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Autore: Friedrike    28/06/2013    7 recensioni
La seconda guerra mondiale è finita.
Germania ha perso. Ma le violenze, tutto ciò che ha visto, le umiliazioni e le mortificazioni, hanno gravato pesantemente sulla sua psiche.
E' rinchiuso ormai da sei anni in un manicomio. E si sente terribilmente solo.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Malato di mente. 

 

 
Il soldato s'alzò dal letto. La moglie lo seguì. 
Il soldato s'avviò in cucina. Un ebreo gli servì la colazione.
Il soldato non gradì. L'ebreo iniziò a sanguinare.
Il soldato lasciò la sua casa.  Le serve la pulirono.
Il soldato andò al campo. Zingari, omosessuali e comunisti morirono.
Il soldato vomitò i suoi ordini. I sottoposti ubbidirono.
Il soldato umiliò le sue trecce. Lei pianse.
Il soldato le alzò la gonna. Lei lo pregò di smettere. 
Il soldato si divertì. Lei rimase immobile. 
Il soldato tornò a casa. La moglie accettò di fare l'amore con lui.
Il soldato andò a dormire. I suoi figli fecero altrettanto. 
Il soldato sognò. Molti non poterono più farlo.
 
 
 
Piccole lacrime iniziarono a rigargli il viso nel sonno agitato.
Iniziò a voltarsi a destra e a sinistra, ma non poté muoversi molto. La camicia di forza lo teneva vincolato al letto. 
-Per piacere, basta! Lasciala stare! E' una bambina!- gridò. -Non è cattiva! Non è una puttana! Lascia, lasciala! Non lo vedi? Sta piangendo!- 
Ormai nessuno dava più peso a quelle incomprensibili e farfugliate parole uscite dalle labbra di un matto.
Ludwig ne aveva viste troppe, troppe da sopportare. 
Era ancora giovane e aveva tentato di conquistare il mondo per ben due volte. E aveva fallito. Stavolta però il fallimento lo mandò in rovina.
Erano ormai sei anni di prigionia. 
Non c'era giorno che passasse senza che chiedesse alle infermiere il permesso di uscire un poco.
Voleva solo assaporare aria pulita...
Non vedeva il sole da 193 giorni. 
Eppure le infermiere erano cattive e lo sgridavano ogni volta che chiedeva un'ora di libertà. Che colpa ne aveva? 
Altri internati gli avevano detto che era possibile avere cinquanta minuti liberi al giorno, allora perché lui non poteva ottenerli? Scoppiava a piangere come un bambino ogni volta che le donne gli dicevano di no. 
Era impazzito, era stato troppo da sopportare per lui. E lo avevano lasciato tutti solo.
Lacrime calde gli sporcano il viso. Non può aprire gli occhi, non ne ha la forza.
-Ti prego, Hans... lasciala andare... Joachim, nein... non guardatela... è pura... è piccola... nein...-
Sentì la porta aprirsi. 
Spalancò gli occhi azzurri ed ancora bagnati del suo pianto.
Due donne si avvicinarono a lui portandosi appresso un piccolo carrello. 
La più giovane aveva appena diciannove anni. I capelli castani erano legati in una crocchia alla base della nuca e gli occhi azzurri parevano in apprensione. 
-Buon Cielo, cosa lo ha ridotto così?- sussurrò, cercando di tenerlo fermo. -Herr Beilschmidt, vi prego, non vi agitate, o saremmo costrette a sedarvi...-
-Marija, è tutto inutile. Potrà calmarsi solo quando il buon Dio lo chiamerà a sé- le spiegò la donna con un sospiro.
Preparò una siringa e l'avvicinò al braccio del paziente, una volta tolta la camicia di forza, ma lui continuava a muoversi e ad insultarla. Non voleva essere drogato ancora. 
-N-nein! Fa male... io non voglio.... fa male!- 
Lo disse urlando, poi iniziò a dimenarsi e a chiamare il nome di suo fratello.
Perché lo aveva lasciato solo? Perché non andava a trovarlo? 
L'ultima visita risaliva ad anni prima. 
Ludwig non poteva sapere che il fratello era ormai sotto il dominio comunista, non poteva sapere che Russia lo aveva fatto suo. 
