Storie originali > Romantico
Segui la storia  |      
Autore: heygiuls    28/06/2013    1 recensioni
Emma Mancini è una quasi ventiduenne che sogna di fare la giornalista, lavora come segretaria da Marco Piacentini, giornalista indipendente. Emma è il tipo di ragazza che vuole cambiare il mondo ma che alla fine è il mondo a cambiare lei.
Michele Mondini è un ventiquattrenne con davanti a sé una brillante carriera da avvocato. Michele è il tipico figlio di papà, abituato a schioccare le dita e ottenere ciò che desidera, ma la vita non è sempre solo così semplice.
Si sentono entrambi troppo alternativi per instaurare una semplice relazione di sesso, così dopo ogni notte passata insieme fanno anche la colazione insieme. E scopriranno che forse, a volte, la colazione è meglio del sesso.
Dal prologo:
Ormai era diventato un botta e risposta in cui nessuno dei due riusciva ad avere la meglio.
Pensai che cosa avrebbe detto mia madre a vedermi seduta lì, in quel momento. Mia madre che mi diceva sempre di non parlare con gli sconosciuti. Una volta a sedici anni, le avevo risposto: «Mamma, ti prometto che non parlerò mai con gli sconosciuti. A meno che non siano fottutamente sexy.». Per cui no, non avevo infranto nessuna promessa.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Breakfast after all: la colazione è il pasto più importante della giornata.


by heygiuls

 

 

 

 

Prologo.

 



«Emma, ricorda: non siamo qui per giocare.»
«Ne sono più che consapevole, signor Piacentini.» mi schiarii la voce.
«Ah, e per stasera Emma, puoi anche chiamarmi Marco.» e dopo avermi lanciato uno sguardo carico di significato s'incamminò verso un gruppetto di uomini in giacca e cravatta.
Che non eravamo lì per giocare l'avevo capito non appena avevo messo piede nella sala. Che non sarebbe stata una festa divertente, anche quello l'avevo intuito. Ma non mi sarei mai aspettata un tale livello di tensione tra uno sguardo e l'altro e tantomeno pensavo di trovarmi davanti persone strettamente over 50. Tranne le segretarie, ovvio. Ogni giornalista esibiva la propria segretaria appena maggiorenne manco si trattasse di un trofeo di caccia. E si, anche io ero un trofeo. Insomma, più o meno.
Cercai di trovare il lato positivo: almeno nessuno avrebbe potuto pensare che io fossi una di quelle ragazze che venivano dall'est, che puntualmente il capo d'ufficio si sbatteva ogni qual volta ne aveva voglia. No, io ero mora, non potevo decisamente sembrare dell'est.
Pensai che un bicchiere di spumante avrebbe potuto dare un taglio alla mia fin troppo fervida immaginazione.
In realtà neanche avevo capito bene per cosa stessimo festeggiando, anche perché nessuno lì dentro sembrava lontanamente essere in animo gioioso. Ma forse ero io abituata alle feste dove le persone sorridevano.
Il signor Piacentini era rimasto molto vago sull'argomento: «Te ne avevo parlato di Dante Mondini, no? Ha vinto quel caso, alla fine. C'è molta gente che avrebbe pagato oro per essere al suo posto, ma... tanto di cappello, no?».
Odiavo come Marco mettesse alla fine di ogni frase un «no?», come a dire «ho ragione, non è così?». Ma a parte questo, alla fine avevo intuito che il tanto di cappello era una di quelle frasi già belle che pronte, da dire per non sembrare maleducati, e che il cappello, al signor Mondini, glielo avrebbero tutti piacevolmente sfilato.
Ovviamente non me ne aveva mai parlato prima, ma da persona curiosa quale ero avevo sbirciato su internet e avevo scoperto fosse un avvocato ricco e di successo, di quelli che si occupano solo di casi importanti. Di quegli avvocati che se gli avessero proposto un caso riguardante la Casa Bianca avrebbe potuto rispondere «Non lo so, Barack. Sai, ho tante cose di cui occuparmi, ho dei figli! Ne hai anche tu, non è così? Allora mi capisci Barack. Non lo so, ci devo pensare. Magari se mi dessi un incentivo in denaro potrei anche sai, giocare le mie carte e mettere il tuo caso in precedenza. Ma ci devo pensare, Barack.». Si, era quel tipo di persona.
Il signor Dante Mondini era famoso per essere estremamente carismatico e leccaculo, e si sa, in Italia a furia di leccare culi si arriva in cima.
