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Autore: Alley    24/06/2013    4 recensioni
Aveva la mente bloccata dal terrore e i battiti gli rimbombavano nel petto come esplosioni. Sentì la voce di Pepper farsi strada nella sua testa, mentre il cuore fremeva e si dimenava come un uccello in gabbia.
Non è facile scindere lavoro e sentimenti. Per quanto sia una persona controllata, non credo proprio che riuscirei a farlo. A ragionare con lucidità e agire in maniera razionale in una situazione di pericolo.
[Alla mia compagna di vita, storie e vaneggiamenti. Buon compleanno, _Maria_]
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Cosa augurarti? A dire il vero, dovrei augurarti te stessa, perchè tu sei il regalo più prezioso, più raro a cui possa pensare"
Alla mia compagna di vita, storie e vaneggiamenti. Buon compleanno Marì ♥

 









Quando Pepper entrò nell’ufficio di Phil si ritrovò davanti una pila di fogli tanto elevata da nascondere completamente l’amico, la cui presenza dietro la scrivania era svelata solo dal risuonare di sospiri e borbottii sommessi.
"Sei stato preso in ostaggio dai documenti?" chiese, avanzando fino allo scrittoio e oltrepassandolo. Phil lasciò cadere il plico che stava esaminando e si strofinò gli occhi, sbuffando.
"Ho lavorato tutta la notte."
"Le occhiaie lo lasciavano presumere."
Pepper aprì la borsa color panna che portava a tracolla e vi affondò un braccio, frugandovi all’interno; quando riemerse, stringeva tra le dita un sottile plico recante il sigillo dello S.H.I.E.L.D.
"Cercavi questo?" domandò con un sorriso, porgendolo a Phil. Quello, esterrefatto, sgranò gli occhi e spalancò la bocca, spostando ininterrottamente lo sguardo dai fogli al volto della donna.
"Come hai…?"
"I maghi non svelano mai i propri trucchi" sussurrò Pepper, imprimendo alla voce una teatrale nota di mistero e lanciando il fascicolo sulla scrivania, sopra i documenti vanamente esaminati fino a quel momento.
"L’hai dimenticato ieri a casa" spiegò poi, prendendo posto sulla sedia libera di fronte a Phil. Dopo aver trascorso l’intera giornata a discutere con Stark per provare a convincerlo a partire per Detroit e ad ascoltarne le recriminazioni e le lamentale il suo cervello doveva essersi fuso a tal punto che non s’era accorto d’aver lasciato il fascicolo alla Stark Tower.
"Adesso che l’enigma del plico scomparso è risolto, potresti per favore abbattere questa torre di carta? Mi piacerebbe guardarti in faccia mentre ti parlo."
Phil represse una risata e infilò buona parte dei documenti nei cassetti dello scrittoio, per poi passare a fissare il viso dell’amica. La sua sola presenza era bastata a risollevargli il morale e, considerando la nottata trascorsa in ufficio a rovistare tra cassetti e scartoffie e la petulanza di Barton, che quel giorno s’era infiltrato nel suo ufficio ancor prima del solito, l’impresa era veramente degna di una maga.
"Non so come farei senza di te."
Il sorriso di Pepper divenne ancor più largo e radioso. "Il prestare soccorso è iscritto nel mio DNA. Non sai quante volte Tony dimentica a casa pezzi di armatura e mi costringe a venire sin qui a portarglieli."
Questa volta la risata di Phil fu piena e cristallina e quella di Pepper risuonò insieme a lei un istante dopo.
"Non parlavo solo del plico."
"E di cosa, allora?"
"Di tutto."
Un velo di tenerezza ammantò le iridi color cielo e Pepper tornò a sorridere, lusingata.
"Sei la persona più efficiente che abbia mai conosciuto. Fury dovrebbe assoldarti" commentò, abbassando lo sguardo sul fascicolo ritrovato.
"Non credo di essere adatta a questo tipo di lavoro."
"Invece ti assicuro che lo sei."
Pepper storse le labbra, dubbiosa. "Non so sparare. Anzi, non so nemmeno impugnare una pistola."
"Potresti imparare. E comunque, non devi per forza usarne una."
Un lampo di malizia balenò nello sguardo di lei e Phil aggrottò la fronte, perplesso ma soprattutto inquietato da quel pessimo segnale, che aveva ormai imparato a riconoscere fin troppo bene; era il consueto e snervante preludio di discussioni incentrate su frecce, scrupoli futili e senza senso – secondo Pepper – e provocazioni pericolose e fuori luogo – secondo lui.
"Non so nemmeno maneggiare un arco."
"Non intendevo quello" ribattè e si rese conto soltanto quando era ormai troppo tardi che il tono stridulo e perentorio utilizzato smentiva palesemente le sue parole.
"No, certo che no."
Pepper sollevò un sopracciglio con fare eloquente e inclinò le labbra in un sorriso sornione.
"È strano non trovarlo qui."
"Non è affatto strano. È il mio ufficio, non il suo."
"Perché la porta era aperta?"
"Perché…"
Allo S.H.I.E.L.D. aveva imparato ad elaborare bugie in un battito di ciglia, eppure, in quel momento, la sua mente pareva bloccata.
"…aspettavo l’agente Hill" concluse, dopo aver riflettuto qualche secondo più del necessario, ma in tono piuttosto fermo e convincente.
Almeno, così pareva alle sue orecchie.
"È in missione" replicò Pepper serafica e Phil non potè fare a meno di sbarrare di nuovo gli occhi, incredulo.
"E tu come fai a saperlo?!" le chiese, quasi gridando, e l’espressione che si dipinse sul volto dell’amica era tanto subdola e trionfante da spaventarlo.
"Non lo so, ma so che hai mentito e in questi casi qualunque obiezioni risulta efficiente, vera o falsa che sia."
Sconvolto, Phil sospirò e sprofondò nella spalliera della poltrona. Era amico di Pepper da molto tempo ma, a quanto pare, c’erano ancora degli aspetti del suo carattere che non conosceva, quali la scaltrezza e l’ambiguità – doti necessarie per rapportarsi quotidianamente con Tony Stark senza perdere il senno.
"Inoltre..." proseguì, sempre più compiaciuta "..la porta era aperta ed è lui che va via senza chiuderla. Sbaglio?"
Phil sospirò ancora, in segno di resa.
"Te l’ho detto, dovresti lavorare per noi. Reperto investigazioni."
Pepper scoppiò di nuovo a ridere e scosse il capo.
"Non ne sarei capace, credimi. Senza contare che, anche se lo fossi, non potrei comunque."
"E per quale motivo?"
"Per Tony."
Phil corrugò la fronte e le rivolse uno sguardo interrogativo.
"Le industrie andrebbero in rovina?"
"Non solo. Non è facile scindere lavoro e sentimenti. Per quanto sia una persona controllata, non credo proprio che riuscirei a farlo. A ragionare con lucidità e agire in maniera razionale in una situazione di pericolo, se lui fosse…"
"Capisco cosa intendi" la interruppe Phil, annuendo "E la cosa vale reciprocamente. Stark si lancerebbe nel fuoco per te. Senza armatura, naturalmente" precisò, afferrando il prezioso fascicolo e prendendo a sfogliarlo distrattamente.
Con la coda dell’occhio vide un altro lampo, ancor più luminoso del precedente, attraversare lo sguardo di Virginia e si immerse pretestuosamente nella lettura per evitare altre discussioni imbarazzanti.
"Sì, so che puoi capirlo" disse e l’entusiasmo di cui era intrisa l’affermazione fu sufficiente a farlo avvampare" Uno a zero per me."
"È proprio per questo motivo..." cominciò, senza staccare gli occhi dal foglio e scandendo accuratamente le parole "...che le relazioni tra colleghi non sono consentite dal regolamento."
Lo sbuffo spazientito di Pepper rimbombò nell’aria come un’esplosione.
"Uno a uno e palla al centro" sentenziò Phil soddisfatto, rivolgendole un’occhiata trionfale.
"No, agente. Sarai sempre tu a perdere fino a quando ti ostinerai ad impedirti di essere felice."
Questa volta, non c’era traccia di malizia né di ironia negli occhi azzurri che lo fissavano.
"Stark è pronto per la partenza?" domandò, nel disperato tentativo di cambiare argomento. La situazione con Barton era una cosa su cui rimuginava fin troppo spesso – in ogni istante della sua esistenza, precisamente – e non aveva né la voglia né la forza di pensarci in quel momento, figurarsi di parlarne.
"Ehm…Domanda di riserva?"
Per fortuna, Pepper sapeva sempre quando non era il caso di insistere. Lei sapeva sempre tutto.
"Si può sapere qual è il suo problema?"
Pepper scrollò le spalle con rassegnazione.
"Dice che Iron Man non può essere disturbato per queste cose."
"Giusto, solo attacchi alieni e bombe nucleari per lui."
"E calamità ambientali di grande portata" aggiunse Pepper e Phil sospirò, desolato e stizzito al contempo.
La mattina del giorno precedente, era giunta alla base una soffiata molto attendibile relativa alla presenza di un vecchio stabile rimpinzato di esplosivo in quel di Detroit. In passato, Tony aveva disinnescato ordigni incredibilmente complessi come fossero semplici giocattoli e, malgrado lo S.H.I.E.L.D. disponesse di personale iper qualificato, nessuno poteva vantare la sua competenza e la sua prontezza.
Inoltre, un tipo invadente e chiassoso come Stark era proprio quel che ci voleva per infoltire il gruppo di partenti e diminuire ulteriormente le possibilità di ritrovarsi a tu per tu con Barton. Chi sa per quale oscuro motivo il direttore, che di solito preferiva sempre inviare in missione un numero cospicuo di agenti, s’era messo in testa di mandare soltanto lui e il Falco e quando, quella mattina, gliel’aveva comunicato, il caffé gli era andato di traverso e per poco non s’era strozzato. Aveva discretamente osservato che l’edificio era molto grande – in realtà non l’aveva mai visto - e sarebbe stato opportuno inviare almeno un altro paio di persone – anche tutto il resto della base, se fosse stato per lui – con loro. Fury era parso perplesso (“c’è un sacco di lavoro da sbrigare e vista la crisi e i conseguenti tagli al personale non possiamo più permetterci le squadre di un tempo”) e Phil, in preda alla disperazione, aveva proposto di aggiungere Harris alla lista. Il ragazzo sapeva a stento allacciarsi le scarpe; non era in grado di partecipare ad una missione che prevedesse azione – quindi, a nessuna missione - e di sicuro nessuno avrebbe sentito la sua mancanza alla base – in particolare i colleghi del suo reparto che finivano con una pallottola nel didietro un giorno sì e l’altro pure durante le esercitazioni. Fury era sicuro che, anche se si trattava soltanto di individuare una bomba, Harris sarebbe stato comunque una zavorra e aveva provato a dissuaderlo, ma Phil aveva sostenuto con convinzione la necessità di far fare esperienza al ragazzo e quella missione, tutt’altro che proibitiva, era un ottimo modo per rompere il ghiaccio. Caso volle che proprio in quell’istante Sitwell fosse passato davanti all’ufficio del direttore e avesse 'accidentalmente' origliato la conversazione; entusiasta, l’agente aveva bussato e si era proposto come quarto componente della spedizione, lieto di poter accontentare la richiesta del vicedirettore. La sua agenda non prevedeva altri impegni per quel giorno e Fury non aveva potuto contestare.
Sia ringraziato il cielo
"Pepper, abbiamo bisogno di lui" la pregò, implorante.
"Lo so" asserì la donna comprensiva ed esibì un’espressione brillante e vittoriosa "Ed è proprio su questo che ho fatto leva per convincerlo. Il suo ego è la sua più grande debolezza."
Phil lasciò perdere il fascicolo, scattò in piedi e si sporse a schioccarle un bacio sulla guancia.
"Vacci piano, qualcuno potrebbe ingelosirsi" scherzò, indicando la porta con un gesto allusivo, ma Phil era a tal punto preso dalla lieta novella da non far caso all’insinuazione.
In un colpo solo, aveva guadagnato un valido professionista ed un ottimo elemento di disturbo: splendido.
"Ribadisco: non so come farei senza di te."
 

