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Autore: ToscaSam    24/06/2013    7 recensioni
ecco come avrei voluto che finisse il romanzo. Ecco quello che doveva succedere per non farmi piangere l'anima al solo pensiero della fine di questa meravigliosa opera.
Provo così a dare un finale diverso al romanzo che mi ha fatta piangere e innamorare più di ogni altro al mondo.
Grazie Hugo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda, Pierre Gringoire
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un finale di speranza'
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INCONVENIENTI SU UNA BARCA A REMI

 

Si stavano allontanando dalla luminara di fiaccole dei rivoltosi più che potevano, li vedevano diventare sempre più piccoli come una stella cadente quando velocemente finisce il suo corso.
Gringoire teneva stretta Djali in grembo, che tutta felice non ne voleva sapere di star ferma. Più stretta della presa che il poeta esercitava sulla dolce bestiola era la zingara al fianco del suo amico. Marito. Aveva una paura tremenda di quell’uomo incappucciato che non parlava che con segni e aveva in cuor suo il terrore (e ne era quasi certa) che si trattasse di quel prete del diavolo.
Gringoire non la finiva di ciarlare sull’intensità di quel momento, il quale a suo avviso era di una epicità unica, paragonabile all’addio di Ettore alla sua famiglia e alla sua patria.
« … Tuttavia » continuava il poeta. « Ettore era pur certo di morire, una volta varcata la muraglia che lo divideva dal nemico,il valente Achille, non è pur così maestro? Noi invece ci affidiamo alla buona ventura e per quanto possa essere lacrimevole questo ultimo saluto che porgiamo alla cattedrale di Nostra Vergine Santissima, sento che un grande inizio sta per avere luogo. Potrebbe essere che noi vivessimo tutti come una buona famiglia, una volta usciti da questo pasticcio, e ufficiare ognuno i nostri mestieri: avremmo da assistere ai Sacri Offici, grazie a voi, maestro, e io potrei ricavare qualche degno parigino dal mio mistero o da qualche altro componimento che è in avvenire; mentre voi, mia dolce Esmeralda, potreste continuare la vostra arte di strada, come siete avvezza e danzare con la vostra adorabile capretta e guadagnare tutti quei bei soldi che sempre guadagnavate in Place de Grève. Vi immaginate, maestro, se capitassimo in una di queste parrocchiette dove il parroco o non c’è o è vecchio e malato o non si cura dei suoi uffici? Potreste voi prenderne il posto facilmente senza trafficare troppo con i vescovi e io potrei anche guadagnare qualche spicciolo insegnando a qualche monello l’arte di leggere e scrivere e comporre poesie per i più inclini. Pensate voi se non sarebbe un buon affare! E voi, mia adorabile signorina, potreste anche non aver voglia di tornare per la strada e di diventare qualcos’altro che sicuramente trovereste; potreste allietare le Messe con la vostra vocina di usignolo, potreste anche farvi monaca, no, no, non fatevi monaca, per cortesia, senza offesa all’ordine ecclesiastico, maestro, lo sapete, è tutta questione di carattere. Ho molto rispetto per i voti e la santissima gente che li riesce a perseguire, non intendevo certo arrecare uno spregio al vostro modo di essere, per carità …»
« Pierre» . Disse la vocina di Esmeralda, soffocata come quella di un uccellino, facendosi sempre più vicina al poeta.
Gringoire fermò il suo monologo da vero filosofo qual era e prestò attenzione a quella piccola creatura indifesa che reclamava il suo interresse.
« Ditemi, mia cara».
« Per favore, dite al vostro amico di togliersi il cappuccio. Mi fa paura, ho il timore che sia qualcuno che mi spaventa».
Gringoire guardò la sua adorabile e intangibile moglie come stupefatto, poi lanciò uno sguardo supplichevole all’incappucciato. Come resistere a una preghiera di quegli occhioni neri e buoni? Perché non alleviare subito le sue pene scongiurando ogni dubbio che il suo maestro fosse colui che lei temeva (Pierre ne era certo)?.
Esmeralda dal canto suo, seguendo vagamente il discorso di Gringoire aveva inteso che colui che stava silenzioso con il cappuccio in testa era un ecclesiastico; questo le aveva fatto stringere lo stomaco in preda al terrore ed ogni indizio che ricavava sull’uomo misterioso la portava più vicina a confermare la sua ipotesi: quell’uomo era il prete che la perseguitava.