Era scoppiato uno scandalo pochi mesi fa, si vociferava da tempo di problemi in famiglia, ma le supposizioni non avevano avuto il tempo di diventare accuse: date le innumerevoli conoscenze dell'avvocato, non c'era stato nulla più che una prima pagina in un quotidiano inutile.
Non avevamo ancora avuto il piacere di incontrarlo quella sera, il signor Mondini. Non vedevo l'ora di conoscerlo di persona.
«Emma, lui è Filippo Damiata. Dirige un giornale indipendente ma ha scritto anche qualche articolo per il Corriere della Sera.» disse Marco riscuotendomi dai miei pensieri «...e lei è la sua segretaria, che si chiama?» proseguì poi, attendendo risposta.
«Misha.» si presentò lei, ed ebbi la sensazione che le avessero insegnato a dire solo quello. La tipica ragazza dell'est di cui parlavo prima.
Forse avrei dovuto rimanere schifata, ma dopo essere entrata da un po' a far parte del sistema, quello era il minimo che potesse impressionarmi.
Filippo Damiata si presentò anche lui con una stretta di mano, e cercai invano di non pensare a dove i suoi occhi stessero puntando. Non certo agli occhi. Mi appuntai mentalmente di indossare un dolcevita alla prossima festa.
«Lui invece è Luciano Gurrado. È il direttore de l'Italia Oggi, te ne ho parlato no?» continuò Marco. E ovviamente non me ne aveva parlato.
«Certo! Gran bel giornale, ne stavo leggendo un articolo proprio l'altro ieri!» mi ritrovai a dire, ignorando lo sguardo di fuoco di Piacentini.
«Ah, e quale articolo stavi leggendo, cara?» mi chiese il diretto interessato.
Repressi l'impulso di simulare uno svenimento improvviso: «Quello su Ruby.» sputai dopo aver bevuto un altro sorso di spumante.
Le mie preghiere ebbero l'effetto desiderato e Gurrado mi sorrise felicemente.
Ero andata piuttosto sul sicuro, a dire il vero. Quale giornale più o meno emergente che aveva intenzione di diventare a livello nazionale non avrebbe parlato del famosissimo caso Ruby?! Nessuno.
Gurrado mi fece segno di avvicinarmi: «A dire il vero cara, ho anche delle intercettazioni per cui molti pagherebbero con la vita! Se hai voglia di fare un colpo sicuro, fai un salto nel mio ufficio in settimana!» disse mentre mi infilava un biglietto da visita in mano.
Ancora una volta sorrisi invece che tirargli un pugno in faccia come invece avrei voluto. Ennesimo biglietto da visita che sarebbe finito nella spazzatura.
«Infine ti presento Sebastiano Tripodi.» mi fece ancora Marco, e dopo aver atteso qualche secondo per capire per quale giornale lavorasse mi resi conto che era quello che si sarebbe potuto definire un novellino. E aveva l'aria leggermente spaesata.
«Molto piacere.» mi sporsi in avanti per stringergli la mano e lui ricambiò sorridendomi. E guardandomi negli occhi, particolare da non sottovalutare dato l'ambiente in cui mi trovavo. Mi chiesi quanto tempo ci avrebbe messo per diventare anche lui un guardone con una segretaria dell'est.
Cominciavo ad essere stanca e a desiderare solo di essere nel divano del mio appartamento. Ma erano appena le dieci e avevo la sensazione che la serata si sarebbe prolungata non poco.
Fortunatamente ero ormai abituata a lunghe serate sui tacchi, strizzata in un vestito che non fosse né troppo succinto né troppo casto. Ma alla fine, dopo tutto ciò, non mi lamentavo affatto. Forse non avrei dovuto, ma mi piaceva pensare che più di un uomo in quella sala si girava a guardarmi quando passavo. Ovviamente il fatto che quegli uomini fossero ultracinquantenni e che si sarebbero girati a guardare un qualsiasi essere vivente dotato di vagina era un dettaglio non poco rilevante. Da quando avevo iniziato a lavorare con Marco Piacentini avevo imparato a giostrarmi anche in quel mondo pieno di compromessi e rapporti inopportuni.
