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Autore: honeyes    26/06/2013    11 recensioni
Barbara, ragazza di 19 anni, decide, andando contro tutto e tutti, di inseguire il suo più grande sogno:
lascia la sua città e vola dritta a New York per studiare nella miglior scuola di recitazione della metropoli statunitense, dimenticando però che non è sempre tutto rose e fiori e che per potersi definire un'artista completa avrebbe dovuto imparare anche una disciplina da lei mai studiata prima d'ora... la danza.
L'insegnante severissima del corso di danza le affianca un "Tutor" per le lezioni intensive, al fine di farla migliorare... sarà davvero l'unico fine per questi due ragazzi che da un giorno all'altro si ritrovano a dover stare sempre insieme?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 1

betato da MedusaNoir



Ero così infuriata che, nel momento stesso in cui Malefica lasciò l'aula, presi la mia borsa con stizza e mi diressi anche io verso l'uscita.

Fu in quel momento che le domande trovarono spazio all'interno della mia mente: come poteva essere reale tutto questo? Come potevo ritrovarmi per la terza volta la stessa persona in tre contesti differenti? In principio sul bus dell'aeroporto, ma dovevo ammettere che lì incontrare qualcuno fosse normale; successivamente come vicino di casa di Amy, ma in fondo le coincidenze esistono; infine come tutor nella scuola di arti drammatiche da me scelta, e questo era decisamente troppo.

Stavo uscendo dal campus quando sentii una mano premere sulla mia spalla: era Matt, naturalmente. Mi voltai per dargli l'opportunità di parlare.

«Posso capire cosa ti passa per la testa?» domandò, totalmente spiazzato dal mio irrazionale comportamento.

Ai suoi occhi, effettivamente, poteva non aver alcun senso il mio atteggiamento da lunatica in preda a una crisi isterica, ma ero consapevole di essere al centro di una situazione surreale: come potevo incontrare sempre lo stesso ragazzo in una città grande come New York?

«Fammi capire, mi stai per caso pedinando?» chiesi, irritata.

Matt reagì facendo quasi uscire gli occhi fuori dalle orbite e ammisi a me stessa che, al suo posto, avrei fatto lo stesso.

«Scusa, hai ragione. È che davvero non capisco come sia possibile incontrarti tre volte in tre contesti differenti.» conclusi, sperando di apparire meno fuori di testa.

«Sono al terzo anno, non puoi colpevolizzarmi d'aver scelto prima di te questa scuola.» replicò, alzando le spalle e assumendo così un'aria innocente.

In fin dei conti non potevo dargli torto: era la miglior scuola di arti drammatiche degli Stati Uniti. Illustri attori, ballerini, musicisti, registi, produttori e molte altre figure avevano studiato proprio in quegli edifici, prima di diventare “famosi”.

Sorrisi, decidendo che era il caso di finire lì il discorso, e ripresi a camminare verso casa.

Casa di Amy... sospirai.

Passarono pochi minuti prima di arrivare al nostro, o meglio loro, palazzo; salutai Matt con la mano, arrivati sul pianerottolo, ed entrai in casa di Amy, sperando di non essere sola.

«Ehi, Barb, com'è andata?» si interessò, lasciandomi giusto il tempo di chiudere la porta.

Le chiesi di poter fare una doccia, prima di iniziare a parlare della mia giornata e di tutti i pensieri che popolavano la mia testa in quel momento, e lei sorrise in segno di consenso.

Uscita dalla doccia, decisamente più rilassata, misi dell'olio ai capelli e li avvolsi in un asciugamano a mo' di turbante – trucco imparato da mia madre...

Ti mancano, eh?

Sì, mi mancano tanto i miei genitori, però c'è un ma troppo grande e non avrei mai potuto lasciare che la nostalgia mandasse tutto all'aria.

Indossai una canotta nera e dei leggings bianchi, tornai da Amy e ci sedemmo sul divano in sala.

«Ho preparato dei budini al cioccolato, ti va?» chiese Amy.

Annuii, come se si potesse rispondere no a un budino di cioccolato, e lei non esitò a lanciare il suo sguardo intimidatorio che sottintendeva un “sto aspettando, sputa il rospo!