La giovinetta aveva anche intuito che il buon Gringoire era all’oscuro della malignità del suo compagno e tutto quello che faceva non era certo volto a trarla in una qualche trappola, cosa invece che ci si poteva aspettare dal prete.
La situazione non era delle più semplici, come il lettore potrà certo immaginare: da una parte vi era in incognito l’arcidiacono Claude Frollo (ebbene era proprio lui!), il quale continuava a sperare che la zingara non l’avesse riconosciuto. Egli tramava un orribile piano ed era necessario non parlare e soprattutto non uscire allo scoperto. Remava silenzioso e non ascoltava una parola delle ciarle insensate del giovanotto che era stato suo allievo, aspettando il momento propizio per attuare la sua rivalsa.
Da un altro lato vi era l’innocente e ignaro Gringoire, che non comprendeva il perché di quell’atmosfera tetra e anzi non ci badava poi più di tanto; la sua preoccupazione principale, oltre che a sorreggere l’amabile capretta, era quella di contemplare la sacralità di Notre-Dame che si allontanava sempre più dalla sua vista. S’egli avesse vissuto ai giorni nostri, avrebbe senz’altro paragonato sé stesso e i suoi compagni di ventura alla stregua di Lucia e la sua compagnia che, su una piccola imbarcazione, salutava i monti del lago di Como per incominciare un’avventura che non aveva chiesto.
In ultimo vi era Esmeralda, la più inquieta, la quale possedeva il maggior numero di informazioni sui suoi accompagnatori, in quel momento. Era troppo indifesa per attaccare il prete da sola e poi Gringoire non l’avrebbe certo aiutata, dato che non conosceva la natura perversa e maligna di quel’uomo.
La giovane si chiese se fosse il caso di trarre in segreto Pierre e rivelargli chi fosse in verità costui, ma non ne vedeva la possibilità visto l’angusto spazio in cui si trovavano costretti.
L’unica cosa che poteva fare era starsene il più stretta possibile a quel marito mingherlino che in quel momento era davvero l’unico che la potesse proteggere più d’ogni altro.
Ripensò a quando l’aveva salvato da Clopin Trouillefou che lo voleva impiccare e nel loro breve dialogo che seguì lei lo aveva informato che l’uomo adatto per lei era solo un uomo che possedesse un cavallo e che l’avesse potuta difendere; l’aveva detto pensando a Phœbus.
Pensare quel nome non le fece bene per niente, eppure nemmeno tanto male quanto credeva. Si guardò al fianco e vide quell’ammucchio di ossa tutte montate per lungo che aveva sposato per pietà: non aveva un cavallo, aveva una capra (quella che era sua, ma ormai voleva più bene a lui che a lei). Non era muscoloso, era smilzo come un fiammifero. Non era bello come Phœbus, era un semplice giovanotto. Eppure, comicità del destino, proprio quel marito inutile e indesiderato, era l’unico che la poteva trarre in salvo in quel momento.
La zingara capì anche quale destino orribile avrebbe dovuto affrontare se anche fosse riuscita a sopravvivere alla folla indemoniata e al prete criminale: sarebbe stata una vita senza Pœbus, lontana da Parigi e dall’amore.
Le vennero le lacrime agli occhi e silenziosamente cominciò a singhiozzare.
Quale misera creatura, povera piccola Esmeralda! Se avesse conosciuto il greco e la vicenda per intero, avrebbe legato il tutto alla parola ANAGKH, misera governatrice degli avvenimenti.
Gringoire si accorse del pianto della sua piccola compagna ed esclamò:
«Suvvia, dolcissima amica! Non fate così, ve ne prego. Vedrete che tutto si risolve! Ecco ora lo chiedo io al mio amico se per supplica può togliersi …»  Gringoire non fece in tempo a finire la frase che Claude Frollo gli si avventò contro con un miserabile coltellaccio e il poeta fu avvisato che qualcosa di terribile stava accadendo grazie all’urlo terrorizzato della piccola Esmeralda.
Non si sa come il giovane ebbe la prontezza di voltarsi e afferrare il polso che gli stava inferendo il colpo mortale, ma cadde per la mancata forza da parte delle sue braccia.
« Buon Dio! Che vi prende?! »
Gridava il giovanotto, steso in un impossibile groviglio di pose sul ventre della piccola barca a remi.
« Per il sangue di Satana che ho ormai così tanto nelle vede, io t’ammazzo! Giuro che ti ammazzo! Togliti dalla mia strada, miserabile insetto! Non sei utile a questa vicenda, sei solo il bastone nelle mie ruote!»
« Vergine Santissima! Maestro! Che dite mai?! Sono il vostro amico, sono io! »
