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Autore: Medea00    30/06/2013    6 recensioni
Raccolta in cui sono contenute tutte le OS che ho scritto per le Seblaine Sundays e l'iniziativa domeniche a tema, organizzata dal gruppo Seblaine Events. Tutti i rating e i generi che mi passano per la testa.
23/06: Supernatural!AU
30/06: Babysitting
21/07: Dystopic!AU
1/09: Aeroporto
15/09: Magia
22/09: Literature!AU
6/10: 4 canzoni del tuo Ipod
20/10: Raffreddore
27/10: Scommessa
17/11: Esame andato male
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa fanfiction partecipa all'iniziativa domeniche a tema organizzata dal gruppo Seblaine Events



 

 


Susanne Collins e Eliane Deneuve erano migliori amiche dai tempi del liceo; si erano trovate sin da subito, la prima con la sua dolcezza quasi surreale, la seconda con i suoi modi di fare pungenti che attiravano, all’epoca, molti ragazzini.
Erano semplicemente inseparabili: Susanne cercava di ammorbidire la sua amica sin troppo cinica e fredda, mentre Eliane aveva sempre cercato di aggiungere quel pizzico di pepe in lei, così da renderla ancora più attraente per il genere maschile. Non che ce ne fosse bisogno, in realtà: era sempre stata una donna bellissima, sebbene l’altezza non giocasse a suo favore, con i capelli riccioli e scuri, le curve tutte al posto giusto e gli occhi grandi. Eliane, invece giostrava al meglio i suoi lineamenti francesi, che le avevano regalato dei capelli lisci e biondi e le gambe lunghe e dritte, che dai venti anni in poi furono sempre accompagnate da dei vertiginosi tacchi. Veniva spesso scambiata per modella, ma lei rispondeva sempre dicendo che non aveva bisogno del suo aspetto fisico per dimostrare la sua supremazia sul mondo.
A quindici anni Susanne conobbe il suo vero amore, Richard Anderson. Richard era un ragazzo timido, di un paio di anni più grande di lei, non molto alto e sicuramente imbranato. Faceva molta tenerezza alla ragazza, mentre la sua amica, semplicemente, continuava a dire che fosse un emerito idiota.
Fatto sta che un giorno li aveva convinti a uscire insieme: nonostante Susanne avesse urlato “Oh mio Dio no ti prego non sono pronta” almeno un milione di volte, Eliane attuò il suo piano con una genialità disarmante. A quei tempi era difficile che un ragazzo e una ragazza si incontrassero facilmente, le scuole erano divise per sessi, e quelle private come la Crawford e la Dalton Academy erano ancora più rigide del solito. Quindi, quando Susanne aveva visto quel ragazzo – secondo lei bellissimo – in caffetteria, Eliane fu costretta ad aggirare l’ostacolo pur di farli di nuovo incontrare. Questo volle dire che si mise con il suo migliore amico, Leonard Smythe, un borghese saputello che si credeva il più bel Adone sulla piazza.
Lo odiava. Ma almeno, avevano cominciato a fare quelle famose quanto detestabili uscite a quattro, in cui Susanne e Richard potevano sfiorarsi la mano e arrossire come dei tredicenni. Se non fosse stata la sua migliore amica, probabilmente le avrebbe ficcato la testa nel cesso. Nel momento in cui, finalmente, si erano messi insieme all’età di diciassette anni, Eliane pensò che il suo lavoro fosse finito, avrebbe scaricato Leonard e avrebbe riavuto la sua agognata libertà: non fu così. Leonard, in risposta, le disse che sarebbe stato lui a scaricare lei, ma nessuno può scaricare una Deneuve.
Così, semplicemente, decisero di non scaricarsi a vicenda, tanto da arrivare fino all’altare.
