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Autore: literatureonhowtolose    01/07/2013    4 recensioni
Stisaac.
«Perché diamine ti sei messo quella sciarpa?»
Domanda valida, tutto sommato. Certo, non è più estate, ma in California non fa mai freddo; perlomeno non tanto da conciarsi come se fosse in arrivo la nevicata del secolo, questo Isaac lo sa.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Isaac Lahey, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Teen Wolf.
Titolo«Nice scarf!»
Pairing e personaggi: Stisaac. Stiles Stilinski e Isaac Lahey.
Raiting: Giallo...?
Warning: Slash.
Ambientazione: Seconda puntata della terza stagione.
BetaCathlan (Non importa quante volte mi dirai di non farlo, continuerò a prostrarmi a te.)

«Nice scarf!»

«Isaac, posso farti una domanda?» chiede Scott, le sopracciglia aggrottate in un espressione a metà fra il curioso e il concentrato.
Lui, Derek e Isaac sono arrivati a casa Hale e hanno provveduto a posare i corpi svenuti di Cora e Boyd sul letto dell'Alpha prima di tornare nella stessa sala nella quale in precedenza avevano studiato la mappa della banca; stanno aspettando Stiles, che sta arrivando con la Jeep per poterli aggiornare tutti sulla situazione, farsi aggiornare a sua volta e prendere Scott per portarlo a “vedere una cosa”.
«Spara.» acconsente Isaac, poggiandosi con entrambe le mani al tavolo dietro di lui dove ancora campeggia la piantina del quartier generale del branco loro avverso.
«Perché diamine ti sei messo quella sciarpa?»
Domanda valida, tutto sommato. Certo, non è più estate, ma in California non fa mai freddo; perlomeno non tanto da conciarsi come se fosse in arrivo la nevicata del secolo, questo Isaac lo sa.
«Ricordi che sono reduce da un tuffo nel contenuto di quindici borse di ghiaccio o è stato così facile dimenticarlo?» butta lì, perché è la prima scusa che gli viene in mente e gli pare abbastanza credibile.
Le sopracciglia di Scott si distendono e lui sembra davvero mortificato mentre biascica delle scuse. Ad Isaac un po' dispiace, avrebbe potuto usare un tono differente per rispondere, ma nella fretta di inventarsi qualcosa per nascondere la verità non ha saputo fare di meglio.
Si aggiusta febbrilmente la sciarpa sul collo e distoglie lo sguardo da Scott, mentre il peso delle parole non dette gli si adagia sulle spalle.
 
 
Stiles aveva imparato ormai da tempo che ad essere il migliore amico di Scott McCall si corre il rischio di diventare persone altamente ansiolitiche; la storia della licantropia e tutto il resto avevano contribuito, ma fin dall'inizio del loro rapporto Scott gli aveva dato motivi su motivi per i quali preoccuparsi per lui. Non che lui da piccolo non fosse un uragano combina guai – dopotutto era lui quello affetto da sindrome di deficit dell'attenzione e iperattività – Scott però sembrava avere una particolare propensione nell'attirare a sé ogni tipo di disgrazia possibile e immaginabile. Stiles ricordava ancora quella volta in cui, mentre stavano aiutando Melissa a preparare la merenda, Scott finì quasi per frullarsi il braccio insieme al resto degli ingredienti che sarebbero serviti per il frappè. Non gli era ancora chiaro se la sua fosse stata disattenzione o semplice sfortuna, ma sospettava che i due fattori si fossero mescolati, in quell'episodio come in tanti altri. Comunque sia, da quel giorno Melissa McCall non aveva più richiesto il loro aiuto per cucinare.
A pensarci bene, nemmeno il morso si era poi rivelato una svolta positiva; aveva sicuramente migliorato alcuni aspetti della vita di Scott, ma i contro superavano di gran lunga i pro.