Avevo iniziato a fare tirocinio perché diventare giornalista era sempre stato il mio più grande sogno. Quale onore sarebbe potuto essere scrivere, avere dei lettori e raccontare al mondo qualsiasi cosa mi passasse per la testa? Poi ovviamente avevo dovuto crescere e capire che il mondo delle favole era solo un'invenzione e che quello reale invece, aveva molte più streghe cattive e mostri di quanto avessi potuto immaginare. Non che Piacentini fosse il mio principe azzurro, o aiutante o qualcosa del genere. Diciamo che era il meno peggio tra tutto ciò che mi si era aperto non appena avevo deciso di intraprendere quella strada.
Inizialmente ero stata un tantino sfruttata. Io lavoravo come segretaria e lui mi ripagava giusto i soldi della benzina. Poi un giorno gli feci un discorso chilometrico su quanto io non fossi una qualsiasi e su quanto non avessi intenzione di continuare a lavorare per non ricevere nulla in cambio, gli dissi che ormai quello che svolgevo per lui era indispensabile e che non avrebbe trovato facilmente un'altra neo-diplomata disposta a studiare e lavorare allo stesso tempo. Mi ricordo che terminai il mio discorso con qualcosa tipo «Tu hai bisogno di me, Marco!», e quella fu la prima volta che mi azzardai a chiamarlo per nome. Avevo perso leggermente di vista il fatto che comunque io lavoravo per lui, e che tutto sommato c'era molto di peggio. Ma non era nei miei piani per il futuro lavorare per quei 30€ alla settimana.
Ed ora avevo in parte raggiunto quello che era mio obiettivo. Il signor Piacentini mi pagava come una normale segretaria e non c'era niente di eccezionale in tutto ciò, ma io mi sentivo estremamente fiera di quello che era una specie di traguardo superato. Anche egregiamente direi.
Come ognuna di quelle feste a cui andavamo almeno una volta al mese, Marco assumeva quell'aria da giornalista vissuto e ogni tanto si sbilanciava a darmi consigli su chi frequentare e chi no, da chi stare alla larga e chi invece era destinato a fallire. Non che io li ascoltassi molto ma era divertente pensare che forse, un po', ci teneva al mio futuro.
Ricevetti una leggera gomitata e quasi persi l'equilibrio: «Oh, perdonami Emma. Sta arrivando Dante Mondini, con tutta la famiglia. Mi raccomando non farmi fare brutta figura.» si soffermò sul sull'ultima frase e ripassai mentalmente tutto quello che avevo imparato su quell'uomo.
Marco mi diceva sempre che i giornalisti venivano invitati ad ogni sorta di festa perché loro erano la voce dei cittadini, perché senza i giornalisti le notizie non arrivano da nessuna parte. Non ne ero del tutto certa ma era bello credere di poter diventare così importante, un giorno.
«Salve cari amici! Siete tutti elegantissimi, ma cosa si festeggia oggi?!» Dante Mondini fece la sua entrata in scena con un sorriso stampato in faccia e salutando calorosamente tutto il gruppetto che ci contornava. Dietro scorsi la moglie, che aveva un sorriso tirato, e quello che pensai dovesse essere il figlio, entrambi in abito elegante.
«Filippo! Sei in forma, stai andando in palestra?» disse Dante e pensai che carismatico era sicuramente un aggettivo che gli si addiceva «Come sta Filomena? E le bambine? Salutale da parte mia, mi raccomando!».
Vederlo parlare ed elogiare chiunque era come quando a scuola guardavi il primo della classe, che appena la professoressa entrava se ne usciva con «Prof, si è tagliata i capelli? Le stanno molto bene!», e tu che sprizzavi odio da tutti i pori perché si vedeva da lontano un miglio che non lo pensava davvero. Ecco, mi sentivo esattamente così in quel momento.
Con la differenza che Mondini era un po' più importante del secchione di turno e che quindi tutti gli ruotavano attorno manco fosse una celebrità. Ed era strano anche per quello. Chi ha fama di solito non si prostra a leccare culi, non più almeno. E pensai subito che forse era quello il punto vincente di Mondini, era furbo.
Furbizia da non confondere con umiltà.
«Marco Piacentini! Come ti va la vita? E questa ragazza qui accanto? Non eri sposato, vecchio mio?!» mi sforzai di ridere a quella che doveva suonare una battuta e lo stesso fece Marco, che mi presentò subito dopo.
«Emma Mancini. Piacere mio! Da quanto tempo lavori con Marco?» mi chiese, fingendosi interessato.
Io sorrisi e risposi, sul vago: «Circa dieci mesi... cavolo Marco, riuscirò a liberarmi di te prima o poi?!» mi domandai se non avessi esagerato con l'ironia, ma le leggere risate dei presenti e il rilassamento dei muscoli di Piacentini mi tranquillizzarono.
