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Autore: Old Paradise Street    02/07/2013    9 recensioni
Mai giudicare un libro dalla copertina, ma le persone non sono libri e i volti non sono copertine. Dobbiamo imparare a leggerci dentro, tra le righe, negli sguardi, scoprire cosa si cela dietro l'apparenza, dobbiamo riuscire ad abbattere quel muro, quel guscio con il quale ognuno prova a difendersi, sentendosi al sicuro.
Sophie, adolescente inglese rimasta orfana in un incidente.
Martina, figlia di un noto imprenditore italiano.
Due ragazze estranee che si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto.
'Gli opposti si attraggono ma i simili convivono'
QUI TROVATE I POV MARTINA.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Old Paradise Street - Dove tutto ebbe inizio (pov Martina)




Guardai indispettita l'orario sul mio iPhone. Ma possibile che Dan fosse sempre in ritardo? Proprio mentre stavo pensando di ritornare in camera mia e spaparanzarmi beatamente sul mio letto, sentii suonare il campanello. 
Urlai ad Elizabeth, la domestica, che sarei andata io ad aprire alla porta. 
Lentamente aprii la serratura e mi preparai mentalmente per sbraitare contro il mio migliore amico che era in ritardo di più di mezzora. Un record! 
La visione che mi si aprì agli occhi fu un Daniel trafelato, che si teneva una mano al petto e tentava di riprendere fiato. Aspettai che il suo respiro si facesse regolare e per poi iniziare ad urlargli contro come non avevo mai fatto. 
Prima che potessi aprir bocca e sommergerlo di imprecazioni e finezze varie tipiche di me quando sono arrabbiata, Daniel mi precedette e iniziò a scusarsi dicendo che sua mamma lo aveva trattenuto a casa più del dovuto. 
Mi fece la faccia da cucciolo che per me era irresistibile ed abolii l'idea di urlargli contro.
Mi calmai quanto bastava per non invaderlo di parolacce, presi un respiro e ci incamminammo in centro, dove avremmo trascorso un pomeriggio con la nostra compagnia di sempre. Stessi amici da anni ormai, qualcuno si era aggiunto, altri invece avevano cambiato gruppo. Anche se, ogni volta che uscivo, mi piaceva divertirmi e conoscere qualcuno di nuovo. 
Eravamo in silenzio da cinque minuti e per Dan era anche molto strano stare zitto per più di due secondi, era un tipo piuttosto socievole e ciarliero. Così lo sorpresi e gli dissi:
- C'è qualcosa che non va? - gli toccai la spalla e lo vidi sussultare. Gli riservai uno sguardo curioso e preoccupato e lui iniziò a sorridermi, rilassandosi un po'.
- No, nulla, stavo pensando a come ci siamo conosciuti - fissò il suo sguardo nel mio e gli sorrisi di rimando, mi venne quasi spontaneo, cercando di incoraggiarlo nel raccontarmelo, perché avevo anch'io una voglia tremenda di fare un tuffo nel passato con lui, a parlare di quanto fosse stato buffo il nostro primo incontro.
Posò per un istante i suoi occhi sull'asfalto del marciapiede su cui stavamo camminando e poi tornò a guardarmi, facendosi serio, iniziando a raccontare della prima volta in cui ci eravamo visti.
Io lo ricordavo bene, quel momento, mi veniva in mente ogni volta che Daniel osava fissare il suo sguardo vivo su di me. 
Mi persi nel suo racconto, felice al ricordo di come ci eravamo conosciuti.
Il nostro incontro era stato divertente, uno stupido scherzo del destino forse. E devo ringraziare il fato per aver fatto incrociare le nostre strade, le nostre vite.
Ci eravamo trovati nello stesso bagno, dello stesso ristorante, nello stesso momento, entrambi ad attendere che la toilette si liberasse. Il ragazzo che stava occupando il bagno uscì e chiuse la porta dietro di sé. Fatto quel che dovevo fare, uscii dalla toilette e mi lavai le mani. Provai ad aprire la porta d'ingresso per uscire ma non ci riuscii, così avvisai Daniel, che era lì con me, che eravamo rimasti chiusi dentro. Non lo conoscevo ancora, ma restammo circa un'ora bloccati dentro quel bagno ad attendere che qualcuno ci liberasse. Iniziammo a parlare, fu lui il primo a chiedermi come mi chiamassi. Parlammo, di qualsiasi cosa ci potesse distrarre dal pensiero di essere rimasti chiusi lì dentro. D'un tratto poi mi disse una cosa che non capii subito:
- Poteva capitarmi di peggio! - esclamò, sorridendo. Lo guardai come se avessi dei punti di domanda al posto delle pupille e lui scoppiò in una fragorosa risata, per poi affrettarsi a spiegarmi.
