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Autore: secsimalik    24/06/2013    0 recensioni
"Non avrei mai immaginato che, avere un inquilino, fosse così difficile.
Soprattutto, non avrei mai pensato che mi potesse portare al limite della follia.""
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Prologo.


Avere un inquilino non era una delle idee che avrei preferito per me, ma mia madre, con la sua cocciutaggine e le sue fisse, aveva insistito fino allo svenimento che io ne avessi uno.

Avevo passato l'estate alla ricerca di un ragazzo, o preferibilmente una ragazza, che accettasse una come me.

Io, Agata, non ero mai stata facile, semplice da capire, e neppure la rappresentazione della simpatia, ero, sono, e sarò sempre timida, chiusa e silenziosa, e per mia madre, il fatto di trovarmi qualcuno con cui condividere la casa, era un modo per farmi conoscere nuovi mondi.

Così, dopo tre mesi di ricerche ero finalmente riuscita a trovare una buon'anima disposta a dividere il suo appartamento con me.

Lorenzo era il suo nome, non mi sembrava casinista, festaiolo, alcolizzato o drogato, mi sembrava un ragazzo normale che aveva appena finito il liceo, o almeno, speravo fosse così.

La prima volta che lo vidi era Luglio, faceva caldissimo a Milano, perciò andammo in un bar per discutere del locale, del costo e dei comportamenti da tenere in caso di litigi, penso che mi accettò subito perchè, dopo neanche due minuti, mi disse che non somigliavo per niente alla sua ex ragazza.

Sicuramente non voleva avere in giro per casa una di quelle che lasciano i trucchi, i vestiti e i ragazzi sparsi; in quanto a me, non si poteva di certo dire che fossi disordinata, o fissata con le mode, anzi.

Probabilmente quella che avrebbe avuto più problemi sarei stata io, con le mie mille fisse sull'ordine e sulla pulizia.

Odiavo vedere i vestiti messi sul divano, o il piano cottura sporco, ma quel ragazzo non mi era sembrato potesse appartenere a quel genere di persona.

Passai l'estate a riflettere su come potesse essere la convivenza, cercai scuse per non andarci, finte crisi isteriche, approfondii lo studio sulla mia allergia al polline e alle pesche, ma mia madre non cambiò idea.

E così, arrivò settembre, feci il conto alla rovescia ogni giorno, tremando all'idea di dover lasciare casa, il mio cane, i miei genitori, la mia stanza, ma soprattutto la mia gemella: Carlotta.

Ero sempre stata coperta da lei, ogni mia difficoltà era stata distrutta da lei: quando mi prendevano in giro alle medie, quando mi rubavano la merenda o i soldi al liceo, e quando mi chiudevano in bagno sapendo il mio problema di claustrofobia.

E ora, mi ritrovavo a dover affrontare un ragazzo e i suoi amici da sola, completamente sola.

Lei ne aveva di esperienza, aveva sempre fatto innamorare tutti e fatto stare male una fila di ragazzi, mentre io ero abituata a vivere sui libri, passando nottate a leggere romanzi e, a volte, guardando film in streaming, per paura di andare al cinema sola.

Quello era la trasgressione massima che avessi fatto, mentre lei ne aveva combinate di tutti i colori: era scappata di casa con il suo ragazzo, aveva rubato cento euro dal borsellino di mia zia per andare a vedere un concerto rock a Pavia, prendendo il primo treno che le era capitato e dormendo su una panchina.

Io ero la sorella che andava a piedi, lei era quella che, appena compiuti i sedici anni, aveva preso la patente del 125 ed aveva fatto le vacanze su una spiaggia in Liguria.

Nonostante queste diversità c'eravamo sempre state l'una per l'altra, e ora era giunto il momento di staccarci: lei doveva studiare fisioterapia, io lettere moderne.

Avrei cominciato l'anno dopo, in quanto questo l'avrei utilizzato al meglio per scrivere un libro.

Zia Patrizia aveva detto che conosceva delle buone persone alle quali dare il mio romanzo, e, con un tono a dir poco malizioso, aveva detto che lo avrebbero pubblicato in meno di un anno.

Ma non era così che avrei voluto fare successo, non barando essendo stata aiutata; per di più, da mia zia.