Stiles sospirò per l'ennesima volta, fermandosi a metà del suo tragitto attraverso la grande e spoglia stanza. Aveva percorso la stessa linea retta facendo avanti e indietro come un ossesso, incapace di fermarsi, per almeno venti minuti: l'attesa stava diventando snervante. Sapeva che Derek e Scott ci avrebbero messo un po' a tornare, vista la natura della loro missione, ma non avrebbe mai pensato che stare ad aspettarli sarebbe stato così difficile. Dentro di sé non riusciva a fare a meno di chiedersi se magari andare con loro nonostante i divieti categorici dell'Alpha non sarebbe stato meglio. Certo, probabilmente si sarebbe assicurato qualche infarto e sarebbe stato, se non d'intralcio, inutile, ma si sarebbe evitato vari ed eventuali morse allo stomaco e groppi in gola. Ormai la paura, l'agitazione e lo sconforto erano costanti della sua esistenza, ma non riusciva ad abituarcisi; non sono sensazioni a cui ci si può fare il callo, d'altra parte.
Portandosi le mani ai fianchi provò a deglutire, ma aveva la gola secca e raschiò in modo fastidioso. Si schiarì la voce e Peter, ancora seduto e perfettamente immobile, gli indirizzò uno sguardo scocciato, come se si aspettasse che Stiles cominciasse a parlare a macchinetta con quel suo solito tono sottile e, secondo lui, snervante. Stiles abbassò gli occhi e si diresse spedito verso la cucina, prima che la sua bocca cominciasse a balbettare senza che lui gli avesse dato il permesso di farlo: l'ultima cosa che gli serviva in quel momento era che Peter perdesse le staffe.
Una volta arrivato a destinazione ritirò un bicchiere pulito dalla credenza e aprì il frigo per cercare una bottiglia d'acqua. Non sapeva cosa si sarebbe aspettato di trovare dentro al frigo di un lupo mannaro, ma vedere che conteneva ciò che avrebbe potuto contenere quello di un comune mortale lo sorprese. Agguantò la prima bottiglia verso l'esterno e chiuse l'anta, per poi versare un po' di liquido incolore – che, si accorse con un brivido, ancora gli faceva venire in mente il veleno del Kanima – nel bicchiere che aveva preso in precedenza. Bevve qualche lenta sorsata, posò il bicchiere nel lavandino e ci si accostò. Fu a quel punto che sentì ciò che prima non aveva colto: dei leggeri respiri, evidentemente misurati in modo da essere quasi inudibili. Ci mise un attimo a capire da dove provenivano, ma poi si accovacciò a terra e sbirciò sotto al tavolo.
Isaac Lahey era lì seduto, le gambe raccolte al petto e le braccia a circondarle.
Quando vide Stiles le sue pupille si allargarono, risucchiando quasi interamente l'azzurro ghiacciato delle iridi, per poi tornare istantaneamente alle loro consuete dimensioni.
«Isaac?» mormorò Stiles, come se pronunciare il suo nome servisse a confermare la presenza dell'altro davanti ai suoi occhi.
Dato che il riccio non rispose, fu una parola più o meno buttata al vento.
«Stai bene?» domandò quindi l'umano.
Non gli chiese cosa ci faceva lì, perché non gli sembrava quello il giusto quesito da porre. In fondo, ognuno poteva scegliere dove sedersi, anche se forse una sedia sarebbe stata una scelta più comoda. Il problema era che Isaac aveva una brutta cera,  e quindi “stai bene?” gli era parsa la domanda più sensata.
«Sì.» asserì Isaac.
Lo disse talmente in fretta che a Stiles parve chiaro stesse mentendo. Era come se avesse dato quella risposta al brucio per paura che se ci avesse messo di più se ne sarebbe pentito e avrebbe tentato di rispondere diversamente.
«Sei sicuro?» insistette Stiles, sedendosi a gambe incrociate lì dove prima si era accovacciato.
Isaac deglutì rumorosamente, stringendosi meglio le ginocchia al torace. Annuì impercettibilmente e incatenò gli occhi al pavimento scuro.
Non stava bene, era quella la verità, perché se fosse stato bene – per quanto bene uno come lui potesse stare – non sarebbe corso a nascondersi sotto il tavolo, rannicchiandosi su se stesso come faceva ogni volta che suo padre decideva che la dose giusta di botte per la giornata era stata raggiunta. Il suo intento, ai tempi come adesso, non era tanto quello di nascondersi – non c'era più nulla da cui scappare –, quanto quello di calmarsi. Quello di rimanere solo con se stesso sperando che il panico diradasse, sapendo di poter piangere senza essere visto né sentito da nessuno. Ma questa volta aveva fallito alla grande, perché qualcuno l'aveva visto, e quel qualcuno era anche dotato di occhi straordinariamente grandi e profondi, in grado di cogliere tutte le sfumature di malessere avendole vissute in prima persona.