Susanne ed Eliane avevano fatto tutto insieme: avevano fatto il liceo insieme, si erano fidanzate nello stesso periodo, si erano laureate nello stesso polo universitario – una in lingue, l’altra in Economia -  e addirittura si erano sposate insieme, in un’unica cerimonia sfarzosa e maestosa. Certo, non fu una sorpresa per i loro mariti scoprire che volevano anche concepire un figlio nello stesso anno. In realtà, però, ci fu un piccolo incidente di percorso: Susanne restò incinta a soli vent’anni e Eliane decretò con fermezza che non aveva nessuna intenzione di “diventare vecchia” già da subito, oltre a rimproverarla per la sua ingenuità. “Sei sposata solo da due mesi!” Le urlò furiosa, “Non dirmi che lo avevi previsto!”
“No”, le aveva risposto Susanne, con voce ferma ma serena, “No, ma non mi pento, sono felice.”
Così, nove mesi dopo, nacque Cooper Anderson.
Per diversi anni le due donne non parlarono affatto di figli, dal momento che avevano quasi rotto l’amicizia per colpa di quell’argomento; e poi, Eliane e Leonard erano molto indaffarati con i loro lavori, mentre Susanne e Richard avevano già un bel da fare con il piccolo Coop.
Passarono otto anni. E poi, come per una bizzarra successione di eventi, Eliane era incinta. E così Susanne.
Le due mogli credevano nello zampino dei mariti, ma non scoprirono mai l’arcano segreto, vincolato da un patto d’amicizia che recitava puntalmente “Non sono affari vostri, donne, queste sono cose da uomini”. I mesi trascorsero con una velocità quasi idilliaca, mentre gli uomini fantasticavano sull’arredamento delle nuove camerette, le donne fantasticavano sul sesso: erano due femmine, se lo sentivano. Due bellissime bambine con il sorriso sulle labbra e una grazia da principessine. Avrebbero giocato insieme alle bambole e si sarebbero tenute per mano, quando fuori pioveva e c’erano i temporali.
Sarebbero state amiche, migliori amiche, inseparabili proprio come le madri, e avrebbero sposato due uomini prestanti come i padri.
Fu abbastanza sconcertante trovarsi di fronte a Sebastian e Blaine.
Non perchè fossero due maschi, no: alla notizia i padri si erano abbracciati urlando come al Superbowl, e ringraziando qualsiasi Dio che li aveva benedetti in quel modo: si sarebbero iscritti alla stessa squadra di football e sarebbero andati a rimorchiare insieme, proprio come loro due ai tempi d’oro. Invincibili, l’uno la spalla dell’altro.
Nemmeno quello.
Sebastian e Blaine, semplicemente, si detestarono dal primo momento che vennero al mondo. E non è una frase fatta, detta giusto per dire: già da quando erano in culla, nel reparto post-parto dell’ospedale, Blaine si agitava e piangeva a destra e sinistra facendo piangere anche il piccolo Sebastian accanto a lui, che invece voleva solo dormire.
Leonard e Richard assistevano alla scena con i palmi appoggiati sul vetro caldo, sperando soltanto che, in futuro, le cose sarebbero andate diversamente. Ma quello era solo l’inizio.
All’età di cinque anni Sebastian ruppe il giocattolo preferito di Blaine, lo fracassò a terra dalla cima dello scivolo. L’altro bambino, in risposta, rovesciò il suo caffè d’orzo all’asilo nido e quello scatenò una rissa con tanto di capelli tirati e morsi vari; dopo essersi beccati una ramanzina dalla maestra e riempiti di cerotti, se ne stettero uno all’angolo opposto della stanza giochi e non si parlarono per il resto della giornata.
 
