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Autore: l_s    12/01/2008    1 recensioni
una ragazza ridotta ad un fantoccio, una scatola vuota, da un destino crudele che ella stessa ha scelto per sè; forse una debole, che si è arresa invece di continuare a combattere...cambierà idea o continuerà a crogiolarsi nel cupo torpore della sua apatia?
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Non avrebbe saputo dire quale giorno fosse, né quale mese o anno. Non che le importasse. Le giornate trascorrevano lente e monotone, una scivolava nell’altra senza alcun apparente cambiamento. Del resto, quello era il destino che lei stessa aveva scelto, firmando la propria condanna ad una sopravvivenza passiva senza dolori, gioie o emozioni. Chissà da quanto viveva così… Non riusciva a ricordare la sua vita passata, quella piena di sentimenti, di speranza e ottimismo.
Una voce semisconosciuta la chiamò, con quel surrogato del suo nome che tutti laggiù credevano le appartenesse.
 “Any” le disse, mentre lei sollevava leggermente il capo dal rifugio delle ginocchia, “come va? Sei bellissima oggi!”.
Era una delle sue pseudo-ammiratrici, ragazzine che si atteggiavano da alternative e che avevano trovato in lei il loro vitello d’oro da idolatrare. Probabilmente pensavano che si facesse di eroina, il che alle loro menti bacate appariva decisamente figo.
“Guarda!” continuò imperterrita quella, “mi sono fatta i capelli come i tuoi!” esclamò indicando orgogliosa la frangia che le copriva quasi interamente gli occhi. Any non rispose, ma nessuno se ne stupì: da lungo tempo non lo faceva più, e le fan che lei non distingueva nemmeno erano quasi le uniche che osavano avvicinarla. Intimoriva e non era nemmeno una compagnia molto interessante, a dirla tutta, sempre protetta da quelle infrangibili mura di indifferenza. Non era stato un avvenimento particolarmente sconvolgente a fargliele erigere, come spesso succede, ma il disprezzo crescente verso quel mondo piatto e ipocrita, il disgusto per la gente crudele che tutti i giorni usciva di casa celando il volto e travestendosi da persona gentile. Il fuoco generato dalla sua ira l’aveva dapprima accesa, illudendola, come una giovane candela che sprizza allegra la sua prima scintilla, poi scottata e consumata. L’ira avvelena, le avevano detto, ma lei lo aveva compreso troppo tardi, e a sue spese. E il piccolo mozzicone si era ricoperto di uno spesso strato della sua cera, per impedire di essere del tutto divorato da quel fuoco violento ed ingordo.
 Si alzò a fatica, come faceva sempre, e si trascinò di nuovo in mezzo alla folla, a testa china, barcollando pericolosamente ad ogni passo, ma nessuno si preoccupò di lei: era un contenitore vuoto, un fantoccio di carta e chi le aveva parlato almeno una volta stentava a credere che un cuore avesse mai battuto nel suo petto. Ma una piccola sagoma affiorò e sfuggì a quella massa indistinta e subito Any la riconobbe: era Marta. Si fermò, per andare incontro ad una bellissima bambina sui cinque anni, che saltellava allegra verso di lei. Per quella creatura sfoderò la cosa più simile ad un sorriso che ancora possedeva. I bambini erano gli unici esseri puri e incontaminati in quel mondo: crescendo, venivano avvelenati dalla stoltezza dei ‘grandi’ e la loro semplicità naturale annientata. Di questo era convinta, mentre ricordava il tenero pianto di Marta, la sua cieca fiducia in un’estranea mai incontrata prima, e la sua dolce risata quando finalmente erano riuscite a trovare la sua mamma.
Riuscì appunto a distinguere vagamente la genitrice, impettita e impellicciata, che, altezzosa, guardava sua figlia con aria interrogativa, prima di rivolgere ad Any un’occhiata di puro disgusto e trascinare via la bambina urlante. Any si voltò e procedette per la sua strada, per niente colpita da quel gesto. Non ne soffrì. Solo gli esseri viventi soffrono nel nostro mondo, e lei non lo era più. Era soltanto un fantasma, un’ombra di ciò che era stata. E, poco dopo, le sue gambe la condussero alla casa dei suoi. Vi entrò, chiudendosi la porta alle spalle, senza una parola e, al buio, si recò in cucina, dove trangugiò un po’ della cena che sua madre le aveva lasciato, senza gustarla, come al solito. Si sollevò lentamente, senza fare alcun rumore e si trascinò in camera sua. Benché non ci vivesse affatto, la stanza la rappresentava bene: le pareti anticamente scarlatte erano state ricoperte da un furioso strato di vernice biancastra, la lampadina fulminata non era mai stata cambiata e manteneva la stanza in una penombra perenne. L’ordine perfetto era inquietante: nessun poster adornava le pareti, nessun vestito spuntava dall’armadio freddo e metallico, unico mobile della stanza ad esclusione del letto duro, senza cuscino, ricoperto da un copriletto nero. L’aria era intrisa di una tale desolazione ed agonia da rendere impossibile a chiunque tranne che alla proprietaria sostarvi per più di due minuti senza cadere in una depressione profonda. Any si sfilò con calma i vestiti, riponendoli immediatamente nell’armadio. Il suo corpo esile e pallido riluceva nell’oscurità; avrebbe fatto invidia a tutte le