.
Pabu gli sonnecchiava pigramente su una spalla, osservando qua e là alla ricerca di qualcosa di interessante.
Lei gli era sgusciata alle spalle, col passo leggero e felpato che può avere solo un dominatore dell’aria.
-Ti sei perso?- gli aveva chiesto, raggiungendo il suo fianco.
Bolin era sussultato e Pabu aveva abbandonato lo stato di dormiveglia, ritornando sveglio e curioso come suo solito.
-Sto aspettando Korra.- ammise alla fine, grattandosi una guancia.
-Mi sa che ne avrà per un po’.- lo informò Jinora con tono pacato. – Pare che ci sia ancora qualche problema con i non-dominatori nella zona Nord.-
-Fantastico.- commentò Bolin, ironico. Amon era andato, finito, battuto, privato del proprio dominio e rinchiuso in una delle gattabuie più umide e sperdute di Republic City, da diversi anni, tra l’altro, ma di tanto in tanto qualche testa calda tentava di ricominciare la ribellione. Ovviamente si riusciva a intervenire per tempo e la popolazione aveva ormai imparato a diffidare da falsi miti e da promesse di uguaglianza e giustizia. In un certo senso, con Amon si era anche andato a tranquillizzare il rapporto che c’era tra dominatori e non. Si era capito che gli uni erano letali quanto gli altri. Nei bassifondi, però, ci si continuava a guardare con sospetto e non era raro che la polizia fosse costretta a intervenire in qualche bisca clandestina in cui un dominatore e un non-dominatore si sfidavano all’ultimo sangue per stabilire chi dei due fosse il migliore.
-Forse farei meglio a tornare a casa.- osservò –Ah!-
Jinora aveva sollevato il capo per osservarlo, gli occhi castani rivolti verso il suo viso e Bolin aveva messo in mostra una delle sue migliori espressioni da tonto. Era cresciuta, doveva avere quasi sedici anni. Continuava a indossare gli stessi abiti di quando si erano conosciuti, la tenuta gialla e arancione dei monaci dell’aria;  i capelli erano rimasti quasi della stessa lunghezza, tirati indietro in maniera tale da lasciarle scoperta la fronte.  E lì, poco sopra l’arcata sopraccigliare, c’era la freccia.
Bolin la osservò sorpreso. Sapeva che era tradizione che i dominatori dell’aria si tatuassero il corpo, ma non aveva mai realmente immaginato che lo avrebbero fatto anche Ikki e Jinora. Era una cosa strana, creava un buffo contrasto con il resto del viso e le donava un’aria più matura e seria. Inoltre, ora, a Bolin ricordava la statua dell’Avatar Aang.
nuova?- le chiese, indicando il tatuaggio, mentre Pabu seguiva con gli occhi la traiettoria tracciata a mezz’aria da una mosca.
-Sì.- rispose Jinora. Non sembrava infastidita dalla domanda, né dal modo quasi ridicolo con cui Bolin la stava fissando, anzi. Per un dominatore dell’aria la propria freccia era motivo d’orgoglio e lei stessa aveva insistito per averne una. –Me l’hanno impressa il mese scorso, come da tradizione. È venuta anche nonna Katara, Korra non te l’ha detto?-
Bolin ricordava che per qualche giorno Korra fosse stata in agitazione perché Katara doveva arrivare al tempio, ma non le aveva chiesto il motivo della visita. Non credeva che ci dovesse essere un motivo particolare per cui la donne facesse visita alla propria famiglia.
-No.- ammise –È, ehm, carina.-
-Grazie.- cinguettò Jinora, sfiorandosi la fronte.
Percorsero ancora un paio di metri, camminando con calma e Bolin arricciò le labbra, sentendo il proprio passo pesante e rumoroso, mentre quello della ragazza era assente, come se sfiorasse appena il pavimento.
-Devo andare. Rohan deve fare i suoi esercizio di meditazione.- annunciò, fermandosi –Dato che torni a Republic City, potresti farmi un favore?-
Bolin annuì e Jinora gli allungò un libro-
-Potresti portarlo ad Asami?-
Il dominatore della terra annuì e la ragazza lo ringraziò e si dileguò.
 