***


"Buongiorno gente! Tony Stark è qui per salvarvi."
Tony si presentò alla base con un paio di giganteschi occhiali da sole a celargli buona parte del volto, un sorriso ampio e sfarzoso e un’ora abbondante di ritardo.
"Stark" lo salutò Phil, sforzandosi di mascherare il fastidio per quell’interminabile attesa. Dal momento che aveva accettato di partecipare con tanta riluttanza, era meglio non muovergli obiezioni, almeno fino a quando il jet non fosse decollato. No, non soltanto fino a quel momento, ma per tutta la durata della missione, perché avrebbe sempre potuto volare via con la Mark se si fosse indispettito.
Quando quel pensiero gli balenò nella mente una lampadina invisibile si accese sul suo capo e Phil lanciò un’occhiata perplessa alle mani vuote di Tony.
"Agente, Legolas, piccoletto."
Tony salutò Coulson, Barton ed Harris e le sue labbra si contrassero in una smorfia davanti al quarto agente.
"Pitwell?"
"Sitwell" lo corresse quello, piccato, e una risatina soffocata si levò alle sue spalle, dove il Falco stava armeggiando con il portellone del jet.
"Oh, giusto" commentò Tony con noncuranza, liquidandolo con un gesto distratto e dirigendosi verso il veicolo.
"Stark" lo chiamò Phil, prima di affiancarlo "Dov’è l’armatura?"
Tony si fermò di botto, voltò il capo verso di lui con lentezza melodrammatica e si sfilò gli occhiali, rivelando un’espressione fintamente sconcertata.
"Agente!" protestò, indignato "Non posso impolverare il mio prezioso gioiellino per queste sciocchezze!"
Phil ricordò il proposito di non farlo arrabbiare e ingoiò l’imprecazione che stava per sputar fuori.
"Devo soffiare su un mucchietto di polvere da sparo o fare fuori un esercito di mostri mutanti?"
"Beh, non si sa mai, potrebbe succedere…"
"Appunto! Il mio genio sarà più che sufficiente" lo rassicurò e accelerò il passo, infilandosi nel jet senza consentirgli di ribattere. Harris e Sitwell lo imitarono e a Phil non sfuggì l’occhiataccia che Barton, in piedi con un braccio poggiato contro lo sportello spalancato, rivolse al secondo. Per un istante, un terribile istante, temette che gli l’avrebbe spinto dentro con un calcio o, ancora peggio, gli avrebbe ficcato una freccia in una natica, ma per fortuna nulla di tutto ciò accadde; Sitwell sparì indenne oltre il metallo argentato e Phil potè tirare un sospiro di sollievo.
"Era proprio necessario che venisse anche quello?"
La voce di Barton risuonò lagnosa e seccata mentre lui si apprestava ad entrare a sua volta.
"Lo stabile è enorme, ci vogliono almeno cinque persone per perlustrarlo in tempi ragionevoli" spiegò, tenendo gli occhi ben saldi sulla parete di fronte a lui; sentiva lo sguardo del Falco conficcato nel fianco, pungente e fastidioso come una spina – o meglio, come una freccia – e aveva tutta l’intenzione di evitarlo.
"Davvero?"
Il tono divertito con cui il quesito era stato posto non gli piacque per niente – ma proprio per niente – e decise che salire sul jet senza ribattere sarebbe stata la scelta più saggia.
Aveva già piantato un piede oltre l’uscio quando Barton parlò ancora e, proprio come le sue maledette frecce – tutto quello che lo riguardava era maledetto e insopportabile e nocivo - centrò in pieno il bersaglio.
"Le mie fonti..." cominciò, il solito sorriso tronfio e irriverente a incurvargli la bocca – maledetto pure quello e maledette pure le labbra e quel braccio sfacciatamente allungato sul portellone, maledetto tutto "mi hanno spifferato che Fury avrebbe voluto mandare solo lei e me."
Phil ritrasse il piede e lo poggiò sull’asfalto – fuggire sarebbe equivalso ad una confessione - e si voltò a fissarlo – non prima di essere indietreggiato di qualche passo, naturalmente – sfoggiando l’espressione più imperturbabile del suo repertorio.
"Le tue fonti non sono attendibili."
"Ha paura di venire in missione da solo con me?" chiese, ignorandolo, e Phil avrebbe fatto carte false per potergli strappare quel sorriso insolente dalla faccia a suon di schiaffi.
"Stia tranquillo, non la mangio mica."
Non c’era bisogno di una mente particolarmente arguta per cogliere il doppio senso nemmeno troppo nascosto in quella frase e Phil si rese conto di quanto fosse stato ingenuo a credere che Stark costituisse la principale minaccia della combriccola per il suo autocontrollo.
"Entra. Dobbiamo partire."
Cambiare argomento era un’ammissione di colpa addirittura peggiore della fuga, ma in quel momento Phil avrebbe fatto qualsiasi cosa per sbarazzarsi di Barton e della sua faccia compiaciuta.
"Dopo di lei, signore" ribattè Clint, invitandolo a precederlo con un gesto.
Phil non se lo fece ripetere due volte.
 

