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Autore: redeagle86    15/01/2008    7 recensioni
Era solo mia la colpa...meritavo io quella fine... il seguito di "La mia giustizia"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Takao Kinomiya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La mia giustizia'
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MEA CULPA

 

Mia era la colpa di quanto era accaduto…

avrei dovuto esserci io al posto di Kei

 

 

Eccovi la seconda parte della ff “La mia giustizia”. Praticamente è la stessa storia da un altro punto di vista!

 

Come per il prequel (se così si può chiamare!) preparate i fazzoletti e l’odio per Brooklyn!!!

 

Ps: Mi scuso con i fan di Brooklyn, ma questo personaggio è in assoluto il più odiato dalla maggior parte dei fan di Kei…anche se non da tutti.

Da me sì, e questo basta.

 

Passiamo alla fanfic che è meglio (Sì, perché altrimenti qualcuno potrebbe decidere di aspettarti sotto casa per picchiarti a sangue -.-‘‘ NdT).

 

********************************************************************************

 

Kei…

 

Sai cosa vuol dire soffrire?

 

È sentire il proprio cuore ridursi in mille frammenti…

 

Un fiore che, con un solo, flebile soffio, perde tutti i suoi petali…

 

È vederlo crollare come un castello di carte…

 

È assistere a tutto questo come un impotente spettatore, seduto sulla sua poltrona, quasi che la vita non fosse altro che un film o uno spettacolo teatrale…

 

È sapere, nel profondo, di essere l’artefice di quel dolore…

 

Di essere regista e primo attore dello spettacolo…

 

Di essere, allo stesso tempo, vittima e carnefice…

 

È guardare la tua foto sulla lapide e considerarmi un assassino.

 

 

Il beyblade per me non era solo un gioco o una professione.

Nonno Jey ripeteva che era un inutile modo di sprecare la vita. Oggi credo che pagherebbe pur di vedermi di nuovo perder tempo in quel modo.

Il beyblade era la mia passione, una passione a cui avevo dedicato la mia giovinezza. Amavo guardare i bey rincorrersi e scontrarsi…

Inoltre mi dava la possibilità di girare il mondo, conoscere gente nuova e vivere mille avventure al limite del possibile.

Sembra impossibile che, in un solo giorno, i miei sentimenti siano drasticamente cambiati.

Ma è ciò che è accaduto quando le mie convinzioni sono state infrante davanti ai miei occhi.

 

In ventiquattro ore la passione si è trasformata in odio.

 

In ventiquattro ore, lo sport a cui avevo consacrato la mia vita, mi strappò due persone importanti.

 

Incredibile che una trottolina di metallo e magnete possa fare tanto, vero?

Ma non è solo sua la colpa, anzi: la responsabilità è anche mia.

Forse è solo mia.

Ero il più vicino al cuore della belva e avrei dovuto intuirne le intenzioni.

Ma, anche se avessi saputo la verità, se l’avessi vista, se fossi riuscito ad affondarvi lo sguardo e a scorgere le tenebre che celava, non credo che avrei fatto comunque qualcosa.

Troppo attaccato alle mie stupide idee…

Troppo ingenuo ed infantile, teso a cercare il buono in ognuno, a scorgere la luce fra le ombre.

Che stupido…

Due anni fa capii il mio errore.

 

Capii quanto avessi torto.

E non fui io a pagare per questa scoperta.

Almeno, non direttamente.

 

Mi scontrai con la malvagità fatta persona, un blader nero fino al midollo, un demone in corpo umano, accompagnato da un bit-power suo degno compagno.

E il suo nome era Brooklyn.

 

Brooklyn…

 

Un nome che stride quanto un gesso sulla lavagna.

Un blader che non conosceva altro che gelo e solitudine.

Un blader in grado di far vedere l’inferno ai suoi avversari.

 

Un blader che scherzò con il fuoco e finì per bruciarsi.

 

Eravamo al torneo contro i Justice5. La Bega ci stava davanti con due vittorie e un pareggio.

Una nostra ulteriore sconfitta li avrebbe incoronati vincitori e avrebbe condannato il beyblade alla follia di Borgof.

Dovevamo vincere.

Ad ogni costo.

Peccato non fossimo pronti a pagare il conto che ci sarebbe stato presentato.

Avevo riposto in lui le mie speranze ed ero certo che non mi avrebbe deluso.

Il suo maledetto orgoglio ferito reclamava la vendetta.

E lui, come sempre, lo aveva ascoltato.

Nelle orecchie ho ancora quelle parole…

 

“Non preoccupatevi. Sconfiggerò Brooklyn…ad ogni costo. E in questo match andrò fino in fondo. Capito, Takao?”

 

Perché, perché non ho compreso subito il significato di quella frase?

