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Autore: SerMisty    28/06/2013    4 recensioni
"Quando Mickey aveva proposto di fare un viaggio indietro nel tempo verso il Klondike in cambio di una manciata di tarallium, Scrooge non si sarebbe mai aspettato che avrebbe finito per dover lottare contro un orso a mani nude come la prima volta che era entrato nel Fosso dell’Agonia Bianca."
Ispirata dalla storia "Zio Paperone e l'attacco nostalgico" di un certo Claudio Sciarrone di cui ho trovato solo un accenno di trama e trasformata in una ScroogeXGoldie che spero risulterà almeno leggibile.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Mickey aveva proposto di fare un viaggio indietro nel tempo verso il Klondike in cambio di una manciata di tarallium, Scrooge non si sarebbe mai aspettato che avrebbe finito per dover lottare contro un orso a mani nude come la prima volta che era entrato nel Fosso dell’Agonia Bianca. Era stato lievemente più faticoso – gli anni erano passati anche per lui – ma alla fine si ripulì le mani dalla polvere con soddisfazione, mentre l’animale peloso tremava come una foglia in mezzo alla neve.
«E tu… Tu facevi questo tutti i giorni?»
Scrooge alzò gli occhi al cielo, mentre Donald faceva lentamente capolino dall’albero dietro il quale si era rifugiato. Lo aveva portato con sé e con Mickey nella speranza di insegnargli quanto dura fosse la vita nel Klondike, ma se ne stava già pentendo, mentre lo guardava rabbrividire peggio dell’orso ai suoi piedi.
«No, nipote. Dopo la prima settimana i predatori mi giravano già alla larga. Sapevano di non essere più in cima alla catena alimentar…»
«Cosa cazzo avete fatto!?»
I tre visitatori del futuro sobbalzarono, mentre una voce infuriata ed imperiosa introduceva l’arrivo di una giovane papera.
Mickey si affrettò ad afferrare il cappello da cowboy che gli era volato via – gli abiti suoi e dei compagni erano naturalmente associati all’epoca e al luogo in cui erano stati catapultati – e Donald per la sorpresa quasi saltò di nuovo in cima all’albero. Scrooge invece si voltò di scatto… E si bloccò.
Una donna dai capelli biondi apparve quasi magicamente dietro una collinetta innevata, avvicinandosi a grandi falcate. Indossava un semplice maglione e uno scialle – comprensibile, visto il freddo – ma li portava con una tale eleganza che colpì tutti i presenti come un fulmine a ciel sereno.
«Come vi salta in mente di aggredire il mio orso!?»
«Il suo orso?» ripeté Mickey, alquanto scioccato. La papera non gli badò, accucciandosi teneramente accanto al grosso animale, che guaì felice di riconoscerla.
«Cosa succede, Blackjack? Quel cattivone ti ha fatto la bua?»
L’orso annuì, gemendo un po’ troppo drammaticamente e battendosi una zampa sulla grossa pancia per indicare il punto che gli doleva. Lei gli accarezzò la folta pelliccia scura.
Donald, finalmente staccatosi dalla corteccia dell’albero, la fissava a bocca spalancata.
«Che schianto!» commentò a mezza voce.
«Non sei già fidanzato con Daisy?» gli ricordò Mickey a braccia incrociate.
«Non in questa epoca, amico!»
E fece per avvicinarsi. Ma non aveva fatto nemmeno tre passi che lo zio sollevò il braccio di scatto, bloccandogli l’avanzata e togliendogli il fiato da gola con un sonoro pugno contro il petto.
Scrooge non si era mosso da quando la papera era arrivata. Fu solo allora, come se Donald, parlando, fosse riuscito a risvegliarlo, che mosse piano le labbra per soffiare una parola apparentemente sconclusionata.
«Goldie.»
Mickey sollevò un sopracciglio, senza capire. Donald invece, dopo un primo istante di sorpresa, alzò le mani e fece un passo indietro: non era decisamente il caso di tentare un approccio.
«Goldie.» ripeté il vecchio papero, un po’ più forte. La donna sollevò la testa, squadrandolo  da cima  a fondo con i suoi luminosissimi occhi verdi.
«Ci conosciamo?»
E improvvisamente Scrooge desiderò che apparisse un lupo, o un alce, o un cervo, un qualsiasi dannatissimo animale che provocasse un diversivo per non costringerlo a decidere quale emozione provare.
La Stella del Nord in tutto il suo splendore, lì, davanti a lui! Santo cielo, avrebbe potuto morire.
Non era preparato ad una cosa del genere. E dire che aveva dato accuratamente le indicazioni a Mickey per il viaggio, facendo in modo che atterrassero nella sua concessione nel 1902, anno in cui lui era già tornato in Scozia dalla sua famiglia.
Era incoerente! Lei avrebbe dovuto essere a Dawson, nel suo saloon, a ballare per quella folla di farabutti ubriachi, non lì nel Fosso dell’Agonia Bianca. Com’era possibile?