Stiles gli si avvicinò gattonando, fino a trovarsi faccia a faccia con lui, e lo obbligò ad alzare il viso sollevandogli delicatamente il mento con il dorso del dito indice.
«Sei sicuro?» ripeté.
Isaac sbatté un paio di volte le palpebre nell'intento di ricacciare indietro le lacrime e poi scosse la testa.
Stiles piegò la testa di lato e strinse le labbra; il colore ambrato delle sue iridi aveva preso una tonalità più scura, donando loro un accenno di tristezza.
«Cosa succede?» domandò, riportando il braccio a riposare sopra alle gambe.
Ci volle un po' prima che Isaac rispondesse, ma Stiles aspettò pazientemente, ben consapevole che forzare la mano non sarebbe servito a nulla.
«Sono inutile.» mormorò.
Le sopracciglia di Stiles ebbero un guizzo.
«Cosa?» esclamò prima di riuscire a fermarsi.
«Sono inutile.» disse ancora Isaac, più forte.
«Isaac, che cavolo stai dicendo?»
Non avrebbe voluto essere brusco, ma non aveva genuinamente idea di ciò che l'altro stesse blaterando. Lui inutile? Almeno era un lupo mannaro. Stiles, un umano che stava tentando con tutte le sue forze di correre coi lupi ma che sembrava non andare mai abbastanza spedito per i loro gusti, come avrebbe dovuto sentirsi?
«Derek e Scott sono là fuori da un po' ormai, potrebbero essere in guai seri, tutto questo per salvare il resto del branco. E io?» Isaac lasciò la frase a metà, come se si aspettasse che Stiles ne conoscesse il seguito.
Il ragazzo, tuttavia, si limitò a fissarlo.
«Guardami, Stiles.» disse, una certa ferocia nella voce rauca. «Io sono qua, seduto sotto un tavolo.»
Stiles lo guardò, gli occhi spalancati e la bocca semiaperta.
«Non starai scherzando, vero?» chiese.
«Ti sembro uno che sta scherzando?» sfidò, una punta di indignazione nel tono.
«E' stato Derek a proibirti di andare con loro!» strillò Stiles. «Sei ancora reduce dallo sforzo di ieri, è troppo pericoloso!»
«Sarebbe pericoloso in ogni caso.» borbottò, voltandosi in modo da non guardare l'altro in faccia.
Stiles a quel punto non sapeva come rispondere, seppure di solito non avesse problemi a cavarsela con le parole. Il fatto era che Isaac non aveva tutti i torti.
«Sono troppo debole.» disse il riccio.
Una frase fluttuante, che dava l'impressione d'essere stata da lui pronunciata più per farla sentire a se stesso che a chiunque altro.
Stiles posò una mano sulla sua spalla e strinse un po'.
«Non è vero.» affermò, senza alcuna difficoltà. «E' merito tuo se ora Scott e Derek stanno rischiando la pelle, e so che detto così sembra una cosa orribile ma-- ah, quello che sto cercando di dire è che senza il tuo aiuto a quest'ora non sarebbero da nessuna parte.» sputò, tutto d'un fiato. «Nessuno di noi sarebbe da nessuna parte.» concluse.
Isaac girò di nuovo il viso verso di lui, incatenando le iridi chiare a quelle cagionevoli di Stiles. Non vide nulla se non sincerità, al loro interno.
«Di tempo con gli Alpha ne hai già speso, e ne hai passate di tutti i colori per tornare qua sano e salvo ed essere in grado di esserci utile. Hai superato ogni barriera, ogni tortura, e entrambi sappiamo che non è stata la prima volta per te.»
A quel punto gli occhi di Isaac erano velati di lacrime, e il lupo stava lottando con tutto se stesso pur di non lasciarle scendere. I suoi sforzi non servivano a molto, comunque, perché si sentiva pericolosamente vicino a una crisi e temeva che Stiles l'avesse avvertito, pur senza bisogno di super sensi da licantropo.
