Aprii gli occhi consapevole di non trovarmi più sul suolo lunare dove, finalmente, ero riuscito nel mio intento: entrare in possesso di una forza ineguagliabile.
Dove mi trovavo?
Su di me pendeva una luna spenta, dall’aria triste e malinconica dalla quale bocca fuoriuscivano piccole gocce di sangue dal colore nero che a loro volta piovevano giù in un’immensa distesa d’acqua, anch’essa, nera come la pece.
«C’è qualcuno?», urlai ma l’unica risposta che tornò indietro fu l’eco della mia voce.
Perché c’era tanto silenzio?
Mi incamminai alla ricerca di un qualcosa o di un qualcuno ma sfortunatamente, non trovai nulla.
Esausto, mi sedetti con lo sguardo rivolto verso il mare e illuminato dalla fioca luce lunare caddi in preda all’angoscia più totale.
Ero solo.
Ero ancora una volta solo.
Chiusi gli occhi e sospirai, fingendo di stare bene con me stesso.
Finsi di non essere disperato, di non essere caduto di nuovo nel mio abisso di solitudine.
Finsi di non essere stato sostituito, di non aver perso, di nuovo, tutto ciò che avevo conquistato.
Riaprii gli occhi e mi riguardai intorno notando che nulla era cambiato: nel cielo c’era ancora la stessa Luna dall’aria infelice e davanti a me si espandeva, come una macchia d’olio, lo stesso mare color nero corvino.
Restai, immobile, ad osservare la calma piatta del mare quando avvenne un avvenimento che destò in me una sensazione di deja-vù: la mia ombra mi aveva parlato.
«Ehi.», mi disse comparendo dal nulla.
«…».
«Ti ricordi di me? Sono Crona.»
“Ho un ricordo vago” avrei voluto dirle ma decisi di optare per il silenzio.
«E’ passato un po’ di tempo dal nostro ultimo incontro. Se non ti dispiace vorrei porti delle domande.».
«… Vige ancora la regola del “passo”?», chiesi io.
«Certo. Allora comincio con una domanda semplice: puoi dirmi il tuo nome?»
«Crona.», dissi sorprendendo il mio interlocutore.
«Vedo che finalmente hai deciso di rispondere alle mie domande. C’è una ragione particolare?»
«Passo.»
«Adesso ri-inizi ad evitare il confronto con te stesso? Sai che agendo in questo modo non c’è possibilità di andare avanti?», mi rese noto lei con aria arrabbiata.
«Ne sono ben consapevole, a dire il vero. Il motivo per la quale ho passato è perché non conosco la causa del mio cambiamento.», replicai mettendomi sulla difensiva.
«La causa del tuo cambiamento non potrebbe essere “la forza” di cui sei entrato in possesso?»
«Passo.»
«Passi di nuovo? Proviamo a cambiare discorso. Non sei stanco di essere oppresso dalle tue paure e da questo senso di solitudine?», chiese con aria preoccupata.
«… Ormai ci ho fatto l’abitudine», dissi prendendo tempo, «tutti quanti, prima o poi, scompaiono dalla mia vita. Anche lei… anche Maka se n’è andata! Lei non è come me e non potrà mai essere come me.», urlai facendo riecheggiare la mia voce.
«Come ti senti?»
«Morto. Mi sento come una bambola: priva di emozioni e vuota. Sono stato privato di tutto, le uniche cose che mi appartengono davvero sono questi vaghi ricordi che mi riscaldano il cuore…», risposi stringendo i pugni, «queste ferite che porto dentro di me sembrano non guarire mai, il dolore che provo nel ricordare la mia vecchia vita è enorme. Ma il tempo non potrà cancellare né ora né mai il passato ed io sarò costretto a rimanere solo a causa di una vita che ho abbandonato.», risposi abbassando lo sguardo mentre calde lacrime bagnavano il mio viso.
«Perché piangi?»
Scrutai quella sagoma nera e notai che anch’essa era preda di un pianto disperato.
«… Tu perché piangi?», le chiesi.
«… Passo.»
E rimanemmo così, immobili, mentre l’eco dei nostri lamenti riempiva l’area circostante.