«Capisco. E sei laureata? Che studi?» continuò Dante, forse con un tantino di interesse in più.
Ricordai ciò che mi diceva sempre Marco: non rilasciare mai troppe informazioni.
«Studio Giornalismo e no, ma mi manca poco a dire il vero.» dissi e sorrisi ancora, bevendo un altro sorso di spumante.
«Ah, bene. Abbiamo bisogno di giovani intraprendenti in questo paese! A proposito di giovani, conoscete tutti mio figlio Michele?».
Il ragazzo alle sue spalle fece un passo avanti e sorrise di un sorriso un po' tirato, forse non era tanto felice di stare lì.
Michele Mondini era un ragazzo piuttosto alto, più del padre e della madre coi tacchi. Aveva capelli scuri tendenti al castano, occhi color nocciola e una leggera barba sul mento e nel profilo del viso, infine portava degli occhiali neri dalla montatura che definirei... divertente.
«Piacere di conoscervi.» disse iniziando a stringere la mano a tutti, tenendo l'altra in tasca.
Quando si presentò anche Misha, quest'ultima fece una specie di occhiolino ed emise un leggero urletto. Repressi, con difficoltà, un conato di vomito.
«Piacere, Emma.» mi presentai anche io, sempre sorridendo.
Lui finì il giro e poi si rivolse nuovamente a me.
«La sessione per Giornalismo è il mese prossimo, ti laureerai tra venti giorni?» mi chiese, portando anche l'altra mano in tasca.
Colta in fallo. Avrei preferito che la conversazione non svoltasse su di me, ma visto che c'ero tanto valeva non fare la timida.
«Esatto. Il 10 Febbraio.» confermai.
«E con quanto pensi di laurearti?» chiese stavolta Dante.
Mi presi qualche secondo: «Se tutto va bene, con 110.» dissi poi assicurandomi di avere le dita incrociate.
«Anche un mio amico si laurea quel giorno. Se ho tempo verrò a vedere.» concluse il discorso Michele, guardandomi per due secondi e poi spostando l'attenzione sul padre.
Chiuso un discorso, se ne apre un altro no?, il proverbio era sulle porte ma fa lo stesso. Mondini senior iniziò subito a parlare della laurea del figlio di qualche mese fa e di quanto fosse fiero del 110 con lode con cui era uscito, disse che la sua carriera da avvocato era appena iniziata e che era sicuramente destinato a seguire le orme del padre. Michele annuiva interessato a tutto ciò che Dante diceva, ma dopo poco il discorso si fece noioso, così smisi di ascoltare.
Dopo un tempo che mi sembrò interminabile la famiglia Mondini si allontanò e solo in quel momento feci caso al fatto che la signora Mondini, Monica, aveva preso parte alla conversazione si e no due volte, e che per il restante tempo aveva fatto il fantasma.
Prima che potessi tirare le mie conclusioni Marco mi fece segno di seguirlo poco più distante dal gruppo di giornalisti, ci defilammo con un sorriso.
«Voglio che tu faccia una cosa per me, Emma.» esordii Piacentini.
«Spero non si tratti di svolgere altre pratiche per martedì, me ne hai già date mille e non credo di avere il tempo...!» risposi con faccia preoccupata.
Marco si affrettò a dissentire: «No no, no... si tratta di altro.».
Lo esortai con un movimento del capo a continuare il discorso.
«Hai visto il figlio di Mondini, no? Ecco, io... cioè, ti vorrei chiedere di... puoi andare a parlarci per favore?» rimasi sorpresa da come Marco si stesse incartando con le parole, dato che lui non lo faceva mai. E poi... era un per favore quello che avevo sentito?
«A che proposito? Vuoi che gli chieda qualcosa?»
«No. Senti, ti ricordi di quel processo a cui ho preso parte il mese scorso? Te ne ho parlato, no?» continuò imperterrito Marco.
Ma il punto era che non mi ricordavo di alcun processo. Scossi la testa.
«Senti, te la faccio semplice Emma. Dante è il migliore avvocato in circolazione e io ora come ora non ho le possibilità per pagare un suo servizio, per cui pensavo che tu...» lasciò la frase a metà.
Ci misi qualche secondo per arrivare alla conclusione di ciò che stava dicendo.
«Tu mi stai chiedendo di farmela con il figlio per agevolare te!?!» sbottai stando attenda a chi poteva sentirci.