 
Per l’ottavo compleanno di Blaine, Susanne aveva fatto una bella festicciola a casa loro: avevano pulito la piscina, appeso striscioni per tutta la casa, sparso palloncini di tutti i colori e messo allo stereo le sigle dei loro cartoni animati preferiti. Poi Blaine aveva cominciato a scartare tutti i regali dei suoi amichetti, tra cui Adam Vines, del quartiere accanto; gli aveva regalato l’ultimo Action Man con mirino laser che colpiva da lontano. Era il più bel regalo che avesse mai avuto in vita sua. Era felice come se fosse Natale, anche se in realtà era giugno inoltrato, e con gli altri bambini passarono la giornata a inventarsi una lunghissima battaglia trai loro giocattoli, con Action Man come protagonista della scena che doveva salvare il pony arcobaleno di Bonny Sullivans insieme all'orsetto di Olivia Clide, il cagnolino robot di David Hockins e il modellino di Superman di Adam Vines, per l’appunto.
Sebastian aveva deciso di non giocare. Era stato in disparte per tutta la festa, prendendo a calci l’acqua dal bordo piscina su cui era seduto, e aveva tenuto il broncio per tutto il tempo. Blaine e gli altri avevano provato a convincerlo, più e più volte, ma quando si intestardiva sapevano che non c’era proprio nulla da fare. Fu soltanto quando la festa era ormai finita, e i genitori erano già passati a prendere i loro rispettivi figli, che Sebastian rivolse parola a Blaine. Osservò per un attimo i suoi riccioli arruffati prima di dirgli: “Non giochi più con me”, freddamente, dopo avergli sottratto di mano uno dei pochi palloncini rimasti. Blaine lo guardò allibito, con i suoi occhioni che erano già lucidi per lo shock, e quando chiese timidamente delle spiegazioni, Sebastian scoppiò il palloncino proprio a un centimetro dal suo viso, facendolo spaventare a morte tanto da scoppiare a piangere.
Eliane, che stava aiutando Susanne a mettere tutto in ordine, gettò nella spazzatura i piattini di plastica su cui i bimbi avevano mangiato la torta al cioccolato e prese suo figlio per le orecchie, mentre Susanne coccolava il suo.
“Sebastian è cattivo”, Piagnucolò Blaine e l’amico, in risposta, emise uno sbuffo talmente forte che si sentì fino all'altra parte della strada: “Bravo, piangi, sai solo piangere, sei una femminuccia!”
“Non sono una femminuccia!”
“Sì lo sei, giochi ancora con le bambole!”
Blaine si divincolò dalla presa della madre per avventarsi su Sebastian; caddero a terra e cominciarono a rotolarsi nell’erba fresca picchiandosi e insultandosi in tutti i modi che conoscevano.
“Si può sapere che ti prende?!” Gli disse Eliane una volta arrivati a casa, puntandogli il dito contro: “Perché te la sei presa con Blaine in quel modo?”
“Perché è stupido”, Mugugnò lui, beccandosi un altro strattone dalla madre che pretendeva di guardarlo negli occhi.
“Che cosa ti ha fatto?”
Continuava a tenere gli occhi bassi, raschiando il parquet di legno con la suola delle scarpette. Adesso, il suo tono di voce era leggermente increspato: “Ha giocato tutto il giorno con Adam.”
“Ha giocato con tutti Sebastian, sei tu l’unico che si è isolato.”
“Ma ha detto che il suo regalo era il più bellissimissimo del mondo. L’ha detto, l’ho sentito io. E io sono stupido.”
Eliane inarcò le sopracciglia, esitando per un secondo: “O sei stupido tu o è stupido lui, deciditi tesoro.”
“Sono stupido io perché non gli ho fatto nessun regalo e Blaine lo voleva.”
Oh, ecco cos’era. Con un mezzo sorriso, si chinò per arrivare alla stessa altezza di suo figlio e gli aggiustò una ciocca di capelli: “Siamo ancora in tempo lo sai. Possiamo tornare di nuovo a quel negozio di giocattoli e-“
“No, no! Mamma, non capisci niente! Non vanno bene quei giocattoli per Blaine!” Protestò allora lui battendo un piede a terra, con gli occhi verdi carichi di emozioni contrastanti e le labbra piccole serrate in un broncio solenne.
“E allora cosa vuoi regalargli?”
“Non lo so, oh! Nessun regalo va bene per Blaine.”
Gli lasciò un tenero bacio sulla fronte, dicendogli che fosse ora di andare a lavarsi i denti e coricarsi. Avrebbero fatto pace il giorno dopo, come sempre. E il giorno dopo ancora avrebbero litigato un’altra volta.
 
