«Le
piaci.»
Garfield
si voltò verso Rachel, guardandola come se fosse
ammattita.
Erano
nel parcheggio ad aspettare Richard, appoggiati alla sua
macchina. Erano rimasti in silenzio dalla scenata di Tara nel
corridoio, ma
adesso finalmente la mora aveva aperto bocca.
«Scusami?»
«Le
piaci» ripeté la ragazza, facendo spallucce.
«Come
fai a dirlo?» domandò il ragazzo, guardandola
allucinato.
«Garfield,
è evidente. Ti sta sempre accanto, sta cercando di
parlarti da un’intera giornata, stava per scannarmi quando le
hai detto che
avevi da fare con me…» elencò lei,
contando sulle dita affusolate.
«Chi
ti voleva scannare, cugina?» domandò Richard,
arrivando alla
macchina e salutando con un cenno Garfield, ancora scosso dalla notizia.
«Tara
Markov. Crede che io ci stia provando con lui» rispose lei,
alzando gli occhi sul cugino e ridacchiando sommessamente.
«Sarebbe
stato divertente. È da quando abbiamo cominciato a
frequentarvi che Victor e Roy scommettono su chi di voi due
perderà per prima
le staffe» disse Richard, aprendo l’auto e
invitandoli a salire.
«Mi
fa piacere conoscere gente del genere. Ma dimentichi un
dettaglio, Richard. Io non ci sto provando con lui» aggiunse
la ragazza,
sedendosi sul sedile anteriore e lasciando a Garfield il sedile
posteriore. Il
ragazzo abbassò le spalle, mogio. Gli sarebbe piaciuto, che
Rachel ci provasse
con lui.
«Non
crederle, Gar. È la prima volta in tutta la sua vita che
Rach
si apre con un ragazzo che non sia io, quindi le stai simpatico. E lo
sanno
tutti dove porta l’amicizia tra ragazza e ragazzo»
intervenne Ricahrd,
guardandolo dallo specchietto retrovisore, mentre faceva manovra. Per
tutta
risposta la cugina gli rifilò una tremenda gomitata al
plesso solare. «Tu pensa
a guidare, Richard caro» ringhiò la ragazza. Poi
si voltò verso Garfield e gli
disse: «Per tua informazione, non ci sto provando con
te.»
«Ehm,
certo. L’avevo capito» rispose lui, arrossendo
leggermente.
«Bene»
replicò lei, tornando a guardare davanti a sé.
Il
resto del viaggio trascorse con il sottofondo delle chiacchiere
di Richard e Garfield, mentre Rachel guardava fuori dal finestrino.
L’auto
si fermò davanti all’ospedale.
«Capolinea» annunciò
Richard, guardando la cugina. «Passerò a
riprenderti tra… Un’oretta?»
«Va
bene. Grazie, Rich» rispose la ragazza, dandogli un buffetto
sulla guancia.
«Ci
vediamo dopo, Gar!» salutò il ragazzo, sgommando
via.
«Salve.
Vorrei vedere Arella Roth, sono sua figlia» esordì
Raven,
alla reception.
«Signorina,
sua madre non…» cominciò
l’infermiera, ma la ragazza
la interruppe: «So in che condizioni si trova mia madre. Ma
vorrei vederla lo
stesso, se non le dispiace.»
«Ehm…
Certo. Prego.»
«Grazie»
rispose lei, facendo cenno a Garfield di seguirla.
«Perché
l’infermiera non voleva farti passare?» chiese il
ragazzo,
una volta al sicuro nell’ascensore.
«Quando
la vedrai, capirai» rispose lei, cupa, uscendo
dall’ascensore e camminando lungo il corridoio.
Si
fermò davanti ad una stanza con la porta chiusa ed
entrò senza
bussare. Titubante, il ragazzo la seguì
all’interno.
«Garfield,
questa è mia madre, Arella» disse la ragazza,
indicandogli una donna in un letto, attaccata ad ogni tipo di
macchinario
esistente, incosciente.
«Rachel…
Io… Che le è successo?» chiese
balbettando il ragazzo,
cercando di non fissare la donna.
«Puoi
guardarla, non ti preoccupare. È stato mio padre. Mia madre
si è ribellata a lui quando era ubriaco e lui l’ha
picchiata fino a ridurla in
coma. Adesso è in carcere per omicidio»
spiegò la ragazza, sedendosi su una
sedia di plastica accanto al letto.
«Tuo
padre le ha fatto questo?» domandò stupito.
«Sì.
Non è mai stato il tipo di padre amorevole e inoltre era
drogato e alcolizzato. Certo non il massimo» rispose lei, con
un tono che non
le apparteneva.
«No,
direi di no. Tu come hai fatto a scappare?» chiese il
ragazzo, pentendosi subito di quel che aveva detto. «Scusami,
sono stato un
maleducato. Non dovevo chiedertelo, ritiro quello che ho
detto!» si scusò in
fretta.
