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Autore: SaintPeterVillageGDR    26/06/2013    3 recensioni
[Saint Peter Village - Be afraid of the human mind. GDR]
-- Saint Peter Village • Be afraid of the Human Mind. [GDR a Trama Drammatica/Fantascientifica]
Non si poteva di certo dire che la vita di Phoebe fosse come quella di una normale diciottenne. Anzi, Phoebe Agnes Dover di normale non aveva proprio nulla.
Il destino -quella forza inarrestabile che l'uomo cerca di eludere sin dall'alba dei tempi- di certo non le era amico, ma, al contrario, sembrava quasi contento di infliggerle terribili e inspiegabili punizioni.
Genere: Angst, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Non si poteva di certo dire che la vita di Phoebe fosse come quella di una normale diciottenne. Anzi, Phoebe Agnes Dover di normale non aveva proprio nulla.

Il destino -quella forza inarrestabile che l'uomo cerca di eludere sin dall'alba dei tempi- di certo non le era amico, ma, al contrario, sembrava quasi contento di infliggerle terribili e inspiegabili punizioni.
Sua madre – povera in canna, con l'affitto e le bollette a carico e un lavoro che sembrava non arrivare mai – la abbandonò all'orfanotrofio, pochi giorni dopo averla partorita.
Phobe, comunque, non venne mai a conoscenza di questo angosciante segreto, in quanto i suoi genitori adottivi – Helen e Phill Dover – decisero che mai e poi mai avrebbero permesso che la loro piccola bimba dai grandi occhi grigi soffrisse.
Phoebe crebbe, dunque, in un clima di gioia e amore insieme a mamma, papà, Matthew – suo fratello maggiore, nonché suo eroe – e la sua Nasa – Eliza Doongle, la nonna materna.
Sin dai due anni, la piccola Dover manifestò un particolare affetto nei confronti della nonna, la quale era l'unica in grado di tenere a bada quella sua adorabile iperattività infantile.
La bimba non aveva occhi che per la sua Nasa e l'anziana signora non riusciva a distogliere la sua attenzione da Be.

Il primo, brutto scherzo del destino si palesò nell'estate del 2013 – quando Phoebe aveva solo dieci anni. Un infarto – aiutato dalla vecchiaia – accompagnò la vedova Doongle nel famoso paese inesplorato, quello dal quale nessun viandante fa ritorno, lasciando Be nella disperazione più totale.
Come avrebbe potuto addormentarsi, alla sera, se nessuno cantava più la ninna nanna? Con chi avrebbe guardato i cartoni animati fino a tardi, nascondendosi da mamma e papà? Chi le avrebbe preparato il budino al cioccolato con tanta panna, ora?
L'unico appiglio per quella povera bimba di dieci anni rimase il fratello,
Matthew, il quale diventò il fondamento della sua vita: non faceva nulla – ne mangiare, ne pensare, ne cantare, ne sorridere – se lui non era al suo fianco.
E qui il Fato si prese nuovamente beffa di lei, portandole via anche Matt, poco dopo il diploma, portandole via la sua ancora di salvezza.

E fu così che la drammatica storia di Phoebe Dover si fece ancora più tragica, dal momento che la diciottenne iniziò a tentare il suicidio, più e più volte, tagliandosi i polsi.
I genitori – disperati dalla perdita del figlio e angosciati nel vedere la loro bambina farsi del male in quel modo – decisero di mandarla nell'Ospedale Psichiatrico più rinomato della zona – la Loherty – sperando che quei medici potessero prendersi cura della loro bambina, salvandola.

E fu qui che il destino intervenne di nuovo a sfavore di Phoebe: dopo la normale visita di routine, i medici della Loherty si accorsero che quella ragazzina con tendenze suicide aveva tutte le carte in regola per testare un nuovo farmaco -tale NOE-547, siero in grado di bloccare la funzione del corpo amigdaloideo, azzerando la memoria emozionale, rendendo l'individuo incapace di provare emozioni, in quanto non le conosce.

