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Autore: Rieper    30/06/2013    5 recensioni
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[Skyrim]La vera storia di come presi quella maledetta freccia nel ginocchio
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"...Erano oramai due ore che mi ero addentrato nella grotta. L'unica fonte di luce era la torcia che tenevo con la mano sinistra e oramai era quasi consumata per metà. Dovevo prendere una decisione, o andare avanti e sperare di trovare un altra uscita o lasciare perdere e tornare indietro subito.

Mentre ero lì a rimuginare sulla cosa un urlo disumano proveniente dalle mie spalle decise per me. Non mi ero addentrato nemmeno per la metà nel piano superiore e quindi immaginavo che ci fossero ancora diversi sarcofaghi aperti con i loro occupanti risvegliati che si aggiravano in cerca di chi aveva tentato di forzare il forziere principale...avevo scazzato! Erondar mi aveva assicurato che il suo grimaldello magico avrebbe funzionato su tutte le serrature che avessi potuto trovare...bastardo di un elfo dei boschi! Mi sarei preso un paio delle sue dita al mio ritorno!

Svoltai in una galleria secondaria, tentando di rimanere fuori dalla vista del pozzo principale. Sentivo quelle cose avvicinarsi e non mi andava proprio di finire come molti degli avventurieri che adornavano la grotta con le loro ossa.

Girato l'angolo mi ritrovai in una sala con le pareti di legno ammuffito con al centro una fontana che prima del passaggio di altri saccheggiatori doveva essere riccamente intarsiata, buttava fuori una fanghiglia verdemarrone che nel corso degli anni aveva formato una patina di una trentina di centimetri lungo tutto il pavimento.

Avanzai circospetto verso l'apertura che intravedevo sul fondo quando improvvisamente una mano rattrappita spuntò dalla melma trascinandosi dietro quel che rimaneva di un cadavere. Alcuni pezzi d'armatura ancora penzolavano dalle cinghie fissate ai pezzi di carne e muscolo che restavano miracolosamente attaccati a qualche osso. La creatura girò il suo teschio verso di me e potrei giurare che la bastarda sogghignò mentre si trascinava con una vecchia clava tra le dita ossute.

Impugnai la spada, una mazza sarebbe stata più adatta ma quel bastardo di Erondar mi aveva assicurato che lì sotto non avrei incontrato scheletri...non so quante dita gli sarebbero rimaste.

L'abominio tentò di sferrare un colpo sul braccio che reggeva la torcia ma scansai agevolmente il grosso pezzo di legno. Con un movimento ampio tentai di dislocare una gamba della creatura per lasciarla ricadere ad annaspare nella melma mentre guadagnavo l'uscita. Un lampo azzurrognolo fermò la lama a una decina di centimetri dal bersaglio e la respinse facendola vibrare. Magia. Merda! Se c'era di mezzo la magia ero nei casini! Di per sè esseri come quello non sono un grosso problema ma se in possesso di armi o armature incantate il discorso cambia.

Fissai le orbite vuote dello scheletro e arretrai mantenendo una distanza di sicurezza dai potenti, ma poco precisi, colpi che venivano sferrati fendendo l'aria.

Uscito dalla stanza avevo quella cosa alle calcagna e, peggio ancora, continuavo a sentire le urla stridule dei Draugh del piano di sopra che si avvicinavano minacciose. Cominciava a mettersi male.

Corsi a perdifiato per le diverse camere ricavate nella roccia dura della montagna, ma sapevo benissimo che le creature negromantiche avrebbero continuato a inseguirmi finchè mi ritrovavo nel raggio d'azione di chi le manovrava.

Dopo una decina di minuti dovetti fermarmi a rifiatare, ero all'apparenza in quella che una volta doveva essere stata una cappella di preghiera a qualche Dio, le statue erano riverse spezzate al suolo. Non si riusciva a capire cosa raffigurassero dato che le diverse parti erano ridotte in pezzi piccolissimi e mischiati tra loro. Chi si era accanito con tanta foga sulle raffigurazioni non doveva nè amare molto gli dei nè aver paura della loro collera. Stavo per riprendere la mia fuga quando da sotto uno dei pezzi di marmo più grossi mi accorsi che proveniva una tenue luce.

Tentando muovermi più velocemente possibile spostai di qualche millimetro le macerie più grosse e notai che ad emettere la luce era una pietra liscia come quella di un greto del fiume e grande come una moneta. Decisi di raccoglierla e portarla con me, se fossi riuscito a tornare vivo magari questo viaggio non sarebbe stato totalmente inutile. Come sfiorai la pietra mi apparve nella mente l'immagine di un vecchio mendicante

"Akatosh E'Ruku Nie Se?" disse guardandomi con un espressione stralunata "Ekki Esatamani Ossu Des!"