***


"Chi è il coglione che si prenderebbe la briga di piazzare una bomba in questa topaia?"
Phil sbuffò e roteò gli occhi al soffitto, interrompendo la perlustrazione.
"Ti spiacerebbe utilizzare un linguaggio un tantino più consono, Barton?"
"Legolas ha ragione. Non c’è bisogno di una bomba, crollerà da sola da un momento all’altro" rincarò la dose Tony, adocchiando le profonde crepe sulle pareti.
Quei due erano incredibilmente – e insopportabilmente – simili: lagnosi, irritanti e privi di senso del dovere, anche se, in effetti, lo stabile era davvero mal ridotto. L’intonaco delle mura era ingiallito e scrostato, ricoperto da chiazze di muffa scura e maleodorante, e i lunghi corridoio traboccavano di ragnatele e suppellettili spaccati e consumati dal tempo. Per fortuna, lo spazio era davvero immenso, anche più di quel che Phil aveva sperato; non che avesse voglia di passare tutta la giornata alla ricerca dell’ordigno, ma in questo modo Barton non avrebbe potuto accusarlo di aver arruolato gli altri solo per scopi opportunistici.
"Dividiamoci."
Spedì Tony ed Harris dall’altra parte dell’edificio, Sitwell nello spiazzo adiacente e Barton al piano superiore.
"Devo andarci da solo?" chiese il Falco con voce melensa, dopo aver atteso che gli altri si fossero allontanati, e Phil si domandò per quale motivo non avesse escluso lui invece di aggiungere loro.
"Se vuoi, può venire Sitwell con te" ribatté in tono pacato, riprendendo a frugare nell’armadio che stava ispezionando. Vide di sottecchi il suo volto contrarsi in una smorfia seccata e represse a stento un sorriso compiaciuto.
"Meglio soli che male accompagnati" commentò acidamente, avviandosi verso le scale.
Phil alzò gli occhi e lo guardò allontanarsi; un sospiro afflitto e tormentato gli schiuse le labbra e, un istante prima che poggiasse il piedi sul primo gradino, sentì la sua voce fuoriuscire senza autorizzazione e chiamarlo.
"Barton."
Lui s'arrestò e si voltò, un sopracciglio leggermente inarcato. "Sì?"
In realtà, Phil non aveva nulla da dirgli – o meglio, nulla che non fosse sconveniente e contro il protocollo.
"Controlla dappertutto."
 

***


"Signor Stark!"
Harris lo chiamò per l’ennesima volta, la voce squillante e frenetica, e Tony trattenne a stento uno sbuffo.
"Che ne dice di questa?" domandò, tendendo verso di lui una vecchia lanterna impolverata.
Iron Man indietreggiò di qualche passo e il suo volto si contrasse in una smorfia infastidita.
"Harris, io detesto che mi si porgano le cose."
"Oh" bisbigliò il giovane, mortificato, e ritirò le braccia "Mi scusi, non lo sapevo."
"Non importa" disse con noncuranza "In ogni caso, quella è una lampada, non una bomba."
Harris abbassò lo sguardo e la fissò, come a cercarne la conferma.
"Forse ha ragione" ammise alla fine, sollevando le spalle "Ma poteva trattarsi di una bomba a forma di lampada."
Tony aveva urgentemente bisogno di parlare con il grande capo e chiedergli quali fossero i criteri per essere ammessi allo S.H.I.E.L.D.
"È sempre meglio essere prudenti."
"Certo" lo assecondò, prendendo a vagare per la stanza alla ricerca di qualcosa di un po’più simile ad un ordigno.
"Dimmi un po’, piccoletto, che ci fai tu qui?" gli chiese, chinandosi su un armadietto smantellato.
"Dice a me?"
No, al comò
 "Dico a te, sì."
Si sparse un lieve rumore di passi e anche Harris s’abbassò accanto al mobiletto sfasciato.
"Cerco la bomba" rispose, con un’alzata di spalle.
A Tony era bastata un’occhiata per capire che il ragazzo non fosse dotato di un’intelligenza spiccata, ma arrivare a credere che lui – Tony Stark, santo cielo – potesse porre una domanda così ridicola era davvero da decerebrato.
"Intendevo..." esordì, sforzandosi di mantenere la calma "...che ci fai in missione. Pensavo fossi ancora il portaborse di Coulson."
Gli occhi del giovane si illuminarono davanti al nome del suo adorato vicedirettore e questa volta Tony dovette compiere uno sforzo disumano per non imprecare – Pepper sarebbe stata fiera del suo autocontrollo.
"È stato proprio lui a volermi con sé" declamò, emozionato, e Tony ebbe la conferma che, se Fury stava inesorabilmente perdendo colpi col sopraggiungere della vecchiaia, Agente li aveva già smarriti tutti, pur avendo meno anni del grande capo.
"Capisco" commentò, col tono più neutrale di cui disponesse "Perché non vai a controllare se c’è qualcosa di interessante in quell’armadio? Qui ci penso io."
Harris zampettò via, ubbidiente, e lui cominciò a tirar fuori le cianfrusaglie stipate nel mobiletto.
"Signor Stark!"
Tony sobbalzò e sentì i nervi tamburellargli nervosamente contro le tempie.
"Harris, se si tratta di un’altra lampada giuro che…"
Un ticchettio inquietante si librò nell’aria ammuffita e Tony scattò in piedi, gettando sul pavimento il ciarpame. Si voltò cautamente, terrorizzato all’idea di ciò che avrebbe visto, e quando i suoi occhi caddero sul cilindro di metallo poggiato su una mensola dell’armadio e, soprattutto, sulla luce rossa che s’accendeva ad intermittenza su di esso, vomitò tutte le bestemmie trattenute fino a quel momento e si lanciò verso Harris, afferrandolo per un braccio.
"Mi dispiace, io l’ho appena sfiorata, non…"
"Sta zitto e corri!" gridò e se lo tirò dietro fino all’ingresso, dove Coulson stava ancora perlustrando l’ambiente.
"Interrompi le pulizie di Primavera, Agente. Sta per scoppiare il finimondo qua dentro. E non solo quello."
Phil gli rivolse un’occhiata perplessa ed ansiosa.
"Che cosa…"
"La bomba esploderà tra un minuto."
"Mi dispiace, io non…"
"Barton, Sitwell" li chiamò Coulson attraverso l’auricolare "Uscite immediatamente di qui. È un ordine."
Si fondarono verso la porta e misero piede fuori dall’edificio un istante prima dell’esplosione.
 

***


L’esplosione fu tanto violenta da scaraventarli contro l’asfalto. Phil sbattè sulla strada cocente e rotolò fino al jet, coprendosi il capo con le braccia per proteggersi dall’impatto col metallo.
Quando riaprì gli occhi vide Harris disteso a pochi passi da lui e Tony che si sollevava e lo scuoteva.
"Stai bene, piccoletto?" gli chiese, aiutandolo a rialzarsi.
Phil non s’era ancora rimesso in piedi quando un altro scoppio, ancor più violento, li fece sobbalzare; furono inondati una vampata di luce e calore e, in un secondo, un mare di fiamme ruggenti avvolse lo stabile che l’esplosione, per quanto violenta, non era riuscita a radere al suolo.
"Che cosa è successo?" domandò Sitwell, fissando atterrito e confuso lo spettacolo che si consumava davanti ai loro occhi.
"Abbiamo trovato la bomba" rispose Tony, indietreggiando di qualche passo. Le fiamme strisciavano fuori dalle finestre come serpi incandescenti, intrecciandosi e scoppiettando senza sosta.
All’improvviso Phil guizzò in piedi e si guardò intorno, voltando la testa con scatti repentini e agitati.
"Dov’è Barton?"
"Prova a contattarlo" suggerì Tony, la voce intrisa di preoccupazione.
Phil si portò una mano all’orecchio e s’accorse con orrore d’aver perso l’auricolare.
"Devo andare a cercarlo" disse e ed era già avanzato verso il fabbricato in fiamme. Sitwell si sollevò a sua volta e gli si parò davanti, spalancando le braccia per ostacolarlo.
"Signore, non può entrare lì dentro."
"Togliti, Jasper" gli ordinò, cercando di sorpassarlo, ma quello piantò i piedi ancor più saldamente.
"Che cosa vorrebbe fare? Quell’edificio cade a pezzi, crollerà prima che possa…"
"Fammi passare, subito!" gridò e lo spostò con uno strattone.
"Signore, sa meglio di me che cosa bisogna fare in questi casi."
Phil lo sapeva, sapeva che il regolamento vietava salvataggi spericolati simili a suicidi senza senso, perché un solo agente morto era meglio di due. Lo sapeva e l’aveva ripetuto a decine di giovani reclute, lo aveva detto allo stesso Barton quando l’aveva assoldato, portandolo via dal circo. Lo sapeva, eppure in quel momento una forza invincibile lo trascinava verso lo stabile e le fiamme, attirandolo come una calamita attrae il ferro.
Aveva la mente bloccata dal terrore e i battiti gli rimbombavano nel petto come esplosioni. Sentì la voce di Pepper farsi strada nella sua testa, mentre il cuore fremeva e si dimenava come un uccello in gabbia.
Non è facile scindere lavoro e sentimenti. Per quanto sia una persona controllata, non credo proprio che riuscirei a farlo. A ragionare con lucidità e agire in maniera razionale in una situazione di pericolo
"Coulson."
Tony lo afferrò per un braccio e il suo tono, seppur incrinato da una note di timore appena udibile, risuonò saldo e solenne, completamente scevro dalla baldanza che di solito lo animava.
"Stark, non cercare di-"
"Non voglio fermarti."
Mollò la presa e alzò per un istante gli occhi sullo stabile immerso nel fuoco, per poi riabbassarli su di lui.
"Voglio solo che mi giuri che farai attenzione."
Sitwell fece per opporsi, ma Phil annuì e corse via senza dargliene il tempo.
 