«Non l'avrei detto così esplicitamente, ma si...»
«No, cioè, ma tu sei pazzo!! Come potrei anche solo pensare di... sedurlo? No, è assurdo...» blaterai ancora in fase di accettazione.
Come poteva anche solo pensare una cosa del genere, Marco? Non ero certo il tipo da fare cose del genere! E poi, io ero solo la sua segretaria, mica sua figlia!! Era fuori discussione che io potessi accettare. Non mi sarei abbassata a tanto.
«Emma per piacere, cerca di ragionare...» abbozzò ancora Piacentini.
«No, Marco! Ma veramente pensi che io sia un'arma da sguinzagliare di qui e di lì per i tuoi comodi?! Come puoi pensarlo?» lo accusai ancora, sconvolta.
Perché era così che mi sentivo: un oggetto che avrebbe potuto rivelarsi utile.
«...ti darò un aumento di stipendio.» disse infine Marco, lasciando quella come ultima risorsa per l'opera di convincimento.
Mi fermai di botto e lo guardai. Un aumento di stipendio per sedurre qualcuno. Era una forma contorta di prostituzione, in pratica. Mi stava chiedendo di prostituirmi. E no, non stavo affatto ingigantendo le cose.
«Mi stai chiedendo di andare a letto con qualcuno per un aumento di stipendio?» a voce sembrava anche peggio.
«Magari non ci sarà bisogno di andarci a letto, sai... due bacetti...» disse ancora Marco, ma non capiva di stare solo peggiorando la situazione.
«No, aspetta. Ma ti rendi conto di quello che mi stai dicendo? Potrei denunciarti per una cosa del genere, cazzo!» tralasciando la mia finezza che spuntava fuori nei momenti meno opportuni, tirare in ballo la denuncia ebbe l'effetto che sperai.
«Ehi ehi ehi...! Denunciare? Adesso non passiamo a soluzioni drastiche, Emma. Ti sto solo chiedendo un favore, ovviamente. E l'aumento di stipendio te lo meriti a prescindere da tutto ciò, per cui se è questo il tuo dilemma stai tranquilla che lo avrai in ogni caso. Non ho altre risorse, capisci!? Sono in un grosso dramma che sicuramente Dante potrebbe risolvere con tutti i contatti che ha. Ma se non vuoi non posso costringerti...» disse Marco, con una faccia stanca e stressata che era riuscito a nascondere bene per tutta la sera.
Mi presi qualche minuto per fare una lista mentale dei pro e dei contro. Prima di tutto, l'aumento di stipendio l'avrei avuto comunque, e non mi lamentavo affatto. Ma, il resto? Ero disposta a gettarmi di testa su una cosa che era più grande di me? Io non conoscevo quel ragazzo, né conoscevo il padre, né tantomeno sapevo di cosa si trattasse il guaio in cui Marco si era cacciato. Non sapevo nulla. Però... però c'era un però. C'era la monotonia presente nella mia vita da un po' di tempo a quella parte, e c'era il mio bisogno di distinguermi dalla massa e da tutto ciò che fosse imposto. Ma niente di tutto ciò aveva a che fare con il sedurre qualcuno. Per cui non ho la minima idea di cosa mi passò per la testa.
«D'accordo.» dissi solo, lasciando a bocca aperta me stessa in primis e poi anche Marco.
«...d'accordo?» chiese di nuovo, per essere sicuro di aver sentito bene.
«Si, ho detto che va bene! Ma che questo aumento sia sostanzioso.» feci poi io, per sdrammatizzare.
La verità era che non avevo la minima idea di che cazzo stavo facendo. In cosa mi stavo cacciando? Insomma, visto dall'esterno non doveva sembrare poi così triste come situazione, mi dissi. Michele Mondini era piuttosto carino, ricco e colto a quanto si diceva. Ma qui non si trattava di una semplice serata tra amiche dove si puntava un ragazzo e si faceva a chi lo seduceva prima. Qui non avevo amici e non ero neanche tanto sicura di potergli interessare.
E quindi penso fosse per quello che accettai. Per sfida. Contro me stessa.
«Ehm, ok. Bene, è lì al bancone del bar. Se vuoi...»
«Ora vado, Marco.» scattai.
Tutto il mio corpo era cosparso di eccitazione. In parte per l'alcool, ma credo che il fatto di poterlo chiamare per una sera Marco senza ricevere occhiatacce avesse comunque influito.
Mi schiarii la gola e iniziai ad avvicinarmi all'angolo bar, sentendomi parte fondamentale di una missione.
