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Autore: AlfiaH    27/06/2013    6 recensioni
Ebbene. Studio Deen non ha animato la scena UsUk di Buon San Valentino.
Che è qui riportata anche se ovviamente con delle sfumature di contorno perchè altrimenti la fic sarebbe stata lunga tre righi.
“ H-Hey, America…”
Sentì il viso andargli a fuoco, non riusciva neppure a guardarlo in faccia. Abbassò gli occhi tirando fuori dalla tasca la famigerata barretta. Tutto il suo coraggio sparito.
“Riguardo al cioccolato che volevi, io…”
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La scena in questione è evidenziata in corsivo:






Buon San Valentino: ciò che non è stato detto.


“ Signor Inghilterra! America minaccia di ritirare l’esercito!”

“ Cosa?! E perché mai quello stupido idiota vuole fare una cosa del genere?!”
“Si è lamentato perché non ha ricevuto del cioccolato da parte vostra!”
Arthur arrossì violentemente mentre ripensava a quelle parole pronunciate dal suo soldato.
Aveva lanciato una rapida occhiata al calendario: 14 Febbraio, San Valentino. Con una guerra mondiale in corso, lo sbarco in Sicilia e tutti i problemi che avevano, quell’idiota aveva anche avuto il tempo di pensarci.
Ormai erano settimane che combattevano l’uno al fianco dell’altro e il solo sentire la parola “angloamericano” lo faceva rabbrividire. Il dover stare così tanto tempo insieme però aveva aumentato anche le discussioni, le liti, i silenzi e, nonostante si ostinasse a fare l’offeso ogni volta, incrociare Alfred nei corridoi e vederlo distogliere lo sguardo, gli provocava una dolorosa fitta nel petto. Sentiva tutte le parole morirgli sulle labbra improvvisamente secche e l’orgoglio fargli da barriera. Così abbassava anche lui lo sguardo e andava avanti.
A volte quella situazione diventava insopportabile.
A volte avrebbe davvero voluto spaccargli la testa per controllare se effettivamente avesse un cervello o fingeva solamente di averlo. Avrebbe voluto urlargli contro e chiedergli che genere di problemi avesse con la sua presenza, che se non gli aggradava poteva anche andarsene, che non aveva bisogno di lui per vincere quella maledetta guerra, che non aveva bisogno del suo aiuto, che non aveva bisogno di lui e basta.
Ma avrebbe mentito.
Ogni volta stringeva le mani sulla sua divisa, all’altezza del cuore, e reclamava a sé tutto il suo self control.
Se per caso fosse finito col dire qualcosa che lo avrebbe fatto allontanare ulteriormente, non se lo sarebbe mai perdonato.
Mai.
Invece poi arrivavano quei momenti, quelli in cui era bello fare pace, quelli che gli facevano battere il cuore, quando l’americano lo invitava nel suo letto, quando lo abbracciava poggiandogli la fronte sulla schiena e in silenzio gli chiedeva scusa. Smetteva di ridere, smetteva di prenderlo in giro. Allora sentiva davvero di amare il silenzio.
Spesso si era trovato a domandarsi se stesse giocando coi suoi sentimenti o se magari alla fine si divertisse alle sue spalle.
 