«No…
Va bene. Visto che ormai sei qui, posso anche raccontarti
tutto. Io sono scappata perché mia madre è
intervenuta quando lui ha cercato di
colpire me. Mi ha visto in balia di quel mostro ed è
intervenuta, facendomi
uscire dalla porta sul retro. Io sono corsa da Richard e loro hanno
chiamato la
polizia. L’hanno salvata da morte certa, anche se adesso si
trova in questo
stato. Per colpa mia» mormorò la ragazza, la cui
voce si spezzò quando
pronunciò l’ultima frase.
Garfield
si voltò a guardarla e vide che aveva gli occhi lucidi.
Senza pensarci due volte, l’abbracciò,
sussurrandole: «Piangi pure. Non devi
dimostrare nulla a nessuno.»
La
ragazza si abbandonò sulla sua spalla, in lacrime e
singhiozzò
tra le sue braccia per qualche minuto, che parve durare un secondo e
un’eternità nello stesso tempo.
«Garfield…
Grazie» sussurrò la ragazza, quando finalmente si
liberò dall’abbraccio.
«Di
niente, si vede che ne avevi bisogno. Non puoi tenerti sempre
tutto dentro, sai? Ogni tanto fa bene sfogarsi»
replicò il ragazzo,
sistemandosi la t-shirt, tutta spiegazzata.
«Ma
io mi sfogo. Tutte le volte che non mi sento a posto, faccio
una sessione di allenamenti con Richard, gli sfondo due o tre punching
ball e
dopo mi sento un po’ meglio» ribatté
seria la ragazza.
«Ehm…
Non credo che quello sia il modo migliore per sfogarsi.
Cioè, non sempre. A volte piangere fa bene»
spiegò Garfield, continuando a
tenere lo sguardo fisso su Arella.
«Non
ho mai trovato nessuno disposto a consolarmi mentre piangevo.
Quindi ho semplicemente smesso di farlo» commentò
dura Rachel, irrigidendo la
mascella.
«Adesso
hai me» si lasciò sfuggire il ragazzo, alzando lo
sguardo
su di lei e realizzando con orrore cosa avesse appena detto.
«Cioè, sì,
insomma… Se te la senti, sai dove trovarmi.»
«Mi…
Mi farebbe piacere, grazie» rispose lei, imbarazzata, con
l’ombra di un sorriso sul viso.
Tra i
due calò un lungo silenzio, che venne rotto soltanto quando
Rachel allungò una mano verso la madre e iniziò a
parlarle in una strana lingua
che Garfield non riuscì a capire. Tuttavia decise di
rispettare il momento che
la ragazza stava avendo e rimase in silenzio. Dopo qualche minuto, la
ragazza cominciò
a cantare sommessamente le parole di una canzone, che Garfield
riconobbe
prontamente. Come non riconoscere Alanis, d’altro canto.
You,
you who has
smiled when you’re in pain
You who has soldiered through the profane
They were distracted and shut down
So why, why would you talk to me at all
Such words were dishonorable and in vain
Their promise as solid as a fog
And where was your watchman then?
I’ll be your keeper for life as your guardian
I’ll be your warrior of care, your first warden
I’ll be your angel on call, I’ll be on demand
The greatest honor of all, as your guardian
Il dolore di Rachel si rifletteva
nelle parole della canzone e il ragazzo non si stupì di
sentirgliele dire. Doveva
essere stato terribile, per lei, vedere sua madre crollare in quel modo
davanti
a qualcuno di cui si fidava.
You, you in the chaos feigning sane
You who has pushed beyond what’s humane
Them as the ghostly tumbleweed
And where was your watchman then?
I’ll be your keeper for life as your guardian
I’ll be your warrior of care, your first warden
I’ll be your angel on call, I’ll be on demand
The greatest honor of all, as your guardian
Arella, evidentemente, aveva dato
tutto per la figlia. Anche la sua vita, o quasi. E Rachel si sentiva in
dovere
di ripagarla. Garfield quasi si sentì male, pensando al
legame che quella
ragazza all’apparenza così forte e coraggiosa
aveva con la madre.
Now,
no more smiling
mid-crestfall
No more managing unmanageable
No more holding still in the hailstorm
Now enter your watchwoman
I’ll be your keeper for life as your guardian
I’ll be your warrior of care, your first warden
I’ll be your angel on call, I’ll be on demand
The greatest honor of all, as your guardian
Sì.
Lei sarebbe stata la sua guardiana. Per sempre.
Quando
la canzone finì, la ragazza si alzò, prontamente
imitata
dal biondo e con un saluto alla madre, uscì dalla stanza.