Mickey lo raggiunse. Non aveva capito quasi nulla, ma intuì che era il momento giusto per dargli un avvertimento.
«Fai attenzione, non può riconoscerti.» sussurrò.
Grazie, davvero, aveva bisogno del signor perfettino per ricordarselo!
Il cuore gli batteva nel petto come a volerlo sfondare. Ogni colpo era una nuova costatazione che gli rimbombava in testa, e ognuna gli faceva comprendere ancor meglio quanto troppo fosse quella situazione.
Troppo giovane.
Troppo bella.
Troppo tempo.
Troppo strano.
«Goldie.» ripeté per la terza volta. Forse avrebbe dovuto pensare prima di buttare parole a casaccio, fare molta attenzione a ciò che diceva per non farsi scoprire, ma dannazione! Stava letteralmente affogando nei suoi bellissimi occhi e nessuno pensava di lanciargli un salvagente.
«Che… Che cosa ci fai qui?»
La Stella del Nord si rialzò, piantando le mani sui fianchi.
«Cosa ci faccio qui?» ripeté «No, piuttosto cosa ci fate voi qui! Siete sulla mia proprietà!»
Le cose non quadravano affatto.
Risvegliato dalla voce acida della giovane Goldie che tanto lo tormentava durante la notte, l’antico Re del Klondike aggrottò le sopracciglia e si fece avanti.
«La tua proprietà!? Ma che cosa vai blaterando, questa non è la…!»
Fu interrotto da un sonoro destro che la donna gli rifilò sotto il becco. Scrooge inciampò nella zampa dell’orso e cadde riverso in mezzo alla neve.
«Zio!» Donald si affrettò ad aiutarlo.
«Non osare mai più avvicinarti a me con questo tono!» ringhiò Goldie «Chi ti credi di essere, vecchio gufo?»
A questo punto, Mickey decise – come spesso accadeva – che ci voleva il suo intervento per impedire alla situazione di degenerare.
Fece un passo avanti.
«Ti chiedo di scusarlo.» sorrise affabile «Il mio amico è un po’… Eccentrico, alle volte! Sai, l’età…» tossicchiò «Io sono Mickey, quello laggiù è Donald e lui è…» momento di silenzio in cui il cervello del topo lavorò febbrilmente alla ricerca di un nome che non lo compromettesse, perché ormai gli era chiaro che stavano rischiando un paradosso temporale «Ebenezer. Sì, Ebenezer.»
Scrooge aprì la bocca per rispondere, ma non trovò parole adatte ad esprimere lo squallore di quella trovata, perciò rimase zitto.
Goldie strinse con una sorta di ribrezzo la mano che Mickey le porgeva, senza staccare gli occhi dal vecchio papero.
«Io sono Goldie. Goldie O’ Gilt.» si presentò «E come farebbe questo… Ebenezer, a conoscere il mio nome?»
«Lui… Uh…» il topo pensò in fretta «Ha viaggiato in lungo e in largo negli scorsi anni, e ha sentito parlare molto di te!»
La spiegazione sembrò convincere la giovane donna, e Mickey tirò un sospiro di sollievo.
«Sì, è possibile.» ammise, e in effetti avrebbe potuto esserlo «Ma è tutto suonato.»
Il vecchio papero borbottò qualcosa a mezza voce. Donald ridacchiò fra i denti, ma se ne pentì quando lo zio gli rifilò una sonora tirata di piume.
«Comunque» e qui Goldie tornò irritata, per cui Mickey preferì indietreggiare di un passo «non avete ancora risposto alla mia domanda: cosa ci fate qui?»
«Noi… Noi… Ci siamo persi!» rispose l’eroe di Mouseton «Abbiamo trovato l’entrata di questa valle e pensavamo fosse una scorciatoia…»
Non era del tutto una bugia: erano davvero comparsi davanti all’entrata del Fosso dell’Agonia Bianca, proprio di fronte al mammut congelato, che aveva rischiato di far svenire sul colpo il povero Donald.
Goldie stava per rispondere, quando una folata di vento la interruppe.
«Fa freddo.» osservò «Sentite, io devo tornare alla capanna. Se volete potete seguirmi, ma» e qui li fulminò con lo sguardo uno per uno «provate a farmi qualche scherzetto e Blackjack vi scuoierà vivi!»
L’orso, che intanto si era rimesso in piedi, annuì con un ringhio. I tre si affrettarono ad annuire.
Goldie allora gli fece segno di seguirla: poi, con l’animale accanto, li precedette lungo la scarpata.
«D’accordo, uno di voi due vuole spiegarmi in chi ci siamo imbattuti?» borbottò Mickey in un sussurro, mentre la seguiva insieme agli amici.
«Quella è Glittering Goldie.» rispose Donald senza riuscire a trattenere una risatina «Ed è una persona molto importante per lo zi…»
Scrooge lo convinse a tacere abbattendolo con una gomitata che lo fece precipitare in mezzo alla neve.