Anche con quella richiesta assurda. Era tutto uno scherzo? Perché si stava prodigando tanto per preparare quegli stupidi cioccolatini?
Per la guerra, ovviamente, non poteva permettere di perdere il suo esercito.
Per un attimo si sentì un idiota. Sbuffò togliendosi il grembiule e lanciando un’altra occhiata al fumo proveniente dal forno.
Anche quelli erano bruciati.
Non che non si fidasse della sua cucina - che non aveva assolutamente niente che non andasse, a parer suo – ma dei cioccolatini bruciati non erano esattamente il massimo da regalare ad una persona speciale il giorno di San Valentino.
Stava perdendo di vista la motivazione.
L’esercito, lo stava facendo solo per l’esercito.
Arrossì di nuovo.
Al diavolo, pensò, avrebbe comprato degli stupidi cioccolatini confezionati, tanto non se ne sarebbe mai accorto. E anche se se ne fosse accorto non gliene sarebbe importato.
Almeno tentava di convincersene.
Le vetrine delle pasticcerie italiane, nonostante la guerra in corso, erano vistosamente addobbate con palloncini a forma di cuore, fiocchi e nastrini, tutto rigorosamente di colore rosso o rosa fucsia, persino i dolci avevano assunto una forma romantica, in quel giorno niente come il cioccolato poteva esprimere amore. Che cosa ridicola.
Era davvero l’unico ad ignorare quella festa?
In verità nemmeno gli era mai piaciuta. Forse col tempo l’aveva cancellata dal suo calendario o il suo cervello aveva smesso di concepirla. Tutti gli anni, il 14 di Febbraio, passava la serata in qualche pub a bere, magari in compagnia di una bella ragazza. O due. O tre. Dipendeva spesso dai bicchieri che riusciva a buttare giù, uno dopo l’altro, poteva sentire l’alcol pulsare nelle vene, la testa girare, la felicità bloccarsi nei polmoni.
Poi la notte finiva e si tornava a lavoro.
A volte si faceva davvero pena da solo ma il non ricordare  nulla dopo le sbronze era comunque una consolazione. Seppur abbastanza magra.
Si fermò davanti ad un paio di vetrine prima di decidere che quei pacchetti dalla carta colorata e dai fiocchi esageratamente vivaci non facevano proprio al caso suo. Chissà che idea si sarebbe fatto America vedendolo arrivare con uno di quei cosi – non sapeva come altro definirli – tra le mani.
Decisamente un’idea sbagliata.
Decise di optare per qualcosa di più semplice, che non desse nell’occhio, che non dicesse chiaramente “ehy, questo è un regalo di San Valentino!”
Avrebbe preferito un “Oh, guarda, ho casualmente trovato del cioccolato in tasca, per caso ne vuoi un po’, America? Oggi mi sento magnanimo!”
Si, molto meglio. Almeno avrebbe salvato la dignità.
Per tanto, compiaciuto della geniale idea, si fermò ad un distributore e comprò una barretta di cioccolato.
Semplice, efficace, geniale.
Sorrise tra sé e si strinse nel cappotto di kashmir, avviandosi verso l’accampamento.
Ogni passo che avanzava sentiva il volto caldo, un vuoto all’altezza dello stomaco, mille domande affollargli la mente. Fu anche tentato di girare i tacchi e tornare indietro ma il suo dovere di nazione aveva la priorità e inoltre il suo orgoglio inglese avrebbe risentito di quell’atto di codardia. Cosa doveva temere, poi? Bastava andare da lui e sbattergli in faccia quella stupida cioccolata.
Il cuore gli si congelò nel petto.

“ H-Hey, America…”
Sentì il viso andargli a fuoco, non riusciva neppure a guardarlo in faccia. Abbassò gli occhi tirando fuori dalla tasca la famigerata barretta. Tutto il suo coraggio sparito.
“Riguardo al cioccolato che volevi, io…”
“Huh? Che cioccolato?”