«Non sei inutile.» disse l'umano.
Spostò la mano, che ancora se ne stava  oziosamente poggiata sulla spalla sinistra di Isaac, fino ad arrivare ai suoi ricci biondo cenere, e lì l'affondò; erano straordinariamente morbidi, e prese ad accarezzarli con un ritmo costante e regolare, attorcigliando le falangi alle ciocche chiare.
«Non sei affatto inutile.» sussurrò.
Isaac cominciò a piangere. Non era un pianto isterico, costellato da convulsioni e singhiozzi; era un pianto sommesso e tranquillo, un pianto che cercava di farsi piccolo piccolo, proprio come il suo proprietario. Le lacrime scendevano silenziose una dopo l'altra, senza che Isaac muovesse un muscolo.
Passarono diversi minuti prima che il flusso si calmasse e Isaac riuscisse a parlare di nuovo.
«Ho freddo.» mormorò.
In effetti, di colpo, cominciò a tremare. Stiles era lì lì per chiedere se voleva che andasse a prendergli una coperta o una felpa in più, ma fortunatamente si fermò a pensare. Il genere di freddo che Isaac stava provando non era lo stesso freddo che si prova quando la temperatura si abbassa, o quando le prime giornate invernali iniziano a pungerti la pelle. Il genere di freddo che Isaac stava provando era una sensazione che Stiles conosceva fin troppo bene: un alito gelido che ti si insinua nelle ossa, una ventata di ghiaccio che ti sferza la cute fin quasi a graffiarla. Non aveva nulla a che fare con ciò che gli era successo il giorno prima nella clinica di Deaton né con il tempo atmosferico. Era qualcosa che lo stava consumando dall'interno e si stava mangiando la sua anima a piccoli pezzi, demolendogli lo spirito. Stiles aveva avuto a che fare con quella tipologia di freddo numerose volte dalla morte di sua madre in poi, e fu incredibile la maniera in cui si sentì vicino ad Isaac in quel momento.
Non avevano mai avuto occasione di stringere un rapporto vero, che non fosse basato sull'esistenza di Scott McCall in mezzo a loro, però in quel preciso istante Stiles si sentì legato all'altro con un nodo così stretto da essere quasi doloroso. In una frazione di secondo si era accorto di quanto fossero simili e di quante porte avrebbero potuto spalancare insieme, se solo si fossero lasciati alle spalle qualche stupida e puerile rivalità.
Ma soprattutto si era accorto di quanto l'altro, in quel momento, avesse bisogno di lui, e di quanto esplicitamente glielo stesse dimostrando. Isaac era lì, davanti a lui, tremante e sull'orlo del pianto, e non stava facendo nulla per nasconderlo. Voleva solo che Stiles facesse qualcosa, qualsiasi cosa, per alleggerire la morsa che gli attanagliava il torace impedendogli di respirare correttamente e pensare con lucidità.
E Stiles fece ciò che gli venne automatico fare, e lo fece quanto più in fretta possibile: si trascinò fino alla sua figura, lo spostò con delicatezza in avanti rispetto a dov'era seduto e si sistemò dietro di lui, le gambe distese lungo i lati.
Appoggiò il mento sulla sua spalla sinistra e avvertì il suo respiro spezzarsi e assentarsi momentaneamente. Gli circondò il busto con le braccia, obbligandolo ad abbandonare la sua posizione a uovo e a distendere le gambe a sua volta. Isaac parve rilassarsi parzialmente e il suo petto riacquistò a poco a poco movimenti regolari e moderati, ma la sua schiena conservò la posizione rigida e diritta, in netto contrasto con la postura sgangherata che il riccio aveva da alzato.
Stiles non aveva un'idea precisa di ciò che doveva fare, perché mai prima d'allora si era ritrovato in una situazione simile. Nessuno aveva mai avuto bisogno di essere tranquillizzato da lui, il suo concetto di “coccole” si fermava a ciò che aveva visto nei film e a quel poco che ricordava di sua madre. Dubitava che gli abbracci occasionali del padre, per quanto caldi e familiari, rientrassero sotto quella definizione: erano più che altro dimostrazioni d'affetto, non atti continuativi.