« Amico! Se ti ammazzassi mi saresti nelle grazie! Verserei tutto il sangue del mondo per quel che voglio, ormai! T’ammazzo, maledetto!»
«Lascialo andare!»
Esmeralda aveva trovato la forza di reagire e tirava calci con il suo bel piedino all’orrenda figura nera che faceva forza su Gringoire. Anche Djali, spaventata incominciò ad assestare colpi con le sue piccole corna dorate all’arcidiacono fuori di sé.
Frollo si voltò e si avventò sulla ragazza: « Proprio tu ti intrometti? Tu, Satana! Strega d’Egitto! Guardati come mi batti col tuo piedino! Dio, quanto ti amo! Potessi amarmi quanto mi odi capiresti quello che mi brucia in petto!». E così dicendo aveva cercato di assalire lei con il coltello, ma Gringoire lo tirò per la tunica e il coltello scalfì il bordo della piccola imbarcazione.
Il poeta prese il remo di legno, unica arma che trovò a disposizione e si avvicinò all’arcidiacono.
« Siete impazzito!»
«Si! Sono pazzo! Pazzo! E che vuoi fare tu con quel remo? Non sai nemmeno come si sta al mondo, miserabile idiota!»
« Una cosa la so, maestro per così dire: voi non toccherete mai più una fanciulla in mia presenza, né tantomeno quella fanciulla che, nonostante tutto, è tuttora mia moglie, anche se lei non mi vuole bene! Io glie ne voglio moltissimo e sapete? Le devo anche la vita! Non lascerò certo che voi spezziate le ali di una rondine così cara e buona per la vostra demoniaca pazzia! Non vi conoscevo, maestro Claude»
« Ah! Miserabile!» disse Frollo minacciandolo di nuovo. « Quale immenso dono la sorte ti ha dato! Perché a te, miserabile sputo di Dio sulla faccia della Terra? Tu non l’ami una milionesima parte di quello che l’amo io! Muori, maledetto verme di Satana!».
Gringoire si ritrasse e inciampò nella panca di legno installata nell’imbarcazione per fare da sedile.
Lo sapeva: a parole era convincente e anche molto minaccioso, però a fatti non se la sarebbe cavata più di tanto. Stava per morire, lo sentiva, come se l’era sentito quella volta alla Corte dei Miracoli.
Era un potenziale codardo, è vero, ma ormai s’era ficcato in quella situazione e non poteva fare niente per tirarci fuori la pelle sana e salva.
« Esmeralda, scappate! Portate Djali!»
Urlò alle spalle del prete, dove stava la fanciulla.
Quella ebbe un fremito: tuffarsi nelle acque gelide della Senna con Djali e fuggire poteva non essere la via di fuga più sicura, in quanto la folla dei rivoltosi li stava ancora cercando e le loro torce si avvicinavano sempre di più; ma soprattutto le sembrò orribile lasciare il suo povero compagno in quella situazione.
« Saltate!» la implorò Gringoire e al contempo si sentì afferrare per la camicia dall’arcidiacono.
A quelle parole Frollo fu indeciso se uccidere Gringoire subito o impedire alla gitana di fuggire. Decise di disarmare l’esile poeta con uno strattone, gettando il remo nelle acque scure, poi lo riafferrò il tutto in una manciata di secondi, e infine allungò un braccio verso la zingara.
Esmeralda non si muoveva, poi d’un colpo prese in braccio Djali e la lanciò in acqua gridandole:
« Nuota fino a riva! Nasconditi!»
Pierre si divincolava fra le braccia del prete: « Lasciatela stare, per carità d’Iddio! Ammazzatemi ma lei non la toccate!»
« Sei nauseante! E ti ammazzerò dopo che l’avrò fatta mia!»
« Per Cristo! Esmeralda, fuggite! Che fate lì?»
La zingara si allontanava e faceva strane piroette per non essere agguantata dalla mano dell’ecclesiastico.
« Non vi lascio!»
« Né io lascio voi, vi prometto che andrà tutto bene. Fuggite, però!»
Che bella promessa! Si disse Gringoire. Dopotutto non poteva far altro che mentire per mettere coraggio alla sua dolce consorte.
« Silenzio!» Frollo fece arretrare la giovinetta tanto da non avere più spazio dove fuggire e la agguantò.
« Se non volete che ammazzi questo disgraziato, baciatemi. Adesso. E ditemi che sarete mia per il resto della mia vita dannata. Altrimenti ucciderò questo farabutto e vi consegnerò alle guardie per essere impiccata!»
« Assassino! » gli gridò Esmeralda.
« Oh, si! Assassino. È quello che sono per causa vostra. Amatemi, bestia d’inferno!».
E in quel momento egli alzò la mano con il pugnale e lo indirizzò verso la giovinetta, che si ritrasse come un gattino che non vuole la carezza.
La forza misteriosa che governa l’universo fece riuscire Pierre Gringoire nel suo intento di liberarsi e con un balzo degno di una gazzella si frappose fra il coltello e la vergine che aveva per moglie.