Ok, il punto era che io non ero una vera e propria seduttrice, di quelle che si vedono nei film, a cui basta guardare qualcuno e magari fargli un occhiolino per averlo ai suoi piedi. Io vivevo nel mondo normale, dove se fissi qualcuno probabilmente quel qualcuno si incazza e ti lancia qualche parolaccia. A meno che tu non sia una super modella con una terza di reggiseno e un culo che ha vita propria. E non era certamente il mio caso (anche se la mia seconda era comunque rispettabilissima).
Quindi mi serviva una banale scusa per attaccar bottone. In quei dieci secondi per arrivare al bancone mi balenarono in mente milioni e milioni di battute usate per rompere il ghiaccio, quasi tutte riciclate da film pseudo-romantici dove dopo aver iniziato a parlare i due protagonisti finivano a letto insieme e due minuti dopo decidevano di sposarsi. Anche quello poteva sembrare un tantino surreale, ma il mio cervello rifiutava di concentrarsi sul vero nocciolo della questione.
Mi girai per vedere dove fosse finito Marco e lo trovai esattamente nella stessa posizione di prima, intento a guardarmi e a fare la figura del vecchio pervertito. Gli feci un rapido segno col mento mentre allargavo gli occhi e gli facevo capire che non era affatto una buona idea restare a fare il palo.
«Un Martini, per favore.» dissi al barista, sistemandomi ad una sedia di distanza dal figlio di Dante Mondini.
Avrei dovuto pensare ad un qualche metodo per avvicinarmi ma l'unica cosa che mi veniva in mente era di come fosse assurdo che ci fossero un barista ed un angolo bar ad una festa del genere e soprattutto di quanto fosse costato tutto ciò.
Certo che anche quel Michele, starsene da solo al bar nella sera in cui si festeggiava suo padre... era un po' strano.
Mi girai di nuovo per controllare che Marco si fosse spostato e per fortuna lo vidi parlando con un personaggio a me sconosciuto.
Sbuffai lievemente, quasi senza accorgermene. Mondini si girò verso di me e socchiuse gli occhi come per ricordarsi chi fossi, poi sembrò illuminarsi e mi sorrise. Ricambiai.
«Emma, dico bene?» mi chiese ricoprendo lo spazio vuoto tra la mia sedia e la sua.
Annuii mentre bevevo il primo sorso di Martini. Di primo impatto mi sentii Dio, restando comunque un po' sorpresa di come fosse stato facile iniziare una conversazione. Poi conclusi che ricordarsi il nome di qualcuno non rientrava esattamente nella definizione di conversazione.
«Bene Emma, cosa vuoi?» mi chiese poi, sfacciato, smontando tutto il mio entusiasmo.
Inclinai la testa di lato come facevo sempre quando non capivo qualcosa e socchiusi leggermente gli occhi: «Cosa?» ripetei facendo la probabile figura della ritardata mentale.
Ok che il signorino era figlio di Mondini, ma non aveva il diritto di essere così sgarbato.
Lui sembrò infastidirsi cento volte di più: «Ti ho detto, che devi dirmi?» disse guardandosi intorno nervosamente.
Stava iniziando realmente a darmi sui nervi: «Non so di cosa tu stia parlando.» risposi, cercando di trovare un collegamento con quello che stava dicendo.
«Ah, cristo! Puoi... raddrizza la testa, mi da un fastidio assurdo!» sbottò, attirando l'attenzione di due signori che stavano passando vicino al bancone.
Feci quello che mi aveva detto, ma solo per farlo stare zitto.
«Ma che problemi hai?!» gli chiesi di rimando, mentre cominciavo a pensare che soffrisse di bipolarismo o qualcosa del genere. Chi si credeva di essere per parlarmi in quel modo?
Lui fece un respiro profondo e sembrò riprendere il controllo di se stesso. Serrò la mascella che segnava perfettamente il profilo del suo viso.
«D'accordo. Sei venuta qui al bancone del bar per parlarmi, non è così?» disse e mi ci mancava solo lui a fare supposizioni, come se non ne avessi già abbastanza «Chi ti ha mandato?» mi domandò ancora.
Mi sentivo sotto interrogatorio e Dio solo sa quanto lo odiassi.
«Perchè se una vuole qualcosa da bere devi per forza c'entrare tu? Soffri di manie di protagonismo, per caso?» sputai, velenosa.
Rise.