- Sarei potuto rimanere bloccato qui dentro con una vecchia bisbetica ed antipatica, sarebbe stato un inferno - 
La sera stessa, tornata a casa, aprii Facebook e trovai la sua richiesta di amicizia e iniziammo a parlare. Dopo poco mi taggò in uno stato, che diceva "Conoscerti è stato uno scherzo del destino" e sperai che il destino si burlasse ancora di noi. Giorno dopo giorno il nostro rapporto si rafforzava e diveniva sempre più indissolubile. 
Ed ora eccoci qui, a ricordare di quel momento imbarazzante quanto divertente. 
Finì di raccontarmi tutto, per poi chiudere con uno splendido sorriso, domandandomi: 
- Sai cos'ho pensato di te quando siamo rimasti chiusi dentro la toilette? - sospirò, divertito. 
Scossi il capo. 
- Che fossi una bella ragazza - mi fermai un attimo, con un passo appena accennato, arrossii per il complimento e poi ci riflettei un po' su e gli risposi:
- Perché adesso non lo pensi? - ogni cosa intorno a noi sembra essersi fermata.
- Sei la mia migliore amica, Marti - disse in tono ovvio, allargando le braccia in segno di resa. La situazione diventò tesa e quasi insostenibile, distolsi lo sguardo dal suo volto contratto in una smorfia e tornai a fissarlo sull'asfalto.
 
Raggiungemmo i nostri amici in piazza e ci scusammo per il ritardo colossale. Ci avevano aspettati per un'ora quasi. 
Ci incamminiamo verso il parco e, arrivati a destinazione, mi sedetti su una panchina con la mia migliore amica Alessia che non vedevo ormai da giorni. 
Iniziammo a parlare, mentre osservavo i movimenti furtivi di Simone che rideva e scherzava insieme agli altri, compreso il mio migliore amico Daniel.
Ah, il mio Simone. È il ragazzo di cui credo di essere innamorata e ormai anche già da un po'. Guai a chi osa avvicinarsi a lui! Ci siamo conosciuti anni fa, per caso, un giorno di pioggia in cui presi il bus per andare a scuola e, per via di una frenata brusca, finii addosso a lui. Mi scusai così tante volte che l'imbarazzo sparì e le mie guance, che erano diventate completamente rosse seppur fossimo in pieno autunno, divennero di nuovo del loro colore naturale. Ci presentammo e da quel momento non posso fare a meno di pensare ai suoi occhi, a come mi aveva scrutata con così tanta attenzione il giorno di quell'accidentale incontro in autobus.
Mi incantai a guardare il suo volto, le sue labbra distendersi in un sorriso e i suoi perfetti denti far capolino dalla bocca, mentre correva per il prato giocando a calcio.
Terminai di sognare quando la mia migliore amica mi passò una mano davanti agli occhi per vedere se fossi sveglia o meno. Mi riscossi un attimo e tornai ad ascoltare quello che mi diceva Alessia.
Stavamo chiacchierando ormai da quindici minuti abbondanti, quando d'un tratto lei mi fece notare una cosa che mi infastidì parecchio: Daniel, il mio migliore amico e Simone, il ragazzo che mi piaceva, si erano incuriositi osservando da lontano una ragazza bionda sola che leggeva un libro seduta su una panchina, facendo commenti come "Non l'ho mai vista qui, devo ammettere che non è niente male!". All'ennesima osservazione di Simone e Daniel che fissavano insistentemente quella ragazza, mi stufai e mi alzai dalla panchina dove ero seduta, dirigendomi verso il mio migliore amico e interrompere così quel delirio che aveva fatto crescere in me un senso di disgusto e invidia. 
- Dan, torniamo a casa? - tentai di distoglierlo dalla sua osservazione, ma non demordeva, anzi non demordevano, nessuno dei due.