«Se non ti dispiace, vorrei prima poterti parlare di quel che è successo a casa... a Milano, intendo.»

Fu così che iniziai a raccontarle ciò che era accuduto con i miei genitori.

Sembrava assurdo che lei non sapesse ancora niente, così come io non fossi a conoscenza dell'ufficialità del suo fidanzamento con Justin, ma nonostante ci sentissimo almeno una volta a settimana eravamo entrambe molto restie nel raccontarci cose di così grande importanza tramite delle banalissime chat. Ci aiutavamo spesso in occasioni come litigate di routine, esami in vista, colloqui, infatuazioni varie ecc... Lei aveva in programma di partire per l'Italia, così da potermi riferire di persona della splendida novità, e io, in cuor mio, sapevo che sarei finita a New York, prima o poi.

Sentii il bisogno di raccontarle tutto quello che mi era successo, tutte le emozioni soffocate dentro per paura dei giudizi o di rendere troppo reale la situazione a cui avrei dovuto far fronte. Sapevo che se mai avessi raccontato il mio trascorso a qualcuno sarebbe stata lei: Amy, un'amica che mi ha accolta nella sua vita come fossi una sorella, anche se in arrivo dall'altra parte dell'oceano.

Amy ascoltò il racconto senza interrompermi, probabilmente voleva lasciarmi finire per poi ponderare la risposta sulla base di tutte le informazioni da me lasciate. Aspettai con ansia il suo verdetto, se così potevo chiamarlo, perché prima di questo racconto non era concorde alla mia decisione di scappare e speravo davvero potesse cambiare idea.

Coscienza sporca?

No, o forse sì... non è facile abbandonare la propria famiglia, nonostante tutto.

«Come pensi di avvisarli? Voglio dire, di esserti trasferita qui e non intenzionata a ritornare a casa.»

Mi alzai dal divano, poggiando il piattino con il budino e il cucchiaio sul tavolino davanti a noi, mi diressi in camera e presi la lettera che non avevo ancora spedito.

«È una lettera che ho scritto prima di partire. Avrei voluto lasciarla a casa, a Milano, ma non ho avuto il coraggio. Avrei dovuto spedirla appena arrivata qui però...» lasciai cadere la frase.

«Domani mattina andiamo insieme, ok?»

Scossi il capo e le risposi: «Domani ho lezione!»

Confusa, Amy fece per rispondere ma si bloccò, vedendomi affondare il viso tra le mani.

«Tu lo sapevi, vero, che Matt studia alla mia stessa scuola?» chiesi, cercando di nascondere il rossore delle mie guance.

«A dire il vero, no... è un ragazzo molto riservato, lo conosco perché alcune volte va con Justin a vedere delle partite di basket, è il mio vicino, lo incrocio spesso ma niente di più.» rispose, mantenendo lo sguardo confuso in viso.

«Amy, l'insegnante di danza ha voluto vedere tutte le matricole singolarmente, ci ha esaminati e classificati. C'era gente che usciva dall'aula in lacrime...» ripresi fiato e continuai «Sai a me cos'ha detto? Che sono la peggiore tra tutte le matricole. Mi ha affidato un tutor per migliorare e arrivare pressoché al pari con gli altri... ed è l'unico modo che ho per avere i crediti necessari a superare l'anno.»

«Non mi dire che...» disse senza terminare la frase.

Annuii, leggendole negli occhi il nome di Matt.

«Questa sì che è bella!» rise.

Pochi minuti più tardi rientrò Justin, cenammo tutti insieme e verso le dieci mi diressi in camera.

Decisi di prendere il computer portatile che avevo messo in valigia da Milano, entrai nella posta elettronica, nel caso in cui avesse scritto la scuola, e trovai, invece, una mail da un contatto sconosciuto.

 

Da: rnty.mic@live.com

A: lovebea@live.com

Oggetto: none

 

Ehi, piccolo danno!
Tra le mail dell'accademia sono riuscito a trovare la tua, per fortuna – non ho ancora il tuo numero, cosa aspetti a lasciarmelo? So che abiti, momentaneamente, nella casa accanto alla mia ma non posso venire da te ogni volta che dobbiamo organizzarci per le lezioni intensive, non trovi?