 
 
 
Bolin non era andato a scuola, non per molto almeno. Quando sua madre era ancora viva, gli aveva insegnato a leggere e scrivere, a fare i conti più semplici, le cose basilari che un bambino dovrebbe sapere e che, poi, gli sarebbero tornate utili quando avrebbe dovuto iniziare a lavorare nel negozio.
Dopo la morte dei suoi genitori lui e Mako non avevano avuto molto tempo da dedicare allo studio. Orfani, soli, bambini, si erano ritrovati per strada, affamati e alla ricerca di un riparo per la notte. Republic City non era quel posto idilliaco immaginato dall’Avatar Aang e dal Signore del Fuoco Zuko, puzzava, e la gente ti guardava dall’alto verso il basso. Se non avevi soldi, non si facevano scrupoli a lasciarti per strada, con lo stomaco vuoto e il freddo come unica compagnia.
Avevano imparato a cavarsela presto, facendo lavoretti qua e là, roba non troppo pulita, ma che aveva permesso loro di tirare avanti.
Bolin non si era più esercitato, scriveva di rado; leggere gli torna utile solo per consultare le date degli incontri o qualche volantino per strada, anche se lasciava che a farlo fosse Mako. A dirla tutta non sapevo leggere poi così bene.
Di tanto in tanto ricordava qualche storia che gli aveva letto suo padre, la sera, prima di mettersi a letto. Lui e Mako erano pestiferi, si rifiutavano di andare a dormire quando era ora e, se la giornata non era stata troppo pesante, loro padre gli leggeva un racconto sulle avventure dell’Avatar Aang  o sulla costruzione di Republic City. Certe volte, quando era a corto di materiale, si limitava a usare come favola della buona notte il registro del negozio.
Erano ricordi cari, annebbiati dagli anni, ma Bolin gli era molto affezionato. Era una di quelle poche cose che custodiva gelosamente e di cui non parlava neanche a Mako. Qualche volta ne aveva fatto parola con Pabu, ma solo perché non era riuscito a sostenere lo sguardo di quegli occhietti neri e attenti.
A Jinora piaceva leggere, era una delle sue attività preferite, passava giornate intere sotto uno degli alberi dell’isola o in un punto tranquillo del tempio a farlo. Era come meditare, diceva e nessuno lo metteva in dubbio, dato che mentre lo faceva era talmente assorta che bisognava scuoterla per attirare la sua attenzione.
Un giorno Bolin la trovò così, adagiata a uno dei pilastri della parte Sud del tempio, con tra le mani una grossa pergamena ingiallita e consumata. La freccia spiccava sulla pelle chiara della fronte e riusciva a vedere anche le altre due più piccole spuntare dagli orli delle maniche.
Bolin rimase ad osservarla per un po’, immobile. Jinora aveva il labbro tremulo e la bocca socchiusa. Faceva caldo e un velo di sudore le copriva la pelle del viso, inumidendole qualche ciocca di capelli.
Quando finalmente decise sul da farsi, le si sedette davanti, incrociò le gambe e poggiò le mani sulle ginocchia. Pabu gli stava comodamente acciambellato intorno al collo con le orecchie sull’attenti.
-Jinora.- l’aveva chiamata, ma la ragazza non aveva dato segni di averlo sentito. Ci riprovò, più volte, aggiungendo anche qualche epiteto bizzarro, per vedere se davvero non si fosse resa conto della sua presenza o se si stesse semplicemente prendendo gioco di lui.
Alla fine Pabu risolse la situazione. Le si lasciò cadere in grembo, sulla pergamena, nel tentativo di infilarlesi sotto la maglietta.
Jinora sobbalzò, si lasciò persino sfuggire un basso gridolino. Bolin scoppiò a ridere, anche se sapeva che non era una buona idea, e la ragazza assunse una lieve colorazione rosata.
-Sembravi in trans.- le disse a bruciapelo, prima che lei potesse alzarsi e piantarlo in asso senza dire una parola. Bolin non si sarebbe stupito se fosse scomparsa nel nulla, prima di aver fatto schiantare lui e Pabu contro il muro, dall’altra parte del corridoio. Jinora era solita lasciare i discorsi a metà e andar via, senza quasi che il suo interlocutore se ne accorgesse. Tenzin diceva che era come l’aria, Bolin pensava solo che fosse strana. E la cosa lo incuriosiva.
-La lettura è l’arte di concentrarsi.- gli rispose lievemente piccata, recuperando la pergamena. Era un po’ stropicciata e riportava un’impronta di Pabu e una piccola artigliata.
Si fissarono per un po’. Bolin sproloquiò su come, ancora, Korra lo avesse mandato a zonzo, perché aveva faccende da sbrigare.
-Ha detto che si sbrigherà in fretta, ma chi può dirlo?- fece una buffa imitazione di Korra mentre gli diceva che sarebbe tornata subito e Jinora rise. Effettivamente la somiglianza era impressionante.
-Faresti meglio a non venire così spesso al tempio, Korra ha molto da fare.- osservò Jinora e, per qualche strano motivo, Bolin si sentì quasi offeso.
Quando Ikki e Meelo li scovarono, Pabu aveva ormai preso posto sulla testa della ragazza e lei aveva ripreso a leggere, ad alta voce, per tutti e tre.
 
