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Autore: HeartBreath    29/06/2013    1 recensioni
In una fugace e insignificante frazione di una giornata qualunque, i My Chemical Romance capiscono di non poter più rimandare l'inevitabile: liberare il loro studio da tutto ciò che gli appartiene. Non vorrebbero farlo, perché significherebbe rendere ufficiale la fine della band, eppure si incontrano tutti lì per prendere le proprie cose e rivivere un'ultima volta ciò che li ha portati fino a quel momento.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lavoro a questo pezzo da quando mi è arrivata la notizia dello scioglimento dei My Chemical Romance, ma solo adesso sono riuscita a concluderlo. Non è cambiato molto da allora: è ancora insopportabile il pensiero che non esistano più, mi mancano da morire.
Ho immaginato una fine del genere per loro: prendendo ognuno le proprie cose, buttando le altre, togliendo ogni maschera. Ma senza riuscire a dire alcunché che sembri rilevante, arrivati a quel punto.
Ecco, si può dire che questo sia un testo sulle cose non dette, anche nella consapevolezza che non si ha più niente da perdere. La dedica va, infatti, a due persone che forse sto perdendo, forse ho già perso, ma che mi hanno riempito la vita in modo indelebile: alla persona che mi ha fatto conoscere questa fantastica band e a quella a cui l'ho fatta conoscere io.
Dedico questa fine alla ragazza che incarna il significato di "indistruttibile", quella che ha scritto il testo di Dead! sul banco di scuola e che ha avuto la pazienza di vedermi felice prima di esserlo lei.
Dedico questa fine al ragazzo che mi ha affascinato col messaggio di quelle canzoni, con le parate in nero in cui credeva profondamente... e che mi ha fatto vedere il sole accecante del Nevada a dodici anni di distanza.
Non amerei niente di tutto ciò che ho vissuto negli ultimi due anni, non fosse stato per voi. Grazie.
PS: mi sento in dovere di informare che il testo contiene un accenno alla Frerard, oppure anche no, dipende da come vengono viste le mie parole. Ho solo pensato che non potesse essere un testo sui My Chemical Romance degno di questo nome, senza il sospetto onnipresente di una loro relazione :)













Quando piantò il piede a terra per uscire dall'auto e trovò solo una pozzanghera, Mikey Way si rassegnò alla realtà: quella giornata non aveva possibilità di restare decente.

Imprecò, saltando sul marciapiede - bagnato fino al polpaccio. In quel momento, suo fratello aggirò la macchina e lo raggiunse davanti alla soglia del palazzo. Lo guardò interrogativo, Mikey non disse nulla.

Incredibile, Gerard non aveva nemmeno la forza di prenderlo in giro, di farcisi una risata sopra.

Altra prova – come se ne servissero altre – che quella era la giornata più nera di sempre.

Con una certa svogliatezza, Gerard anticipò Mikey e avanzò verso quel grattacielo dai vetri riflettenti, che quel giorno erano dipinti del grigio delle nuvole.

 

 

 

And if you stay, I would even wait all night

or until my heart explodes.

 

 

 

Aveva diluviato tutta la notte, i tuoni avevano tenuto sveglio Gerard per ore. Era stato allora che Mikey gli aveva telefonato: sapeva che non riusciva mai a prendere sonno durante i temporali. Gli aveva chiesto come stava, col tono ingenuo di chi non conosce la risposta. Ed era arrivato al punto della sua telefonata: farsi accompagnare allo studio, la mattina dopo. Il maggiore gli aveva fatto notare che aveva anche lui un'auto, potevano anche vedersi direttamente a destinazione. Ma Mikey aveva intenzione di lasciare l'auto ad Alicia e farsi venire a prendere dal suo fratellone, come ai vecchi tempi. Come ai vecchi tempi. Mikey Way faceva tante cose, ma cambiare non era tra queste, e Gerard lo sapeva bene. Mikey ci teneva a presentarsi alla riunione insieme a lui, almeno questa volta. Quest'ultima volta. Peccato che Gerard non fosse nemmeno sicuro di volersi presentare, a quella maledetta riunione. Ed ecco cosa Gerard Way, invece, non faceva mai: affrontare ciò che gli faceva male da morire. Preferiva di gran lunga chiudersi nella sua stanza. Piantarsi sulle orecchie cuffie tanto grandi da coprirgli il viso di profilo, ascoltare musica a livello tanto alto da nascondere la sua esistenza al mondo. Magari ricominciare a disegnare. Lo faceva quando lui e Mikey andavano al liceo, e avrebbe voluto farlo anche adesso. Ma il fratello minore, come risaputo, era una specie di angelo custode e un grillo parlante insieme: non gli avrebbe mai permesso di mancare a quell'appuntamento con la band.