Comunque, la signorina Eleonor mi ha appena scritto che vuole vederci domani mattina per le 10.00 al solito edificio. Presentati in abbigliamento consono, mi raccomando.

A domani ;)

 

P.S. Sono curioso... lovebea sta per “love” di Loveti, “b” di Barbara e “ea” di Lea, vero?

 

Cliccai su rispondi ma non ebbi il tempo di scrivere nulla perché la chat, essendo connessa, aprì una finestra con una conversazione: Matt aveva appena scritto in chat.

 

Matt: Ehi

Barb: Sì...

Matt: Cosa?

Barb: Sì, è la risposta.

Matt: …

Barb: Al post scriptum!

Matt: Ah! Sono un genio :) Ascolta, lasciami il numero di telefono... devo staccare.

Barb: 212-357-3050

* Matt ha lasciato la conversazione *

 

Rimasi male dal modo in cui abbandonò la conversazione, senza un saluto né qualcosa che mi facesse intendere che se ne sarebbe andato.

Però ha il tuo numero...

Avrei voluto il suo, per scrivergli che l'educazione non è un optional al quale ci si poteva detrarre in quel modo.

Sì, proprio per questo desideri il suo numero!

Alzai gli occhi al cielo in segno di resa e spensi il computer; presi la borsa che avrei utilizzato per la scuola e misi dentro lo stretto necessario per il giorno seguente: un cambio, l'asciugamano, un quaderno nel caso in cui sentissi bisogno di scrivere degli appunti, l'astuccio, misi anche il cellulare e poche altre cianfrusaglie.

Tornai a letto, sdraiandomi supina. Mi ritrovai a fissare il soffitto pensando ai cambiamenti che avrebbe avuto la mia vita da quel momento, dal momento in cui avevo preso l'aereo per New York. Qualche mese prima di partire, ricordai, c'erano molte persone riluttanti e scettiche quando si trattava dei classici sogni americani: “Il mito degli States... sì, un classico che poi delude. Non capirò mai tutta questa mania di partire oltreoceano quando in Italia abbiamo così tante belle cose...”, sembravano proprio le parole di chi non ha mai avuto il coraggio di andare oltre le proprie paure, di fare qualcosa di incerto, qualcosa da un finale non scontato e banale, che ti avrebbe portato a cambiare. Eppure c'erano così tante persone troppo chiuse mentalmente per comprendere quanto sia importante, per dei ragazzi, crescere seguendo le proprie passioni, inseguendo dei sogni con le proprie forze, dando l'anima per ciò che amano. Quanti rimpianti porterebbe la rinuncia a un sogno senza averci nemmeno provato? Non avrei mai accettato di ritrovarmi, un domani, con la mente invasa da perché o chissà.

Cullata da tutti quei pensieri, mi addormentai.

 

Entrai in aula poco prima delle dieci, Eleonor e Matt erano già dentro ad aspettarmi. Guardai Eleonor, intimorita, e salutai Matt con un cenno del capo, ripensando al modo maleducato con il quale si era scollegato dalla chat il giorno precedente.

«Come diavolo sei vestita?» esclamò Malefica, con un'espressione disgustata.

Abbassai lo sguardo, facendo una rapida scansione al mio abbigliamento: pantaloni lunghi, larghi e comodi, una canotta semplice e aderente e delle scarpe da tennis.

La guardai impietrita e con occhi indifesi, avrei voluto dirle che non immaginavo indumenti più comodi per una lezione di danza, ma prima che la mia incoscienza proferisse parola lei continuò il discorso.

«Nome e accento fanno intendere la tua ovvia provenienza dall'Italia, nonostante il tuo inglese sia impeccabile, ma, mia cara, dubito valga solo negli Stati Uniti: body e calzamaglia, o al massimo canotta e leggings... quelli vanno bene per la danza! Non questo scempio!» disse, indicando platealmente, dall'alto al basso, il mio corpo.

Prese il suo borsone e vi tirò fuori un paio di leggings bianchi di una lunghezza che, molto probabilmente, mi sarebbe arrivata fino al ginocchio.

«Va', in bagno e indossa questi, per favore.» concluse.