Fece scivolare la mano destra fin sopra lo stomaco di Isaac e iniziò a massaggiarglielo con movimenti circolari, premendo appena. Quando gli venivano attacchi di panico o veniva investito da un'ondata d'ansia particolarmente forte, tendeva a soffrire di una terribile nausea, perciò si figurò che anche Isaac, in quel suo disequilibrio fra malessere e relativa normalità, stesse provando qualcosa del genere. Si ricordava perfettamente che sua mamma era solita comportarsi in quel modo con lui quando stava poco bene, perciò cercò di imitare l'immagine sfocata e labile che aveva di lei in ogni leggero tocco e in ogni cortese carezza.
Isaac emise un sospiro sollevato, e Stiles lo prese come un buon segno.
Si avvicinò al suo collo con il viso, sfiorandone la pelle pallida con la punta del naso. Isaac abbandonò la testa all'indietro posandola sulla spalla destra di Stiles, che si sentì addosso la morbidezza dei suoi ricci biondo cenere e sorrise contro la sua giugulare. Lasciò un soffice bacio lì nei dintorni e si fermò per osservare la reazione di Isaac: se avesse notato in lui un qualche remoto segno di fastidio o confusione avrebbe smesso di esplorare le cose su quel versante. Tuttavia il lupo aveva chiuso gli occhi e sembrava acquistare man mano una consistente tranquillità, cosa che portò Stiles a continuare con un misto di sollievo e personale soddisfazione.
Continuò a baciargli la gola lungo tutta la superficie, percorse la linea della sua mascella e poi ridiscese verso il basso. Più che baci erano tocchi fugaci di labbra, leggeri come piume e veloci come saette. Stiles aveva paura che a farli durare di più avrebbe rischiato di bruciare quella cute candida e senza difetti, così tanto bella. Perché Isaac era bello; l'umano se ne rese conto di colpo e si concesse solo mezzo secondo per rimanere sorpreso da quella rivelazione dato che aveva un compito da portare a termine, ed era un compito che gli pareva di vitale importanza. Non sapeva, in verità, chi dei due stesse apprezzando di più ciò che stava accadendo, ma sperava che ad Isaac piacesse quanto stava piacendo a lui.
Tentò un tocco più fermo, e notando che nulla di male era successo in seguito a quell'atto dischiuse le labbra e lasciò guizzare la lingua in avanti. L'appendice umida saggiò la piccola porzione di pelle con la punta, cogliendone la dolce essenza di mandorla, e Isaac gemette sommessamente.
Stiles percorse una linea dritta, leccandogli il collo in tutta la sua lunghezza e arrivando fin dietro l'orecchio; mordicchiò il lobo con leggerezza, e poi tornò giù lentamente, tracciando un sentiero di baci bagnati.
Se prima provava una sorta di timore reverenziale nel violare quella pelle bianca come il latte, ora che aveva scoperto ciò che significava e che comportava non riusciva a smettere di farlo. Voleva bruciare Isaac, voleva marchiarlo, e si stupì di quanto i suoi pensieri e le sue intenzioni ora fossero opposti a quelli di pochi minuti addietro. Addentò un angolo di pelle proprio accanto al suo pomo d'Adamo straordinariamente pronunciato e succhiò.
Isaac mugolò e si arpionò con la mano alla sua coscia sinistra, premendo la nuca contro la spalla sulla quale era appoggiata.
A quel punto della situazione c'era un lato positivo e uno, se vogliamo, negativo, almeno per Isaac. Quello positivo era che sicuramente Stiles era riuscito a distrarre il riccio, e aveva perfino distratto se stesso. Quello invece negativo era che aveva succhiato talmente forte che dubitava che il segno violaceo sarebbe svanito tanto in fretta, anche considerate le capacità di guarigione accelerate tipiche dei lupi mannari.
Stiles non sapeva con precisione quanto sarebbe rimasto, ma un ghigno si fece strada sul suo volto mentre verificava che, per il momento, non pareva volersene andare.
