Videogiochi > Kingdom Hearts
Ricorda la storia  |      
Autore: Elsa Maria    30/06/2013    5 recensioni
Nessuno sa spiegarmi come si può perdere la felicità da un giorno ad un altro, sempre considerando che questa esista? Chi priva l’uomo di quella finta felicità che si è creato, mettendogli di fronte la più dura realtà, come per punirlo di aver profanato quello stato d’animo inesistente ed irraggiungibile?
Queste sono le domande che si pone Roxas, dopo aver perso l'unica cosa che lo rendeva felice.
--------
One-shot arrivata 3^ al contest: Hikari [a Kingdom Hearts Contest]indetto da Audrey_24th
Buona lettura.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Roxas, Xion
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH 358/2 Days
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Happines
 

Nessuno sa spiegarmi come si può perdere la felicità da un giorno ad un altro, sempre considerando che questa esista? Chi priva l’uomo di quella finta felicità che si è creato, mettendogli di fronte la più dura realtà, come per punirlo di aver profanato quello stato d’animo inesistente ed irraggiungibile?

Una fitta e infermabile pioggia ricadeva su Toyooka, una delle tante città del Kansai. Riparato dalla macchina, sul sedile posteriore, sedeva un ragazzo che aveva perso tutto ciò che lo rendeva felice. Intento a giocherellare con un oggetto che teneva tra le mani, sconsolato e privo di volontà, guardava oltre il finestrino, tenendo il gomito poggiato sul bracciolo dello sportello e il mento sorretto dalla mano. Sospiri riempivano il silenzio nel veicolo –gli unici suoni erano quelli delle ruote che correvano sull’asfalto coperto d’acqua, dei tergicristalli che si muovevano sul vetro e della pioggia che cadeva sull’auto-. L’autista, stanco di sentire l’insopportabile ticchettare delle gocce sul tetto della macchina, accese la radio, girando la manopola del volume per alzarlo; il canale radio era impostato sulla stazione locale, la presentatrice parlava  di un incidente accaduto quella mattina, che aveva causato la morte del conducente del camion colpito e il passeggero dell’altra auto.
“Morte, morte… Morte da per tutto.” Borbottò l’uomo al volante, cambiando stazione radio. Questa volta si sentì la pubblicità di un ristorante.
Il vetro del finestrino si appannò ed il ragazzo iniziò a disegnare cerchi sulla superficie.
“A sinistra, caro.” Disse con voce gentile la donna seduta sul posto del passeggero davanti. Il rumore intervallato delle frecce, poi le ruote girare e riprendere la corsa con più velocità.

Come può una persona scomparire, senza spiegazioni, in un luogo a noi sconosciuto? Un’essenza non può svanire nel nulla, eppure accade, perché? Voglio capire, ma non capisco…
Ti rivoglio indietro…


La pioggia si fece ancora più forte. Alcune persone per la strada camminavano tranquillamente protette dall’ombrello; altre, invece, si affrettavano a trovare un riparo, usando inutilmente giacche e borse, ormai zuppe.

Molti tra questi meritano la morte più di lei… E’ ingiusto. Perché c’è  la morte quando nessuno è tanto onnipotente da decidere tale fine per gli altri? In questa società tirannica, come può esistere la felicità, se la continua paura della fine di tutto soggioga i cuori fragili degli uomini?

Sotto un semaforo, che li fece fermare perché segnava rosso, sedeva una donna, coperta da tessuti leggeri, mentre accarezzava un cane bianco, completamente sporco, accostato al suo petto, sotto le stoffe.

Quale felicità può risiedere in un mondo in cui il denaro è il potere che sorregge la società?
La felicità è solo una mera menzogna.


L’automobile frenò, davanti una casa bianca, dal tetto marroncino, quasi arancio. Un piccolo cortile era tra il basso cancello di legno e la porta d’ingresso. L’erba bagnata, fiori con il gambo piegato a causa della pioggia che sempre più forte cadeva dal cielo. I tre uscirono dall’auto. Il ragazzo, che indossava un completo nero, aprì come gli altri, l’ombrello. Attraversarono il piccolo viale che conduceva alla porta e suonarono il campanello della casa. Una donna in lacrime, con un vestito blu notte dai bottoni argento sul petto e un orlo di pizzo grigio, aprì, tamponandosi gli occhi con un fazzoletto di stoffa. Fece accomodare gli ospiti, dopo avergli stretto la mano.
“Se volete rivolgere le vostre preghiere, la sala in fondo.” Indicò il punto in cui altre persone, non molte, erano radunate. Tutti con completi di lutto sedevano in ginocchio, con le mani congiunte, pregando davanti il santuario allestito. Il ragazzo si fece da parte, in un angolo della stanza, con la testa bassa e lo sguardo vuoto. Il suono del campanellino per iniziare la preghiera, il profumo d’incenso che si disperdeva nell’aria aveva un aroma d’arancia e cannella; la foto del defunto padroneggiava al centro dell’altare.