«Non sapevo che si trovasse qui.» si giustificò il vecchio, alzando gli occhi al cielo nell’udire i gemiti del nipote che si rialzava «Anzi, ancora adesso non riesco a capirne il perché. Lei…»
«Bene, regola numero uno:» i tre intrusi del futuro frenarono di botto, pochi centimetri prima di urtare contro la donna, che si era fermata senza che loro se ne accorgessero «non si confabula alle mie spalle! Ho un revolver sotto lo scialle e anche un’ottima mira.»
Quasi senza volerlo, Scrooge si portò una mano alla testa, proprio lì dove anni e anni addietro – ma non erano che quattro in quel momento – lei lo aveva centrato con la pepita uovo d’oca, in un inusuale modo di restituirgliela.  
Goldie si assicurò che tutti e tre avessero annuito, poi riprese il suo cammino. Nessuno fiatò per il resto del tragitto, finché non si stagliò davanti a loro una capanna di tronchi che Scrooge ben conosceva.
Era proprio lei! La sua casa, che aveva costruito tutto da solo e che – fu percorso da un fremito nel ricordarlo – aveva visto lui e Goldie come “coinquilini” per un mese intero. Era proprio lei, identica a come l’aveva lasciata, solo, forse, un po’ più curata.
«Ecco, io vivo qui.» li informò la giovane donna, spingendo la porta di legno che si aprì senza scricchiolare come un tempo «Accomodatevi – ma pulitevi i piedi, prima!»
Obbedito, i tre entrarono. Scrooge si guardò attorno, trattenendo nella gola un “oh” di sorpresa.
L’esterno poteva anche esser rimasto lo stesso, ma l’interno era molto migliorato. Il vecchio letto di legno duro era stato sostituito con un materasso morbido e due cuscini di piume, la stufa era chiaramente nuova e veniva usata per cucinare non solo i fagioli del minatore, e Goldie aveva aggiunto una nuova piccola stanza – da dove venivano loro non si vedeva – proprio lì sul retro, probabilmente un bagno, la cui assenza in effetti gli aveva provocato spesso non pochi problemi. Soprattutto in quel mese.
Tutto il legno e gli altri mobili, poi, erano stati lucidati e forse perfino sostituiti, perché il tavolo lo ricordava meno chiaro e soprattutto con più buchi dei tarli.
Goldie richiuse la porta dopo aver accarezzato l’orso Blackjack.
«Sedetevi. Volete qualcosa? Un caffè?»
«No!!» Scrooge non poté impedirsi di saltare. Mickey alzò gli occhi al cielo, rassegnato.
La giovane papera lo fissò storto e Scrooge si rese conto di essere scattato troppo violentemente.
«Voglio dire… Uh… No, grazie.» si corresse «Ma il caffè mi rende nervoso.»
«A vederla, sembra che lei già ne beva troppo.» replicò Goldie, acida ma in qualche modo più dolce di quanto ricordasse «Un po’ di tè, allora? O le mette ansia anche quello?»
«No, il tè va benissimo.»
Il vecchio si sedette al tavolo, sudando freddo. Oh, non poteva assolutamente sostenere un dialogo con Goldie, non in quella situazione! Forse avrebbe fatto meglio a scappare dalla finestra mentre lei era girata.
Donald ridacchiò ancora, senza capire fino in fondo il vero stato d’animo dello zio.
Mickey – dato che gli altri due non sembravano comprendere affatto la quantità di pericoli che poteva provocare un viaggio nel tempo – decise di calmare le acque e prendere nuovamente la parola.
«Allora… Goldie. Come mai abiti qui? Non mi sembra un luogo adatto a passarci l’inverno.»
«Mi ci sono abituata, ormai.» la donna si chinò per prendere un secchio d’acqua e versarne un po’ in un pentolino sulla stufa «E poi mi sono organizzata. Ho tutto ciò che mi serve.»
Scrooge inarcò un sopracciglio. Tutto ciò che le serviva? Ma lei era Glittering Goldie! La Stella del Nord! Perché mai avrebbe dovuto privarsi del saloon e degli abiti costosi per andare ad abitare laggiù?
La faccenda si faceva sempre più bizzarra.
«Ma non c’è Dawson a pochi chilometri da qui?» domandò Donald, felice che i petulanti racconti dello zio sui suoi tempi nel Klondike finalmente gli servissero per intavolare una discussione sensata «Mi sembra più adatto ad una signora.»
Goldie non rispose subito.
«Troppi pettegolezzi.»
Lui si voltò. Cosa?
Pettegolezzi sulla Regina di Ghiaccio di Dawson erano sempre girati, ma lei non se n’era mai importata. Perché, tutt’a un tratto…?