***

Dopo il caldo afoso di quei giorni, il cielo sopra Long Beach sembrava preparato alla battaglia, pronto a ospitare un epico scontro tra lampi e saette.
«Be! Be, dove sei?»
Nonostante conoscesse molto bene quella voce, non mosse nemmeno un muscolo, rimanendo nascosta dentro il sacco a pelo.
Per sua sfortuna, Matthew sapeva benissimo dove era solita nascondersi, così, con passo lento ma deciso, iniziò a salire le scale che portavano alla soffitta.
<«Be, dai, esci di lì! Mamma ha preparato il budino al cioccolato, come piace a te! C'ha messo pure
quintali di panna!»
Erano due giorni che non mangiava ormai e, nonostante avesse solo tredici anni, Matt iniziava a preoccuparsi.
La testolina di Phoebe fece capolino dalla tenda da campeggio blu, posta in mezzo alla vecchia e polverosa mansarda, guardando il fratello per un istante, incerta sul da farsi.
«Non.. Non ho fame.»
«Oh, meglio per me. Vorrà dire che
questo..»
Portò le mani davanti al petto, esibendo una coppa di ceramica verde, piena zeppa di budino al cioccolato e panna.
«..Me lo mangio tutto io.»
Fece per andarsene, quando una manina gli afferrò la caviglia.
«Be',
forse ho un po’ di fame..»
Matthew fece dietrofront, accucciandosi davanti alla sorella, porgendole la ciotola, con un sorriso incoraggiante stampato in volto. Entrò quindi nella tenda, sdraiandosi a terra, fissando il soffitto.
Proprio in quel momento, la pioggia iniziò a scendere dal cielo, picchiettando rabbiosamente sul piccolo oblò della soffitta, quasi volesse entrare in casa con prepotenza.
«Perché deve piovere, Matt?» domandò allora la piccola Phoebe, con la bocca piena di budino e panna.
«Oh, be', non lo so. Ma non è rilassante?»
«No, io lo
odio. È così...»
Quasi a voler concludere la sua frase, un lontano tuono risuonò nella stanza, costringendo la bambina a mettere da parte la sua merenda e ributtarsi sotto il sacco a pelo. Matt, nel frattempo, scoppiò a ridere.
«Non c'è nulla di cui avere paura. Ma come, non li senti?»
Phoebe fece capolino dal sacco a pelo, solo con gli occhi, puntando lo sguardo sul fratello.
«Cosa dovrei sentire?»
Un lampo squarciò il cielo, illuminando la stanza, e, pochi secondi dopo, seguì un tuono, che rimbombò nell'aria estiva. Lei fece per portarsi di nuovo la coperta sopra gli occhi, in quel che era un gesto istintivo, ma fu fermata da lui.
«Ascolta. Concentrati e ascolta. Non lo senti? Questo è solamente il
nonno he brontola perché la nonna non gli lascia guardare la televisione in pace..»

***

Era una calda giornata estiva, ma il cielo cupo preannunciava un temporale.
Di lì a pochi minuti sarebbe giunto il suo turno e, ancora un volta, avrebbe dovuto sottoporsi a quella tortura.
Oramai erano due mesi che era una paziente della Loherty, ma ancora non s'era abituata alle sedute mediche settimanali -ed era dell'idea che mai ci si sarebbe abituata.
Non appena entrò nello studio medico, il suo sguardo si posò per un istante sulla finestra, che rimase a contemplare per qualche secondo: quel cielo scuro le ricordava molto le serate passate ad abbracciare suo fratello Matt, cercando di farsi passare quella sua stupida fobia dei temporali.
Poi, non appena si sedette sulla sedia per attendere la somministrazione del siero,
iniziò.
Delle piccole, ma rabbiose, gocce di pioggia iniziarono a tamburellare sulla finestra del piccolo studio medico, quasi a cercare di entrare nella stanza, nonostante nessuno le avesse invitate.

E fu un attimo.
Un potente flusso di ricordi riaffiorò nella mente di Phoebe, tutte quelle immagini legate alla pioggia, al fratello, alla nonna.
Fu come
respirare di nuovo.
Fu come se, per la prima volta, vedesse davvero quello studio.
E fu allora che una marea di emozioni la colpirono in pieno: dapprima la paura – per quella siringa e per i medici –, poi la rabbia per la sua situazione, poi il dolore e la tristezza, la disperazione e la consapevolezza che nessuno sarebbe venuto ad aiutarla.
Iniziò a urlare come mai prima d'ora, con tutto il fiato che aveva in gola, mentre calde lacrime iniziavano a solcarle il viso.
«NON TOCCATEMI!» gridò, sotto lo sguardo esterrefatto dei medici, abituati a un suo diverso comportamento.
Dopo un breve cenno d'intesa, uno di loro – il più grosso – le bloccò le mani, mentre l'altro le iniettava velocemente il siero, nella speranza che l'amigdala si bloccasse di nuovo.
Ma invece
non fu così.
Le misero in circolo il siero altre quattro o cinque volte, ma nulla cambiò.
La potenza di quei ricordi sembrava in grado di contrastare ogni diabolico siero creato in laboratorio, annullandone gli effetti.

Alla sesta iniezione, il cuore di Phoebe smise di battere.
E rimase perfettamente immobile per
centoventuno secondi.
Sembrava quasi di vedere già l'anima della piccola Be staccarsi dal suo corpo. Mancava solo che l'ultimo filo di vita venisse tagliato dalle moire e sarebbe finito tutto.
Niente più supplizi, niente più dolore, niente più tragici ricordi che offuscano la mente. Niente.
Al
centoventiduesimo secondo, il cuore di Phoebe riprese a battere e lei riaprì le palpebre, incominciando a respirare affannosamente.

«Siamo del parere che.. Per oggi possa bastare. Va, Phoebe. Ci vediamo domani.»
Lentamente, la piccola mora gli alzò dalla sedia, incamminandosi verso l'uscita, trascinando i piedi a terra. Poco prima di aprire la porta, si voltò a guardare i medici e, con sua somma soddisfazione, sentì un
profondo odio nei loro confronti nascerle nel cuore.

   
 
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