Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |      
Autore: dangerspeedy    26/06/2013    3 recensioni
...Leo non fosse stato solo?
“Perché le persone che amiamo non ci hanno mai davvero lasciato: stanno nel profondo di noi.”
Genere: Drammatico, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leo Valdez, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Si sedette calmo sull’asfalto abbandonato, respirando pesantemente e cacciando fuori tutta la frustrazione che sembrava incupirlo.
Tirò su i suoi ricci bruni torturandoli con le dita abbronzate, sfogandosi tra singhiozzi e sbuffi.
Il buio e la pioggia cadevano sul suo corpo sporco e lucidavano la sua pelle scura.
Si coglieva un leggero rossore nei suoi occhi e sulle sue guance che per la prima volta sembravano davvero paonazze.
“E’ finita.” ansimava. “E’ finita per tutti.”
E continuava in un impercettibile lamento di singhiozzi, odio, tristezza e frustrazione, e li alternava con sorrisetti sadici, come se stesse cercando di mostrare ancora il suo lato sarcastico e positivo, se non lo stesse soffocando con il dolore.
Batté un pugno a terra, cercando di tirare fuori tutta la sua rabbia, ma finì soltanto con l’arrossarsi della sua mano.
Quando però l’aprì, una lingua di fuoco uscì fuori dal palmo, senza bruciarlo, e la scagliò sull’asfalto prima che si spegnesse e lasciasse un segno nero di fuliggine.
Borbottò qualcosa, senza mai alzare gli occhi al cielo, e portò la testa fra le mani, in una smorfia di orribile dolore.
Non sei solo, pensava. Non sei solo.
Ed era come se quel pensiero lo urlasse sempre più forte nella sua testa, come se la volesse far bruciare, e la ripeteva all’infinito arrabbiato e urlando nella sua mente che  sembrò essere in sovraccarico: Non sei solo, non sei solo, non sei solo …
Ed effettivamente, quando il suo cervello stava per esplodere di emozione e tristezza, di pazzia e dolore, la voce nella sua testa pareva essersi materializzata.
Una sussurro infatti, sospirò con voce calda “Non sei solo.”
Leo sobbalzò. Non era la sua voce. Né quella di suo padre.
Assomigliava stranamente alla voce raggiante e speranzosa dell’amata madre.
Che fosse stato un angelo? Che fosse diventato pazzo?
A ogni modo, Leo sobbalzò e in un istante spalancò gli occhi, ma non si girò.
Restò lì, fermo, immobile.
Spaventato, ma con la speranza di poter riabbracciare la madre, anche se probabilmente aveva già abbracciato la pazzia.
“Non sei solo”, la voce ripeté.
Leo sentì un tocco leggero sulla schiena, una mano fredda come il vento che spirava quella notte.
La ragazza si sedette accanto a lui, nella pioggia, senza preoccuparsi dell’acqua che le bagnava i capelli castani.
Con i suoi occhi cerulei carichi di compassione cercò di scrutare tra i ricci del ragazzo, sorridendogli leggermente.
 Non era sua madre.
“Chi sei?” disse calmo Leo, cercando di non essere troppo scorbutico.
“Chiunque tu voglia che io sia, ma chiamami pure …”ci pensò su. “ Emma.” Questa volta il sorriso sul suo volto si poté vedere meglio, anche perché le sue labbra rosee si distinguevano bene dal suo volto pallido.
La mano sulla schiena di Leo non si era staccata nemmeno un secondo e la ragazza sembrò volesse trasmettergli serenità, dal suo viso che lo scrutava mestamente.
Dopo una lunga pausa, il figlio del fuoco si decise a dire “Piacere: Leo Valdez. Sono un figlio di-” si fermò con la paura di star parlando a una mortale.
Si capì subito dai suoi occhi scuri che balzarono in alto staccandosi dal suolo, allarmati.