***


L’aria era densa e fumosa, irrespirabile, colorata di rosso e oro dalle fiamme incandescenti. Phil avanzò faticosamente fino al piano superiore, schermandosi il volto con un braccio e facendosi largo tra i detriti e la cenere. Attorno a lui, il fuoco divampava e scoppiettava, alto e minaccioso, annerendo le pareti e ingoiando tutto ciò che intralciava il suo cammino. Si sforzò di scacciare il terribile pensiero che anche Barton fosse stato divorato dalle fiamme e continuò a mettere un piede avanti all’altro; la scala gli pareva infinita e, quando provò a sollevare lo sguardo per capire a che punto fosse, incontrò soltanto fumo plumbeo striato di rosso. Aveva la vista appannata dalle lacrime e il respiro mozzato, ma nulla gli avrebbe impedito di proseguire. Finalmente, i gradini cessarono e raggiunse il piano superiore. Avanzò lungo il corridoio, tossendo e sbattendo le palpebre nel vano tentativo di scorgere qualcosa oltre l’aria offuscata dalla foschia, fino a quando non individuò una porta spalancata. La raggiunse e si affacciò per perlustrarne l’interno, ma non vide altro che mobili anneriti e malandati e travi affumicate ammassate sul pavimento. Agitato, ritrasse la testa e riprese a precorrere l’andito, immerso nel fumo asfissiante e nel calore cocente delle fiamme che continuavano a salire senza sosta.
"Barton!"
Sentì la gola ardere come e più del resto del casale, ma continuò a chiamarlo, gridando con quanto fiato gli era rimasto in corpo. All’improvviso la sua voce fu coperta da un fragoroso boato; Phil sobbalzò e vide la parete di fronte a lui sgretolarsi come un castello di sabbia colpito da un’onda. Terrorizzato, si voltò verso la scalinata e fu un enorme sollievo vederla ancora al proprio posto; ma il fuoco continuava a scoppiettare, violento e bollente, e gli strepiti e gli scricchiolii si facevano sempre più rumorosi e preoccupanti. La scala e probabilmente l’intero stabile sarebbero crollati prima che riuscisse a controllare in tutte le stanze. Si sforzò di non pensarci, di non pensare a nulla, e raggiunse la seconda porta, anch’essa aperta, pregando di trovare Barton e di trovarlo ancora vivo.
Intravide tra il grigiore una sagoma riversa sul pavimento ed emanò istintivamente un sospiro di sollievo; quando affilò lo sguardo e riuscì a focalizzarla, il conforto fu immediatamente sostituito dalla paura. Il Falco era quasi interamente sommerso da un mucchio di travi che a Phil parvero mostruosamente pesanti e un rivolo di sangue gli scorreva dalla fronte lungo la guancia, gocciolando sul parquet.
Phil si precipitò nella stanza e prese a spostare freneticamente le assi. Non era un’impressione, pesavano come macigni e, mentre le sollevava, sentiva il terrore crescere ed opprimergli il petto più del fumo. Dopo averne rimosse un paio, si rese conto di non aver nemmeno appurato che fosse ancora vivo – non ce n’era bisogno, doveva essere vivo, doveva per forza. Sempre più allarmato, scacciò quel pensiero atroce e continuò a rimuoverle, mentre i tonfi e gli scoppiettii provenienti dall’esterno risuonavano con più forza e frequenza. Poi un altro rumore si mescolò ai crepitii e agli schianti, quello ben più flebile dei colpi di tosse, ma questa volta non erano i suoi.
"Barton."
Phil lasciò cadere l’ultima trave e si inginocchiò accanto a lui, afferrandolo per le spalle e sollevandolo con delicatezza.
"Mi senti?"
Barton tossì ancora, il petto scosso e le palpebre calate, il sangue che continuava a scorrere dalla ferita.
"Come pretende di risultare credibile se non obbedisce ai suoi stessi ordini?" gli chiese, aprendo gli occhi e portandosi una mano alla testa, stordito. Phil tirò un altro sospiro, ancor più profondo e rincuorato del precedente.
"Hai sempre voglia di scherzare, eh?"
Si sforzò di nascondere l’apprensione ed il panico, ma la sua voce risuonò incerta e tremante e, quando l’ennesimo tonfo squarciò il silenzio, trasalì.
"Dobbiamo andare."
Si sollevò parzialmente, le ginocchia piegate e il braccio saldamente ancora alle spalle di Barton.
"No."
Il Falco si ritrasse, liberandosi dalla sua presa, e Phil non sapeva se a preoccuparlo maggiormente fosse la durezza del suo tono o quella dei suoi occhi.
"Che ti prende? Dobbiamo muoverci o non-"
"Se ne vada" lo interruppe laconico e un altro boato echeggiò nell’aria sempre più scura e tossica.
Phil serrò le labbra e allungò il braccio, ignorando le sue parole; Barton imprecò e gliel’afferrò prima che potesse cingerlo nuovamente.
"Mi ascolti bene" cominciò e Phil non ricordava d'averlo mai visto così serio "Io ho una gamba rotta o nella migliore delle ipotesi fratturata. Non posso muovermi, non posso nemmeno alzarmi in piedi, quindi-"
"Quindi ti porterò fuori io."
"No!" gridò Barton, la voce piena di una frustrazione disperata "Non c’è tempo! Sta per crollare tutto, deve…"
"Non sei tu a dirmi quello che devo o non devo fare, Barton" lo interruppe Phil e lui ringhiò con rabbia davanti a quel tono fermo e inamovibile.
"Da quando in qua è così dannatamente testardo?"
"Pensavi di essere l’unico?"
Phil si avvicinò di nuovo e di nuovo Barton lo respinse. Malgrado la paura che brillava nei suoi occhi sapeva che le sue non erano parole di circostanza, che voleva davvero che se ne andasse e se avesse potuto lo avrebbe cacciato con le sue stesse mani.
"Se ne vada" ripeté e non era un ordine, il suo, ma una preghiera.
"No."
"Non la lascerò morire a causa mia."
"Non moriremo" replicò Phil e nemmeno le sue erano parole vuote, mere rassicurazioni senza fondamento. Lo pensava davvero, era sicuro che non sarebbero morti ed era ancor più sicuro che non avrebbe fatto un passo senza di lui.
"Sì invece. Lo stabile sta cadendo a pezzi, non riuscirà a-"
"Adesso ascoltami tu" scandì fra i denti, esasperato. Vinse la sua resistenza e lo scosse con vigore, poggiandogli le mani sulle spalle e spingendolo contro il suo ginocchio, su cui era adagiato.
"O tu ti fai portare via oppure sì, moriremo, perché saremo qui mentre il tetto e le pareti crolleranno."
Barton fece per protestare, ma Phil proseguì senza dargliene il tempo.
"Non ti lascerò da solo, qualunque cosa tu dica non mi farà cambiare idea" asserì deciso e sentì la collera e il terrore scivolargli via dal petto; anche l'altro pareva più disteso o, quantomeno, più rassegnato. Aveva smesso di dibattersi e s’era accasciato contro la sua gamba, le mani bianche e tremanti raccolte in grembo.
Phil si incantò a fissare quel viso così temuto e desiderato; lo sguardo scorse dalla fronte insanguinata e leggermente aggrottata alla bocca serrata e smunta, fino a scivolare negli occhi, così vivi e profondi, velati dall’insicurezza e dal timore, illuminati da quella reverenza incrollabile che sempre li animava quando lo guardavano. Era la prima volta che se lo concedeva. S’era sempre affannato in maniera convulsa e ferrata nel tentativo di evitarlo, rifuggiva da quel volto come da qualcosa di dannoso e ostile; eppure, in quel momento, mentre era così meravigliosamente e pericolosamente vicino, non riusciva a trovarci proprio niente di sbagliato.
"Io non…"
Nemmeno s'accorse si essersi sporto verso di lui. Barton si sollevò leggermente e adesso la distanza che li separava era esigua come un respiro.
"Io non posso perderti" mormorò, tanto piano da non sapere se fosse stato un sussurro o un solo pensiero, e fu scosso da un fremito di paura e di eccitazione quando le labbra pallide del Falco sfiorarono le sue, ancora schiuse. Fu un attimo, un tocco fugace e impercettibile, e non ebbe il tempo di trasformarsi in un bacio.
Un tonfo più fragoroso e tetro scoppiò nel corridoio ormai scomparso oltre la foschia ed entrambi sobbalzarono e voltarono il capo verso la porta; tutto era nascosto dalla cortina di fumo e Phil sentì gli occhi bruciare e i polmoni ardere con ferocia.
Non sapeva se quella brusca interruzione gli avesse procurato più sollievo o rammarico – in realtà lo sapeva benissimo, ma preferiva illudersi del contrario – ma non c’era tempo per interrogarsi.
"Dobbiamo muoverci" disse e fece scivolare un braccio dietro la schiena di Barton, che si aggrappò a lui senza protestare.
 