Uno strano rumore proveniente dal suo vecchio sgabuzzino – quella porticina minuscola accanto al nuovo bagno che solo ora si accorgeva essere stata ridipinta di un blu chiaro, e sopra c’era una scritta che però non riusciva a leggere – fece sobbalzare i tre visitatori.
«Cos’è!?» Donald, dando prova di grande coraggio, si attaccò spaventato al braccio di Mickey «Ci attaccano i lupi!?»
Goldie rise.
«Stai tranquillo, cowboy – non è una bestia feroce.»
Poi, tranquilla, si avvicinò allo sgabuzzino e bussò.
«Tesoro, puoi evitare di distruggere la casa?»
«Scusa, mamma.»
L’equilibrio di Scrooge cedette per un istante rischiando di farlo cadere sul pavimento.
La porticina si aprì e da là, sgambettando allegramente, uscì un paperotto.
Proprio così. Un bambino.
Che l’aveva appena chiamata mamma.
Goldie si chinò alla sua altezza, sistemandogli il maglioncino e le piume arruffate.
«Ecco il motivo per cui vivo qui.» disse a un certo punto, rispondendo un po’ meno evasivamente alle domande di Donald e Mickey «Sto aspettando che mio figlio cresca un po’ per potercene andare da qualche altra parte, per esempio a Londra, o a Parigi. Ma Dawson non è un buon posto per un bambino.» rise «Meglio le montagne, specie se protetti da un orso come Blackjack!»
Scrooge non era riuscito a seguire tutto il discorso. Si era fermato a “mio figlio”.
Da quando in qua Goldie aveva un figlio!?
Tamburellando nervosamente sul tavolo, voltò la testa cercando di convincersi a distogliere lo sguardo, che tuttavia ritornava sempre indietro verso di lei, verso il bambino.
Donald e Mickey non si resero minimamente conto del panico che scorreva nelle vene di Scrooge. E com’è carino, e com’è dolce, erano tutti intenti a elogiare il paperotto con lodi che non facevano altro che accrescere la sua ansia.
Goldie sorrise, e si rialzò per controllare il tè sulla stufa.
Fu in quel momento che il bambino lo vide.
Si era voltato, più che altro per seguire la madre, ma si fermò quando incrociò il suo sguardo. Allora sorrise, mostrando la boccuccia sdentata, e disse semplicemente:
«Papà!»
Goldie si voltò, guardò il bambino che sgambettava in direzione di Scrooge e rise. Il vecchio, invece, non ci trovava proprio nulla di divertente, e se solo ne avesse avuto la forza sarebbe arretrato con la sedia come alla vista dei diavolo.
«Ma no, tesoro. Quello non è papà.»
Eppure il paperotto sembrava convinto. Saltellò allegramente fino a raggiungere Scrooge e poi allungò le piccole braccia verso di lui, aprendo e chiudendo le manine.
«Papà!»
Lui non si mosse. Non fece nulla. Sentiva distintamente il sudore colargli lungo la fronte. Anche se il motivo non gli era ancora chiaro, un terrore puro e semplice lo stava attanagliando.
Il bambino continuò a puntare le mani verso di lui, chiedendogli in una muta richiesta di prenderlo in braccio. Inclinò il capo quando vide che non reagiva.
«Papà?»
«Su, Fergus, lascia stare il signor Ebenezer.» Goldie versò il te in quattro tazzine «Lui non è papà.»
Il cuore di Scrooge smise di battere.
Per qualche istante non sentì più niente che non fosse il ripetersi continuo di quel nome in un vortice assordante e ipnotico. Poi Donald si chinò verso di lui, con un sorriso tanto innocente quanto irritante.
«Ehi, che coincidenza, zio! Anche tuo…»
«Stai zitto, nipote.» ritrovò l’uso della parola giusto in tempo, prima che Donald gli gettasse in faccia ciò che già sapeva «Stai zitto.»
Fergus. Non era un nome comune da quelle parti. Escludendo troppo facilmente ipotesi varie, c’era un solo modo in cui riusciva a ricondurlo a Goldie.

«Dove cazzo ti sei… Ah, sei qui!»
Sul volto del giovane Scrooge McDuck si dipinse un sorriso beffardo. Non si mosse né voltò la testa, nonostante i passi di lei si avvicinassero, e rimase immobile seduto sull’ebra fresca sotto la luna.
«Cosa stai facendo qua?»
«Faccio il turno di notte per evitare che tu fugga.»
Lei non lo aveva ancora raggiunto, ma la sentì fermarsi, battere chiaramente irritata la scarpetta sul terreno e fare marcia indietro.
Rise, divertito.
«Dai, stavo scherzando!» fece un cenno con la mano, senza voltarsi «Resta, se vuoi.»
Non ci sperava affatto, eppure i passi di lei si arrestarono di nuovo. Quando ripresero si fecero più forti, e la prossima cosa che sapeva era che la scintillante Glittering Goldie si era seduta accanto a lui, stirandosi il vestito prima di toccare l’erba.