Feci come mi aveva detto e mi diressi in bagno. Con la coda dell'occhio, poco prima di uscire dall'aula, mi accorsi, dal suo gesticolare, delle direttive che stava dando a Matt.

Dio, quanto è acida!

Una volta pronta mi resi conto di indossare un intimo nero, davvero poco indicato quando si opta per dei pantaloni bianchi. Sentii subito le guance prendere colore, era davvero una situazione imbarazzante.

Tornai in aula, cercando di mettere da parte il disagio. Eleonor non c'era, trovai Matt seduto a terra ad aspettarmi. L'assenza di Malefica, che era pur sempre una figura femminile, non rese più semplice celare il mio turbamento; ciò nonostante, mi avvicinai fino ad averlo di fronte.

«Mi ha lasciato qualche indicazione per la lezione di oggi» disse, soffocando una risata.

«Che c'è?» domandai, indicandogli il sorriso accennato che dipingeva il suo volto.

«Nulla... va' alla sbarra, Barb!»

Torsi il collo per guardare alle mie spalle, il tutto senza voltarmi, e tornai a fissare Matt, rimanendo ferma sul posto.

Dubito tu possa fare una lezione di danza senza dargli le spalle!

Cominciai a provare un senso di profonda avversione verso le battutine sarcastiche della mia mente ma, mio malgrado, dovetti darle ragione. Mi girai, dando a Matt la visione del mio bel fondoschiena con intimo piuttosto visibile, e mi posizionai alla sbarra.

Notai, dando un'occhiata agli specchi, il suo sguardo rivolto proprio dove non avrei mai voluto trovarlo.

A chi la racconti?

«Oh, Gesù!» sbottai, arrossendo.

«Che hai?» chiese, confuso.

«Sì, ho dell'intimo nero... sai, non avevo previsto un abbigliamento bianco sopra. Non sono ancora diventata una veggente. Ad ogni modo, non sei autorizzato a fissare il mio bellissimo culetto!» risposi, a dir poco acida.

«Sì, devo ammettere che non è male... hai ragione.» esclamò, sogghignando.

Mi si aprii la bocca ma non riuscii a proferire parola, mi aveva appena detto che ho un bel posteriore.

Toccare per credere, Matt?

Non potevo credere ai miei stessi pensieri. Era possibile, in qualche modo, spegnere una parte della mente?

Si avvicinò, posizionandosi alle mie spalle. Alla nostra destra c'era la sbarra, davanti a noi una delle pareti ricoperte di specchi e a sinistra la parete con la porta d'ingresso, o d'uscita. Prese la mia mano e la sistemò sopra la sbarra, senza togliere la sua dal contatto. Fu inevitabile per me irrigidire ogni singolo muscolo del mio corpo.

«Ora, Barb, unisci le gambe, raddrizza la schiena ma cerca di rilassare le spalle.» ordinò, appoggiando la mano libera sul mio fianco sinistro.

Cercai di concentrarmi, continuare a respirare e seguire le sue istruzioni, ma il contatto con lui rese tutto più complicato. Chiusi gli occhi, inspirando, e senza rendermene conto irrigidii le spalle. Lui portò entrambe le sue mani sulle spalle, avvicinando il suo corpo al mio, per quanto fosse fisicamente possibile. Sentivo i nostri corpi aderire completamente, il che rese tutto ancora più imbarazzante.

«Rilassati!» sussurrò, massaggiandomi le spalle che improvvisamente si rilassarono come ammaliate dal suo tocco magico.

Perché non hai mai seguito un corso di danza prima d'ora?

«Ora, metti i piedi in linea tra loro, con la punta rivolta verso l'esterno.» continuò la spiegazione.

Abbassai di colpo lo sguardo, sentendo delle mani toccarmi coscia e polpaccio. «Cosa stai facendo?» lo ammonii.

«Le gambe, piccolo danno, devono rimanere tese!»

Era accovacciato, il volto proprio in vicinanza del mio sedere: non mi ero mai sentita a disagio come in quell'istante.