“Ho capito,” disse infine la ragazza. “Sei figlio del divino Efesto.”
Quest’ultima si accigliò e in tono quasi solenne disse “Io sono figlia di Atena.”
Leo sembrò sollevato nell’udire quelle parole, e un sorriso si scandì sul suo volto.
Ben presto la ragazza aggiunse un particolare “E sono qui per dimostrarti che non sei solo.”
Leo per la prima volta dopo giorni sembrò sollevato, per davvero, da ogni male.
Gli occhi di “Emma”  però tornarono pieni di tristezza e compassione, come se nell’iride cangiante si trovasse un fitto bosco di rovi.
“Anch’io ho perso persone importanti nel cammino della mia vita.
Anch’io ho sofferto per errori che non ho commesso.
Ma infondo, nessuno di noi due ha da essere egoista.
Perché le persone che amiamo non ci hanno mai davvero lasciato: stanno nel profondo di noi.
E sono loro che ci urlano di stare forti, sono loro che cercano di abbattere le nostre barriere per aiutarci a non cadere sempre nella stessa fossa.
Certe volte il loro urlo straziante non arriva bene al cervello, sai?
Ma se hai la consapevolezza di tutto ciò che ho appena detto, puoi sentirli. Puoi sentire le loro voci, puoi tenerle per sempre dentro di te. Racchiuse nella tua anima.
Fino alla fine del mondo.”
La mano fredda di “Emma” sollevò piano il mento di Leo, costringendolo a guardarla negli occhi.
L’altra mano, tiepida, gli pulì il viso pieno di fuliggine con un fazzoletto.
Riuscì finalmente a vedere il bel viso di Leo: la pelle abbronzata e i tratti ispanici, gli occhi scuri e beffardi, i ricci ribelli che gli piombavano allegri sul viso.
Lei starnutì per la polvere, e quando la pioggia sembrò calmarsi, il ragazzo sorrise raggiante, e l’altra pensò che dopo tutto, ne valeva proprio la pena.
Il figlio di Efesto, infine, le prese la mano e sussurrò un “grazie”.
Così la fanciulla, che al chiarore della luna pareva una cacciatrice, si alzò imponente e fece per andarsene.
Un lampo attraversò la mente di Leo. “Dove abiti … Emma?”
“Quando non sto a Broadway, cercami nella cabina dei figli di Atena. Al campo. Ci arriverò prima o poi, sempre se non venissi attaccata da un potentissimo mostro. Chissà.”
Lanciò a Leo un sorriso sadico, e poi, quando avrebbe dovuto voltarsi e correre – o camminare via – spuntò dalla nebbia un cavallo alato, un pegaso, interamente nero, ma con una civetta bianca che volteggiava sopra di lui.
“Magari ti manderò un messaggio iride. Chissà.” Aggiunse lui, imitandola.
Lei salì in groppa al suo pegaso, che stranamente aveva prima di andare al campo, e con la civetta attorno, simbolo della madre Atena, partì al galoppo via dalla strada, e poi via via verso il cielo nuvoloso e gelido.

Leo rimase lì, con un sorriso scemo stampato sulle gote, con la certezza che nessun messaggio-Iride avrebbe potuto ascoltare l’anima di quella ragazza.
Con la certezza che non avrebbe mai dimenticato il suo volto amichevole, la mano gelida e l’altra tiepida che l’avevano confortato, il suo sguardo mesto, assente, ma presente.
Perché da quel momento, viveva anche lei nella sua anima, nel suo profondo.
E sapeva che anche lei avrebbe iniziato ad urlare, e con sua madre, avrebbe fatto in modo di essere più vicina a lui di qualsiasi abbraccio esistente.
Ma soprattutto, dopo anni, con la reale certezza di non essere solo.





- Ok ragazzi, premetto che questa è la prima cosa che scrivo e non ne sono nemmeno convinta.
Spero che vi piaccia, huh?

La vostra
Cioshes :)


:)

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: dangerspeedy