O forse lo sapeva, ma la sua mente continuava a giocargli brutti scherzi e la realtà e la fantasia erano mischiate.
Pensava che il fratello lo odiasse, che lo avesse abbandonato.
Non poteva sapere che Gilbert piangeva ogni sera quella lontananza. Se solo avesse potuto occuparsi personalmente del suo fratellino... 
Il biondo continuava a piangere istericamente. 
Il suo corpo era scosso da tremori violenti, dovuti al nervosismo, e l'altra donna faticò non poco per fargli quell'iniezione di tranquillanti. 
Loro non sapevano con chi avessero a che fare. Semplicemente, lui era un paziente come tutti gli altri.
Soltanto il direttore del manicomio conosceva il suo ruolo di Rappresentazione, ma sotto quel tetto tutti i pazienti erano la stessa cosa: matti senza diritti.
Il tedesco rimase immobile per i successivi minuti. 
Le lacrime si erano fatte silenziose e più rare, ma non erano scomparse del tutto. Rimase solo nella stanza.
"Perché, Gilbert? Perché mi hai abbandonato? Io ti voglio ancora bene... perché non torni? Perché hai smesso di lottare? Io ti aspetto. Mi manchi così tanto... dove sei, fratellone?" 
Continuava a chiedersi dove si trovasse e perché non fosse con lui ad accarezzargli i capelli per calmarlo, come faceva quando lui era solo un bambino, ma adesso era zitto, e spaventato. Sentiva soltanto la solitudine. 
D'un tratto la porta scricchiolò di nuovo e lui si ritrovò a sussultare. 
Il cuore accelerò i suoi battiti e lui si preparò a chiedere scusa. Forse non gli avrebbero fatto un'altra puntura, se si fosse scusato. Continuava a ripeterselo. 
Non era colpa sua se aveva incubi ed i sensi di colpa lo stavano uccidendo.
-Herr Beilschmidt?- lo chiamò Marija con un piccolo sorriso. 
Lui non rispose. Fece finta di dormire. 
-Herr Beilschmidt, ha una visita- continuò lei, aprendo di più la porta. 
Il tedesco spalancò gli occhi, che saettarono sulla soglia. Sorrise spontaneamente.
-T-tu! S-sei venuto a trovarmi, tu, sei venuto, alla fine...- mugugnò. Di nuovo, il suo volto venne solcato da qualche lacrima.
Una figura con abiti eleganti si avvicinò a lui. Si sedette al suo petto e gli carezzò la guancia.
-Sì, Ludwig. Sono qui per te- lo rassicurò. 
Scostò una ciocca di capelli biondi dalla sua fronte con dolcezza e gli sorrise in modo infinitivamente tenero. 
Il biondo non sapeva che dire. Rimase fermo per diversi minuti. 
L'infermiera rimase di guardia lì, ad osservarli.
L'ospite la guardò. -Può lasciarci soli?-
Lei si morse un labbro. -Io... mi è stato ordinato di...-
-Non mi farà del male. Lo conosco. Lui è buono...- le spiegò educato, poi fece l'occhiolino al matto. 
Ottenne di rimanere un po' solo con lui. 
Tirò fuori dalla propria tasca un sacchettino. Aveva un buon odore. 
Slacciò il fiocchetto rosso e prese un biscotto dal pacchetto. -Hai fame, Ludwig?- 
Germania scosse la testa. -N-non si può... non posso farlo, non si può, non si può fare, i-ich...-
-Shh... va tutto bene. Ci sono io con te.- 
Di nuovo lui portò la mano sulla sua guancia per calmarlo. Avvicinò le labbra alla sua fronte e vi lasciò un dolce bacio. -Sono buoni. Ecco, prendine uno.-
Prendendone lui stesso uno dal pacchetto lo avvicinò alle sue labbra, ma Ludwig lo allontanò brusco, schiaffeggiando quella mano. 
Il biscotto cadde e si spezzò. 
"Ludwig... cosa sei diventato?" pensò Feliciano abbassando lo sguardo. 
Ma non perse il sorriso. Lo guardò, in modo più triste ed appoggiò la mano sulla sua, puntando gli occhi nocciola sui suoi.
-Non voglio farti male. Io ti voglio bene.-
Il biondo iniziò a piangere. Affondò il viso sulla sua spalla, in lacrime, come un bambino.