Durante le lezioni di recitazione fatte fino a quel momento non avevo mai provato una tale sensazione di imbarazzo, e i contatti fisici erano ovviamente presenti in alcune scene, ma quella non ero io: era come se il mio corpo fosse stato dato in prestito all'anima del personaggio che avrei dovuto interpretare. Era questo per me la recitazione: permettere alle anime di diversi personaggi di avere un corpo con il quale presentarsi, poter trasmettere le proprie emozioni al mondo, poter raccontare la propria storia. Sentivo, dentro di me, d'essere nata esattamente per quella ragione.

Un dolore improvviso distolse l'attenzione da quei pensieri e mi riportò alla realtà.

«Matt, mi fanno malissimo le gambe. È una posizione totalmente innaturale!» esclamai, con voce stridula causata dal dolore.

«È questione di esercizio, ci vorrà un po' di tempo.» replicò, rialzandosi.

Mossi le gambe, offrendo loro una postura più comoda, e mi voltai, senza ragione, a guardare Matt in viso.

Frenai ogni pensiero, intuendone la conclusione, e posai il dorso della mano sulla fronte per la stanchezza.

«Bene, piccola, questa era la prima posizione... se ti impegni, chissà, potremmo arrivare alla 69, che dici?» disse, strizzando l'occhio.

«Siete tutti uguali, oddio...» risposi interdetta e lui scoppiò a ridere.

Le ore seguenti passarono a suon di battute, esercizi di stretching e lunghe serie di addominali. Mi fece intendere che senza un fisico ben allenato sarebbe stato impossibile superare il corso e ottenere i miei crediti. Il mio corpo non era male: non mi consideravo magra né grassa, 51 chili per 1,71 metri di altezza erano più che giusti, il problema erano i muscoli: odiavo fare esercizi, correre, insomma ogni genere di movimento diverso dal camminare.

Mi sdraiai sul parquet dell'aula, completamente sfinita dalla lezione, mentre Matt si diresse verso la porta fermandosi, però, poco prima di uscire.

«Ti va di pranzare insieme, Barb?»

«Posso fare una doccia prima?» domandai, invece di rispondere.

«Riuscirai mai a non rispondere a una domanda con una domanda?» replicò lui, con l'ennesima domanda.

Mi sedetti, così da permettergli di notare il mio sorriso, e feci spallucce.

«Ci vediamo all'una e mezza davanti la mensa!» esclamò, uscendo.

Mi alzai, presi la borsa e mi diressi verso le docce presenti nell'edificio.

 

I giorni passarono piuttosto rapidamente, mi ritrovai catapultata a venerdì senza rendermene conto.

Entrai in aula, dieci del mattino e abbigliamento consono, ormai avevo imparato. Andai verso la sbarra, presumendo di dover ripetere, per la infinitesima volta, le posizioni e dimostrare i miei tremendamente impercettibili miglioramenti, ma Matt scosse la testa e si avvicinò.

«Oggi vorrei farti fare qualcosa di diverso...» disse, prendendomi per mano e portandomi verso l'unica parete senza né specchi né sbarra.

«Cosa...» cercai di formulare una domanda ma lui spinse il mio corpo affinché mi mettessi in ginocchio.

Non riuscii ad evitare di guardarlo negli occhi, confusa dal suo voler tenere misterioso quel che sarebbe stato il mio prossimo esercizio. Prese entrambe le mie mani e le portò a terra, facendole aderire perfettamente al pavimento.

«Ora stendi le braccia. Devono essere tese, Barb!» precisò.

Seguii i suoi comandi senza porre domande, sarebbe risultato inutile, e mi ritrovai con il busto spostato leggermente in avanti, rimanendo in ginocchio. Dallo specchio vidi Matt abbassare il corpo, afferrare i miei piedi e, mentre sussurrava un “stai tranquilla”, alzarmi le gambe e poggiarle al muro.

«Cosa cazzo stai facendo?» urlai, terrorizzata.

«Stai calma, respira e resta concentrata su ogni muscolo del tuo corpo.» rispose, severo.

Adesso cadi!

Ero derisa perfino da me stessa, il colmo. Cercai di rilassarmi, chiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro, quando Matt lasciò i miei piedi e mi ritrovai in quella posizione assurda in un equilibrio precario.

«Aiuto...» esclamai, una frazione di secondo prima di sentire le gambe allontanarsi dal muro, le braccia cedere, la testa sbattere a terra e cadere.