Fu di
nuovo nell’ascensore, che Garfield osò rompere il
silenzio:
«Ehm… Che lingua era?»
«Romeno.
Sia mia madre sia sua sorella, ossia la madre di Rich,
sono originarie della Romania. Sia io che lui parliamo correttamente
romeno,
grazie a loro» rispose Rachel.
«Wow.
Mi piacerebbe un sacco imparare tante lingue…»
sospirò il
ragazzo.
«Ed
è per questo che segui i meravigliosi corsi di Frau
Singer?»
chiese la ragazza, in un tono che si sarebbe potuto definire scherzoso.
«Anche»
ammise Garfield, evitando accuratamente di dire che aveva
basato la sua scelta dei corsi sulle sue scelte, tranne poche
eccezioni, come
giapponese, cui aveva preferito il cinese. «E tu, invece?
Credo che di lingue
tu ne sappia già a sufficienza, no? Quante ne
parli?»
«Dunque…
Inglese, francese, romeno, italiano, tedesco, un po’ di
russo, qualche cosa di spagnolo e giapponese»
replicò la ragazza, contando
sulle dita.
«Wow,
sul serio? Mi daresti lezioni?» domandò senza
potersi
trattenere.
«Ehm…»
rispose lei, colta alla sprovvista.
«Tranquilla,
sto scherzando. Prego» disse, aprendole la porta a
vetri dell’ospedale.
«Grazie»
mormorò lei, passandogli davanti e notando quanto fosse
cresciuto dall’ultima volta in cui gli aveva parlato insieme.
Parlato
seriamente, cioè. Il che doveva essere almeno un anno e
mezzo prima. Dopo c’era
stata tutta la storia di Jason (solo pensare a lui la faceva infuriare
di
nuovo) e l’arrivo di Tara e i due si erano un po’
allontanati.
Una
volta fuori, la ragazza mise mano al cellulare e contattò il
cugino, per sapere dove fosse.
Garfield
aspettava poco distante da lei, guardando il traffico
scorrere in strada.
Rachel
stava appunto salutando il cugino, quando davanti ai due
ragazzi comparve nientemeno che Jason Todd in persona.
«Guarda chi si vede»
mormorò maligno, fermandosi davanti a loro.
«Jason.
Cosa vuoi?» chiese gelida Rachel, irrigidendosi.
«Passavo
di qua, ti ho visto e ho pensato di fare un salutino alla
mia ex-ragazza, ti spiace?» domandò lui, mellifluo.
«E
se ti dicessi di sì?» replicò la
ragazza, senza dare segni di
ripresa.
«Non
ti crederei. Lo sappiamo bene tutti e due, che effetto ti
faccio, Rach tesoro» rispose il ragazzo, con un tono che non
lasciava presagire
nulla di buono.
«Novità
dell’ultimo secondo, Jason: non mi fai più
quell’effetto.
Mi disgusti e basta. E non chiamarmi tesoro»
ringhiò Rachel, dirigendogli
addosso tutta la sua rabbia.
«Eppure,
tesoro, fino a poco tempo fa non avevi problemi, quando
lo facevo. O mi sbaglio?» ridacchiò lui,
avvicinandosi a lei.
«Non
provare a toccarmi» esclamò lei, allontanandosi.
Il ragazzo,
però, fu più veloce e le prese rapido il polso,
trascinandola poi verso di lui.
«Ma come, tesoro? Così mi ferisci, lo
sai?»
«Lasciami
andare immediatamente, brutto porco schifoso!»
strillò
Rachel, cercando di liberare il polso.
«No,
no, Rachel. Che cattiva ragazza che sei, non dovresti usare
certe parole, non si adattano alle ragazzine di buona
famiglia» mormorò lui, in
tono paterno, serrando sempre più la presa.
Si
stava avvicinando sempre di più, era ad un centimetro dal
viso
della ragazza… Stava per baciarla… Rachel chiuse
gli occhi, cercando di
ricacciare indietro le lacrime e attese il contatto.
Contatto
che però non avvenne, perché Garfield, vedendoci
rosso,
aveva tirato un pugno dritto dritto sul naso di Jason, ottenendo di
allontanarlo da lei. «Ti ha detto di lasciarla»
commentò secco, guardando il
ragazzo con i suoi penetranti occhi verdi.
«Cos…?»
balbettò il moro, tastandosi il naso e sentendo colare del
liquido caldo. Con rabbia si alzò e si gettò sul
ragazzo biondo che gli aveva
fatto quello e che, per di più, era lì insieme
alla sua ex.
Garfield
semplicemente si spostò, andando accanto a Rachel per
vedere se stesse bene e in quel modo Jason finì lungo
disteso sul marciapiede.
Quello era troppo. Con un ringhio selvaggio si alzò e stava
per caricare di
nuovo, quando un altro ragazzo si parò davanti a lui,
più muscoloso e ben
piantato di Garfield. Lo riconobbe subito: Richard Grayson, chi altri?