Xion…

Quel nome riecheggiava nelle menti dei presenti, nella mente del ragazzo.

Quante persone in questa stanza sono felici?

La tristezza colmava gli animi. Ogni tanto un singhiozzo interrompeva il silenzio angosciante che continuamente si insinuava fra i presenti.
Non arrivarono altri ospiti e una volta concluse le preghiere, tutti fecero le condoglianze alla famiglia, congedandosi per non arrecare altro disturbo. Il ragazzo, uscendo dall’angolo oscuro in cui si era posizionato, andò davanti l’altare, cadendo in ginocchio.
“Come sta vostro figlio? Si è ripreso?” Chiese la donna che li aveva accolti ai due adulti che erano arrivati con il giovane. La moglie della coppia scosse la testa, avvilita. “E’ ancora molto scosso, sembra aver perso vitalità.”
“Immagino. Era molto affezionato a mia figlia… -qui scappò un singhiozzo, annunciatore di un altro pianto- L’andava a trovare ogni giorno, lo so bene; è anche grazie a lui che ha potuto raggiungere il Nirvana con il sorriso sulle labbra e l’anima in pace.”
“Sono contenta di sentire queste tue parole.” Le mise una mano sulla spalla. “Non piangere, lei non lo vorrebbe.”
“Lo so, lo so.” La madre della defunta si asciugò le lacrime. L’altra, invece, lanciò un’occhiata al ragazzo nella sala. –Se solo quel suo amico fosse qui, gli darebbe conforto.- Pensò sempre più preoccupata per la sorte del figlio.
 
Sorrideva spesso in questo modo.

La foto della defunta la rappresentava chinata sulla sabbia, intenta a raccogliere una conchiglia, sorridente all’obbiettivo, con i capelli neri legati in un nastro azzurro, come il costume a due pezzi dai pois bianchi; anche se nell’immagine gli occhi erano chiusi, il ragazzo ne ricordava ancora la luce di spensieratezza che si celava dietro l’iride azzurra.
Fece tintinnare la campanella, congiunse le mani e iniziò l’orazione.

Non sono dell’idea che pregare serva a comunicare con i morti, ma quando non hai altro in cui credere ti affidi anche alle cose che hai sempre ritenuto banali, proprio come io sto facendo adesso. Cosa dire ad un morto? Spero tu sia felice dovunque ti trovi… Non ho il diritto di augurare felicità, non sapendo neanche cosa sia, dubitando se essa esista; è un atto ipocrita. Xion tu non mi hai mai spiegato cosa fosse la felicità, qualche volta me l’hai detto rimanendo sul vago, mi hai anche citato una frase; eppure lo sapevi bene, per lo meno affermavi di essere felice. Ora però chi potrà rispondere a questa mia domanda? Ormai io ho rinunciato a cercare risposte, che generano in me solo altre domande; ironico, non trovi? Dall’ultima volta che mi hai guardato negli occhi, ancora fiduciosa che potessi guarire dal tumore, sono passati tre giorni nei quali mi sono chiesto, guardando fuori dalla piccola finestra della soffitta, quella dove andavamo spesso a giocare quando facevamo le elementari: perché tu e non un altro? Persino io meritavo la morte più di te, perché proprio un’anima buona e gentile come la tua? Chi decide la morte e la vita delle persone… Troppe, troppe domande, sento che da un momento all’altro potrei sprofondare e il tuo sorriso non è con me, pronto a risollevarmi come succedeva sempre; noi stessi dovremmo scegliere la morte per noi stessi, io la penso così, ma ciò tu lo sai bene, hai sempre intuito cosa pensassi, cosa provassi. Visto che mi trovo qui, a rimuginare su me stesso, fingendo di parlarti, ti volevo dire anche che Axel, come ben sai, è partito per Tokyo; quando l’ho chiamato non sapeva neanche della tua morte, ma d’altronde perché preoccuparsi della tua scomparsa? Sotto un certo punto di vista lo invidio, lui non deve provare tutto questo dolore, costretto a sopportarlo in solitario; mi fa solo che rabbia. Comunque, tua madre mi ha dato la conchiglia, come le avevi chiesto, riferendomi anche il messaggio: “Vivi la tua vita, guarda avanti, i morti sono il passato, i vivi il presente.” Quanto sono vere queste tue parole, ma io non riesco proprio ad andare avanti, per lo meno non me la sento. Cosa sono io adesso che l’unico punto bianco che era sulla tavola nera, quello che teneva vivo il contrasto, è diventato nero, scomparendo e confondendosi agli altri? Sono un Nessuno? Un soggetto senza identità, senza emozioni, senza cuore, che vaga alla ricerca di un qualcosa di inesistente, forse proprio la felicità. Sono un misero, un ipocrita, sto fingendo di parlare a te quando quello che continuo a fare è sprofondare nella mediocrità, dicendomi cose che già so, ma non riesco ad accettare… Voglio rivedere il tuo sorriso, quel raro sorriso. Non mi bastano le foto, non mi basta questa…

Prese dalla tasca l’oggetto con cui stava giocherellando nella macchina. Una conchiglia dalla forma a goccia rosa, con sfumature gialle all’estremità, alla quale erano attaccate esternamente delle ‘foglie’ sempre di color rosa.