 
Sebastian e Blaine ormai avevano diciassette anni. Non erano più quei bambini che si facevano i dispetti e si sbucciavano sempre le ginocchia per via di una rissa; adesso facevano la Dalton Academy, seguendo le orme dei loro genitori, erano pieni di interessi e di altrettante cose da fare. Blaine era il leader dei Warbler, il gruppo corale della scuola, a cui partecipava anche Sebastian; quest’ultimo, invece, era capitano della squadra di Lacrosse che era appena uscita vittoriosa dal campionato. Fisicamente, erano nel pieno della pubertà, e i loro corpi cominciavano a cambiare radicalmente: i riccioli di Blaine, adesso, erano corti e fermati con una quantità abbondante di gel; i suoi lineamenti perdevano quella rotondità adolescenziale per fare spazio a un viso più mascolino e a un corpo più adulto. Sebastian in un’estate era cresciuto di dieci centimetri, dovendo farsi nuovo tutto il guardaroba, scarpe comprese.
Caratterialmente, comunque, non erano cambiati di una virgola.
“Mamma, sono a casa.”
Finalmente, le tanto sognate vacanze estive. Blaine le aspettava da mesi, anzi, sin dal momento in cui erano finite l’anno precedente: adesso che non aveva più compiti, test, riunioni di Warbler e interrogazioni, poteva togliersi la divisa e infilarsi direttamente il costume da bagno, correre in giardino e rimanere a mollo nella piscina per almeno tre mesi.
Stava già cercando le ciabatte di plastica, quando suo padre lo fermò proprio davanti alla scarpiera. Con il pasare degli anni, gli assomigliava sempre di più. “Dove pensi di andare?”
“In piscina, non posso?” Domandò lui innocentemente. “Non l’abbiamo fatta pulire una settimana fa?”
“No Blaine, intendevo dire: non crederai di poter sfuggire alla cena con gli Smythe di questa sera, vero?”
Oh, giusto. Se n’era completamente dimenticato. La sua espressione euforica, da ultimo giorno di scuola e annesso ritorno a casa, svanì in un battito di ciglia; non aveva assolutamente voglia di andare dagli Smythe. Perché significava che, oltre a doversi vestire in modo appropriato, perché “Anche se siamo amici da secoli sono comunque ospiti Blaine, devi presentarti bene”, ci sarebbe stato anche Sebastian.
“Devo proprio?”
“Certo che devi. Blaine, questa tua ostilità con Sebastian prima o poi dovrà finire.”
“Certo, forse quando non lo vedrò più.”
“Blaine-“
“Papà tu non hai proprio idea e- sai cosa mi ha fatto oggi? LO SAI?”
Il padre roteò gli occhi al cielo, abbandonando le braccia lungo i fianchi: “No, dimmi.”
“Mi ha tirato addosso una granita. Una granita.”
“Blaine, è l’ultimo giorno di scuola, avrà voluto farti un gavettone!”
“Oh certo papà, quindi mi sembra una giustificazione valida tirarmi addosso una granita ghiacciata e colorata che mi è finita dovunque. Dovunque papà, hai presente che vuol dire dovunque? Ce l’ho anche nei capelli, guarda, sono sicuro che se cerchi bene ci trovi un lampone.”
Blaine abbassò la testa facendogli cenno di frugare trai capelli, ma il padre riuscì a farlo di nuovo raddrizzare, guadagnandosi un’occhiata storta e il continuo di quel monologo che aveva sentito migliaia, milioni di volte.
“Quindi sono dovuto tornare in camera a lavarmi e cambiarmi, e mi sono beccato una sfuriata da quella della lavanderia perchè il lampone macchia tantissimo, ti rendi conto che se l’è presa con me? Ti rendi conto?”
“È solo uno scherzo dai!”
“Oh no papà, io non ci vengo stasera, non ho nessuna voglia di guardare in faccia quel ragazzo presuntuoso, arrogante, odioso e insopportabile, io me ne esco con Tina e voi andate pure.”
“Oh no signorino.” Susanne comparve da dietro la porta, con un farfallino in mano e l’aria del tutto insoddisfatta: “Tu con la tua fidanzata ci esci domani, adesso ti vesti e vieni con noi senza fare storie. Intesi?”
“Ma-“
“Intesi?”
Per fortuna che la madre era più cocciuta di lui: fu costretto ad annuire e prendere in mano quel farfallino a pois bianchi e verdi, aggiustandosi allo specchio del corridoio e continuando a inveire e borbottare contro Sebastian Smythe.
Che destino crudele: i genitori così amici, e i figli così nemici.
 