«Devo proprio sbattertelo in faccia? Vi siete appartati, tu e Piacentini, e probabilmente ti ha chiesto di venire a dirmi qualcosa, o meglio, qualcosa da riferire a mio padre. O sbaglio?» disse, bevendo un sorso dal suo bicchiere e ridendo di nuovo.
Quel ragazzo era seriamente bipolare se passava dal nervosismo alle risa in meno di due secondi. Però aveva anche capito tutto, per mia sfortuna.
Accusai il colpo e risposi: «Passi le tue giornate cercando di capire le persone o è solo un passatempo per stasera?» mi sentii dire, e mi fece un effetto strano. Neanche lo conoscevo e già gli lanciavo frecciatine.
«No, lo faccio sempre. Sai com'è, per gli avvocati è piuttosto comodo.» replicò, e poi sorrise scuotendo la testa.
Ora era diventata una sfida personale.
«Ah, già! Dimenticavo... com'era? Sei sicuramente destinato a seguire le orme di tuo padre, non è così?» dissi, riprendendo sia le parole del padre sia le sue.
Colpito e affondato.
«Cosa vuole Piacentini?» mi fece, cambiando discorso.
Pensai che il mestiere dell'avvocato gli si addiceva. Ghigno di superiorità, frasi strafottenti e la perspicacia necessaria a vincere un caso. Inoltre, sembrava essere pure lui carismatico. Tale padre tale figlio, giusto?
«Quindi può essere solo quello il motivo per cui son qui? Non potrei essere semplicemente venuta perché volevo parlarti?» rigirai la frittata evitando l'argomento principale, almeno in quello ero brava. Nella mia vita avevo sempre evitato i punti focali, ero più un tipo da problemi marginali.
Rise di nuovo.
«Per quanto io ne possa essere lusingato, temo di no. Andiamo, se non me lo dici lo scoprirò da solo e sarà inevitabilmente peggio, non credi?» disse, re-indossando quel ghigno prepotente. Che, diciamocelo, gli stava bene.
Sorrisi di rimando, bevendo un altro sorso di Martini.
«Non so esattamente manco io. Si è cacciato in un guaio e tuo padre, senza giri di parole, è il migliore.» dissi.
Una volta, da piccola, lessi che con gli uomini bisognava far finta di giocare al loro gioco, facendogli credere di avere in mano la situazione, quando in realtà chi muoveva i fili erano le donne. E mai cosa fu più giusta.
«Mh. O forse è quello con più accozzi, non è così?» replicò lui, senza darmi soddisfazioni.
In quel momento giurai che se qualcun altro avesse ripetuto un'altra volta «non è così?» oppure «no?», avrei fatto una strage come in CSI.
«Comunque, non ti preoccupare, parlerò con mio padre.» riprese lui, facendomi disincantare.
Avevo sentito bene? Era tutto apposto? Niente situazioni imbarazzanti in cui potermi cacciare, niente altro che una chiacchierata neanche troppo ponderata e tutto era finito?
Ora si che potevo sentirmi Dio.
«Grazie tante, mi hai risparmiato un po' di cose spiacevoli.» dissi e feci per alzarmi dallo sgabello.
«No, aspetta, come? Puoi spiegarti meglio?» mi afferrò per un braccio e dovetti girarmi di nuovo.
Mi maledissi mentalmente. Perché ovviamente non potevo lasciare che la questione si concludesse senza complicazioni, mi sembra ovvio. Mi immaginai un pubblico che mi faceva un applauso sarcastico e tutte le facce che mi guardavano scuotendo la testa come in un gioco a premi in bianco e nero dove il concorrente aveva sbagliato la cosa più semplice possibile. Cancellai quell'immagine dalla mia testa.
«Come?» fu l'unica cosa che mi uscì dalla bocca. Di male in peggio.
Ma almeno Michele Mondini non sembrava affatto arrabbiato: «Di quali cose spiacevoli parlavi? Sentiamo...» mi indicò la sedia e mio malgrado mi risedetti. Sembrava divertito dalla situazione.
Già, di quali diavolo di cose spiacevoli parlavo? Se lo avessi saputo gli avrei anche potuto rispondere. Ma avrei fatto qualsiasi cosa pur di togliergli quel ghigno dalla faccia, anche giocare col fuoco. Che poi effettivamente è quello che feci.
«Beh, uscire con te sarebbe stato piuttosto imbarazzante, non credi anche tu?» mi ritrovai a dire, con un ghigno altrettanto strafottente stampato in faccia.