 

 

 

And now this could be the last of all the rides we take.
So hold on tight and don't look back.

 

 

 

Ma, ovviamente, sempre per rispetto delle tradizione – certo, come no... -, gli Way erano in ritardo. Perché? Ovvio: perché era Gerard a guidare.

Mikey rimase stupito dall'improvvisa fretta del fratello di entrare nello studio della band e incontrare gli altri. Probabilmente la voleva finire in fretta e tornare nella sua stanza, al sicuro dalla pioggia, dalle pozzanghere che avrebbe potuto incontrare lungo la strada, dai significati delle canzoni che da ieri ad oggi erano già vecchie. Passate. Roba da museo. O da dimenticatoio, era lo stesso.

Ottavo piano, corridoio a destra.

Lo studio di registrazione e delle prove dei My Chemical Romance. Il contratto d'affitto sarebbe scaduto domani: avevano rimandato fino all'ultimo, per evitare di farlo. E, alla fine, Mikey aveva chiamato a raccolta la band e fissato un appuntamento per ripulire tutto, salutarsi, porre fine a questa fine. Perché era palese che nessuno di loro aveva il coraggio di farla finita, ridare le chiavi al locatario, dirlo ad alta voce.

I due fratelli varcarono la porta dell'ingresso e nessuno li notò. Alcuni tecnici si stavano occupando del marchio dei My Chemical Romance appeso in fondo al palco, un altro aiutavano Jarrod a smontare la sua batteria. C'era altra gente che entrava, che usciva, che radunava le attrezzature vicino alla porta. E, in un angolo, Frank scollegava i fili degli amplificatori.

Gerard si tolse la giacca di pelle, l'abbandonò su una sedia e raggiunse a grandi passi il palco. Senza dire una parola diede una mano a Frank a sollevare l'amplificatore. Quando il chitarrista lo notò, si limitò a sorridere di riconoscenza. Gerard iniziò a camminare all'indietro, ben attento a dove metteva i piedi, e scese le scale laterali del palco con Frank al seguito.

 

 

 

You'll never make me leave, I wear this on my sleeve.
Give me a reason to believe.

 

 

 

Uno degli addetti ai traslochi avvicinò Mikey e gli disse di aver trovato cassetti di una scrivania, dietro le quinte, pieni di cianfrusaglie. La scrivania era più facile da spostare senza niente dentro, quindi invitò il bassista a svuotarla.

Per pura coincidenza, ogni cosa all'interno dei cassetti apparteneva a lui. Era sicuro che gli altri nemmeno avessero mai notato quella scrivania di metallo verde: nascosta in un angolo del retro, sommersa dagli oggetti di scena, giacche altrui, borse, a volte vassoi con sopra tazze di caffè – e di caffè ne girava tanto lì durante le prove. Era sempre passata inosservato, come se non esistesse, nessuno l'aveva mai degnata di uno sguardo. Tranne Mikey. Sarà stato perché lui era sempre, sempre attento ai dettagli. Oppure perché sapeva come ci si sentiva ad essere quello invisibile.

Dopo anni di lavoro in quel locale, sapeva che nessuno avrebbe mai ficcato il naso nei cassetti della scrivania, così iniziò ad ammassarci dentro le sue cose. Ci ritrovò dentro ricevute varie, appunti di canzoni che non aveva mai finito di scrivere, il suo vecchio cellulare – sepolto lì dopo essere deceduto -, un paio di vecchie foto di una vacanza con Alicia e un plettro.

 

 

 

What's the worst that I can say? Things are better if I stay...
So long and goodnight, so long and goodnight.

 

 

 

Già. Il plettro rosso, quello con il nome “Mikey” inciso in viola. Il ricordo di come se lo ritrovò di nuovo tra le mani, era nitido nella sua mente. Era successo sette anni fa: alla fine di un concerto, aveva lanciato quel plettro lontano, tra il pubblico. Aveva distrattamente visto una piccola massa di gente accanirsi sul punto in cui cadde, prima di lasciare il palco insieme al resto della band. Due anni dopo, con al collo un passi per il backstage, entrò in camerino una ragazza. Lo fissò con gli occhi pieni di lacrime di commozione, la bocca che smaniava per poter urlare ma la gola che sembrava voler far morire ogni suono. Prima che Mikey potesse dire alcunché, la fan gli porse una cosa piccola che riponeva nella sua mano candida: il plettro rosso. Il bassista non riusciva a dare un senso a quella scena, così lei glielo spiegò. Era riuscita a tenere il plettro per sé nel concerto di tre anni prima, l'aveva conservato come portafortuna, custodito con cura. E, all'alba di un nuovo concerto dei My Chemical Romance, era andata a cercare Mikey Way per riportarglielo. Disse “Si tiene un cimelio di una leggenda per poter mantenere vivo il suo ricordo. Per avvicinare un artista e il suo discepolo. Ho tenuto questo per tre anni, ho permesso solo a lui di far muovere le corde del mio basso. Ora tienilo tu, per ricordarti di me”. Mikey era senza parole. “Giralo” ordinò quieta la ragazza. Lui ubbidì e voltò il plettro, trovando sull'altra facciata, un nome scritto a penna sotto al suo. Rosy.