Cercai di sedermi, premendo una mano sul punto in cui la mia testa era in procinto di preparare un bel bernoccolo. Sentii una lacrima scendere sul viso per il dolore alla testa. Scattai in piedi e tirai un pugno alla spalla di Matt che, nel frattempo, rideva compiaciuto, non ebbi il tempo di rendermi conto che non era una buona idea alzarsi di scatto dopo aver preso un colpo in testa: iniziai a perdere l'equilibrio, a causa della vista annebbiata, ma per fortuna lui mi prese.

Mi appoggiò la schiena al muro e si sedette accanto a me, tenne delicatamente la mia testa finché non la appoggiò sulla sua spalla. Preferii tenere gli occhi chiusi per non vedere la stanza girare.

«Sei proprio un cretino, lo sai?» dissi, con voce spezzata.

«Lo so... ma tu sei dannatamente divertente, piccolo danno!» replicò dolcemente.

Quel pomeriggio sarei dovuta andare in segreteria, aspettavo la risposta alla richiesta della camera, ma il mal di testa martellante mi impedì di fare qualsiasi cosa, compreso terminare la lezione con Matt. Fortunatamente, si offrì volontario e andò al mio posto, non avrei mai voluto perdere la possibilità di una camera tutta mia per colpa sua e delle sue folli idee per le lezioni.

 

Aprii gli occhi, il tempo di mettere a fuoco per notare dalla finestra che si era già fatta sera, e diedi un'occhiata all'orologio che segnava infatti le dieci. Mi alzai dal letto e mi diressi in cucina, sperando di trovare Amy; con mia sorpresa trovai lei, Justin e Matt seduti a tavola.

«Ehi...» mormorai, stropicciandomi gli occhi ancora intontita.

«Come ti senti?» chiese Amy, lievemente preoccupata.

«Frastornata... ma meglio!»

Matt mi regalò un sorriso che ricambiai un po' imbarazzata. Mi diressi verso il frigo, dentro al quale presi uno yogurt alla fragola, e andai a sedermi nella sedia a fianco a Matt.

Mi soffermai qualche secondo ad ascoltare la voce di Amy: era presa dal racconto della sua giornata lavorativa, con Justin e Matt in ascolto. Guardai Matt, il quale distolse lo sguardo da Amy per rivolgermi un sorriso; ricambiai, pur non comprendendo la ragione di quel gesto, così come la sua presenza in casa. Decisi di non sforzare la mente dietro a domande troppo complicate, terminai il mio yogurt e andai a farmi una doccia. Avendo dormito tutto il pomeriggio, sarebbe stato disumano riuscire a prender sonno ad un orario decente, perciò indossai un paio di jeans, una maglia lunga nera e le converse. Sbucai in cucina, chiesi ad Amy e Justin se avessero voglia di fare due passi ma entrambi risposero di essere davvero stravolti e che sarebbero andati a dormire a minuti. Avrei voluto invitare Matt ma notai subito la sua assenza dalla cucina, mi sorprese il dispiacere che mi provocò. Presi borsa, chiavi ed uscii di casa.

Pensai di andare verso Central Park, sapendo di avere ancora delle ore prima della chiusura - prevista per l'una di notte. Il cielo era nuvoloso e il vento faceva intuire l'arrivo dell'autunno, qualche giorno prima avrei trovato persone con indumenti decisamente più leggeri, mentre in quel momento cominciavano a spuntare delle giacche. Notai con piacere quanto fosse diversa Manhattan da Milano: quelle poche volte che ero andata in centro la sera, durante l'inverno e non nei fine settimana, con difficoltà avevo trovato così tante persone a passeggio. C'erano soprattutto negozianti pronti a chiudere, oppure bar aperti con i classici clienti ritardatari che facevano sforare l'orario di chiusura. Le zone più frequentate non erano realmente in pieno centro, ma nemmeno Brera e Navigli erano poi così popolati in settimana.

