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Autore: Sery_Vargas    27/06/2013    3 recensioni
Ambientata durante il periodo fascista in Italia, è una one-shot che pubblico per dar vio all'inizio della mia estate e dei miei lavori su Efp. Una delle poche cose serie che io abbia mai scritto, a dir la verità.
Ecco il clima che si stava vivendo in Italia da circa tre anni: terrore, terrore e ancora terrore, ovunque. Ora non vi erano più distinzioni tra i vari ceti, tra maschi e femmine; tutti erano in pericolo e lo sapevano. Per questo erano solidali.
Quando lui e suo fratello si fermavano in una qualunque città, le famiglie li ospitavano quasi fossero loro figli, parlavano con loro di politica, dei brutti momenti e dell’Italia che si sarebbe scossa e avrebbe fatto vedere di che pasta era fatta. E a quelle parole Veneziano sorrideva: non tanto per il gioco di parole ma perché lui ci credeva, sperava.

Spero che qualcuno mi dedicherà due minuti del suo tempo, e, se sarà un'anima davvero così buona, mi lascerà una recensione.
See you soon,
Sery_Vargas
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Buon giorno a tutti ^^
(E tu chi sei? Nd Tutti)
S-Sery….
(Ti conosciamo? Nd Tutti)
Già, sono tornata, con una one-shot!
(Vediamo che gran cavolata hai scritto nd Tutti)
Su questa pongo la mia fiducia D: Tratto di Romano e Veneziano quindi mi riuscirà!
Allora, alcune avvertenze:
- Ho ambientato “questa cosa” tra il 1943 e il 1945, quindi siamo nel mezzo della II guerra mondiale e l’Italia incomincia a dare segni di cedimento. Ma bisogna ancora lottar per liberarla dai tedeschi.
- Allora, non tratto moltissimo dei fratelli Italia e Lovino potrebbe essere un tantino OOC, spero che non sia così.
- Una delle musiche che mi ha spinto a creare questa one-shot --> http://www.youtube.com/watch?v=DFjbhBWaB44 , passate se volete :).
- Cosa potrei dirvi in più? Spero la gradirete! Buona lettura!





E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.


[Alle fronde dei salici, Salvatore Quasimodo (1901-1968)]