Un lago rosso si propagò dalla sua schiena e cadde come un tonfo ai piedi dei due rimasti.
« Ah! Assassino! Assassino! »
« Si è ucciso da solo! E ora non vi resta che … »
Ma Esmeralda non ascoltava, era mossa da una rabbia più forte di lei e la rendeva il più velenoso fra i minuscoli scorpioni. Si scagliò sul prete e afferrò l’altro remo che c’era nella barca, cominciando a prenderlo a bastonate lo scaraventò fuori dall’imbarcazione, mezzo tramortito.
Le gelide acque della Senna lo accolsero nel loro gorgo di abbracci e mai ne riemerse.
Esmeralda si catapultò sul copro di Gringoire e fra i singhiozzi lo coprì di mille abbracci e mille baci.
« Che cosa comica …» tossì debolmente il poeta, rantolando.
Esmeralda, scoprendo che era vivo, lo girò a pancia in su e lo sistemò appoggiandolo al dorso della barca.
« … proprio ora che sto per morire , comincio a sentire la vera vita».
Disse con un sorriso.
Esmeralda aveva gli occhi gonfi e si sentiva responsabile di qualsiasi cosa fosse successa.
« Non dite così. Non morirete, ve lo prometto!»
« Non vi disperate, piccina. Troverete il vostro capitano, da qualche parte. Lui vi porterà via» disse Gringoire tossendo e facendosi sempre più pallido.
« Non lo voglio! Non lo voglio!»
« Ma si che lo volete. Che mistero è la vita: questo sarebbe un bellissimo inizio per una tragedia. Sapete una cosa? Credo di amarvi, Esmeralda».
E così dicendo si accasciò con un colpo di tosse.
Esmeralda urlò forte e si gettò in acqua, trascinandosi dietro il peso della barca.
Con molti affanni, mezzo affogata, giunse a riva dove Djali le venne incontro.
Esmeralda si caricò il corpo di Gringoire in spalla e lo adagiò sul morbido terreno, sentendosi le gambe tremare nonostante l’esile peso di lui.
Lo voltò: gli sfilò il coltello dalla schiena e notò che era piuttosto in basso; sperò che non avesse trafitto i polmoni.
Si tolse la mantellina, la andò a bagnare nella Senna. Tolse la camicia con foga al poeta e fra le lacrime cominciò a tamponare e a pulire quell’orribile piaga.
Aveva in una tasca una boccettina con un unguento Egiziano che non faceva nulla, ma che dava speranza.
Si tolse un drappo della gonna pieno di sonagli e lo fasciò stretto attorno alla vita del giovane.
Dopo gli si accasciò sul petto piangendo, accompagnata da Djali che se ne stava mogia mogia al suo fianco.
Dopo una mezz’ora buona, Esmeralda sentì un vagito.
Gringoire aprì gli occhi.
« Per Cristo Gesù. Qual miracolo è questo?!»
Disse, debolmente, tastandosi la vita.
La gioia si dipinse sul volto delle due adorabili creature che il poeta aveva accanto.
Gringoire si sentiva debolissimo, ma lo svenimento era stato causato dagli spaventi e dal forte dolore. La ferita era orribile, si, ma non aveva lacerato nessun organo vitale, come a Dio piacque.
« Mi sento vergognosamente spoglio!»
Disse tastandosi il petto e vergognandosi della sua magrezza che poteva fare concorrenza a quella di un cane randagio.
Si ricompose tossendo e ansimando: aveva bisogno di cure mediche al più presto.
Prese per mano la zingara e cominciò goffamente e faticosamente a correre verso l’ignoto, seguito dall’adorabile Djali.
D’un tratto si fermò.
« Vergine Santissima! Ma io credo di aver detto di amarvi!» era diventato da paonazzo qual era, rosso come un peperone.
« Si.»
Disse con tranquillità la zingara, che si lasciò condurre per mano verso un futuro nuovo, verso una speranza nuova.

 
Angolo dell’autrice
questo è il finale che avrei voluto dare a Notre-Dame de Paris. come mi capita spesso mi tocca darmeli da sola i finali che non mi fanno star male. È molto azzardato anche lo "stile Hugo" che ho cercato di mantenere, ma probabilmente faccio soltanto ridere. Pardon!
Riprendo più o meno dal primo capitolo del libro undicesimo la scarpetta e concludo come avrei davvero voluto.
Purtroppo qui Esmeralda non sa ancora che razza di miserabile sia Phoebus, ne è sempre innamorata in questo punto, però ho immaginato che dopo la prolungata assenza che ha sofferto, dopo averlo visto con un'altra donna e tutto il resto, alla fine il suo cuore di giovinetta si dovesse essere un po' scoraggiato, povero tesoro di mamma.
 
Oh Pierre, come avrei voluto che tu non fuggissi con la capra :C
 
e perdonate il mio fangherlismo... *nasconde le magliette con la scritta PIERRE+ESMERALDA con le foto attaccate sopra* ;-)
 
Nerina
  
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