 

“Egghy, sei pronta?”

Guardai attentamente la stazione, nella mente mi affiorarono milioni di ricordi: i fiori che lasciavo ogni mattina per il nonno, che era ferroviere; gli abbracci che io e la mia amica a distanza ci eravamo scambiate al suo arrivo; i pomeriggi passati ad ascoltare la musica delle cuffiette su una panchina di fianco al binario tre, insomma, lì c'era tutta la mia vita, e non l'avrei rivista per quattro, cinque mesi.

“Sì, ho preso tutto.”

Dissi affermando.

Abbracciai la nonna per prima, sapendo che anche lei stava pensando al nonno.

Poi abbracciai i miei genitori, e, come sempre, mio padre mi diede un pacchetto arancione rettangolare, dicendomi di leggerlo appena avrei avuto il tempo.

Quello che non mi sarei mai aspettata, era che sarebbe stato così triste staccarmi dall'abbraccio di mia sorella, ovviamente entrambe eravamo in lacrime. Mi sarebbe mancata come l'aria.

“Allora ciao Egghy, per qualsiasi cosa, chiamami e arrivo.”

annuii, salendo sul treno.

Mi aspettavano tre ore di treno, e avevo paura.

Non del viaggio, non dei passeggeri, ma del futuro.

Di quello che mi sarebbe successo in quei quattro mesi senza la mia famiglia.

Mi sedetti nell'unico posto libero, vicino ad una ragazza con i capelli rossi e gli occhi verdi, che mi sorrise, spostando il suo borsone leopardato.

Mi chiesi se anche lei dovesse cominciare una nuova vita, o se semplicemente dovesse prendere un qualsiasi treno con venti fermate.

“Milano, giusto?”

mi chiese dopo due ore di viaggio. Penso che avesse i timpani consumati da quella musica assordante.

“Sì, anche tu?”

“Certo, vedrai ti divertirai. C'è roba da sballo di sera.”
pensai immediatamente che avesse sbagliato persona per parlare di queste cose, o che fosse cieca per non accorgersi che non mi sarebbe interessato sballarmi con qualche sostanza stupefacente.

“Non sono il tipo, ma grazie per l'informazione.”

Rise, o meglio, sbuffò, rimettendosi le cuffie.

Appena l'auto parlante ci avvisò dell'arrivo alla stazione centrale mi alzai, prendendo le mie due valige e il mio zaino in cuoio consumatissimo.

“Ciao.”

Salutai la ragazza dai capelli rossi, e scesi dal treno con calma.

Erano le nove di sera, e non c'era in giro quasi nessuno, per mia fortuna.

Presi la metro e scesi in Duomo, non c'era molta gente, seppure fosse una giornata calda ed estiva.

Respirai l'aria di Milano, non molto pulita e salutare, ma pur sempre calmante, e mi incamminai verso la zona di Castello Sforzesco, dove avrei trovato il mio appartamento.

Fortunatamente i miei genitori non avevano problemi economici, e fecero scegliere a me la zona nella quale avrei preferito passare i prossimi anni, e penso che non avrei potuto fare scelta migliore.

L'appartamento aveva una vista meravigliosa sul castello, e i soffitti erano dipinti a mano, sembrava di vivere in un palazzo reale, quando in realtà era un semplice appartamento.

Non ci misi molto ad arrivare a destinazione, fissai il campanello e vidi la scritta: Agata e Lorenzo; sembravamo ridicoli, tutti gli altri avevano messo nomi come fam. Mancini, avvocato Tesini e PierAntonio Santambrogio, e poi, c'eravamo noi, al sesto piano: due adolescenti con in mano un diploma di liceo.

Respirai di nuovo, per mantenere la calma in quella situazione non molto comoda.

“okay, prendi le chiavi e apri il portone, andrà tutto bene.” mi dissi, e così feci, continuando a respirare e tremare fino ad arrivare al sesto piano.

Aprii la porta, e vidi il mio incubo peggiore presentarsi davanti.


 

Ciao a tutti,

spero vi piaccia questa storia e, soprattutto, spero che mi lasciate qualche piccola recensione.

Sono una piccola scrittrice, quindi complimenti e critiche sono accettate con piacere.

Grazie ancora per la vostra attenzione <3

-alice.

  
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