Cosa riusciva a vedere? Non più le allegre vie del Meridione, non più quei bambini che facevano esasperare le madri con le loro infinite partite a pallone, con il quale finivano immancabilmente per rompere qualcosa o disturbare qualcuno. Non c’era nient’altro che macerie, gente che aveva la paura che fuggiva da un occhio all’altro, volti stanchi ed esasperati. Il ragazzo dette un calcio ad una presunta pietra borbottando qualcosa fra sé e sé ma, sentendo un rumore metallico invece del solito tonfo sordo di una pietra che cade sulla strada di terra battuta, si spaventò non poco, pensando fosse una granata non esplosa, che lui aveva azionato. Si guardò attorno alla ricerca di un posto abbastanza sicuro dove ripararsi e, lanciando un’ultima occhiata “all’oggetto”, si accorse che era del semplice ferro, un altro pezzo delle carcasse delle case lì intorno. Ecco il clima che si stava vivendo in Italia da circa tre anni: terrore, terrore e ancora terrore, ovunque. Ora non vi erano più distinzioni tra i vari ceti, tra maschi e femmine; tutti erano in pericolo e lo sapevano. Per questo erano solidali.
Quando lui e suo fratello si fermavano in una qualunque città, le famiglie li ospitavano quasi fossero loro figli, parlavano con loro di politica, dei brutti momenti e dell’Italia che si sarebbe scossa e avrebbe fatto vedere di che pasta era fatta. E a quelle parole Veneziano sorrideva: non tanto per il gioco di parole ma perché lui ci credeva, sperava. Con l’appoggio di tutta la popolazione, di suo fratello soprattutto, si sentiva più forte, anche se soffriva, soffriva per un suo amico: Germania. Non che fosse sua volontà combinare tutto quel casino, ma il tedesco doveva sottostare per forza agli ordini e più la Germania veniva sconfitta, più lo stesso Germania ne risentiva. Fisicamente e psicologicamente: si sentiva in colpa, non riusciva a guardare tutti quei poveri innocenti dispersi nell’aria come polvere. E questo Feliciano lo sapeva benissimo e si intristiva.
Il maggiore era, invece, molto più pessimista. Romano sbuffò. Dovevano darsi una svegliata, e in fretta. I tedeschi stavano sempre più stringendo l’Italia in una morsa e se fosse ancora andata avanti così ben presto si sarebbe ritrovato tedeschi che bevevamo tranquillamente della birra tedesca, che parlavano tedesco e che avrebbero trattato la loro popolazione come schiavi dei tedeschi. E questo, a lui, non andava affatto giù.
Ecco, l’allarme antiaereo risuonava nella città di Napoli, segnando l’imminente arrivo di bombardamenti.
“Solo questo ci mancava!” pensò correndo verso il più vicino rifugio, una galleria scavata sotto un terrapieno e fornita continuamente delle cose principali che sarebbero servite se fossero rimasti tutti lì per qualche giorno. La folla vociava, spingeva per mettere al sicuro prima di tutto i bambini che piangevano e si aggrappavano alle madri, cercando sicurezza e calore.
Ormai sarebbero arrivate a momenti, quelle bombe maledette, e suo fratello non era ancora arrivato; avevano un posto preciso i due, nel rifugio, proprio vicino all’entrata per occuparsi della loro gente qualora servisse loro qualcosa. Ultimamente sostavano molto di più nelle città anche perché gli ordini di Mussolini non erano più convincenti come un tempo: quel fascista li stava solamente portando all’Inferno, servendogli la morte su un piatto, neanche d’argento, ma d’oro; questo il pensiero di tutti.
“Dove cazzo sei Feliciano?!” si chiese Lovino preoccupato, i suoi occhi che cercavano il minore freneticamente tra le persone in quel luogo. Un tremore scosse il pavimento e un’esplosione fece sobbalzare gli animi di tutti. Iniziano i pianti dei bambini.
Era rimasto di nuovo fuori in mezzo a quell’inferno?! Di nuovo!?! Si, Italia Veneziano era già rimasto una volta all’esterno durante uno di quegli inferni. Fortunatamente le bombe non avevano centrato la cantina in cui si era nascosto e dopo circa due ore buone, mentre il fratello lo cercava a gran voce, si decise ad uscire, il cuore in gola e la voglia solo di abbracciare il maggiore.
Non poteva riaccadere la stessa cosa! Stavolta le bombe avrebbero potuto anche colpirlo!Il primo istinto del moro fu quello di correre di nuovo su a cercarlo e non si sarebbe tirato indietro se non avesse visto una capigliatura a lui nota, un ciuffo ribelle che ondeggiava ad ogni passo, avvicinarsi a lui. Suo fratello, con una bambina piangente tra le braccia e un sorriso lo guardava fisso e gli stava venendo vicino – Ehi, Romà, sai per caso di chi…? -
- IDIOTA! TI RENDI CONTO DI CHE SPAVENTO TU MI ABBIA FATTO PRENDERE?! DI NUOVO! – gli urlò per poi mordersi il labbro. No, non deve perdere la pazienza in quei momenti, doveva rimproverarlo pacatamente, non aggredirlo… Invece, inaspettatamente, Feliciano gli rivolse un sorriso – Ho trovato questa bambina tutta sola, prima di entrare e non riusciva a trovare sua madre. E non voleva venire qua senza di lei. Sarei stato capace di lasciarla là fuori tutta sola? -
La sua calma stupì Romano.. che stesse… maturando…?
- Però fratellone… - riprese con una voce più triste - … mi dispiace, ma non usare quel tono con me… ti prego – sussurrò abbassando lo sguardo. Romano sospirò; si, stava iniziando ad avere la concezione di ciò che era, dell’esempio che doveva dare ma rimaneva pur sempre Veneziano, il suo piccolo fratellino sensibile e sincero.
- Sua madre è proprio quella che la sta cercando disperatamente in questo momento, proprio dietro di te – rispose Lovino intuendo la fine della precedente domanda. Con un cenno della testa indicò una povera donna che fermava tutti i presenti urlando “Avete visto la mia bambina?? La mia piccola Lucia!! La mia bambina!”.
- MAMMAA! – urlò la piccola saltando giù dalle braccia di Feliciano e gettandosi fra quelle della donna.
I due fratelli si guardarono accennando un sorriso triste: sebbene quello fosse un dolcissimo spettacolo dell’amore materno verso un figlio, i due avrebbero certamente preferito che quella situazione non avesse avuto motivo di crearsi. E per far si che ciò avverasse, avrebbero dovuto lottare ancora, liberare la loro Nazione.



Per non lottare ci saranno sempre moltissimi pretesti in ogni circostanza, ma mai in ogni circostanza e in ogni epoca si potrà avere la libertà senza la lotta!
[Ernesto Che Guevara]
  
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