 
Blaine attraversò lentamente quel vialetto che, ormai, conosceva a memoria, con la sua smorfia che diventava sempre più lunga passo dopo passo. Ad aprirgli la porta fu Leonard, che salutò l’amico Richard con un abbraccio amichevole, e Susanne con un bacio sulla guancia.
“Finalmente l’estate, vero Blaine? Sole, mare, felicità!”
“Sto morendo di felicità.” Ricevette una gomitata da parte di entrambi i genitori.
Sebastian era lì, esattamente come immaginato. Seduto sul divano in pelle con le sue gambe lunghe accavallate nei jeans scuri, la camicia che gli metteva in risalto le spalle e i pettorali. Che vanitoso: ora, soltanto perchè aveva fatto qualche anno di palestra e tutto ad un tratto si era ritrovato con un filo di muscoli, poteva sfoggiarli a tutto il mondo.
“Buonasera signori Anderson, è sempre bello rivedervi.” Li salutò con un sorriso gentile e una voce melliflua, mentre li accompagnava alla sala da pranzo dove Eliane aveva già disposto i piatti. Blaine era a un passo dietro di lui e stava fissando la sua nuca come se volesse trafiggerla con qualcosa di molto appuntito.
“Sebastian, Blaine! Come mai così silenziosi?”
Eliane avev appena portato il secondo quando sopraggiunse quella domanda. I due ragazzi si fissarono in malo modo, le forchette strette nelle loro mani che rischiavano di spezzarsi, i volti contratti e le braccia rigide appoggiate alla tovaglia di lino bianco.
“In effetti è un evento che non vi siate ancora detti di tutto”, Scherzò Leonard ricevendo un occhiolino da Richard. Blaine si pulì con il fazzoletto che prima teneva sopra le gambe e mormorò: “Non ho niente da dire a uno come lui.”
“Oh, allora stavolta è grave. Sebastian, che hai combinato? Non gli avrai mica soffiato la ragazza!”
“Leonard!” Lo rimbeccò Susan, ma Sebastian ridacchiò divertito e si passò una mano sotto al mento perfettamente liscio: “In effetti, sarebbe interessante farsi Tina. Peccato che io abbia altri gusti.”
“Come?” Richard posò inavvertitamente la posata sul piatto: “Sebastian, ci stai dicendo che sei...?”
“Oh, no. Stavo solo dicendo che giusto ieri sono stato con una cheerleader davvero niente male e-“
“Non ci interessa sapere le tue performance, Sebastian”, Tagliò corto Blaine diventando rosso al posto suo. Sebastian, invece, approfittò dell’occasione e aggiunse: “Hai usato la parola giusta Blaine: performance. I miei sono numeri da circo.”
“Oh mio Dio ti prego, Sebastian stai parlando con i nostri genitori.”
“Non ti preoccupare, siamo abituati”, Ridacchiarono i signori Smythe, e poi la conversazione tornò su frontiere meno spigolose.
Quando la domestica finì di portare anche il dessert, Eliane decise che fosse il momento giusto per tirare fuori quell’argomento, così da levarsi il dente sin da subito e non pensarci più. Ottenne un’occhiata di approvazione dagli altri adulti, così cominciò: “Ragazzi, dobbiamo parlarvi di una cosa.”
Sebastian e Blaine, che stavano bisticciando perché il primo voleva mangiare il fiore di zucchero del secondo, alzarono la testa di scatto, quasi nello stesso momento.
“Che succede?”
“Finalmente proverete lo scambio di coppia? Mi fate sapere com’è?”
Sebastian.”
“Blaine, non dare calci sotto al tavolo a mio figlio. Comunque no, niente di così... azzardato. Abbiamo deciso di farci una vacanza, noi quattro insieme.”
Era una notizia del tutto inaspettata: gli Smythe non facevano vacanze da anni, ormai, troppo presi con il lavoro, e gli Anderson andavano sempre in quella tristissima baita dagli zii, un posto dimenticato da Dio in cui c’erano soltanto meduse e zanzare.
“Lo avevamo progettato da anni, ma poi siete nati voi e... beh, comunque, finalmente ce l’abbiamo fatta. Andremo in Marocco per due mesi.”
“Cosa? Fantastico! Quando si parte?” Esclamò Blaine cominciando già a fare la lista di cose da portare con sé, ma Susanne scosse la testa quasi mortificata, allungandosi per prendergli una mano: “Tesoro, sarebbe una cosa per noi... insomma, un ritorno ai vecchi tempi, sai, quando eravamo giovani e... senza figli.”
“... Oh.”