***


Il fumo era ormai divenuto tanto fitto da parere nebbia sporca di fuliggine e il calore delle fiamme era pungente e bruciante, insopportabile. Phil avanzava con estrema lentezza, afflitto dal miasma che gli toglieva il respiro e gli accecava la vista, dalle vampate sempre più vicine e spaventose, dal peso di Clint che chissà per quale miracolo riusciva a trascinarsi dietro. Dopo pochi passi aveva l’impressione d’aver camminato per secoli e non c’era nulla al mondo che desiderasse come la fine di quel corridoio, che si dipanava nella cappa tossica come un tunnel senza uscita. I detriti e i rottami scricchiolavano sotto i suoi piedi e più di una volta fu sul punto di scivolare. Barton cercava di appigliarsi a lui il meno possibile, spostando il peso del corpo sulla gamba sana, ma questo non faceva che rallentarli ancor di più e allora Phil, privo delle forze necessarie per parlare a voce sufficientemente alta da sovrastare lo scoppiettare del fuoco, saldava la presa attorno alla sua vita e avanzava più spedito, a volergli dire che aggrapparsi a lui era la sua unica speranza e non doveva provare a farcela da solo.
La fronte grondava di sudore, le membra sfinite tremavano come ramoscelli al vento, i polmoni reclamavano l’ossigeno che non c’era. Phil sentiva che a breve sarebbe crollato e temeva che il casale lo facesse prima di lui, seppellendoli di fiamme e macerie. Finalmente la strada cessò e i piedi incontrarono il primo, agognato gradino. Barton imprecò a voce bassa nello spostare la gamba malconcia e Phil si rese conto di quanto la discesa sarebbe stata faticosa. Non avevano forze né tempo né speranze, ma dovevano provare, dovevano stringere i denti e proseguire. Lo fecero, malgrado il dolore e l’asfissia e rogo che sentivano ardere vivo e cocente come fosse nei loro petti, ancorandosi l’uno all’altro e insieme alla salvezza che pareva sempre più irraggiungibile. Raccattarono i passi, raccolsero le energie residue, si spronarono reciprocamente celando il terrore dietro un coraggio in realtà soltanto simulato e continuarono, fino a quando il piede di Phil incontrò il vuoto e rimase sospeso a mezz’aria, per poi ritrarsi con mesta rassegnazione.
"Che succede?"
"La scala…"
La scala era crollata. I gradini erano terminati e con essi le possibilità di raggiungere l’uscita.
Se solo avesse potuto vedere a che punto della discesa fossero giunti…Gli pareva di aver percorso pochissimi scalini, ma aveva smarrito la concezione del tempo e dello spazio ormai da molto e avrebbe potuto sbagliarsi.
"Possiamo…"
"No. Hai una gamba rotta, non-"
"Allora vai tu."
"No."
"Cazzo Phil, se non vai giuro che-"
"Ehm, scusate se mi intrometto, ma non mi sembra il momento di mettersi a litigare."
Phil abbassò lo sguardo, ma non vide altro che fumo e credette d’aver soltanto immaginato la voce di Tony.
"Fa un po’troppo caldo qui, che ne dite di uscire all’aria aperta?"
"Stark?"
Le loro voci risuonarono all’unisono ed era molto improbabile che entrambi avessero avuto la stessa allucinazione.
"Stark, che ci fai qui?"
"Quello che fa sempre Iron Man: salvare il culo agli altri."
Se Phil avesse avuto la forza di sbuffare, l’avrebbe fatto.
"Ma non hai la Mark!"
"Agente" lo apostrofò Tony "Io sono Iron Man anche senza armatura."
Il tono era tanto beffardo che diede a Phil la forza di roteare gli occhi al cielo – o meglio, al soffitto annerito.
Lo scoppio roboante dei propulsori coprì lo scoppiettio delle fiamme e, un istante dopo, Iron Man era sospeso nell’aria a due passi da loro, il metallo rosso e dorato scintillante alla luce delle fiamme.
"Sono Iron Man anche senza armatura, ma direi che in questo caso può risultare parecchio utile."
Li afferrò e volarono via.
 