Così, per la prima volta nella storia della musica, un plettro regalato alla folla era tornato nelle mani del musicista. Aveva funzionato: Mikey ricordava ancora benissimo Rosy. E - mentre svuotava il cassetto della scrivania e si infilava il plettro nella tasca dei jeans -, pensò a come lei potesse aver reagito alla notizia che la band aveva dato online. Per un attimo, desiderò poterla rivedere a dirle che gli dispiaceva. Una ragazza con occhi tanto grandi da vedere persino lui, il bassista invisibile, non meritava di vedere la fine dei suoi eroi. Effettivamente, nessuno lo meritava.

 

 

 

So shut your eyes, kiss me goodbye... and sleep.

 

 

 

La voce di Ray fece capolino dalle quinte e gli disse, con fare pensieroso, che avrebbero dovuto fare un colpo di telefono a Bob. Mikey lo guardò con la coda dell'occhio e si ripromise di scriverlo da qualche parte, o avrebbero finito per dimenticarselo.

Difficile dimenticare qualcosa quando non ti rimane molto altro da fare”

Sorrise di malinconia. Anche se non fosse stato evidente che quella era la realtà, Ray difficilmente si sbagliava. Solo allora Mikey lo ricordò: pochi mesi prima, era stato proprio Ray a prendere l'ultimo tiro di sigaretta, fissare le stelle in terrazzo e dirgli “Sono i giorni migliori della nostra vita”. [1] Il modo in cui quelle parole uscirono dalla sua bocca, tra le scie di fumo e un sospiro rassegnato, fecero recepire a Mikey una qualche sorta di fine. Ray non l'aveva detto a causa di un litigio – tra Gerard e chiunque altro essere in grado di respirare, ovvio -, un articolo di giornale negativo sui My Chemical Romance, o un sentore di fallimento della band. Era solo uscito in balcone a fumarsi una sigaretta quando Gerard aveva chiesto a tutti una pausa. E lì - nel buio di quella sera, nella piena tranquillità, nel silenzio, nel placido scorrere della loro carriera -, Ray aveva capito che tutto stava per finire. Perché dirlo proprio a Mikey? Forse perché il tono in cui lo disse – il messaggio che voleva esprimere -, era un dettaglio che solo lui avrebbe compreso.

 

 

 

I'll remember your eyes when you’re gone.

 

 

 

Non ci volle molto a smantellare tutto e portare la roba di sotto, appena un paio d'ore.

Era balenata nella testa di Frank l'idea di proporre agli altri di suonare ancora una volta, tanto per chiudere quella giornata in lacrime – le sue lacrime, prima di tutto. Ma, anche se tutti non avessero iniziato a svuotare il locale prima dell'arrivo del bassista e il frontman della band, sapeva che sarebbe stata una pessima idea. Per tutti loro era già abbastanza difficile essere lì, probabilmente nemmeno avrebbero organizzato quella rimpatriata se Mikey non avesse insistito. Avevano passato quel paio d'ore a spostare oggetti, scambiandosi poche parole. Era evidente che non si sarebbero dati ai sentimentalismi, quindi la richiesta di Frank sarebbe stata inutile. Ma lui non poteva evitare di sentirsi uno schifo per non aver saputo cosa sarebbe successo, ai tempi dell'ultima prova, dell'ultima registrazione, dell'ultimo concerto. Era come se avesse abbracciato un vecchio amico senza sapere che sarebbe stato l'ultimo abbraccio: una sensazione che non riusciva a sopportare. Avrebbe dato qualunque cosa per far vibrare ancora Pancy davanti a tutti i fan di quella band – non un'altra, quella. Avrebbe dato qualunque cosa per alzare gli occhi dalle corde e notare, a sorpresa, che Gerard lo stava guardando mentre cantava a squarciagola.

 

 

 

So takes your gloves and get out.

Better get out! While you can...