Quando rialzò lo sguardo America stringeva tra le mani un secchio zeppo di dolci e lo guardava, le guance gonfie – a causa delle schifezze che stava ingurgitando – e leggermente arrossate.
Serrò le labbra, si diede mentalmente dell’idiota. Avrebbe dovuto aspettarselo.
“Niente. I-Io… Lascia perdere. Tieni, aggiungila alla scorta…”
L’americano si avvicinò con un’espressione sorpresa, limitandosi a guardare l’oggetto avvolto dalla carta argentata che Arthur gli stava porgendo.
“E’ da parte tua?”
“C-Certo che no, ti sarà caduta…”
Alfred sembrò ignorare la risposta e si avvicinò ancora mentre un sorriso gli si dipingeva sulle labbra.
“Mi stai davvero regalando del cioccolato? Il giorno di San Valentino?”
“T-Ti ho detto di no!”
Prima che potesse terminare la frase vide il secchio rotolare per terra e gli occhi azzurri della sua ex colonia a pochi centimetri dalla faccia. Il suo sorriso si era allargato, vittorioso e soddisfatto.
“Sai che significa?”
L’inglese non ebbe il coraggio di rispondere. Né di parlare in generale. Né di muoversi. Temeva che anche il più piccolo gesto avrebbe potuto spazzare via quella vicinanza conquistata, quell’odore dolce di nocciola, quel sapore di vita e cioccolata che avevano le sue labbra, chiuse, appena poggiate sulle sue. Temette di avere un infarto quando il più giovane si staccò guardando altrove, visibilmente imbarazzato.
Arthur tentò di ragionare in modo razionale, di apparire calmo, freddo, distaccato. Come se nulla fosse successo. Eppure la sua voce sembrò incastrarsi per un attimo tra le labbra, incapace di venire fuori.
“Perché mi prendi in giro?”
Gli occhi del più giovane tornarono dai suoi senza trovarli, coperti appena dalla frangia.
“Cosa? Che intendi dire?”
“Oh, ti prego. Prima pretendi che ti faccia uno stupido regalo, poi ti fai trovare con quella roba in mano, prima mi baci, poi non mi guardi neppure in faccia. A che gioco stai giocando? Pensi… Pensi che abbia tempo da perdere? Ti sbagli.”
“No! Posso spiegarti!”
“Smettila di giocare con i miei sentimenti, America.”
Quell’ultima frase uscì dalle sua labbra come un sussurro, non abbastanza supplicante per sembrare una preghiera, non abbastanza decisa per sembrare una minaccia. Aveva solo dato voce ai suoi pensieri, all’unica cosa che in quel momento aveva un senso nella sua mente, l’unica cosa che riusciva ad elaborare. Si sentiva preso in giro e deluso. Quella delusione profonda di chi osa essere ottimista anche solo per un attimo e vede il proprio progetto sgretolarsi a causa di un semplice soffio. Una lacrima gli scivolò giù dal mento lasciandogli una scia umida sulla guancia. In un attimo si sentì avvolto dal calore. Sgranò gli occhi.
“Inghilterra… Inghilterra, non piangere…”
“Sta zitto, non sto piangendo! E levati di dosso!”
L’americano strinse ancora le braccia attorno al suo corpo facendolo aderire perfettamente al suo e scosse piano la testa.
“Non voglio!”
“C-Cosa?!”
“Non voglio più vederti piangere a causa mia!”
Aveva gridato così forte e così poco distante dal suo orecchio che i suoi timpani rischiarono seriamente di sfondarsi. Per un attimo si sentì spiazzato.
“Volevo passare questo giorno insieme a te ma se te lo avessi chiesto avresti rifiutato, perciò…”
“C-Che stai dicendo, idiota?...”
“Perciò mettere la cosa sul piano militare mi è sembrato un ottimo modo per costringerti… Non pensavo l’avresti presa così male!”
Man mano il suo tono sembrò abbassarsi e la sua voce squillante farsi addirittura flebile. Non poteva vedere la sua espressione, immobilizzato com’era da quell’abbraccio che si stava facendo sempre più stretto, ora da entrambe le parti.
“Tu potevi… Potevi chiedermelo.”