… Stavamo facendo una gara. Eravamo tutti e tre: le nostre prime e, posso anche aggiungere, ultime vacanze insieme; mi ricordo che tu portasti una conchiglia comune, mentre Axel, facendo lo spiritoso come suo solito, mostrò un bastoncino inventandosi che non aveva trovato conchiglie, mentre io trovai questa che ti regalai. Legarsi ad un oggetto, poiché appartiene ad una persona defunta, a mio parere, sminuisce il suo valore; inizialmente era ugualmente importante, quindi si doveva essere legati all’oggetto anche prima.

Lasciò accanto la foto la conchiglia.

Oppure questo diventa importante proprio perché, essendo già speciale prima, ora che la persona a cui apparteneva non esiste più, continua a tenere la memoria della sua immagine vivida; ma questo non è un atto masochista, in fondo? Dimenticare non è la soluzione giusta per risolvere i problemi, però, averne il constante ricordo è come corrodersi l’anima, gettandogli fuoco addosso. Tutte queste supposizioni, tutta questa confusione, non fanno altro che farmi impazzire, gettandomi in un vuoto senza fondo. Xion, perdonami. Solo ora mi rendo conto che per te non sono stato che un peso da consolare, un costante oggetto privo di vita che ti seguiva, proprio come una falena che va verso la luce, credendola il sole. Ora che però quella luce si è spenta, l’insetto impazzito gira intorno, sbattendo la testa ad ogni parete della stanza oscura; tu mi hai detto di andare avanti, ma non riesco a vedere la strada e a questo proposito mi chiedo: io che possiedo gli occhi per vedere, quanto vedo in realtà? Ma tu non puoi sentirmi, tu ormai sei scomparsa, lontana, intoccabile, impercettibile, in un luogo, sempre che esso sia un luogo, che io neanche posso immaginare e ciò non mi rende altro che triste.

Una lacrima di nascosto, scivolò sulla guancia del ragazzo, lasciando una scia superficiale, ma un solco nel cuore.

Tu, che mi hai sempre trattato come un amico, con un certo tatto… Io ti ho solo ripagato con preoccupazioni e continue attenzioni che alla fine si sono rivelate inutili e inesistenti. Perdonami, Xion, ti sarei dovuto stare più vicino.

Un’altra goccia del liquido salato scivolò, sulla pelle ancora asciutta. Poi un’altra e un’altra ancora, via via aumentando, facendo crollare il ragazzo in un pianto isterico.

Piangere è inutile, ne sono cosciente; ma voglio ugualmente continuare, fino a consumarmi completamente, perché mi fa sentire più leggero, più sereno. Cos’è la felicità? Te lo chiesi, l’ultimo giorno che eri in vita, tu però mi rispondesti vaga, dicendomi: “La felicità, Roxas è come una farfalla, più ti affanni a catturarla, più lei ti sfuggirà; ma,…” Non continuasti. Insistei per sapere il seguito, ma tu con un sorriso sereno mi guardasti dicendomi: “Te lo dirò domani.” Io, però, adesso ho bisogno di sapere il seguito, ho bisogno di sapere cosa sia per te la felicità  Xion, come tu anche se malata, anche con la consapevolezza della morte, sei riuscita a raggiungerla!

Il pianto si fece ancora più forte, singhiozzi su singhiozzi dimezzavano il respiro, che si faceva sempre più irregolare.

Voglio solo capirti, voglio solo poterti raggiungere, voglio realizzare il tuo desiderio per riuscire a proseguire.

Si asciugò le lacrime, inutilmente.

Xion, ti prego… Dammi una risposta.

Chiuse gli occhi, stringendosi la camicia bianca, all’altezza del cuore.

Vuoi sapere il seguito della frase, Roxas?

Una voce dal profondo del suo cuore, arrivò nitida, come un fulmine al ciel sereno.

Xion…

Riuscì solo a pensare a suo nome, come un lontano eco.

La felicità, Roxas è come una farfalla, più ti affanni a catturarla, più lei ti sfuggirà; ma,… quando meno te l’aspetti, e ti siedi rassegnato, eccola, ti si posa sulla spalla. Questa è la felicità, Roxas, devi solo aspettarla, tu però non dimenticarti di cercarla.