«Che stai guardando?» domandò.
«Il cielo.» fu la risposta «Oggi è il compleanno di mio padre.»
«Oh.» sembrava sorpresa «Tuo padre?»
«Fergus McDuck. Lui sì che è un uomo!» si stiracchiò, sentendo le toppe della giacca logora allentarsi, e si stese sull’erba «È un gran lavoratore e mi ha insegnato molto. È sempre stato il mio modello. Ma adesso è troppo vecchio, tocca a me ridare un nome alla casata dei McDuck. Sai, un tempo…» osservò le stelle sopra di lui con un sospiro amareggiato «Un tempo credevo che il cielo fosse uguale in tutte le parti del mondo, e pensavo che guardandolo avrei visto le stesse stelle che vedeva la mia famiglia. Ora so che è una sciocchezza.»
Più che altro, ora non aveva più tempo da sprecare in simili riflessioni.
Spostando lo sguardo verso Goldie, si accorse che lo fissava – se non era troppo osare pensarlo – piacevolmente sorpresa.
«Che c’è?» rise «Il Re del Klondike non può avere una famiglia?»
«Non me lo aspettavo.» rispose lei. Era rarissimo, ma gli parve di notare un sorriso sincero.
Si sollevò sui gomiti.
«E la Stella del Nord, invece? Lei può averla una famiglia?»
Goldie si irrigidì. Per un attimo gli sembrò di intravedere quella stessa angoscia che attraversava i suoi occhi quando gli veniva fatta la stessa domanda, ma prima che potesse fare qualcosa era già scattata in piedi.
«Non sono affari che riguardano uno stronzo come te!»
E si affrettò verso la capanna.
«Ma… Dai, volevo solo far due chiacchiere!» la porta si chiuse con un botto «Uff… Certo che con te non si può nemmeno parlare!»


Perché Goldie avrebbe dovuto chiamare quel bambino con il nome di suo padre? Non aveva nessun senso.
Non che ci fosse molto ad avere un senso, in quel momento.
«Lo scusi.» Goldie cominciò a portare le tazzine al tavolo «Ma quando si impunta su qualcosa… Fergus, ti ho detto di lasciar stare il signor Ebenezer!»
«No.» Scrooge si sforzò il più possibile per mostrare un sorriso stentato «Non importa, davvero. Non mi dà fastidio.»
Poi – anche per non guardarla mentre gli posava davanti la tazza di tè – prese il bambino fra le braccia e se lo mise sulle ginocchia. Il paperotto agitò le manine e la gambette, entusiasta.
«Papà!» biascicò «Papà!»
Goldie rise, mentre prendeva una sedia e si sedeva anch’ella, – troppo vicino, maledizione, troppo vicino! – e allo stesso modo risero anche Donald e Mickey, così che lui non poté fare altro che ridacchiare nervosamente per non destare sospetti.
Era terrorizzato. Il suo sesto senso – che raramente falliva – gli stava mostrando uno scenario che non poteva, non doveva essere vero. Sperò che Mickey intervenisse cambiando discorso, ma Donald – era incredibile quanto suo nipote non avesse capito nulla, eppure lui sapeva, almeno un po’! – bevve un sorso di tè e si rivolse a Goldie.
«Allora sei qui con tuo marito?» chiese.
Gli occhi di Scrooge scattarono verso di lei. La guardò scuotere la testa, con un sorriso mesto che non aveva mai visto.
«No, non sono sposata.»
«Oh… Con il tuo fidanzato?»
Il gesto si ripeté.
Mickey, intuendo che la situazione rischiava di diventare pericolosa o quantomeno indiscreta, tentò di zittire l’amico con una gomitata, ma senza successo.
«Ma allora… Il padre del bambino?»
Scrooge sentì lo stomaco annodarsi e l’aria sfuggirgli via dai polmoni. Vide che Goldie stava per rispondere, forse spinta dall’esasperante ingenuità di Donald, e pregò che parlasse di Dangerous Dan, di Soapy Slik, di chiunque altro maledizione tranne di…
«Avete presente Scrooge McDuck?»
E fu in quel preciso istante che ogni ricordo della sua vita, ogni certezza che aveva sempre avuto, ogni decisione che aveva preso crollò.
Gli mancarono le forze e si accasciò sulla sedia, ansimando immobile, con il bambino che ignaro continuava ad agitarsi sulle sue ginocchia.
Goldie non si accorse della sua reazione: aveva chinato la testa, e fissava la tazza di tè immersa nei propri pensieri.
Mickey fu abile a nascondere ogni barlume di sorpresa, per quanto scattasse con gli occhi verso Scrooge fissandolo con una sorte di stupore misto a pietà.
Donald guardò lo zio, Goldie e viceversa. La realizzazione, finalmente, si fece strada in lui.
«Oh mio…!»
Mickey lo zittì con metodi più drastici dei precedenti, pestandogli un piede. Il papero si piegò sul tavolo, sibilando e mordendosi la lingua per non urlare.