Altre volte Bolin aveva trovato Jinora intenta a leggere e, a detta della ragazza, non le dispiaceva la sua compagnia. Alla lunga era diventata quasi un’abitudine e Jinora non leggeva più solo per sé. Bolin, un giorno, le aveva chiesto di raccontargli una storia, una di quelle vecchie e poco conosciute che può conoscere solo chi legge con passione. Jinora ci aveva pensato su per un po’, poi si era dileguata. Era tornata dopo una decina di minuti con un vecchi libro dalla copertina verde. Si era seduta al suo fianco e aveva iniziato a leggere per lui.
Bolin la osservava rapito, mentre le parole prendevano vita sulle sue labbra, si snodavano in una storia fantastica fatta di creature incredibili, mostruose e inimmaginabili fino a qualche attimo prima, con protagonisti dominatori dell’aria, piccoli monaci coraggiosi, Avatar. Erano quel genere di storie che si raccontavano ai bambini, o che ci si scambiava la sera, davanti al fuoco, ma c’era qualcosa nel modo di leggere di Jinora che lo affascinava, che lo catturava e che gli faceva persino ignorare le lamentele di Pabu.
Quella, pensò Bolin, sarebbe stata un’altra delle cose che avrebbe tenuto solo per sé.
 
 
 
 
Jinora aveva acconsentito ad accompagnare Ikki e Meelo allo stadio. I fratelli avevano insistito talmente tanto che, alla fine, loro padre era stato costretto a cedere. Rohan, però, era ancora troppo piccolo, secondo Pema, e non lo avevano lasciato andare. Dopotutto l’inizio dell’incontro coincideva con l’ora di andare a letto.
La folla si accalcava sugli spalti, incitando i contendenti. Meelo e Ikki non erano da meno, dimenandosi come degli ossessi, mentre Jinora era intenta a consultare la brochure. I Furetti di Fuoco sarebbero stati i prossimi.
Li vide prendere posto nell’arena con un nodo in gola. Non amava tutto ciò, tutta quella violenza, ma ai suoi fratelli piaceva. A Bolin piaceva, e lei avrebbe passato ore a sentirlo raccontare degli incontri, delle strategie, degli allenamenti e di cosa avrebbe fatto col premio del torneo.
Guardò l’incontro in silenzio, mentre gli avversari venivano mandati al tappeto uno dopo l’altro. Per poco Korra non ci aveva rimesso l’osso del collo e Mako si era beccato un disco di roccia dritto nello stomaco.
Quando Bolin venne scaraventato giù dal ring, a Jinora mancò il respiro. Lo vide precipitare nel vuoto per una manciata infinita mi secondo, prima che piombasse nell’acqua.
Alla fine i Furetti di Fuoco risultarono i vincitori, senza riportare particolari ferite.
Il giorno dopo Bolin si presentò al tempio con un occhio nero e la spalla lussata e Jinora era talmente arrabbiata che si rifiutò di leggere per lui. Quando Bolin le chiese se qualcosa non andasse, lei sputò un “niente” molto poco convincente e poi si dileguò.
 
 
 
 
Jinora aveva quasi diciotto anni quando le visite di Bolin iniziarono ad essere più frequenti. Il ragazzo andava al Tempio dell’Aria spesso, anche se Korra ormai non viveva più lì. Tenzin lo guardava con sospetto, anche se Pema lo rimproverava. Adesso che Korra vive con Mako, si sentirà solo, diceva al marito per tranquillizzarlo, ma le sue parole sortivano l’effetto opposto. Il fatto che il ragazzo cercasse la compagnia di sua figlia per sentirsi meno solo lo inquietava. In un certo qual modo, che non credeva possibile, era geloso. Probabilmente era la stesa situazione in cui si era trovato suo padre quando Kya aveva iniziato a interessarsi ai ragazzi, con la sola differenza che Jinora non era sua sorella; a sua figlia piacevano i libri, il silenzio, la meditazione, non i ragazzi.
Più volte sua moglie era stata costretta a trascinarlo via, per evitare che mettesse in imbarazzo Jinora. Lo faceva anche la mamma, pensò amaramente Tenzin.
 