aspiranti anoressiche, ma era passato molto tempo dall’ultima volta che qualcuno lo aveva guardato con più interesse di quello di una bambola di porcellana. Indossò il pigiama e si recò in bagno per lavarsi. Intrappolò i capelli in un elastico e sollevò i lunghi ciuffi che le coprivano gli occhi. Lo specchio le restituì un’immagine che lei nemmeno guardò: quella di una giovane ragazza privata di una bellezza che sicuramente aveva posseduto. Degli intensi occhi verdi, brillanti e intelligenti non rimanevano che due vacue imitazioni; il verde era rarefatto e debole e l’unica cosa che vi si poteva leggere era il vuoto dell’anima. Ricordava ancora la reazione di sua madre quando li aveva visti per la prima volta, il suo viso pallido e i suoi occhi sbarrati e terrorizzati che l’avevano fissata, poco prima che la donna si accasciasse al suolo, singhiozzando di aver perso sua figlia. Any era consapevole del dolore creato, ma era convinta che di lì a poco sarebbe scomparso, cancellando il suo ricordo dall’altrui memoria. E con la mente svuotata da qualunque pensiero, si sdraiò nel letto e scivolò in un sonno leggero, solo per rialzarsi poche ore dopo per andare a scuola. Quando uscì di casa, l’aria fredda le sferzava il viso senza che lei se ne accorgesse. Camminava come sempre, con quella lentezza esasperante e senza alcuna volontà, barcollando e lasciando una scia rossa e luccicante alle sue spalle. Arrivata nella sua classe, si sedette come sempre all’ultimo banco. Passava le lezioni appoggiata allo schienale della sedia, a guardare il banco, senza parlare con nessuno e spaventando tutti. I professori la interrogavano solo quando non potevano farne a meno e la rimandavano a posto poco dopo con la solita sufficienza stentata che riusciva sempre a strappare, essendo stata una studentessa brillante. Avevano persino cercato di farle tagliare i capelli, all’inizio, per poterle vedere gli occhi, tentativo che, ovviamente, si era rivelato vano, dato che sua madre aveva prontamente sconsigliato il provvedimento. Al trillo della campanella uscì dall’edificio, recandosi nel solito vicolo buio e gettandosi a terra con il capo reclinato sulle ginocchia. Ancora una volta una sua fan l’avvicinò, dichiarando emozionata di volerle presentare un ragazzo fighissimo il cui nome era Mike. Any scrollò le spalle con aria indifferente e si preparò a vedere questo tizio. Probabilmente pensavano di aver trovato un ‘compagno’ degno della loro dea. Sollevò il capo a guardarlo: era uno dei tipici bei ragazzi che non sanno di niente con la fama di donnaioli incalliti e ai quali tutte le femmine sbavano dietro, pensò freddamente. Mike le tese una mano e, con uno sguardo e una voce che a lui evidentemente sembravano seducenti, si presentò: “Io sono Mike” disse “felice di conoscerti, permettimi di dire che sei bellissima” continuò, con un sorriso che doveva essere sexy, perché le sue fedeli ammiratrici lanciarono un gridolino emozionato. Qualcuno, più saggio di altri, scosse la testa, scettico, a quel goffo tentativo di sedurre un fantoccio. Any gli strinse la mano senza fingere alcun interesse, il che, a quanto pareva, risultò ancora una volta figo al suo interlocutore, che la guardò ammirato e le si sedette di fianco, esaltato come se fosse stata lei ad invitarlo. Cacciate le sue fan, infatti, cominciò a parlare a vanvera e a vantare le sue innumerevoli doti in tutti i campi, mentre Any nascondeva ancora una volta il volto con i capelli e lo ignorava deliberatamente.
Quando Mike smise di parlare, il sole era già sceso e lui scrutò il vicolo, felice di trovarlo deserto. Le si fece più vicino, appoggiando una mano sul suo braccio livido, e le chiese se non avesse freddo. Any fece cenno di no con la testa, egli ancora non sapeva che lei non provava alcuna sensazione. Lui ignorò la risposta e si avvicinò ancora, negli occhi un’espressione folle e bramosa che la ragazza non conosceva: il rituale era terminato. Le sue mani, ora più decise e pesanti, spinsero a terra le ginocchia di Any, fino a tenderle le gambe. Premette il proprio corpo contro il suo, quasi con furia, e spinse la propria testa nell’incavo del collo di lei, il respiro accelerato e irregolare. Il sudore gli imperlava la fronte e grondava lungo le sue guance, e la sua bocca, avida e bagnata, si aprì per baciare la pelle pallida di lei, procedendo verso l’agognato traguardo del volto, lasciando una viscida scia dietro di sé. La passiva sopportazione della ragazza, venne interpretata come totale sottomissione, e il ragazzo continuò, eccitato e brutale, fino a violare il puro biancore della guancia e la serena castità delle labbra. Ma la quasi sconosciuta non reagì, e la lingua di lui marciò trionfante in quella nuova bocca arrendevole, mentre le mani pesanti e cupide stringevano con forza quei fianchi magri. Si staccò da lei per respirare, con affanno, la soddisfazione evidente sul volto e finalmente ella fu libera di andare, di cedere al sonno illusorio che avrebbe congiunto quella sera con le successive, in cui la brama del ragazzo sarebbe stata ancora soddisfatta.

   
 
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