L'italiano sospirò e gli accarezzò delicatamente i capelli dorati. 
-Veh, Lud... ti piacerebbe uscire fuori?- gli disse dopo una manciata di minuti.
Dall'altra parte, silenzio. Ripropose la questione: -Ho parlato con le infermiere... se prometti di fare il bravo, ti lasciano uscire un poco. Con me. Che ne pensi?- 
-L-lo giuro... io sono bravo... non le ho mai toccate quelle donne... i soldati lo facevano, ma io no...- gli giurò, stringendo il tessuto della sua maglia, stretto a lui.
-Oh, ma io ti credo. Io lo so che sei bravissimo. E' per questo che voglio portarti in cortile.-
Così lui, sano di mente, si alzò in piedi e lo sistemò un po'. 
Diede un po' di ordine a quei vestiti bianchi da ospedale e aggiustò i capelli sporchi e spettinati del tedesco. Infilò i biscotti in tasca e tenendo la mano del tedesco uscì di lì. 
Il sole infastidì subito gli occhi chiari dell'ariano, che fece dei passi indietro per proteggersi. 
Felì si avvicinò a lui e non gli lasciò la mano neppure per un momento.
-Lud! Guarda, c'è il sole... facciamo una passeggiata, dai. E' un po' che non esci, vero?- 
Continuava a sorridere.
Quel sorriso gli aveva salvato la vita così tante volte...
Il biondo si lasciò convincere. Strinse forte la sua mano, con quella libera riparò il viso. Lo seguì per il perimetro del cortile murato, un po' spaventato all'inizio, poi più sicuro. Camminava lento, ma era felice di aver un po' d'aria pulita. 
-I-io voglio uscire.... n-non mi lasciano uscire, F-felì...- 
-Vieni, sediamoci qui.- 
L'italiano accennò ad una panchina e lì si sedette con lui. Gli circondò le spalle con un braccio, poi gli carezzò un poco la schiena, accettando che l'altro poggiasse la sua guancia sulla propria spalla. 
-Andrà tutto bene...- continuava a ripetergli. -Sarai libero e andremo al mare... in montagna... nei musei... ma Ludwig, tu devi fare il bravo, capito? Devi fare quello che le infermiere ed i medici ti dicono di fare.-
Germania annuì.
Iniziò a piangere un poco, dopo l'abbracciò. -Mio fratello mi ha dimenticato...- 
Feliciano spalancò gli occhi a sentire quella frase. Il suo sguardo si fece subito dopo triste. Lo strinse di nuovo a sé. -Non ti ha dimenticato. I biscotti li manda lui, sai?- mentì, sorridendogli. 
In realtà li aveva fatti proprio lui, a casa sua, a Venezia, ma non reggeva un altro suo pianto.
Era andato a trovarlo ogni volta che ne aveva avuto l'occasione. A volte lo trovava più felice ed eccitato, altre, come quel giorno, depresso. 
Il malato sorrise felice. -Davvero?- chiese. Aveva bisogno di quella bugia. Lui annuì. 
Così l'altro iniziò a mangiare i biscotti, lentamente, tutti quanti. 
Quando fu il momento di andare via, lo abbracciò forte, pregandolo di tornare. Avrebbe fatto il buono e non avrebbe pianto nemmeno una volta. Glielo promise. 
L'italiano gli baciò una guancia. 
-Torno presto, non preoccuparti. Ma tu fa il bravo...-si raccomandò con un piccolo sospiro. -Ti prego, Ludwig. O non potrò più venire.-
Gli prese il volto tra le mani e lo guardò negli occhi. -Capisci? Se non ti comporti bene, non mi lasciano venire. E mi manchi tanto, ho bisogno di venire a trovarti, hai capito?- 
Sapeva bene che il biondo avesse bisogno di sentirsi utile. 
In questo modo, si sarebbe comportato bene per un po': non avrebbe avuto crisi, sarebbe stato al suo posto e gli avrebbero evitato la camicia di forza. 
Feliciano uscì dalla stanza, lanciandogli un'ultima occhiata. 
Una volta solo, si asciugò una lacrima.
"Uscirai..." gli promise. "Ed io sarò fuori ad aspettarti, amore mio."
 
 
 
  
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