Mi innervosii ancora di più quando vidi Simone avvicinarsi a lei, salutarla e sorriderle. 
'Oh, no, dimmi che non sta veramente venendo verso di noi accompagnata da Simone', pensai tra me e me. Incrociai le dita, mi passai le mani sugli occhi più e più volte sperando che quell'immagine fosse soltanto frutto della mia immaginazione. 
Guardai la mia migliore amica rimanere a bocca aperta dallo stupore finché questa famosa ragazza non ci fu “finalmente” davanti, osservandoci incuriosita e aspettando che Simone la presentasse.
- Lei è Sophie - annuirono tutti felici, eccetto me. Le lanciai uno sguardo truce e tornai a fissare il prato, sicuramente più interessante della sua faccia.
- Io devo andare - annunciai, a mezz'aria, sperando che qualcuno mi rivolgesse la propria attenzione e che non fossero troppo impegnati ad ammirare la "nuova arrivata".
- Ti accompagno io, Marti - mi disse Simone. Salutai tutti e, ahimè, mi toccò anche salutare Sophie.
Ci incamminammo verso casa mia in silenzio, nessuno dei due proferiva parola. La strada con Simone mi sembrava molto più lunga. Arrivammo finalmente davanti al cancello e Simone mi disse:
- Non me lo dai un bacino sulla guancia? - si indicò con l'indice la gota arrossata dal freddo e sorrise.
Lo guardai in cagnesco prima di riservargli una delle mie risposte acide e ben pensate:
- Perché non te lo fai dare da Sophie, il bacio? - incrociai le braccia al petto indispettita e piena di astio. 'Uno a zero per me', pensai, non appena lo vidi aprire la bocca, scostare l'indice dalla sua guancia e posarlo davanti ai miei occhi, per poi abbassarlo e chiudere di nuovo la bocca, per poi tacere.
Lo salutai con un veloce gesto della mano sogghignando per la vittoria appena guadagnata con lui per merito della mia risposta sempre pronta.
Gli voltai le spalle ed entrai nel cancello di casa mia. Tutto quello che riuscii ad udire fu la sua voce che diceva, accompagnata da una finta risata diabolica:
- Questa me la paghi, Marti! - risi al ricordo di quello che gli avevo appena detto e chiusi lentamente il cancello dietro di me. 
 
Rientrai praticamente a ora di cena ed erano già tutti seduti a tavola ad attendere che arrivassi: i miei genitori e Andrea, il mio fratello minore.
Mi sedetti a tavola e attesi che la domestica ci portasse il primo piatto. 
Mentre gustavamo il prelibato piatto di pasta cucinato da Elizabeth, mia madre iniziò a raccontare della sua giornata di lavoro.
- Oggi è arrivata una nuova ragazza inglese in casa famiglia - disse, a mezza voce, tra una forchettata e l'altra di pasta. 
I miei genitori erano a capo di una casa famiglia che ospitava bambini e ragazzi con problemi familiari e mia madre adorava il suo lavoro, lo faceva davvero col cuore, si vedeva, ci metteva passione.
- In quanto direttrice della casa di accoglienza, mi sono subito interessata al caso e stiamo operando per restituire la serenità e una vita dignitosa a questa ragazza. Deve essere devastante perdere i genitori a soli quindici anni - disse con tono amaro, sospirando. 
Mio padre posò la forchetta sul tavolo e parlò:
- Potremmo chiedere il suo affidamento e la successiva adozione - 
A mia madre si illuminarono gli occhi, le brillavano, annuì, sorridendo come non l'avevo mai vista fare.
- Certo, domattina vedo quel che si può fare -
Continuò ininterrottamente a sorridere mentre finivamo tutti il primo piatto. Elizabeth ci servì in qualche istante il secondo.
- Come si chiama questa ragazza? - chiesi a mia madre, curiosa. La curiosià è nel mio DNA, non posso farne proprio a meno. Lei non esitò a rispondermi:
- Sophie, si chiama Sophie. Vedrai, diventerete molto amiche tu e lei - soddisfatta di quanto appena detto, mi guardò sorridente.