Maledissi le lingue arcaiche, maledissi la magia e mi maledissi un po' da solo per non essere entrato nella gilda giusta invece di aver fatto la mia scelta con i postumi di una notte trascorsa a bere sidro caldo in taverna...

La figura eterea continuava a seguirmi fluttuando mentre correvo per i labirintici corridoi e continuava a mormorare la sua litania che insieme alle urla dei miei inseguitori mi stava rendendo quantomeno agitato.

Qualcosa mi colpì al petto e mi buttò lungo disteso. La torcia rotolò in terra proiettando lunghe ombre sulle pareti del cunicolo e rendendo tutto molto confuso.

Scorsi nel buio diversi puntini luccicanti che ringhiarono nella mia direzione sbavando mentre strisciavo per recuperare la luce. Imbracciai lo scudo e maldestramente riuscii a rimettermi in piedi quando ricevetti un altro forte colpo che per mia fortuna cozzò sul ferro dell'armatura.

Calciai la torcia tra me e loro e capii che sì, probabilmente ero arrivato al termine del mio viaggio. Davanti a me c'erano i corpi putrefatti di quelli che in secoli passati dovevano essere stati una tribù di goblin. Pallide caricature malformate di quello che i più fieri orchi rappresentevano, circa una ventina, si ammassavano intralciandosi a vicenda nella mia direzione e fermandosi a qualche metro dalla luce della torcia, che evidentemente era l'unica cosa che mi separava da una morte non certo piacevole. Qualcuno di loro tentava di tirare verso di me con delle rozze fionde ma fortunatamente la maggiorparte dei colpi andava a vuoto.

"Akatosh Hukka De Ost Lumin! Akatosh!" Lo spettro prese a volteggiarmi intorno "Akatosh! Akatosh!"

Puoi immaginarti la situazione, stavo lì a diversi metri sottoterra in una grotta tombale dimenticata da secoli, con dei Draugh e uno scheletro incantato alle spalle, una tribù marcescente di goblin davanti che non mi stava sventrando ancora giusto perchè l'unica torcia che avevo sarebbe durata una decina di minuti e uno spettro di chissà cosa che continuava a volteggiarmi intorno mormorando in una lingua che era stata parlata l'ultima volta da qualcuno secoli prima che io nascessi...Non mi vedevo bene, non mi vedevo bene per nulla.

Iniziai a raccomandare l'anima agli dei mentre altri colpi fischiavano sbattendo sulla parete alle mie spalle, quando lo scheletro fece capolino dalla fenditura alla mia sinistra capii che non avevo più speranze...mi balenò in mente che mi spiaceva di non poter tornare da Erondar per appendermi al collo tutte le sue dita, lo desiderai con tutto me stesso mentre tentavo di colpire il collo scheletrico col bordo dello scudo.

"AKATOSH DOBBA ESTA MI ERDE FOL!"

Un grande lampo azzurro scoppiò nella sala e se quella era la morte, pensai, almeno era stata veloce. Riaprii gli occhi e davanti a me c'era un grande spazio bianco con una strada che si snodava verso quella che sembrava una porta, il mendicante spettrale rimaneva silenzioso a fissarmi dall'alto:

"Mi capisci ora ragazzo?"

"S-sì ora sì"

"Hai desiderato una cosa e per il potere concessomi da Ordecai, sarà esaudita. Ma per ogni cosa c'è un giusto prezzo...ricordalo sempre negli anni che ti restano."

"Cosa...Cosa significa? Quale desiderio? Quale prezzo? Chi sei e cos'è Ordecai?"

Rimase lì per un tempo indefinito, qualche metro sopra di me, a fissarmi senza dire una parola, mi indicò solamente la porta. Mi incamminai con lui che mi seguiva lento, dall'alto e l'aprii.

 

"...rate! FUOCO!"

Le frecce fischiarono intorno a me, quando mi accorsi che un paio di loro erano impiantate nella mia carne urlai forte. Ero all'interno del campo d'addestramento del castello. Svenni.

Mi spiegarono in seguito che ero apparso in un lampo azzurro mentre gli arcieri stavano facendo pratica utilizzando mucchi di fieno. Una freccia mi aveva trapassato il ginocchio spezzando ossa e legamenti e facendo terminare la mia carriera di avventuriero. Ero finito. Mi rimaneva giusto un posto nella guardia cittadina, in fondo Erondar non poteva più impugnare nulla senza le sue dita che portavo a mò di collana..."

  
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