Quella differenza mi fece sorridere, mi sentii quasi più libera, in grado di poter fare qualsiasi cosa indipendentemente dall'ora. Probabilmente questa leggerezza non era che la conseguenza di una vita ricca di vincoli e restrizioni, mio padre non amava lasciarmi uscire e spesso mi ritrovavo in situazioni spiacevoli come il dover dire no, infinite volte, alle poche persone che nonostante tutto speravano di riuscire a vedermi anche al di fuori del contesto scolastico. Tutti quegli atteggiamenti così preistorici avevano causato quella grande bolla di rancore che viveva ormai dentro di me da diversi anni, crescendo giorno dopo giorno. Sapevo bene che non avrei resistito per sempre, che non sarebbe stato umano poter gestire tutta quella rabbia senza mai esplodere e forse era anche questo che mi aveva spinto a comprare il biglietto per New York.

Ripensai alla prima volta che avevo messo piede nel continente dei miei sogni, ai miei lontani quindici anni. Erano passati quattro anni, ormai, ma il ricordo era così limpido nella mai mente e nel mio cuore... dovevo ringraziare i miei nonni, gli unici in grado di comprendermi realmente, gli unici in grado di opporsi all'ostinazione irragionevole di mio padre. Fu il regalo più bello di sempre.

Loro ti regalarono New York, la possibilità di incontrare una ragazza splendida come Amy e tu li ringrazi sparendo per sempre dalla loro vita...

Sentii una lacrima rigarmi il viso, l'asciugai prontamente con il dorso della mano e cercai di distrarmi, pensando ad altro.

Trovai una panchina libera, così presi posto e iniziai a guardare una coppia di gemelli rincorrersi, supposi avessero massimo quattro anni, erano adorabili. Madre e padre tenevano d'occhio il gioco dei bimbi mentre chiacchieravano, guardandosi con l'amore che traspariva dagli occhi. Pensai fossero stupendi, madre, padre e figli; una famiglia felice, spensierata, almeno in apparenza, e piena d'amore.

Improvvisamente suonò il telefono, lo presi dalla borsa e mi accorsi di non conoscere il numero. Mi venne in mente la scuola, dimenticai fino a quel momento di aver lasciato Matt in segreteria e di aspettare una risposta per la stanza all'interno del campus.

Aprii il messaggio.

 

Piccolo danno, come stai?

Scusa se sono andato via prima di lasciarti il resoconto della segreteria, ho avuto un imprevisto. Comunque domani, in mattinata, devi recarti in segreteria così ti consegnano le chiavi. Hanno detto che se dopo la fine del primo semestre avrai preso tutti i crediti necessari con una buona media, la borsa di studio coprirà tutte le tue spese – stanza, retta, cibo, lezioni extra con specifiche persone interessanti...
Ma non divaghiamo! Lunedì cominciano i corsi, perciò dovremo metterci d'accordo per le nostre lezioni private... ;)

Ti aspetto domani pomeriggio a casa mia!

 

Dolce notte, piccola.

Matt

 

La mia mente riuscì a pensare solo tre cose: “piccola”; “a casa mia”; hai il suo numero!

Sorrisi, scuotendo il capo, e tornai a casa.

* * * * *

SPAZIO AUTRICE

Eccoci qui, con il nuovo capitolo tutto per voi.
Sono sempre più agitata, questa storia mi sta entrando nel cuore e spero tanto abbia lo stesso effetto con voi.
In seguito alla pubblicazione del prologo, devo ammettere, sono rimasta puttosto soddisfatta: non mi aspettavo così tante visite e ben dieci recensioni. Mi avete davvero resa felice.
Sono molto contenta anche che abbiate apprezzato i personaggi, ho amato leggere pareri differenti su di essi... conoscere il vostro pensiero aiuta molto! :)

Ringrazio tutte le splendide anime presenti nel gruppo - honeyes, se voleste unirvi a noi - che mi fanno ridere con i loro commenti e le loro folli idee/supposizioni. Ringrazio tutte le persone che hanno letto il prologo, chi ha recensito, chi ha letto anche questo capitolo e chi mi sostiene sempre, incoraggiandomi e spronandomi ogni giorno.
Grazie alla mia Beta Reader, ogni volta che rileggo il capitolo dopo una sua correzione mi ritrovo con il sorriso e qualche risata - è tosta, credetemi... ma è fantastica!

Anche questa volta lascio dei consigli: | Hurt Lovers | Gli eroi di Sandpoint | :)

Grazie ancora a tutti!
Willa 
   
 
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