«Jason.
Quanto tempo dal nostro ultimo incontro» commentò
incolore
il ragazzo, fissandolo.
«Grayson.
Non si può dire che tu mi sia mancato»
replicò l’altro,
arrabbiato.
«Nemmeno
tu. E anche l’ultima volta che ci siamo visti, mi sembrava
di averti detto di non osare avvicinarti a mia cugina» disse
il ragazzo con gli
occhi celesti, minaccioso.
«Dimentichi
un particolare, Grayson. All’epoca io e lei stavamo
insieme, era lei che voleva che io mi avvicinassi»
ribatté Jason, con un tono
che lasciava sottoindendere molte cose.
«Questo
lo credi tu, Jason. Sai, ho sempre ammirato la tua
sicumera. Ti ha sempre portato a crederti il dio del mondo, non
è vero? Bè, è
ora che tu capisca qual è il tuo posto»
sibilò Richard, alzando un pugno e
rifilandolo nuovamente sul naso a Jason. «Spero che ora il
messaggio ti sia
chiaro. Non. Toccare. Rachel. Mai più»
continuò, con una certa cattiveria nella
voce. Dopodiché gli voltò le spalle e spinse la
cugina e Garfield in macchina.
Partì sgommando, lasciando dietro di loro il ragazzo a
massaggiarsi il naso e a
lanciare insulti a Rachel.
«Bel
destro, Gar» si complimentò il moro, una volta a
distanza
sufficiente per rallentare e guidare come una persona normale.
«Grazie»
replicò l’altro, rivolgendo la sua attenzione a
Rachel,
che si era fatta piccola piccola sul sedile. «Rachel, tutto
bene?»
«Sì.
Richard, puoi lasciarmi da Jessica?» rispose lei, incolore,
spostando la sua attenzione sul cugino alla guida, che annuì
e qualche secondo
dopo svoltò a destra, depositandola davanti ad una
comunissima casa a schiera.
«Passo
a prenderti?» domandò il ragazzo.
«No,
mi riaccompagna Jess. Grazie, a dopo. Ciao, Garfield» disse
lei, sempre in tono incolore, avvicinandosi al patio e suonando il
campanello.
Fu soltanto dopo averla vista entrare che Richard ripartì.
Garfield,
intanto, era slittato davanti e i due ragazzi ora si
trovavano affiancati, entrambi silenziosi.
Dopo
qualche minuto, Garfield osò aprire bocca: «Credi
che Jason
si avvicinerà di nuovo a Rachel?»
Richard
sospirò profondamente, poi disse: «Se lo conosco,
per un
po’ la lascerà in pace. Ma dopo tornerà
all’attacco. L’ho sempre detto a
Rachel, che razza di tipo fosse, ma lei non ha mai voluto credermi.
Questo fino
a qualche mese fa, quando se ne è accorta di persona. Ma ha
continuato a stare
con lui, sperando che fosse solo una fase. Rach è la persona
più ricca di
speranza che io conosca. Ma tutto questo non le può fare
troppo bene ed infatti
quell’idiota l’ha mollata, seguendo i consigli dei
suoi amici. Ma credo che tu
lo sappia, no?»
«Sì,
infatti» rispose cupo il biondino.
«Garfield…
Mia cugina ti piace, vero?» domandò ad un certo
punto
il moro, cogliendo il compagno di sorpresa. Vedendolo in
difficoltà, lo
rassicurò: «Tranquillo, non
c’è nulla di male. Lo so che non la faresti mai
soffrire. E se dovessi farlo, stai pur certo che ti troverò,
ovunque tu vada e
te la farò pagare.»
«Sì,
certo!» rispose l’altro, quasi mettendosi
sull’attenti.
«Allora
ti devo chiedere l’enorme favore di proteggerla. Rachel
è
fragile, molto fragile. Lo è sempre stata, ma da quando sua
madre è stata
ridotta in quello stato, lo è diventata ancora di
più. Tra un anno io andrò al
college e non potrò starle sempre accanto come ho fatto
finora. Quindi dovrai
farlo tu, d’accordo?»
«Conta
pure su di me» rispose serio Garfield, indurendo lo
sguardo.
«Grazie,
Gar. Sei un amico» lo ringraziò il moro, prima di
chiedergli: «Qua devo girare a destra, giusto?»
«Sì
e poi di nuovo destra. Perfetto, grazie del passaggio. Ci
vediamo domani» salutò il biondo, scendendo
dall’auto e ricevendo un saluto
simile.
Lo
guardò allontanarsi, poi si ritirò in casa,
pensoso.
Quella
sera fece sogni piuttosto strani, in cui comparve una
ragazza dai capelli scuri implorando il suo aiuto.