***


"Dimmi, Agente, potremmo mai sopravvivere senza di lei?"
Tony si sfilò gli occhiali da sole e li poggiò sulla scrivania di Phil, rivolgendo a Pepper, seduta al suo fianco, un sorriso adorante. "Sei stata divina, bimba."
Pepper scosse il capo e storse le labbra, in un’espressione di rimprovero vagamente compiaciuto.
"Spero che da oggi in poi mi darai retta e ti porterai sempre dietro l’armatura."
"Te lo prometto" asserì solennemente Tony, poggiandosi una mano sul cuore a mò di giuramento "Ma, se per caso dovessi dimenticarmela…"
Pepper si irrigidì e assottigliò lo sguardo, fissandolo in cagnesco, e Tony si affrettò ad aggiustare il tiro.
"…cosa che non succederà assolutamente…"
Il volto della donna si distese e un sorriso soddisfatto le incurvò le labbra. Tony avvicinò la propria sedia alla sua, senza alzarsi, e le cinse le spalle con un braccio, sfiorandole la guancia con le labbra.
"…so che ci saresti tu a infilarla clandestinamente nel jet su cui dovrò viaggiare."
Pepper scosse ancora il capo, ma non c’era traccia di sdegno né risentimento sul suo viso, anzi; era sereno e luminoso e quando si voltò verso Tony e i loro sguardi si intrecciarono anche le iridi celesti presero a brillare. Poche ore prima Phil aveva visto la stessa, identica devozione scintillare in un altro sguardo, quando aveva incrociato il suo, e ricordarla gli mozzò il fiato più di quanto avessero fatto il fumo e le fiamme.
Un colpo sordo interruppe le sue riflessioni e tutti gli occhi scattarono verso la porta.
"Avanti."
La prima cosa che comparve furono due stecche di ferro, poi le mani che vi erano aggrappate e in ultimo il volto di chi vi si sorreggeva.
"Legolas!"
Barton avanzò a piccoli passi, rallentato dal gesso che gli avvolgeva la gamba.
"Non volevo bussare" precisò con indisponenza "È colpa di questi aggeggi maledetti" si lamentò, alludendolo alle stampelle.
Tony e Pepper si alzarono e gli andarono incontro.
"Come stai?" gli chiese lei, poggiandogli affettuosamente una mano sulla spalla.
"Ho qualche ossa rotta ma sono ancora vivo."
"Grazie a me."
"Tony" ringhiò Pepper, rifilandogli una gomitata.
"Ehi, non vorrai prenderti tutto il merito! È vero, se non fosse stato per te non avrei avuto l’armatura, ma io ho avuto l’acume necessario a scovarla e io l’ho indossata e mi sono valorosamente precipitato a…"
Mentre Tony declamava il suo encomio Pepper osservava Clint e seguiva la linea invisibile tracciata dal suo sguardo. Naturalmente, portava a Phil, che teneva la testa bassa e gli occhi puntati sul parquet, con interesse tanto morboso quanto pretestuoso.
"…domando le fiamme come un prestigiatore e…"
"Tony" lo chiamò, interrompendo il fiume di parole che continuava a scorrere dalla sua bocca "Dobbiamo andare."
"Dove?" chiese, voltando il capo verso di lei, perplesso e palesemente infastidito dall’interruzione del suo panegirico a se stesso. Lo sguardo assassino ricomparve sul volto di Pepper e Tony si domandò cosa avesse fatto di male questa volta.
"Dobbiamo andare a quell’appuntamento."
"Appuntamento? Ma oggi non c’è nessun… -
Lo sguardo assassino si assottigliò ulteriormente, passando in modalità sta zitto e ubbidisci o andrai in bianco per cinque anni e Tony sgranò gli occhi e si battè il palmo sulla fronte, simulando un’improvvisa quanto improbabile rimembranza.
"Ma ceeeerto, quell’appuntamento!" esclamò, gridando molto più del necessario "Stavo quasi per dimenticarmene!"
"È per questo che te l’ho ricordato" commentò Pepper tra i denti, sfoggiando un sorriso tirato e glaciale.
"Noi andiamo" proseguì e rivolse a Phil un’occhiata fin troppo esemplificativa, inclinando leggermente il capo verso Clint.
"Ciao, Agente. Tranquillo, non c’è bisogno che mi ringr-"
Pepper lo prese sotto braccio e lo trascinò fuori dall’ufficio senza dargli il tempo di concludere.
Quando la porta si chiuse, Phil pensò che sarebbe stato meraviglioso poter aprire una voragine nel pavimento con la sola forza del pensiero e sprofondarvi dentro. Aveva fissato il parquet con tanta intensità proprio nella speranza di riuscire nell’ambizioso intento, ma purtroppo tra le assi di legno non era comparsa nemmeno una lieve spaccatura.
Non gli restava altro che affrontare la situazione, sperando che il colloquio terminasse il più presto possibile.
Barton si trascinò verso il divanetto – non poteva sedersi su una sedia, no – appoggiò le stampelle contro il bracciolo e sprofondò nei cuscini foderati di raso, riuscendo nell’ardua impresa di assumere una posizione indecente malgrado il gesso. Phil represse a stento un sospiro ed ebbe la certezza che sarebbe stato il quarto d’ora più difficile e sofferto della sua esistenza – anche peggio di quello passato nello stabile in fiamme, sì.
Tremava al pensiero delle provocazioni e delle oscenità con le quali, ne era sicuro, sarebbe stato bombardato di lì a breve e stava già elaborando mentalmente un piano di difesa quando Barton parlò e smentì tutte le sue aspettative.
"L’ho messa nei guai?" chiese, preoccupato, e un velo di rimorso gli oscurò lo sguardo.
"No" lo rassicurò Phil, scuotendo il capo e nascondendo lo stupore "Non mi hai messo nei guai."
"Immagino che Sitwell si sia divertito un mondo a spifferare a Fury quello che è successo."
"Non gli ha spifferato niente. Il mio rapporto è stato più che sufficiente."
Barton corrugò la fronte, rivolgendogli uno sguardo interrogativo.
"E cosa ha scritto?"
Al loro rientro, Phil era rimasto a contemplare il verbale bianco per ore ed ore, in preda ad un conflitto interiore lacerante. Non gli interessava tutelare la propria reputazione – non era quel tipo di persona e, dopo tutti quegli anni di onorato servizio, non ne aveva bisogno – né tanto meno nascondere il fatto che una missione sulla carta innocua s’era quasi trasformata in una carneficina. Se Fury l’avesse punito o sospeso o rimproverato per non aver saputo gestire la situazione non gli sarebbe importato, non era per quello che aveva manomesso il rapporto e raccontato che, quando la bomba era esplosa, tutti erano già fuori dall’edificio – Barton s’era rotto la gamba quando lo scoppio li aveva scaraventati contro il jet. Il problema non era quello che Fury avrebbe pensato della sua reazione, ma quello che lui stesso pensava: aveva fatto una cosa stupida e illecita e la cosa peggiore era che sarebbe stato pronto a rifarla altre mille volte e che era sicuro che, se in futuro si fosse ripresentata una situazione del genere, si sarebbe comportato allo stesso modo.
"Diciamo che ho fornito una versione dei fatti leggermente rivisitata."
Barton annuì e abbassò lo sguardo, tirando un lungo sospiro. Era strano vederlo così impacciato e doloroso saperlo così afflitto. Phil avrebbe preferito le sue solite, oscene provocazioni piuttosto che quell’abbattuta mestizia.
"L’avresti fatto davvero?"
Aveva cominciato a temere quella domanda addirittura prima che Barton arrivasse nel suo ufficio e sapeva che lui era lì per quello.
"Cosa?" chiese, fingendo di non capire, e già sentiva la gola secca e il cuore pesante.
Barton alzò la testa e catturò il suo sguardo. Non c’era insicurezza nei suoi occhi, ma fermezza e forza macchiate di sofferta malinconia e Phil sapeva che, se avesse mentito, lui l’avrebbe capito.
"Mi avresti baciato?"
Distogliere lo sguardo era inutile e vigliacco ed era la più eloquente delle risposte; ma, in fondo, era proprio questo che lui era, un codardo che nascondeva i propri sentimenti dietro la morale ed i protocolli e non poteva che essere quella la sua reazione.
"So già la risposta, ma volevo sentirlo da te."
"Come lo sai?"
Ancora la voce era uscita senza il suo consenso, le domanda s’era composta senza che il cervello la elaborasse.
"Per quello che mi hai detto."
Un altro sospiro frenato, un’altra verità negata.
"Barton" cominciò e si sentì invaso da una stanchezza immensa per quell’ennesima recita "Quello che ho fatto per te l’avrei fatto per chiunque."
"Lo so."
Anche la sua voce suonava spossata, infiacchita dalle parole sprecate e da quelle non dette.
"Ma a 'chiunque' non avresti detto quelle cose."
Il suo, di sospiro, risuonò alto e sconsolato. Barton non mentiva mai, non celava nessuna emozione: gridava quand’era arrabbiato, anche se avrebbe dovuto contenersi; protestava quand’era contrariato, anche se sarebbe stato più vantaggioso tacere e ingoiare il rospo; rideva a crepapelle davanti alle cose buffe, anche se gli altri le trovavano ridicole; spasimava quando quello che voleva gli sfuggiva di mano.
Allungò il braccio per afferrare le stampelle e il cuore di Phil crollò, afflitto. La recita era stata meno credibile del solito, ma anche questa volta aveva dato i suoi frutti. Avrebbe dovuto esserne contento, invece non s’era mai sentito così vuoto e abbattuto.
La recita era finita, ma forse c’era ancora tempo per riaprire il sipario. Per farlo, però, occorreva agire in fretta, senza dare al cervello il tempo di pensare.
Phil scattò in piedi, con tanta veemenza che quasi la poltrona si rovesciò all’indietro, superò la scrivania e raggiunse il divano; la mano di Barton aveva appena sfiorato le stampelle ma, prima che potesse prenderle, lui le colpì e quelle caddero sul pavimento con un tonfo. Senza nemmeno dargli il tempo di voltare il capo - non poteva indugiare o ci avrebbe ripensato - gli afferrò la mascella, si chinò e si sporse in avanti, e questa non ci furono scricchiolii – eccetto quelli provocati dallo sgretolarsi della sua coerenza e della sua morale – e quel che era stato troncato solo qualche ora prima – e che non sarebbe mai dovuto succedere – avvenne.