Sentì la sua risata lieve.

Xion…

Continua ad andare avanti Roxas, grazie di tutto.

No, Xion!

Aprì lentamente gli occhi, lasciando la stretta sul petto. Le lacrime si erano fermate, in bilico sulle palpebre inferiore.

Eri tu… Quella voce nel mio cuore?

Un senso di serenità gli pervase il corpo, come se la tristezza, il dolore di poco fa, fossero scomparsi con un battito d’ali. Come era accaduto?
“Xion…” Continuò a ripetere il suo nome confuso, ma sollevato.
La porta della stanza si aprì. Un ragazzo alto, dai capelli rossi e gli splendidi occhi verdi, respirava affannosamente, poggiato allo stipite della porta.
“Roxas, non sono in ritardo per una preghiera, vero?” Disse tenendo un tono basso, rispettoso del luogo. Il ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurro cielo, ormai arrossati, si voltò a guardare l’altro.
“No, non è mai tardi per poterle parlare.”
Il rosso fece un cenno con il capo e gli si mise accanto. Fece suonare la campanella e si concesse alla preghiera. Intanto Roxas portò nuovamente le mani al cuore. Riusciva a sentire il suo battito, anche se lontano; aveva un cuore, aveva un’anima, aveva una vita.

Non posso far altro che andare avanti, se me l’hai chiesto tu.

Un sorriso, quasi invisibile, si accennò sul volto del ragazzo. Era forse quella la tanto bramata felicità?

Grazie a te, Xion.

Le disse, prima di uscire dalla stanza, lasciando l’amico solo.
“Signora, condoglianze per sua figlia era una mia grande amica.” Disse il rosso dando la mano alla donna che, come gli altri, l’aveva accolto.
“Di nulla, caro.” Gli strinse la mano, cercando di fare un sorriso.
Axel indossò nuovamente le scarpe che aveva lasciato nel genkan e uscì. Nel cortile, in piedi intento a contemplare il cielo, c’era Roxas.
“Bello, vero?” Gli disse avvicinandosi.
“Bellissimo.” Concordò il biondo. Le nuvole nere si erano dissolte, aprendosi e mostrando il cielo azzurro, con al centro il sole luminoso che aveva creato un arcobaleno.
“La vita è così, come un giorno di tempesta. D’un tratto è buio e sembra che il sole ti abbia abbandonato, poi, però, appare l’arcobaleno, che senza fine e senza inizio ti accompagna per un tratto di strada, infine scompare nuovamente, pronto a tornare dopo una prossima tempesta.” Aggiunse poi.
“Te l’ha detto Xion?”
“No… Però, lei me l’ha fatto capire, avendo sempre le risposte a tutte le mie domande.”
“In realtà Roxas, ognuno di noi ha le risposte, devi solo credere in te.”
“Hai ragione. Axel, dobbiamo trovare la felicità, anche se sarà poi lei a venire da noi, ci stai?” Girò la testa per guardarlo.
“Ci sto.” Ricambiò lo sguardo sicuro, con uno altrettanto fiducioso.

Perdere una persona, in realtà non significa nulla; per quanto sia l’anima che il corpo non appartengono più alla vita terrena, la presenza di questa persona esisterà sempre tra noi, attraverso i nostri ricordi, quelli impossibili da far scomparire, quelli che se anche dimenticati vivranno dentro di noi.
Viviamo aspettando che la felicità ci raggiunga, essendo noi, le sue vere prede. 



Note d'autrice:
Non ho molto da dire, credo proprio che la mia storia parli per sé. Ho cercato di racchiudere in una semplice One-shot due argomenti estremamente delicati: morte e felicità. Non so quanto possa averli espressi bene, ma da quanto detto dall'ideatrice del contest sembra che io abbia mirato questi due temi ( per altro erano due elementi dei tanti che si potevano usare per il racconto) in modo equilibrato. Forse come trama è un po' clicé, comunque resto convinta che questa storia non sia poi un pessimo lavoro (e ciò detto da me è tanto, se non troppo). Spero di non essere l'unica di questo parere e quindi vi prego di lasciare recensioni. Come gioco di riferimento ho messo 358/2 days, proprio per i personaggi e anche il contesto tutto sommato, comunque essendo un AU non si riferisce al gioco, insomma.
Grazie per aver letto e questo è un disegno che ho fatto per la storia.

Image and video hosting by TinyPic

[A destra c'è scritto: You'll be...
better off now...
Roxas...
A sinistra, in basso: No! Xion!
who else will I have
ice cream with?
----
Sono le parole della scena finale di 358/2 days, mentre Xion sta per scomparire.] 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Elsa Maria