Rendendosi conto che probabilmente Goldie si aspettava una risposta, il topo si ricompose.
«Perché?» mormorò, con cautela.
Goldie sospirò in una maniera così umana che Scrooge non aveva mai sentito da parte sua. Se avesse potuto, sarebbe saltato in piedi e sarebbe scappato via, ma non riusciva a fare altro che restare lì, seduto, con il bambino in braccio, completamente in balia di quel terribile fiume di verità.
«Dovreste conoscerlo.» disse «Chi non lo conosce? Il Re del Klondike. Qui a Dawson è diventato una leggenda. Questa capanna era sua.» rimase in silenzio per qualche secondo, poi rise, malinconica «Sapete, non mi ero mai resa conto di quanto lunga fosse la nostra storia prima di pensare a raccontarla. Vi annoierei.»
Non sapeva se era una scusa per non parlarne o se diceva la verità. Non voleva saperlo.
«Lui non sa niente.» mormorò Donald, completamente sotto shock, e se perfino Mickey non fosse rimasto immobile e sconvolto davanti alla piega che aveva preso quel viaggio nel tempo lo avrebbe zittito con un altro calcio.
«Direi di no.» Goldie prese la sua affermazione per una domanda «Gli ho mandato una lettera, quattro anni fa, prima di venire a vivere qui… Non è tornato. Forse non l’ha letta. O non gli importa niente di me.»
Voleva sparire. Voleva dissolversi, morire in quell’istante! Voleva saltare in piedi e stringerla, e scusarsi, e baciarla, ma non poteva fare nemmeno una di queste cose e perciò non si mosse.
Le sue membra tremavano e il bambino se ne accorse, guardandolo con aria interrogativa.
«Papà?»
La sua voce servì a risvegliare Goldie. La giovane donna scosse la testa e si riprese da quella debolezza in cui lui l’aveva colta, e che non avrebbe più dimenticato.
«Ma scusate, non ho fatto altro che parlarvi di me.» disse, cercando di recuperare l’allegria «Voi, invece? Cosa vi porta qui? Avete detto che vi siete persi, dove stavate andando?»
Mickey e Donald saltarono e presero a balbettare, incerti.
Scrooge non si scompose minimamente, una mano abbandonata lungo il fianco, l’altra che ancora teneva il piccolo Fergus sulle ginocchia.
Quanto sbagliata era quella situazione?
«Noi…» farfugliò Mickey «Noi… Volevamo andare a Skagway, e abbiamo sbagliato strada. Ma anzi, sai una cosa? Ci hai ospitato fin troppo. Direi che possiamo togliere il disturbo.»
E si alzò. Donald lo seguì.
Goldie sollevò un sopracciglio.
«D’accordo.» disse. Poi, indicando Scrooge «Il vegliardo ve lo portate?»
«Zio.» Donald non riuscì a nascondere la desolazione nella sua voce «Zio, dobbiamo andarcene.»
Lui non annuì, non parlò. non distolse lo sguardo da quel vuoto pieno di immagini soffocanti. Semplicemente sollevò il bambino e lo posò a terra, accarezzandogli il ciuffetto di piume che quasi parve scottarlo al tocco, e poi seguì gli amici verso la porta.
«Sapete trovare la strada? Vi posso far accompagnare da Blackjack.»
«No, grazie, credo di ricordare la via.»
«Per Skagway dovete risalire il fiume, mi raccomando!»
«Certo! Certo. Grazie mille, Goldie, arrivederci!»
Donald e Mickey si affrettarono fuori. Scrooge sentiva i piedi pesanti, e fece una gran fatica e trascinarsi fino alla soglia.
Lì si fermò, risvegliandosi come un sonnambulo si desta da un sogno. Si voltò indietro, incontrando lo sguardo della giovane donna che attendeva se ne andasse.
«Goldie.»
Doveva dire qualcosa. Doveva farlo, più per sé che per lei.
«Goldie, io so che è difficile, ma se puoi… Perdonalo.»
La Stella del Nord passò dalla confusione alla realizzazione. Poi aggrottò le sopracciglia, continuando a non capire il senso di quel discorso.
Forse, a dirla tutta, un senso non ce l’aveva. Ma doveva parlare, doveva, doveva e basta.
«Sono sicuro che se lui avesse visto e sentito quello che è successo qui oggi tornerebbe indietro di corsa. Abbandonerebbe tutto e tutti per raggiungerti, ne sono certo. Lui ti ama. Voglio dire» aveva gli occhi lucidi, un magone alla gola rendeva tutto più difficile di quanto già non fosse «chi potrebbe non amarti? E se così non è… Non sa quello che si perde. Se così non è, è solo un idiota codardo. Sì,» sospirò «un idiota codardo.»
Goldie aspettava, immobile.