Le braccia di Barton lo cinsero e lo condussero su di lui, mentre una flebile vocina gli bisbigliava, in un recondito angolo della sua mente – non tutti i neuroni erano stati inibiti, allora – che, se un bacio era un’infrazione tutto sommato accettabile, quello era una cosa davvero troppo avventata, rasentante il reato, e potevano esserci delle telecamere – lo reputava improbabile ma, santo cielo, Fury era la spia, anche i suoi segreti avevano segreti e chi gli assicurava che non avesse fatto piazzare di nascosto delle telecamere negli uffici dei suoi sottoposti? – e…
Non pensare Phil, non pensare, non pensare
Mise a tacere gli ammonimenti del grillo parlante - la cui voce ricordava in maniera terribilmente preoccupante quella di Fury – e strinse le ginocchia attorno ai suoi fianchi, spingendolo contro la spalliera. S’accorse d’essere a tal punto a corto di fiato che, se non si fosse ritratto, sarebbe morto per asfissia e, in quel momento, la prospettiva non gli pareva poi così drammatica; di lì a breve, il direttore avrebbe visto la registrazione – dove aveva nascosto la telecamera? Non sul soffitto, troppo prevedibile – e l’avrebbe ammazzato, tanto valeva decedere immediatamente e scampare l’umiliazione.
Quando, dopo un'eternità, si allontanarono, Phil - che stava ancora ponderando se esser sopravvissuto fosse un bene o un male - ne approfittò per riempire i polmoni, afferrare il bordo della maglietta di Barton e sfilargliela, gettandola con frenesia sul parquet – ma di queste cose aveva programmato soltanto il “riempire i polmoni”, il resto s’era aggiunto da solo e questa volta la vocina che risuonava nella sua testa era favorevole ed entusiasta e somigliava nemmeno troppo vagamente a quella di Pepper.
"Ti odio" sussurrò, strusciando la bocca contro la spalla nuda, una mano tra i suoi capelli e l’altra attorno alla vita e non pensare, non pensare, non pensare.
"Non è vero."
"Sì invece."
La sua giacca raggiunse la maglia e le stampelle e una scarica di adrenalina gli attraversò le vene, veloce e inarrestabile come un treno allo sbaraglio.
"Perché hai aspettato che avessi questo cazzo di gesso per saltarmi addosso?"
Gli prese una mano e la trascinò fino all’inguine, dove l’ingombrante bendaggio cedeva il passo alla stoffa dei pantaloni. Le dita affondarono splendidamente nel tessuto teso e gonfio e Barton sussultò e la situazione stava decisamente degenerando, in maniera critica e irreversibile.
"Perché è contro il regolamento" mormorò con voce rotta, stringendo ancora e più forte, e pregò che la telecamera – perché, visto quel che stava succedendo, una telecamera da qualche parte doveva esserci per forza, o la legge di Murphy avrebbe perso di credibilità - riportasse soltanto le immagini e non anche i suoni, perché se qualcuno avesse sentito il verso uscito dalla bocca di Barton sarebbe stata la rovina e Fury non l’avrebbe semplicemente ucciso, no, l’avrebbe nominato baby sitter di Stark vita natural durante. Malgrado la prospettiva l’atterrisse, sentì le proprie dita staccarsi dalla nuca di Barton e sgusciare lungo il torace, fino arrestarsi sull’orlo della cinta e l’impulso di slacciarla era tanto forte da schiacciare ogni timore e ogni dubbio e finanche l’ultimo residuo di razionalità.
"Anche salvarmi la vita lo era."
Sentiva il sangue fluire forsennato e pulsante come elettricità, il cuore martellare e sbraitare nel petto e, finalmente, la testa vuota; non uno scrupolo, non un pensiero – che meraviglia.
"Sarei impazzito se tu fossi…"
Il sussurro tentennò e si spense e Clint sentì un nodo stringergli la gola per il tormento con cui era risuonato. Nessuno aveva mai attribuito particolare importanza alla sua vita, anzi, nessuno gli aveva mai attribuito alcuna importanza, tanto che lui stesso era giunto a svalutarla, a credere di valere tanto poco da non essere all'altezza delle premure né dell’amore altrui. Phil aveva lottato con ostinazione e rischiato la propria, di vita, per lui, e non era soltanto la salvezza che gli aveva regalato, tirandolo fuori dalle macerie, ma il dono che più di ogni altro desiderava e in cui, ormai, aveva cessato di sperare: la consapevolezza di contare qualcosa, almeno per qualcuno, e se questo qualcuno era Phil allora non aveva nient’altro da chiedere alla vita.
"No, Tony, sono sicura che tu li abbia lasciati qui."
La voce di Pepper risuonò chiara e seccata oltre la porta e fu solo in quel momento che Phil conobbe il vero significato del termine “panico”. Terrorizzato, fece per alzarsi, ma Clint l’afferrò per la cravatta e lo trattenne.
"Siamo già stati interrotti una volta, è più che sufficiente" si lamentò, la voce incrinata dalla stizza e dalla foga, le braccia a serrargli i fianchi come una cinta di ferro.
"Clint, c’è…"
L’ennesimo bacio gli tappò la bocca e lo scricchiolio della porta riecheggiò tetro e amplificato. Phil provò futilmente a staccarsi, ma il Falco vanificò ogni tentativo di resistenza e potè vedere soltanto con la coda dell’occhio il profilo di Pepper comparire oltre l’uscio – forse avrebbe fatto meglio a pensare, almeno un secondino.
"Ecco vedi, sono…"
Quando li vide la donna trasalì e sbiancò, sgranando gli occhi a tal punto che le sopracciglia scomparvero nella frangetta.
"…non sono qui, no" asserì perentoria, avanzando e tenendo il bordo della porta saldamente stretto tra le mani.
Si levò un rumore di passi, netto e minaccioso, e Phil quasi svenne quando sentì la voce di Tony orribilmente vicina – perché diavolo non c’aveva pensato, perché?
"No Pep, hai ragione, li ho poggiati sulla scrivania -
Pepper scosse il capo energicamente e piantò i piedi.
"No, non ci sono."
"Ma sono sicuro di averli-"
"Ti sbagli."
Finalmente Clint ebbe bisogno di riprender fiato - era confortante vedere che "respirare" rientrava nei suoi bisogni fisiologici, estremamente confortante - e si allontanò, ma giusto quel tanto che occorreva per immettere aria, senza allentare minimamente la presa.
"Lasciami subito ."
Clint lo ignorò e si protese a baciargli il collo, mentre Pepper respingeva gli assalti di Tony e ribadiva – con una punta di isterismo nella voce – che gli occhiali non erano assolutamente in quella stanza.
"Dammi un motivo per cui dovrei farlo" farfugliò contro la sua pelle e quando la strinse tra i denti Phil trasalì e serrò le labbra per impedire alla voce di uscire.
"Perché Stark è qui fuori e sta per entrare" ribattè e dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non gridare.
Il sorriso ampio – no, non ampio, ma gigantesco, anzi, mastodontico, con almeno 30 denti in più del normale – e malizioso – e subdolo e lascivo e irriverente – sfoggiato da Clint non lasciava presagire una resa.
"Col pubblico sarà ancor più eccitante."
"Pep, sai quanto ho pagato quegli occhiali?"
Phil trattenne a stento una bestemmia e prese a dimenarsi.
"Ti spezzo anche l’altra gamba" ringhiò, ma ottenne come unico risultato quello di allargare ulteriormente quel sorriso intollerabile – promise solennemente a se stesso che, da quel giorno, avrebbe riflettuto almeno un’ora prima di prendere una decisione.
"Anche la violenza è eccitante…"
"Tony, non sono qui, ti ho detto."
"Mi stanno una favola, volevo indossarli stasera al party di...Com’è che si chiama?"
Phil continuò a contorcersi e agitarsi e, con la forza della disperazione, riuscì finalmente a liberarsi dalle grinfie – mai termine fu più calzante – del Falco, che biascicò una protesta e cercò di riacciuffarlo, senza riuscirci.
Si precipitò alla scrivania, afferrò gli occhiali e raggiunse Pepper sulla soglia, quasi travolgendola.
"Eccoli!" esclamò, a voce più alta del necessario, e glieli porse, allungando un braccio oltre la porta socchiusa.
"Agente."
Tony sollevò un sopracciglio e lo squadrò con aria sospettosa.
"Lo so, lo so, odi che ti si porgano le cose, ma-"
"No, non intendevo quello" lo interruppe Tony, assottigliando lo sguardo. Pepper, immobile dietro a Phil, lanciò un’occhiata a Clint, seduto sul divano a torso nudo con il volto corrucciato di un bambino a cui hanno rubato le caramelle, e deglutì, ansiosa.
"Cosa c’è?" chiese e la sua voce risuonò molto più scossa e intimorita di quanto avesse voluto.
Tony lo fissò ancora per qualche istante, gli occhi ormai ridotti a fessure, e una microscopica e agitata goccia di sudore scivolò dalla fronte di Phil. Sentiva la pelle pungere nel punto in cui Clint l’aveva morso e, istintivamente, si aggiustò il colletto della camicia con un gesto che sarebbe voluto parer distratto e casuale ma, naturalmente, risultò invece frenetico e colpevole. Senza contare che la stoffa era tremendamente esigua, del tutto insufficiente a coprire eventuali prove del misfatto.
Ti prego, fa che non ci siano segni…
"Stai bene senza giacca" commentò alla fine Tony e Phil potè sentire Pepper tirare un sospiro di sollievo.
"Dobbiamo andare!" esclamò lei, avanzando e afferrando di nuovo Tony per un braccio.
"Davvero, sei molto casual solo con la cami-"
Pepper lo spinse davanti a sè e si voltò fugacemente verso Phil; gli sorrise sorniona, strizzò un occhio soddisfatta e sollevò le mani, alzando i pollici in segno di entusiastica approvazione.
Non ebbe nemmeno il tempo si sbuffare che una presa salda e impaziente lo trascinò di nuovo in ufficio – nemmeno l’impaccio delle stampelle serviva a scoraggiarlo.
"Ti muovi?!"
"Fammi chiudere la porta" replicò e sentì una risata forte e piena risalirgli lungo la gola senza motivo. Pepper diceva sempre che quando si è felici si ha voglia di ridere.  
No, agente. Sarai sempre tu a perdere fino a quando ti ostinerai ad impedirti di essere felice
Pepper aveva sempre ragione.
 