 
 
Jinora lo osservò dubbiosa, sollevando un sopracciglio. Bolin si stava pavoneggiano, con il mento in fuori per permetterle di osservare meglio “il coso”.
-Ti piace?- le chiese a bruciapelo, accarezzandosi il mento e sfoggiando il suo miglio sorriso.
La ragazza continuò a guardarlo, studiando i lineamenti marcati, il naso tozzo, gli occhi verdi, le sopracciglia folte. Qualche piccola ruga stava iniziando a formarglisi intorno agli occhi, ma la pelle delle guance continuava a essere liscia come quella di un bebè.
accattivante.- tentò, cercando di essere convincente.
Bolin si chinò su di lei, guardandola dritta negli occhi. Le guance di Jinora assunsero un’accesa tonalità color ciliegia e anche lui si sentì avvampare tutto d’un tratto.
-Quindi ti piace?- insisté,  passandosi una mano tra i capelli e non staccandole gli occhi di dosso.
Jinora lo soppesò per bene, pensando attentamente a come rispondere. Le piaceva? Non avrebbe saputo dirlo così su due piedi, ma lo trovava strano.
-E’ meglio che non diventi come quello di mio padre.- concluse, con tono minaccioso, incrociando le braccia sotto al setto e puntando i piedi per terra.
Bolin rise e la attirò a sé, costringendola ad allentare la presa sotto al seno. Per poco non la fece sbilanciare e cadere, ma Jinora era talmente piccola e leggera che non sarebbe stato un problema per lui sostenerla.
Strofinò il mento sulla freccia della ragazza. Aveva scoperto tempo addietro quanto le desse fastidio e di tanto in tanto si divertiva a provocarla.
Jinora gli pizzicò un braccio, cercando di stringere il più possibile, ma Bolin non desisté.
Le piaceva quel contatto così ravvicinato. Il corpo di Bolin era caldo e rassicurante. E poi era muscoloso e saldo, le dava l’assoluta certezza che sarebbe stato lì, se ne avesse avuto bisogno.
E poi Bolin aveva un buon odore. Sapeva di polvere, come i libri che scovava sepolti sotto un mare di pergamene e altri volumi, quelli più interessanti, e poi odorava di buono. Lui diceva che era merito della panetteria che aveva sotto casa, ma Jinora non ne era sicura. Aveva sempre avuto quell’odore, anche prima che andasse a vivere da solo per lasciar spazio e privacy a Mako e Korra.
Quando lei lo baciò, i loro nasi si sfiorarono appena e Bolin socchiuse gli occhi, passandole una mano dietro la schiena. Fu un attimo, prima che Jinora iniziasse a ridere.
“Il coso” aveva iniziato a punzecchiarle il mento, a farle il solletico. Era molesto e inopportuno e per punirlo Jinora gli strappò via un pelo.
Bolin ci mise un attimo per capire quale fosse il motivo di tanta ilarità, ma non ebbe il tempo di difendersi dall’attacco e, prima che se ne rendesse conto, il suo pizzetto perfetto venne defraudato, privato di un pelo.
Per un attimo solo sembrò che il tempo si fosse congelato, poi Jinora se la diede a gambe. Era veloce, svelta, aveva il dominio dell’aria e la conoscenza del tempio dalla sua parte.
L’aveva quasi presa, la strinse tra la braccia, pronto a cantar vittoria, ma a Jinora bastò emettere un piccolo getto d’aria dalle mani per svincolarsi via. Bolin cadde col sedere per terra e Jinora si chinò su di lui, posò le labbra sulla punta del suo naso e poi schizzò via.
Bolin sapeva esattamente dove sarebbe andata a nascondersi. Si massaggiò con cura il sedere dolente e poi si diresse nella parte opposta di quella della ragazza. La biblioteca, secondo Jinora, era un posto fantastico dove nascondersi e “fare cose” all’insaputa di Tenzin.
 
 
 

 ***

 

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