“Te l’ho detto, avresti rifiutato!”
Arthur sentì una gran voglia di picchiarlo annebbiargli i sensi. Aveva aspettato duecento anni per quel momento. Come poteva anche lontanamente pensare che avrebbe rifiutato?
“Avrei sicuramente rifiutato! Però avresti dovuto chiedermelo invece di mettere in atto uno dei tuoi stupidi giochetti!”
“Però sei qui, ha funzionato.”
L’inglese arrossì. Poteva perfettamente immaginare il sorriso compiaciuto dell’altra nazione che ora allargava le braccia, lasciandolo libero. Si sentì infinitamente sollevato. Almeno non era uno scherzo.
“E…P-Perché mi hai baciato?...”
“Beh, eri lì con del cioccolato tra le mani, è San Valentino, ho fatto due più due… Tu ti sei dichiarato col cioccolato, io volevo farlo con un bacio! Mi sembrava romantico!”
La nazione britannica per poco non si strozzò con la saliva.
“Io COSA?! Sono stato costretto a venire! L’hai detto tu stesso! Non ho dichiarato proprio niente!”
 “Mai una volta che mi assecondi… Poteva essere romantico…”
“Queste cose accadono solo nei tuoi film di quarta categoria.”
L’americano sbuffò, le gote leggermente arrossate, e puntò le iridi celesti in quelle verdi dell’altro, avvicinando di nuovo il viso al suo, lo sguardo convinto.
“Io però mi sono dichiarato.”
L’inglese sentì il cuore accelerare. Non poteva crederci e allo stesso tempo non poteva negare l’evidenza.
Alfred faceva sul serio, sperava che facesse sul serio, e probabilmente aspettava una conferma. Certo non era stata una dichiarazione dolce e strappalacrime ma dopotutto non poteva aspettarsi diversamente. Era sempre stato un tipo da “agisco senza pensare alle conseguenze”. Fu tentato di girargli la faccia. E se avesse peggiorato le cose? Andò nel panico. I pensieri andavano troppo veloci, nemmeno riusciva più a sentirli.
“Hey, ti sei incantat-…”
Lo afferrò per il bavero della giacca con entrambe le mani e lo tirò verso di sé, poggiando ancora le labbra sulle sue che, dopo un attimo di smarrimento, si schiusero lasciando che il loro contatto si approfondisse.
Ed eccolo di nuovo quel sapore, quel profumo, quelle braccia che di nuovo lo stringevano, quel legame speciale. Tutto sembrò bellissimo.
Le loro labbra si inumidirono, si muovevano frenetiche le une sulle altre, ne assaporavano ogni centimetro, non avevano il coraggio di staccarsi.
Poi l’ossigeno divenne necessario.
Improvvisamente Inghilterra sentì il terreno mancargli sotto i piedi e imprecò in malo modo mentre America lo prendeva in braccio girando felice su se stesso, rischiando di cadere e di trascinarlo con lui.
Infondo però non gli sarebbe importato. Avrebbe fatto i salti di gioia se non fosse stato un gentleman dignitoso e controllato, si sarebbe avvinghiato alle sue spalle fino a perforarle con le unghie. Non l’avrebbe lasciato più andare.
“I-Idiota, mettimi giù! E’ imbarazzante!”
“Hahahaha! Sapevo che ricambiavi i miei sentimenti!”
“Tsk, di che sentimenti stai parlando?”
“Ti amo, Arthur.”
Arthur sorrise. Infondo San Valentino non faceva così schifo. Infondo quello “stupido giochetto” non era stato così stupido. Infondo il cioccolato non gli dispiaceva nemmeno poi tanto.
Infondo, infondo, infondo, forse l’aveva sempre saputo.

“Anch’io ti amo, Alfred.”



#Angolo di una fangirl altamente incazzata
 Ebbene. Loro ci tagliano le scene UsUk, noi le riportiamo nelle fanfiction.
Loro ci uccidono i fillings, noi ribaltiamo tumblr.
Loro ci distruggono un'OTP, noi distruggiamo il fandom.
Facciamoci sentire, pipol.
Non mi importa di sembrare ridicola.
Non importa se questa fanfiction è piena di clichè.
Mai sottovalutare il potere di settordicimila fangirls incazzate.
  
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