Niente Marocco quindi. La delusione provata in quel momento era quasi stellare.
“Ma non è giusto!” Protestò Sebastian ai suoi genitori, battendo una mano sul tavolo. “Voi vi fate la bella vacanza, e mi lasciate con questo qui, confinato a Lima, per tutta l’estate? Ci sono così tante cose sbagliate in questa frase che il correttore di Word cadrebbe in depressione.”
“Sebastian, non fare il bambino. È ovvio che non resterete a Lima.”
Momento di illuminazione.
“Ci... ci avete regalato una vacanza? Per noi due?”
Leonard li guardò leggermente perplesso prima di rispondere: “Ovvio che no. È solo che non lasceremo due adolescenti soli in casa. Tu, Sebastian, andrai dai nonni a Parigi.”
“E tu Blaine dai tuoi zii.”
Ecco, appunto. A lui toccava sempre e comunque la baita desolata.
“Non esiste proprio, non posso tornare a Parigi. Ho delle cose da fare qui.”
“Sebastian, non morirai se per un paio di mesi non vedrai le tue ragazzine.”
Sebastian emise una risata cinica e si alzò in piedi, passandosi una mano trai capelli. Blaine fece una smorfia, con un cenno della mano commentò: “Almeno non ti vedrò per tutta l’estate.”
“Oh Anderson, fidati, sono io che non vedo l’ora di non vederti.”
“Ma come parli? Non so nemmeno se quello che hai detto ha senso in un universo parallelo.”
“Sicuramente è di calibro troppo elevato per poter essere compresa da un nano come te.”
“Come prego?”
“Ragazzi”, Li chiamò Susanne, quando ormai entrambi erano in piedi e l’uno di fronte all’altro. “Smettetela, coraggio.”
“Coraggio killer, non sei tu quello che fa boxe? Perchè non mi dai un bel cazzotto sul mento?”
“No Sebastian, non ne vali davvero la pena.”
“Sei un codardo.”
“No, semplicemente, non sono infantile quanto te.”
“Scusa? Mi sa che ti confondi, sei tu che hai passato tutto il giorno a giocare alle bambole con Adam Vines.”
Oh mio Dio, Sebastian avevamo otto anni!”
Sebastian fece un passo in avanti e, alzando la voce fino a renderla stridula, improvvisò una pessima imitazione di Blaine, cantilenando: “Ho una cotta per Adam, ho una cotta per Adam, uuuuuh questo nuovo Action Man è bellissimissimo!”
Blaine aveva gli occhi lucidi dall’ira. Con le mani strette a pugno, e il respiro pesante, scandì ogni singola sillaba quando sentenziò: “Sei un idiota.”
“Che paura.”
“Dio, sei insopportabile.”
“Troppi complimenti tutti insieme.”
“Adesso io ti-“
 “ORA BASTA!”
I loro visi erano a pochi centimetri l’uno dall’altro, ma tutta la tensione fu spezzata brutalmente dall’urlo di Susanne, che aveva attraversato l’intera casa.
“Sono stufa di voi due che non fate altro che litigare, sono stufa che queste cene finiscano sempre allo stesso modo, sono diciassette anni che sopportiamo voi due, diciassette anni. I vostri genitori sono amici da una vita e non ci farete andare storta anche l’unica vacanza che ci siamo promessi. Quindi, adesso voglio che voi due facciate immediatamente pace, anzi, ancora meglio: voglio che voi due diventiate amici.”
Quella parola suonò come una sottospecie di stridio. Blaine e Sebastian erano completamente attoniti, non avevano mai ricevuto una sfuriata così, beh, non con quelle tematiche: i genitori avevano provato tante volte a farli diventare amici, ma non lo avevano mai imposto.
“E cosa vuoi fare?” La provocò Sebastian, noncurante del fatto che non stesse parlando a sua madre, ma la conosceva da talmente tanto tempo che si permise di dire: “Vuoi rinchiuderci in una stanza per tutta l’estate fino a quando non diventiamo amici?”
Sul volto delle due donne comparve un sorriso luminoso.
“Ma è un’idea spettacolare.”
“No. Un momento.” Balbettò Blaine. In coro, esclamarono: “Che cosa?”
“Non dobbiamo nemmeno chiedere agli zii di farti da babysitter.” Optò Richard.
“E noi non dobbiamo spedirti in Francia dai nonni”, Ribattè Leonard.
“Starete qui per tutto il tempo della nostra vacanza, e vi sorveglierete a vicenda.”
Eliane annuì alla sua amica, e con le braccia che cingevano i fianchi disse: “Sarete i babysitter l’uno dell’altro.”
Sul volto dei due comparve il terrore.
 