Rischiai di morire soffocata all'udire quel nome, che tanto mi ricordava quella ragazza conosciuta al parco che avevo detestato sin dal primo minuto. Deglutii nervosa in cerca di una spiegazione, di una giustificazione a tutto quello, autoconvincendomi che il nome fosse solo una banale coincidenza e che la ragazza che avevo incontrato qualche ora prima non fosse la stessa arrivata in casa famiglia. 
Mi passò per la mente di chiedere a mia mamma di descriverla: se la descrizione corrispondeva, non c'erano dubbi, era proprio lei la Sophie di cui si parlava, ma non volevo rovinarmi la serata con quella notizia, non dopo il piacevole pomeriggio trascorso con i miei amici, il ricordo del primo incontro con Daniel e il la battaglia vinta con Simone. Proprio non volevo.
Finimmo di mangiare e verso le 22.00 presi una cioccolata calda: adoravo sorseggiarla d'inverno, davanti alla grande vetrata in camera mia che offriva una stupenda vista dalla quale, in lontananza, si scorgeva il mare. Amavo perdere ore a fissare fuori dalla finestra le onde infrangersi sugli scogli. Era terribilmente rilassante.
Presi il cellulare e, senza pensarci un attimo, composi il numero di Daniel.
Rispose e lo salutai, poi iniziammo a parlare. Gli raccontai della strana coincidenza del nome della ragazza del parco e di quella nuova che ha conosciuto mia madre. Anche lui era abbastanza perplesso, lo capii dal suo tono di voce e dalle parole che utilizzava.
Finii di parlare di Sophie e poi lui mi disse:
- Senti, Marti... Io ho bisogno di parlare con te. Ci possiamo vedere domani a casa mia? - 
- Certo, ma non puoi accennarmi niente ora? - mi rispose che non poteva parlarmene per telefono, allora accettai e ci accordammo per l'orario. Chiusi la chiamata e mi sdraiai a peso morto sul materasso. 
Socchiusi leggermente gli occhi e mi chiesi cosa avesse da dirmi di così importante che non potesse essere detto per telefono. Con quel pensiero, mi addormentai, attendendo con ansia che arrivasse il giorno successivo.
 
All'orario prestabilito, mi presentai davanti a casa di Daniel che mi fece entrare e salimmo in camera sua. Mi sedetti con le gambe incrociate sul letto e attesi che mi parlasse, guardandomi intorno osservando ogni piccolo particolare di quella stanza. Non appena sentii una pressione sul materasso, mi accorsi che Dan si era appena seduto vicino a me, schiarendosi la voce. Così distolsi la mia attenzione dal libro che stavo fissando da qualche secondo e posai lo sguardo su Daniel, che cominciò così a parlarmi, incoraggiato dai miei occhi su di lui.
- Tu lo sai che io non sono molto bravo con le parole, ma... - fece una pausa che mi sembrò interminabile, volevo sapere tutto quello che aveva da dirmi. 
Iniziò a gesticolare nervosamente, così lo incitai, invogliandolo a continuare il suo discorso.
- Vedi, tu ieri mi hai fatto ricordare una cosa. Ho in testa solo quel pensiero da ieri pomeriggio - 
Parlava con mille pause tra le parole e non ce la facevo più a sopportare quell'attesa, però dovevo rispettare i suoi tempi, non mi sembrava giusto sbraitargli contro.
- Tu mi piaci - quasi lo sussurrò a se stesso, come se volesse tenerselo per sé, come se fosse da solo nella stanza, come se fosse un segreto da conservare nella parte più profonda della propria anima. 
- Come? - sperai di aver capito male, di essermi immersa fin troppo nei miei pensieri per poter ascoltare con attenzione quello che mi diceva, ma mi sbagliavo. Avevo sentito bene. Ridisse la stessa frase, di nuovo e a voce più alta. Prima che potessi incassare la scoperta e rifletterci su qualche minuto, Daniel mi precedette e mi diede un bacio a stampo sulla bocca. Portai la mano sulle mie labbra, come per appurare che quel bacio ci fosse stato davvero. 
Quel lieve contatto scottava, era caldo e dannatamente pericoloso. 
Era come se, sfiorandomi poco le labbra, fosse riuscito a portarsi via un pezzo di me che non avrebbe mai potuto avere, che non sarebbe mai potuto essere suo, quel pezzo che gli mancava per completare il suo quadro di innamoramento, come se avesse fatto provviste di me per tutto il resto dei suoi giorni, impaurito all'idea di non poter più avere nulla da parte mia.