Perché l’ho compreso quando ormai era troppo tardi per fermarlo, quando ormai ero legato a una promessa?

Il povero Dranzer, fedele fino all’ultimo, che assecondava la rabbia e il desiderio di rivincita del suo ostinato proprietario, nonostante i colpi, le ferite, i danni…

E ad ogni attacco di Brooklyn una coltellata straziava il mio cuore; ogni nuova ferita che si apriva sul corpo di Kei era come se fossi io ad infliggergliela.

Era uno spettacolo straziante…

Uno spettacolo a cui non potevo mettere fine.

Non dimenticherò mai gli occhi dei miei compagni quando sbarrai loro la strada, bloccando il loro intervento…

 

Nello sguardo di Rei c’era un dolore indicibile…

Lo sguardo di una persona costretta ad assistere alla tortura del proprio migliore amico, alla sua lenta agonia.

 

Vedere tutto questo nelle sue iridi ambrate e impedirgli di salvarlo.

 

Gli occhi cerulei di Max, il mio amico più caro…vi ho letto l’incomprensione nei miei confronti, il disappunto…

Se ci fossi stato io al posto di Kei, lui mi avrebbe fermato.

 

Ma io ero stupidamente attaccato a quel giuramento, senza sapere che sarebbe stato la mia condanna.

 

Kei vinse, contro ogni pronostico.

Ottenne la vittoria che ci permetteva di restare a galla.

Eravamo fieri di lui…

 

Finché…

 

Finché Kei non perse i sensi fra le mie braccia.

Il mio cuore mancò un battito e sembrò che il tempo rallentasse bruscamente.

Il suo corpo, attraversato da decine di ferite più o meno profonde che sanguinavano copiosamente.

-Kei…- lo chiamai. –Kei! Kei!! KEI!!

Non so quante volte ho gridato il suo nome, senza badare a tutto quel sangue, rosso e caldo, che mi impregnava mani e vestiti.

Gli altri erano ammutoliti, risucchiati tutti in un vortice di terrore, prigionieri dello stesso, terribile pensiero:

“Non può essere vero”

Intanto intorno a noi era scoppiato il caos. Una confusione di cui non ci rendemmo conto finché i medici non portarono Kei lontano.

Le lacrime mi rigavano le guance, ma io non percepivo nulla.

 

Se non che era solo colpa mia.

E che, quel sangue, avrebbe macchiato le mie mani per sempre.

 

Il torneo fu sospeso, Kei ricoverato d’urgenza.

E noi, per tutta la notte in quella stanza bianca, ad attendere una risposta.

Il nostro Kei era in coma, un coma irreversibile che lo trascinava via un po’ alla volta.

La vittoria costava molto cara. Un prezzo che nessuno era disposto a pagare.

Ogni giorno andavo a trovarlo, leggevo il rapporto dei medici nella vana speranza che esistesse una spiegazione o, addirittura, una possibilità di errore da parte dei dottori.

Ma non erano che fredde e sterili lettere di inchiostro nero su un foglio bianco…non possono spiegare l’orrore della realtà…

Quante volte ho urlato contro di lui, implorandolo di svegliarsi, di tornare da noi…

Perché lui non poteva arrendersi…

Il suo spirito guerriero doveva reagire.

 

Invece, dopo due settimane, Kei decise di aver resistito abbastanza.

E morì.

 

Non so come riuscii ad arrivare sano di mente al funerale.

Forse fu la convinzione che anche gli altri stessero male quanto me.

 

Rei, una maschera di morte.

Non piangeva, ma non perché non soffrisse.

Il giorno dopo svanì nel nulla e da allora ci sentiamo raramente.

 

Max, tra i suoi genitori, il ritratto della sofferenza.

In quei giorni versò tutte le sue lacrime.

Anche lui se ne è andato.

 

In fondo so perché non sono rimasti: hanno cercato di fuggire dal dolore.

Anche se questo li attendeva alla meta.

 

E poi lei…Hilary…

Non riuscivo a guardarla negli occhi, non dopo quello che Kei mi aveva rivelato…

 

Io…

 

Io giocavo con i “se solo”. Ci gioco tutt’ora.

Se solo avessimo vinto le prime sfide, se solo l’avessi fermato.

Se solo…se solo…

 

C’è qualcosa di masochista nella natura dell’uomo.

La memoria, ad esempio: frammenti di vita passata, irrecuperabili e immutabili che duole conservare.

E che non fanno altro che accumulare odio e rancore verso i responsabili.

 

Incidente…

La morte di Kei per la BBA non fu che un incidente di gara.

Quando il presidente Daitenji me lo comunicò, fui sul punto di saltargli al collo.

Come poteva essere considerato un incidente?!