«Comunque, c’è una cosa di cui puoi stare certa: non ti dimenticherà. Non potrà mai dimenticarti. E vedrai che… Vedrai…» mentire avrebbe ferito entrambi, perciò sospirò di nuovo «Lui non ti merita, Goldie. E non merita il tuo perdono. Ma se puoi, se sei così magnanima… Perdonalo lo stesso.»
I loro sguardi si scontrarono e rimasero uno contro l’altro in quei lunghi istanti di assordante silenzio.
Poi la giovane donna incrociò le braccia al petto e scosse la testa.
«L’avevo detto che lei è tutto suonato.» borbottò. Poi sorrise, raddolcita, e lui sentì il dolore accartocciarlo come una foglia secca sotto il sole «Ma se può consolarla, stia tranquillo: l’ho perdonato da un pezzo.»
Se aveva ancora qualcosa a battergli nel petto, era scoppiato in quel momento. Di sofferenza, di colpevolezza, di odio, e perfino di un pizzico egoistico di gioia.
Era un mostro. Un verme. Un codardo. Tutto questo… Era opera sua!
Il piccolo Fergus sgambettò fino a raggiungere Goldie, e fissò Scrooge.
«Papà?»
Voleva abbracciare quel bambino. Chinarsi e stringerlo al petto, ma il tempo, le circostanze… Tutto era contro di lui.
Aveva lasciato che fosse tutto contro di lui.
«Zio Scr-Ebenezer, dobbiamo sbrigarci!»
Si voltò verso il piccolo, poi verso Donald, e poi guardò di nuovo Goldie.
Con che cuore poteva lasciarla? Di certo non con lo stesso con cui aveva abbandonato la sua lettera nella neve anni fa.
Chiuse gli occhi, forse avrebbe fatto meno male.
«Addio.»
«Addio.»
Quando li riaprì era in mezzo alla neve, e camminava spedito in avanti senza controllare davvero le gambe. La porta della capanna si era richiusa, richiusa per sempre.
«Zio…»
«Non dire niente, nipote. Solo… Non dire niente.»
Il freddo gli gelava le lacrime sul viso.

Non c’era mai stato niente di così irreale come l’ufficio del suo Deposito. Quando riapparvero al suo interno ebbe giusto il tempo di crollare seduto sulla sua poltrona, senza fiato.
Mickey e Donald si tolsero i rispettivi cappelli da cowboy, silenziosi. Nessuno dei due osava parlare.
«Scrooge…»
«Prenditi tutto il tarallium che vuoi, Mickey.» lo zittì lui «Te lo do gratis. Prenditelo e vattene.»
Il topo si morse un labbro, ma decise di continuare.
«Scrooge, il passato non può essere cambiato.» mormorò «Ma a te è stata data una grande opportunità, oggi: quella di cambiare il futuro.»
«Davvero? E come?»
Il tono acido portò Donald a tirare l’amico per una manica, tentando di convincerlo a lasciar perdere, ma questa volta fu lui a non avere successo.
«Beh, ci sono un’infinità di modi. Puoi chiamarla e dirle…»
«Dirle cosa? “Ciao Goldie, non si sentiamo da cinquant’anni, come stai? Ah, ho scoperto che abbiamo un figlio, mi ci fai parlare così recupero il tempo perso?"» si voltò, sbattendo i denti fra loro «Di sicuro non mi chiuderà il telefono in faccia.»
Mickey abbassò lo sguardo solo per qualche secondo.
«Non hai mai letto la sua lettera, vero?»
«No.» ammise «Ero un codardo.»
«E lo sei ancora.» incrociò le braccia, con quell’aria superiore che tanto lo contraddistingueva «Ti è appena stata data la possibilità di cambiare il tuo futuro e cosa fai? Niente di niente! Tu hai paura di essere felice, Scrooge! Potresti rimediare al tuo sbaglio e invece…»
«Adesso apri quelle enormi orecchie che ti ritrovi e ascoltami bene!» Scrooge si alzò in piedi di scatto, addirittura meno imbestialito di quanto Donald si sarebbe aspettato, forse perché allo stremo delle forze fisiche e mentali «Tu non hai idea di cosa significhi sbagliare. Tu non sbagli mai. Tu sei Mickey Mouse, l’amico perfetto, il fidanzato perfetto, l’eroe perfetto. Ma alcuni di noi, per arrivare dove sono, hanno dovuto compiere delle scelte. Alcuni di noi, per arrivare dove sono, si sono dovuti districare in mezzo ai propri errori. Per essere arrivati dove sono, alcuni di noi devono affrontare ogni notte il rimpianto di ciò che avrebbe potuto essere, e che non sarà mai! Alcuni di noi, Mickey, hanno imparato una lezione tanto dolorosa quanto vera: il passato è inalterabile, e il futuro è condizionato da esso. Il presente non è altro che una trappola, il presente non serve a nulla. Ciò che è stato fatto è stato fatto. E io non posso cambiarlo.»