 
 
“Allora, mi raccomando, se avete bisogno di qualcosa, vi abbiamo lasciato la carta di credito sul tavolo!”
“Sì mamma, ce lo hai detto trenta volte. Guarda che perdete l’aereo.”
“Oh Blaine, ci mancherai così tanto”, Piagnucolò Susanne, abbracciando stretto il figlio e dandogli un sonoro bacio sulla fronte. Era il giorno della partenza, casa Smythe era improvvisamente svuotata della metà dei vestiti ma, al loro posto, c’erano tutte le valigie e le cose di Blaine, dal momento che avrebbe dovuto vivere lì per i successivi due mesi. Dalle spalle della madre lanciò un’occhiata torva a Sebastian, il quale stava salutando i suoi genitori mentre firmava un contratto fatto dalla madre: il giuramento solenne di non fare nessun tipo di festino in casa. Pena: un anno senza paghetta.
“Dobbiamo andare”, Annunciò Leonard, controllando l’orologio da polso. Il taxi era arrivato e le valigie erano caricate nel portabagagli. A Lima splendeva un sole cocente e sembrava davvero tutto splendido, se non fosse che gli umori dei due adolescenti erano più neri della pece.
“Oh andiamo. Non sarà così male!”
“Si tratta solo di due mesi insieme.”
“Sopravviverete.”
“Mi raccomando fate amicizia!” Dissero i quattro adulti, e dopo averli salutati un’ultima volta, entrarono dentro al taxi giallo che scomparve poco dopo dietro l’angolo, lasciando da soli Sebastian, Blaine e una casa immensa da accudire.
Aspettarono di aver varcato la soglia. Aspettarono di aver chiuso bene la porta a chiave.
Poi si lanciarono uno nelle braccia dell’altro baciandosi fino a quando non avevano più fiato nei polmoni, continuando a leccarsi e a mordicchiare diverse parti del collo.
“Dio, credevo non se ne sarebbero andati più.”
“Io ho avuto paura che ci avessero scoperto.” Blaine emise un gemito un po’ più forte, quando il suo ragazzo gli accarezzò il cavallo dei pantaloni. “Quando abbiamo litigato alla cena, io-“
“Sei un idiota, B. Stavo seriamente per saltarti addosso.”
Blaine lo guardò da sotto le sue ciglia scure, abbozzando un sorriso divertito prima di baciarlo un’altra volta: “Adam Vines, Sebastian? Quando finirai di essere geloso di lui?”
“Zitto.” E detto quello lo sollevò di peso facendolo urtare contro il legno della porta, sbottonandogli i jeans per accarezzare languidamente l’ombelico, poi l’elastico dei boxer, poi la curva del suo sedere assolutamente perfetto. Blaine gemette sotto al suo tocco fino a quando non unirono le loro fronti sudate, un modo per riprendere fiato, per guardarsi negli occhi e dire tutto ciò che non avevano mai il coraggio di ammettere a voce. Dopo qualche altro bacio piuttosto passionale, Sebastian si staccò da lui con un sonoro schiocco, godendosi per un momento i tentativi di Blaine nel seguire le sue labbra.
“Ammettilo dai.”
Aprì gli occhi di scatto, con una piccola smorfia: “Non esiste proprio.”
“B, questo piano è geniale e lo sai anche tu. È da quando ho visto quell’opuscolo del Marocco nello studio di mio padre che lo sto escogitando e adesso guardaci: due mesi in cui non dobbiamo far finta di uscire con ragazze varie per fare delle sveltine davanti allo Scandal."
"Io a volte ci esco con Tina! E poi-"
Sebastian cominciò a mordicchiare il suo labbro inferiore, non permettendogli di terminare la frase per mezzo minuto abbondante: "Dic-ah, dicevo... che ha funzionato solo perchè credono che ti odi follemente”, Mormorò quasi innervosito, afferrandolo per i capelli e avvicinandolo ancora di più a sé: “E non hanno tutti i torti. Sei uno stronzo.”
Sebastian sfoggiò un sorriso malizioso, sistemandosi meglio tra le sue gambe e avventandosi sulle sue labbra: “Mi ami per questo. E adesso, seguiamo il consiglio di tua madre e facciamo fare amicizia ai nostri-”














Note di Fra:

Chiedo venia se c'è qualche errore che mi è sfuggito, comunque appena possibile la farò betare dalla mia miticissima beta. Buona domenica a tutti!


 

   
 
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