Per una frazione di secondo, o forse per un decimo di una frazione di secondo, gli lessi la sorpresa in faccia. Ma poi nascose il tutto con un sorrisino.
«Più per me che per te, che figura ci avrei fatto ad uscire con una segreteria?» sputò, pronto a godersi la mia reazione.
Mi colpì nell'orgoglio, e se non avessi avuto in corpo quel minimo d'alcool necessario a lasciarmi un po' più andare, sarei sicuramente scappata via rossa in viso. Ma, fu l'alcool a parlare al posto mio.
«Almeno io i soldi li guadagno onestamente, e non li chiedo a paparino!» esclamai, noncurante di chi avrebbe potuto sentirmi.
Era incredibile come Michele Mondini, che conoscevo da meno di un'ora, mi facesse salire istinti omicidi a così poca distanza l'uno dall'altro. Gli avrei volentieri voluto strappare quel sorriso compiaciuto dalla faccia.
«Mi hai preso per Paris Hilton? Torna nel mondo reale, cara Emma. Qui non siamo a Hollywood!» replicò.
Avrei voluto fermarmi, ma ormai avevo cominciato e non mi sarei riuscita a fermare così facilmente: «Io so che anche a Hollywood girano con delle Porsche.» dissi svuotando il bicchiere che avevo davanti e poggiandolo, ormai vuoto, nel bancone.
Una cosa buona di quella festa c'era: l'open bar.
Incassò il colpo con maestria, e rispose guardandomi negli occhi: «Non prendere impegni per domani, dovrai uscire a cena con me.» e non me lo chiese, lo affermò.
«Non credo proprio.»
Ormai era diventato un botta e risposta in cui nessuno dei due riusciva ad avere la meglio.
Pensai che cosa avrebbe detto mia madre a vedermi seduta lì, in quel momento. Mia madre che mi diceva sempre di non parlare con gli sconosciuti. Una volta a sedici anni, le avevo risposto: «Mamma, ti prometto che non parlerò mai con gli sconosciuti. A meno che non siano fottutamente sexy.». Per cui no, non avevo infranto nessuna promessa.
«Allora Piacentini dovrà scordarsi i servizi di mio padre.» ribatté, calmo.
Inclinai di nuovo la testa di lato, socchiudendo ancora gli occhi. Sembravo un turista straniero che non capisce un'acca di quello che gli stanno dicendo.
«Sbaglio o mi stai ricattando?» domandai, cauta.
«Ricatto, restrizione... chiamalo come vuoi, ma di fatto è un invito ad uscire.» rispose ridendo.
«Anche ad Hollywood invitate ad uscire le ragazze?» dissi battendomi mentalmente un cinque. Tutto questo coraggio non sapevo da dove cavolo mi stesse uscendo.
«Oh, si. E le veniamo a prendere in Porsche!» esclamò prima di alzarsi e sistemarsi la giacca. «Ti passo a prendere alle otto, Emma.»
«Ma se non sai neanche dove abito!» protestai, senza trovare qualcosa di più convincente, sempre che avessi bisogno di essere convinta ad uscire con un ragazzo come Michele Mondini.
«Oh, non è un problema. Ad Hollywood abbiamo anche le pagine Gialle, sai?»
Mi raddrizzò la testa, mi fece un occhiolino e se ne andò ridendo.
Rifeci il conto di quanti bicchieri avevo bevuto e decretai che quattro bicchieri sono decisamente troppo pochi per avere delle allucinazioni e che quindi non me lo dovevo essere sognata. Ma sembrava tutta una gran cazzata!
Era nei film che conoscevi un ragazzo sexy e lui ti invitava ad uscire non sapendo nemmeno dove venirti a prendere. E la mia vita era tutto tranne che un film. O una fiaba.
Guardai l'ora: mezzanotte e dieci. Se fossi stata in una fiaba avrei già sgarrato di dieci minuti! Era meglio tornare a casa.
Trovai Marco poco dopo, intento a parlare lo stesso tizio di prima, me lo presentò ma neanche ne ascoltai il nome.
«Io sono molto stanca, mi chiamo un taxi e torno a casa. Ci vediamo domattina.» salutai lui e il suo compagno di conversazione e poi uscii dalla sala.
Salii sul taxi e tornai a casa, mi feci un bagno caldo e mi infilai nel letto, incominciando a pensare al giorno dopo.
No, non ero decisamente in una fiaba. Almeno nelle fiabe sapevano come vestirsi per le sere importanti.
  
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: heygiuls