Prima che potessi dire qualsiasi cosa, il mio migliore amico continuò a parlare. Ero ferma, con lo sguardo fisso nel vuoto.
- Sarà il primo e l'ultimo, questo bacio. So che sei innamorata di Simone e devo farmene una ragione. Avevo bisogno di un contatto con te, le mie labbra ne necessitano ormai da mesi. Non potevo tenermi tutto questo dentro, dovevo placare questo uragano che mi ha travolto. Era un peso troppo grande - scosse il capo, amareggiato. Ecco, ora stava scappando. Stava fuggendo via da me, con il suo bottino tra le labbra, con quel pezzo del puzzle della sua vita di cui aveva tanto bisogno ma che io non potevo dargli e lui lo sapeva. Stava scappando, come un ladro, via dalla mia bocca, lontano dai miei baci, per mettersi in salvo e conservare il suo tesoro.
L'avevo detto che scottava questo bacio e ne saremmo usciti bruciati entrambi.
Tornai a casa pensierosa, non riuscii nemmeno a pranzare, il cibo mi dava la nausea. Quella notizia mi aveva sconvolta, più di ogni altra cosa. 
Continuai a pensare a Sophie e a quanto fosse assurdo che la ragazza del parco e quella della casa famiglia si chiamassero allo stesso modo. Ondeggiai la testa qua e là per scacciare quel pensiero che associava le due ragazza alla stessa persona, alla stessa identità. 
Mi misi a fare i compiti per le vacanze di Natale: me ne mancavano ancora molti da svolgere e poco era il tempo che mi rimaneva prima di ritornare a scuola. 
Avevo una strana voglia di conoscere questa Sophie che i miei avevano deciso di prendere in affidamento. Attendevo con ansia il giorno del suo arrivo, giusto per tirare un sospiro di sollievo e scoprire che mi sbagliavo, con molto piacere. Non avrei mai voluto quella ragazza sotto il mio stesso tetto, non mi stava simpatica (anche se non la conoscevo), ma solo il fatto che avesse attirato l'attenzione del ragazzo che mi piaceva, la cosa mi infastidiva parecchio. Non riuscivo ad immaginare Simone con nessuna ragazza, non riuscivo a pensare a lui tra le braccia di un'altra. 
Involontariamente, mi ritrovai a ripensare a Daniel e a quanto successo quella mattina, quella dichiarazione. Chissà se anche lui si sentiva un vuoto dentro quando vedeva qualche ragazzo che mi si avvicinava, quando notava che scherzavo e ridevo in compagnia di Simone. Sospirai al solo pensiero di fare soffrire Daniel in quel modo, di farlo morire dello stesso dolore che sentivo io quando Simone abbracciava una ragazza che non fossi io, del vuoto che mi assaliva ogni volta che sognavo Simone e poi mi svegliavo, credendo che tutto fosse reale, realizzando poi che mi trovavo nel mio letto e non tra le sue braccia. Stavo male al pensiero che il mio cuore fosse suo e che il suo non potesse invece appartenere a me.
Odiavo tutta questa situazione. 


 
-Giada.
Salve, lettori! (Se ce ne saranno, ovviamente)
Che ve ne pare di questo capitolo? È soltanto il primo, compatitemi.
Premetto che questa è solo una piccola introduzione alla storia, un modo per presentare i personaggi e un po' le loro storie. Più andremo avanti nei capitoli e più scoprirete cose nuove su di loro (ma dai?!).
Posso anticiparvi che la storia non è incentrata su vicende amorose soltanto, ma che l'argomento principale sarà il rapporto tra Sophie e Martina, le due ragazze e appunto il prossimo capitolo riguarderà principalmente loro.
Poi volevo dirvi un'altra cosa: potete leggere la storia sotto il punto di vista di Sophie, la trovate sempre in questo account (silviaegiada) e quindi vi invito a leggere anche quella, l'ha scritta la mia socia (u.u) Che altro dire? Spero vi sia piaciuta e vorrei sapere cosa ne pensate.
A presto, se vorrete, per continuare a seguire le vicende che avvolgono le vite di Sophie e Martina. 
  
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