***


"Non mi sono mai annoiato tanto in vita mia" sbuffò Tony, sollevando le lenzuola e infilandosi nel letto "Per fortuna c’era il sottoscritto ad innalzare il livello della serata."
Pepper roteò gli occhi nell’oscurità e sospirò, esasperata.
Tony scivolò accanto a lei, si accoccolò al suo fianco e le cinse la vita con un braccio, affondando il volto nei capelli lisci e profumati sparsi sul cuscino.
"La prossima volta dovrà indossare un abito meno provocante, signorina Potts" l’ammonì a bassa voce, avvicinando il capo e sfiorandole la fronte con le labbra "Non sopporto che occhi che non sono i miei la osservino con tanta insistenza e bramosia."
"Veramente era uno dei vestiti più discreti del mio guardaroba. Vuoi che vada in giro in burka?"
"Mmmh, non è un'ipotesi da scartare."
Pepper lo colpì con un buffetto e fece per allontanarsi, ma Tony la trattenne e la attirò a sé con entrambe le braccia.
"Saresti splendida anche con quello" mormorò, sporgendosi nel buio, e sentì il respiro fresco a leggere di lei soffiargli sul volto.
"Smettila di fare l’adulatore" lo rimproverò, ma non c’era traccia di biasimo né fastidio nella sua voce. Tony le schioccò un bacio a fior di labbra e si avvicinò ulteriormente; la sollevò piano e le poggiò la testa sul proprio petto, muovendo una mano nella chioma sciolta e morbida.
"Da quanto?" domandò e Pepper era a tal punto immersa in quelle dolci carezze che comprese a stento le sue parole.
"Da quanto cosa?"
"Da quanto Agente e Legolas spasimano reciprocamente?"
Nel buio Pepper spalancò gli occhi, stupefatta, e soffocò l’esclamazione di sorpresa che le salì in gola.
"Non so di cosa tu stia-"
"O avanti, non fare la finta tonta. So che Agente-"
"Phil."
"So che Phil..." si corresse"...te ne ha parlato. Viene qui a confessarsi almeno una volta alla settimana e-"
"Non dirmi che hai origliato le nostre conversazioni!"
"Ma cosa vai pensando?" chiese Tony e Pepper conosceva fin troppo bene quel tono fintamente innocente "Non ho origliato, ho accidentalmente ascoltato alcuni stralci. Non è colpa mia se ho un ottimo udito."
Pepper sospirò e represse le imprecazioni che rimbombavano nella sua mente.
"Non devi dirlo a nessuno" asserì minacciosa, e le parve di vedere oltre l’oscurità l’espressione risentita del compagno.
"Pensi che vada in giro a sbandierare i fatti di Agente? "chiese, sdegnato "A chi vuoi che interessino?"
Egocentrismo, indiscrezione e becero sarcasmo: Tony aveva sfoggiato nel giro di cinque minuti tutte le perle del suo repertorio.
"E comunque, non c’era bisogno di origliare per scoprirlo. Barton trascorre più tempo nel suo ufficio che al poligono di tiro, salta i turni regolarmente senza essere rimproverato mentre io vengo puntualmente linciato anche per cinque irrilevanti minuti di ritardo…"
"Questa mattina li hai fatti aspettare un’ora."
"Le grandi star si fanno sempre attendere."
"Oh, giusto, perdona la mia ignoranza."
"…ha spedito la Thompson in infermeria sei volte nell’ultimo mese e ha provato a buttare Sitwell giù dal jet durante il viaggio d’andata…"
Pepper era perfettamente a conoscenza di tutto ciò; le pareva di sentire ancora la voce di Phil, afflitta ed esasperata, che glielo raccontava.
"In effetti Clint pare avere una, ecco…spiccata simpatia nei suoi confronti" confermò, utilizzando i termini più innocenti che le venissero in mente.
"…per non parlare della tangibile e vibrante tensione sessuale irrisolta che si libera ogni volta che sono nella stessa stanza…"
Le immagini di Phil e Clint avvinghiati sul divano dell’ufficio riaffiorarono nella sua testa e Pepper pensò che “irrisolta” non era esattamente l’aggettivo più congruo, ma si guardò bene dal precisarlo ad alta voce.
"…del fatto che oggi Coulson si è lanciato in uno stabile ardente a mò di kamikaze per tirarlo fuori…"
"Tony, va bene, le tue argomentazioni sono molto convincenti…"
"…e di come Barton lo guarda."
"Perché, come lo guarda?"
Pepper sapeva benissimo anche quello; l’aveva notato tantissime volte, l’ultima poche ore prima, quando era entrato nel suo studio, ma che l’avesse colto anche Tony aveva del sensazionale. Non era mai stato un grande osservatore.
"Come tu guardi me" bisbigliò e le sfiorò di nuovo le labbra "Come se fosse la cosa più preziosa del mondo."
Pepper incurvò le labbra in un sorriso intenerito e allungò un braccio, per cingerlo a sua volta.
"Anche se, a pensarci bene, c’è una bella differenza, dal momento che io sono la cosa più preziosa del mondo."
Pepper lo ritrasse grugnendo, si divincolò dalla sua stretta e si voltò dall’altra parte, corrucciata.
"Possibile che tu non perda occasione per autocelebrarti?!"
Tony si avvicinò ancora, molesto e tenace come al solito, le scostò i capelli sulla nuca e lambì il collo scoperto con le labbra.
"Anche io ti guardo in quel modo" mormorò con riverenza e riprese a baciarla, stendendosi accanto a lei e tornando a stringerle la vita.
"Sei un ruffiano" biascicò, risentita, ma non si ritrasse e lasciò che la bocca di Tony vagasse sulla sua pelle.
"Allora, non hai niente da raccontarmi?" incalzò, staccando appena le labbra e insinuando una mano oltre l’orlo della vestaglia.
"No."
Pepper si voltò di scatto e lo spinse dall’altra parte del letto, sollevandosi e puntando le mani sulle sue spalle, a bloccarlo contro il materasso. Cercò il suo viso nel buio, lo trovò e si chinò a baciarlo, premendo le labbra contro le sue con insolita enfasi.
Tony la issò su di sé e saldò la presa attorno alla sua vita, così sottile ed invitante.
"Non importa. Tanto, non avevo alcuna voglia di parlare."
 











Note
Per primissima cosa, chiedo venia per il titolo, che probabilmente - sicuramente - è troppo osceno e no sense per essere quello definitivo, ma sono le due del mattino e le palpebre mi si chiudono e a breve comincerò a delirare - più di quanto non faccia di solito - a causa della stanchezza e *compatitela*
Ho perso il conto delle volte in cui ho rivisto, corretto, ampliato e poi ridotto e poi ampliato ancora questa storia. Alla fine, ho capito che per quanto possa rileggerla e aggiustarla non verrà mai come dico io, quindi getto la spugna e la posto così com'è, accontate Marì. Non ho note lunghe e deliranti con cui annoiarvi (incredibile ma vero). Spero soltanto d'aver tributato alla festeggiata un regalo almeno minimamente degno della sua persona *cuore* L'agente Harris è una sua creatura e, per approfondire la sua conoscenza, correte a leggere Il progetto viene per posta.
Ancora tanti auguri alla amica del guore *abbraccia* E la prossima volta o me trovi tu il titolo o il regalo te lo fai da sola *pernacchia*
 

  
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