 

 

 

Un ultimo giro di perlustrazione per essere sicuri di non aver dimenticato nulla, e i membri della band furono liberi di andare. Ray chiuse la porta del locale, consegnò la chiave al proprietario e il brav'uomo augurò a quei ragazzi ogni bene.

E, in un attimo, si trovarono tutti e cinque di nuovo nell'ascensore. Nessuno guardava nessuno, aspettavano soltanto che le porte si aprissero per essere liberi dalle mura strette e da quel silenzio soffocante.

Ti sei rifatto i capelli neri” [2]

Gerard buttò fuori l'aria dai polmoni silenziosamente. “Già” rispose pacato a Frank.

Non gliel'aveva mai detto, né mai l'avrebbe fatto probabilmente, ma Frank lo preferiva di gran lunga con i capelli neri. Era quello il suo colore, la sua identità. E, soprattutto, quei capelli corvini lo facevano sembrare più giovane. Due ore prima, Frank era rimasto pietrificato nel rivedere il tipo strano che gli aveva insegnato come mettere bene l'ombretto rosso intorno agli occhi. Sembrava essere tornato al principio, a dodici anni fa. Ed era l'immagine straziante per eccellenza.

Dopo otto piani, finalmente l'ascensore li riportò con i piedi per terra – in ogni senso possibile.

 

 

 

'Cause the hardest part of this... is leaving you.

 

 

 

Di nuovo sul marciapiede davanti al palazzo, ognuno di loro – nella segretezza della loro mente – desiderò che uno studio di registrazione a Los Angeles fosse l'unica cosa a cui dire addio quel giorno.

L'uno di fronte all'altro. A guardarsi negli occhi. Senza sapere cosa dire.

Umh...”

Allora...”

Insomma...”

Oh, non rompete i coglioni adesso!” sbottò Mikey, prima di tirare a sé Frank e stringerlo forte. Fece la stessa cosa con tutti gli altri: abbracciò anche Gerard, nonostante lui dovesse riportarlo a casa. L'aveva spinto l'emozione del momento, probabilmente.

Con una risatina incredula, appena Mikey si staccò da lui, anche Frank abbracciò gli altri, e così anche Ray, Gerard, persino Jarrod. Diventò il loro primo e ultimo momento di affetto senza riserve, fuori dal tempo, dallo spazio, da qualunque discussione li avesse portati a dire “Basta”. Erano sempre stati molto cocciuti l'uno con l'altro. Si volevano bene, ma scannarsi ogni giorno per le più piccole cose era diventato stancante per il loro affetto.

Jarrod scappò subito in macchina: pranzo di lavoro.

Già. Era tempo di tornare alla vita reale. Al mondo che, se ti attacca quando non ci sono testimoni, ti ferisce dieci volte più in profondità.

Ray aveva parcheggiato l'auto dietro l'angolo. Frank disse di essere venuto a piedi. Quando Gerard gli offrì un passaggio, rispose di aver davvero bisogno di camminare un po'. E, mentre lo diceva, Gerard si lasciò andare a quello sguardo che mai gli aveva rivolto in pubblico. Non perché fosse un'espressione particolarmente chiara e definita. Più semplicemente: quei malinconici e profondi occhi verdi, erano dedicati esclusivamente a Frank.

 

 

 

I just wanted you to know...

that the world is ugly, but you're beautiful to me.

 

 

 

Sapevano perfettamente che non avrebbero più avuto occasione di dire qualunque cosa volessero dirsi. Eppure, non aprirono bocca. Si rivolsero uno sguardo conscio, arrendevole, spaventato. E tacquero.

Gerard Way entrò in auto per sedersi al posto del conducente e ignorò gli occhi compassionevoli di Mikey dal sedile anteriore. Quello era un altro dettaglio che solo lui aveva notato.

Fine conclusa, processo terminato. Nuovo capitolo, nuovo programma per i giorni futuri. Nuove albe di cui scrivere, suonare, cantare. Avrebbe dovuto essere eccitante.

Allora perché sembrava così vuoto un domani senza la loro musica?









Scrivere le note è una cosa che odio, ma in questo caso mi sembra inevitabile:
[1] La citazione è di una scena di I love Radio Rock, è una frase a cui ho pensato ogni volta che ho sentito finire una fase della mia vita.
[2] Non ho idea di quando Gerard si sia tinto i capelli di nero, l'ho scritto tanto per puntualizzare che anche a me piace molto di più al naturale ^-^

Finalmente sono riuscita a pubblicare questo testo e posso morire in pace (tanto ormai...)
Direi che ci rivediamo alla prossima.
Stay strong.

V

  
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