Si appoggiò alla scrivania, portandosi una mano al viso.
Donald fece un passo avanti.
«Zio…»
«Maledizione, Donald, piantala di dire “zio”!» sbottò «Smettetela di parlarmi! Andate via! Fuori! Tornatene a casa, Mickey, e portati via Donald! Andatevene via! Fuori da qui! Fuori!»
Sbraitava talmente che Battista e Miss Quackfaster entrarono di corsa, e quasi si scontrarono con i giovani che arretravano verso la porta. Uscirono tutti e quattro, due desolati e due confusi, e lo lasciarono solo.
Una solitudine così soffocante come non era mai stata, riempita dai fantasmi di un passato troppo recente che gli toglieva l’aria e lo lasciava inerme, senza sapere che fare, senza voler fare niente.
Non smise di gridare. E ripetendo ossessivamente quel “fuori”, rivolgendosi alle immagini che mai e poi mai sarebbero potute uscire dalla sua mente, si lanciò come furioso sulla scrivania, scaraventando a terra i telefoni, il fax, il computer, i registri contabili. Calciò la sedia, rovesciò la scrivania stessa, afferrò quegli stupidissimi cartelli affissi alle pareti – “ORO e LAVORO”, “Io, tu, egli, l’ORO”, solo simboli di quanto vuota e noiosa fosse stata la sua vita – e li gettò in mezzo ai mucchi di monete, guardandoli sparire sommersi da esse.
Preso da un’ira incontrollabile fece per lanciarsi contro il suo stesso denaro, ma si fermò, perché incrociò di sfuggita il suo volto allo specchio.
Era orribile. Era il viso di un mostro. Di uno che aveva fatto solo errori, che aveva raggiunto ciò che credeva di volere e abbandonato quello che desiderava davvero.
Si scagliò su quella bestia, e la prese a pugni smanioso di ucciderla, di distruggerla. Attaccò ripetutamente il volto dell’essere finché il vetro non cedette sotto la sua scarica di colpi, e si frantumò, le schegge gli graffiarono la mano e una guancia e poi caddero e lui cadde insieme a loro, crollando in ginocchio sul pavimento, lacrime bollenti bruciavano la ferita sul viso.
Se Goldie lo avesse visto così, forse lo avrebbe deriso.
E voleva essere deriso. Voleva che tutti lo insultassero, lo aggredissero, perché qualsiasi dolore fisico sarebbe stato sopportabile, quasi un sollievo rispetto a quell’agonia che lo stava squarciando dall’interno.
I cocci di vetro erano caduti tutti rovesciati, lo circondavano e lo rinchiudevano in un mare affilato come i suoi errori. Tutti rovesciati tranne uno, che rifletteva beffardo i suoi occhi pieni di lacrime e la pila di denaro sullo sfondo.
Le monete erano dorate.
Come i suoi capelli.
I suoi occhi erano scuri.
Come quelli del bambino.
Rimase in ginocchio sul pavimento, distrutto come i frammenti dello specchio.







Angolino della scrittrice: Lo so, ci sono diversi punti da chiarire.
Punto numero uno: sì, ho finito e pubblicato questa storia alle 2:05 di notte. Sono un vampiro? Può darsi. 
Punto numero due: sì, mi vergogno altamente di ciò che ho scritto.
Punto numero tre:  tuttavia no, non sono dispiaciuta di avervi fatto sciroppare dieci pagine di documento word.
Questa è davvero una delle cavolate più grosse che abbia mai scritto. E purtroppo è "una delle", perché non è e non sarà l'unica. 
Comunque. No, non ho letto "Zio Paperone e l'attacco nostalgico". Ho trovato solo alcuni scan, senza vignette poi, e un piccola trama, che diceva più o meno "Mickey ha bisogno del tarallium per la macchina del tempo ----> per averlo corrompe Scrooge con un viaggio nel passato nel Klondike insieme a Donald -------> incontrano Goldie -------> non ti svelerò il finale ma sappi che sarà una delusione".
Potete capire che la mia mente malata ha dovuto subito farci una fanfiction. Una cosa che voglio assolutamente dire è che in pratica il quasi unico scan che ho trovato faceva vedere Scrooge e gli altri terrorizzati dall'orso di Goldie. E NO. Scrooge sarà pure invecchiato, ma non si spaventa per un orsacchiotto di peluche. E' il Re del Klondike, maledizione! *rabbia*
Comunque... E' una cretinata. Assolutamente. E' pure scritta malissimo. La mia idea era di mescolare un pò di comico e un pò di drammatico, come un vero fumetto alla Don Rosa, diciamo, ma naturalmente è stato un tentativo fallito. Quindi siete libere di lanciarmi oggetti pesanti in fronte. Se però per qualche strano motivo vi è piaciuta, o avete domande da fare, non esitate a recensire, mi raccomando. 
Alla prossima!
Ser <3

  
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