Fu allora che decisi di lasciare il beyblade.

Dragoon è chiuso in un cassetto da due anni. Un cassetto che non verrà mai riaperto.

 

Ma non è solo il bey ad essere stato allontanato.

Anche con mio fratello Hitoshi ho tagliato ogni rapporto. Per me, è morto insieme a Kei.

È stato lui ad aizzare quel pazzo di Brooklyn.

Non so quante volte ormai mi ha chiesto scusa, ma io non le accetto.

Troppo tardi.

Troppo facile chiedere perdono ora, dopo tutto quello che è accaduto.

No, non gli permetterò di liberarsi da quel peso sulla coscienza.

 

Sento bussare alla porta.

So già chi è ancora prima di aprire.

-Ciao, Hilary- la saluto.

È stata al cimitero, come fa quasi ogni giorno. Come facciamo anche io e il prof.

La guardo negli occhi: c’è qualcosa di diverso in lei…un fuoco distruttivo.

La guardo e rivedo la fenice.

E capisco tutto in un istante: le sue intenzioni mi sono chiare da molto tempo, anche se lei non me le ha mai confessate.

Stranamente non provo né gioia né dolore.

Non so neppure se è la cosa giusta. Se è questo che Kei vorrebbe.

 

Non c’era stata giustizia per lui.

E io ero troppo vigliacco per dare il via all’anestesia che ci avrebbe forse strappati al nostro dolore.

Se credessi in un Dio sarebbe più facile trovare una risposta…oppure l’avrei già rinnegato, accusandolo di aver ucciso Kei.

 

E, improvvisamente, faccio una cosa assurda.

-Kei ti amava- sussurro.

Lei è incredula, ma è la verità. Anche se non capisco perché l’ho fatto.

Perché le ho inferto l’ennesimo dolore.

 

“-Perché hai voluto vedermi?

-Dev’esserci per forza un motivo?

Kei era appoggiato alla ringhiera del belvedere, gli occhi color dei crochi, rilassati e sereni, fissi sull’orizzonte. Non sembrava nemmeno in procinto di affrontare un incontro importante.

-Se sei tu a farlo, sì.

L’ombra di un sorriso sincero incrinò la sua impassibilità.

-Hai ragione.

-Allora, cosa c’è che non va?

-Takao, tu…tu sei innamorato di Hilary?

Quella domanda così schietta e diretta mi spiazzò del tutto. Da quando Kei si preoccupava dei miei sentimenti?!

-N…no…perché me lo chiedi?

Mi aspettavo una risposta delle sue, tipo “Non sono affari tuoi”…

-Perché altrimenti saremmo stati rivali anche in amore oltre che nel beyblade.

-Cosa?!

Il mio amico però si era arroccato nella torre del silenzio, segno che per lui la conversazione era terminata. E certo non era compito mio rivelargli che il suo amore era ricambiato.

Ma non capivo…

-Perché lo dici a me? Perché adesso?

-Chiamalo sesto senso- concluse lui, allontanandosi. –Ci vediamo allo stadio.”

 

-Me lo disse quella mattina.

Ed ora ne capisco il motivo.

-Credo che dentro di sé sapesse come sarebbe potuta andare a finire.

 

Hilary se ne è andata.

Forse le mie parole hanno gettato legna sulle fiamme, alimentando il rogo della vendetta.

Se volevo fermarla, ho fallito su tutta la linea.

Se volevo che la sua anima fosse dannata, ho ottenuto una vittoria.

 

Perché so che un’altra morte non cancellerà il dolore, anche se io per primo vorrei stringere le mani attorno al collo di Brooklyn fino a spezzarlo.

 

Ma è questa la giustizia?

 

È per questo che Dio, il destino, o quello che è, ci ha tenuti in vita e non ci ha fatti morire insieme a Kei?

 

Perché passassimo il resto dei nostri giorni a tormentarci nei ricordi?

 

Forse la giustizia non esiste.

È solo un’utopia inventata dagli uomini. Inventata da coloro che hanno bisogno di sperare, di credere in qualcosa.

Ma in realtà è un’illusione. Una chimera.

Non esiste giustizia.

Né umana, né divina.

 

Se esistesse farebbe in modo di metter fine a quest’agonia che sono diventati i miei giorni.

O mi darebbe la forza per suicidarmi.

 

Ormai non sono più un essere umano.

Non sono che un animo in decomposizione pronto per la muffa.

 

Perché non ho il conforto della morte?

 

FINE

 

Ok, è ancora più deprimente dell’altra…e pensare che quando l’ho cominciata non ne ero particolarmente convinta, pensavo di creare un brutta copia di “La mia giustizia”…

Bhe a voi i commenti…se non avete inzuppato la tastiera di lacrime!!!!

 

  
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