 
 
Isaac si morde nervosamente le labbra fissando un punto indefinito del pavimento mentre ricorda ciò che poco prima è accaduto con Stiles. Non hanno avuto occasione di parlarne perché la relativa calma che li ha investiti subito dopo l'accaduto è stata interrotta bruscamente dall'arrivo di Scott e Derek bisognosi di aiuto, obbligando Isaac a nascondere il segno ormai rossastro ma ancora inequivocabilmente visibile sotto una stupida sciarpa scura trovata per caso nell'armadio. E' sicuro che ora il succhiotto non si noti più, ma togliendosi l'indumento si sentirebbe comunque esposto, come se Scott e Derek, con i loro occhi da lupi, potessero scorgere ciò che è stato sotto lo strato apparentemente immacolato di pelle chiara. Perciò se lo tiene addosso nonostante la domanda di McCall e il caldo insopportabile, e nonostante, dopotutto, sia diventato superfluo.
Quando avverte la presenza di Stiles nel luogo si irrigidisce e punta gli occhi sulla porta, proprio come fanno anche i suoi compagni. La maniglia si abbassa fulminea ed ecco spuntare l'umano del branco, curvo su se stesso e visibilmente scosso. Isaac si ritrova a chiedersi cos'abbia e vorrebbe domandarglielo, ma si obbliga a tacere, sopprimendo le parole sotto un verso misero e inudibile. Stiles si strofina gli occhi con la manica della felpa e va loro incontro, alzando finalmente lo sguardo.
Gli angoli delle sue labbra guizzano rapidi verso l'alto mentre i suoi occhi d'ambra incontrano la figura del riccio, nonostante la sua cera non sia delle migliori. Si ferma a studiare Isaac per un attimo e poi esclama: «Bella sciarpa!».
Isaac fa tutto il possibile per non arrossire fino alla punta dei capelli. Stringe la mascella con una tale forza che non si sorprenderebbe se tutti i denti gli saltassero via di colpo.
Se Stiles non fosse così palesemente sfinito e triste, mentre distoglie con lentezza lo sguardo da lui e si rivolge agli altri, Isaac lo prenderebbe a sberle; ma la sua espressione, tornata smunta e spaesata quasi all'istante, porta il suo stomaco ad annodarsi per la preoccupazione.
«Grazie.» dice, senza ombra di sarcasmo o ironia.
In effetti, lo dice in modo così naturale e spontaneo che Stiles si gira di nuovo brevemente verso di lui, confuso. Incatena le iridi mutevoli a quelle trasparenti del riccio e capisce a cosa quel grazie vuole davvero riferirsi. Abbozza un sorriso e abbassa la testa, annuendo a metà. Poi torna a concentrarsi su ciò che il suo migliore amico e l'Alpha hanno da dire.
Isaac, abbandonato a se stesso lontano dai loro discorsi, prende una decisione: quella sciarpa potrà averla Stiles, visto che gli piace tanto. Dopotutto, quando avrà finito di consolarlo per qualunque sia il motivo del suo turbamento, ha il vago presentimento che a lui che è umano servirà più a lungo.
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Angolo a quattromila gradi virgola voglioandareacasaportatemiviadalmareridateml'ADSL.
Allora, pubblicare questa cosa è stato un parto perché sono al mare (sotto obbligo di mia madre) e a trovare una connessione decente ci vogliono ogni volta duemila anni e tre quarti. Sono consapevole del fatto che questa è la terza Stisaac che scrivo in un lasso di tempo relativamente ridotto, ma AMEN. Non son più capace a scrivere altro(....). L'idea mi era venuta appena finito di vedere la puntata, ma ci ho messo così tanto a buttarla giù che nel frattempo sta per uscire la quartahahahah pazienza dai(...). Beh, niente. In realtà non ho idea di dove fosse Isaac in quel momento e probabilmente con quella sciarpa voleva solo fare il fashionista per bene, ma il mio cervellino malato va sempre a parare lì. Quindi boh(....). Non sono sicura di com'è uscita questa fanfic, soprattutto per il passaggio da presente a ricordo, anche perché a scrivere al presente sono la peggio ciabatta e poi l'idea in generale è piuttosto una minchiata. Ma scriverla è stato, come per tutte le Stisaac, un piacere immenso. Spero che possa essere un piacere anche leggerla, eventualmente, e conto di ritornare presto, anche se non so quanto ve ne freghi(....). Grtazie in anticipo per tutte le recensioni, le letture, le preferizioni(...?) e così via.
A presto, se sopravviverò al sole malvaggggio.
  
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