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Autore: WithoutASound    15/01/2008    3 recensioni
Così lontani, così troppo vicini, così troppo simili, così troppo fragili. Dentro di se soffriva, soffriva intensamente ma non lo dava a vedere. Il suo viso rivelava solo indifferenza ed apatia. Quei due occhi verdi scrutavano e soffrivano in silenzio, fin troppo abituati al dolore silenzioso. Fin troppo delusi in tante, troppe situazioni. Era come se tutto quello che aveva sofferto negli anni passati fosse tornato a bussare alle porte del suo cuore, spingendo, facendo pressione ed abbattendo i cardini di quelle porte oramai compromesse dagli eventi. Fragili.
...Can You Really Feel The Pressure?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gerard Way, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo C’mon Angel, Don’t You Cry


Patetico.
Quella parola lo opprimeva da ore. Interminabili e dure ore. Ogni volta che la risentiva provava come un forte brivido che terminava in uno stimolo a cui poche volta cedeva. Voleva piangere. Piangere. Piangere. Liberarsi di quella disperazione in cui era piombato di nuovo solo. Solo. Una leggera lacrima si fece largo sul suo viso. Con una mossa veloce la cacciò via con la mano, come fanno i bambini. Patetico come pochi.
La stanza era avvolta nel buio e lui era intenzionato a lasciarla in quel modo. Non riusciva ancora a credere che quella voce che fino a mesi prima l’aveva aiutato con qualche rassicurazione, adesso l’avesse ridotto in quello stato. Era stato tutto perfetto…credeva che sarebbe durato per sempre, che nulla avrebbe potuto rovinare tutto. Le sue certezze si erano frantumate insieme a tutto quello che per anni aveva costruito con tanto amore e dedizione. Aveva perso la donna che amava, le sue certezza ed una parte della sua autostima. Era semplicemente patetico. Gli pareva impossibile poter andare avanti. Poter amare di nuovo qualcuno. Non avrebbe mai più dato a nessuno quello che aveva dato a lei. Non avrebbe permesso che nessuno lo facesse sentire così stupido e patetico. Aveva chiuso. Cominciava una nuova vita. Non era una promessa, era solo una sfida con se stesso.

Patetica.
Voleva piangere ma non ci riusciva. Voleva urlare che stava male. Che aveva fallito e che nulla avrebbe potuto aiutarla. Si sentiva un emerito disastro. Era un disastro. Erano riusciti a buttarla giù di nuovo, ad opprimerla nuovamente. Perché non riusciva a piangere neppure di questo?! Perché non riusciva a disperarsi come fanno tutte le ragazze?! Scacciò via dalla faccia i lunghi capelli neri e tentò con tutte le sue forze di urlare. Almeno urlare. Ma la sua voce si spense in qualcosa di simile ad un gemito di un cucciolo intimorito. Tirò un pugno contro il divano, talmente forte che il braccio gli si intorpidì pure.
Era patetica. Stupida ed ingenua. Non era riuscita a tirare fuori nulla dalla sua vita. Nulla dalla sua fottuta vita. Andava sempre tutto a rotoli. L’amore. La famiglia. Ed ora pure questo. No. Non riusciva a sopportarlo. Le avevano imposto di essere la migliore. Lei doveva essere la migliore. Ma non c’era riuscita. Passò fra le mani quello che gli era rimasto di quello in cui aveva creduto. Uno stupido assegno. Non aveva neppure guardato a quanto ammontava, non gliene fregava nulla. Che l’avessero cacciata con una misera paga o con una fortuna non cambiava nulla. L’avevano cacciata. Vide la chitarra appoggiata al divano. Sentì una forte fitta in mezzo al petto. Lily. Quello che era successo le avrebbe impedito di continuare. Addio, Lily. Addio musica.


1. I Can Feel The Pressure


Recuperò il resto dal bancone del bar ed uscì in silenzio. Dopo due anni finalmente il grande giorno era arrivato. Sentiva la pressione che l’opprimeva come un orme macigno. Cosa lasciava in quel posto? Delusioni continue. Era un po’ un paradosso cercare rifugio nella patria dei suoi genitori ma non aveva scelta. Osservò la tabella delle partenze. New Ark. Imbarco Gate 27. Suo padre glielo aveva sempre detto “fai quello che ti pare ma non trasferirti mai nel New Jersey. È pericoloso e squallido”. E naturalmente lei non gli dava retta. Per suo padre qualsiasi cosa era pericolosa e squallida. Pure lei stessa forse. Si immaginò subito la scena dei suoi quando avrebbero scoperto che se n’era andata. Quando avrebbero trovato quel biglietto in cui lei finalmente aveva scritto quanto li avesse sempre odiati e quanto desiderasse cambiare tutto della sua vita.
Passò davanti ad una grossa finestra e poté vedere il suo aereo. Annuì e sospirò in modo quasi impercettibile. Da lì in poi doveva dimostrare tutto quello che era. Nessuno la conosceva e nessuno si sarebbe permesso di giudicarla. Si avviò verso il gate 27 seguendo altre persone. Si fermò ad un’edicola giusto per prendere qualcosa da leggere. La setacciò tutta nella speranza di trovare qualche giornale italiano. Nulla da fare. E dopotutto non le dispiacque molto. Afferrò una copia di “Us Today” ed andò a pagare. Uscita dell’edicola osservò la copertina senza proferire parola. Jennifer Aniston. Kelly Clarkson. Tom Cruise. Forse il Wall Street Journal sarebbe stato più interessante.

“Grandioso”. Scandì quelle parole senza un minimo di convinzione e con molto acido sarcasmo. L’amico lo guardò annuendo “spera solo di non trovarti di fianco ad una vecchia pettegola” rispose scrollando le spalle. Non ci trovava nessuna consolazione. Si rimise gli occhiali neri e si appoggiò al muro. Un altro ragazzo alto, con folti capelli ricci li raggiunse in quel momento “niente da fare…hanno fatto dei disguidi durante la prenotazione…ci hanno sparsi per tutto l’aereo”. “Sai,Frank, credo che mi troverò di fianco ad una vecchia pettegola” disse da dietro i suoi occhiali neri. Frank lo guardò dispiaciuto. “comunque tu e Bob” disse il ragazzo appena arrivato rivolto a Frank “siete accanto…” poi si rivolse al ragazzo con gli occhiali “ti hanno messo a metà aereo circa…” disse guardando i biglietti. “noi altri siamo tutti,all’incirca in cima…” aggiunse porgendogli il suo biglietto. Il ragazzo con i capelli neri lo prese e lo guardò disinteressato. Grandioso era poco. Fenomenale era un aggettivo più adatto. Aspettarono qualche altro minuto poi, quando un altro ragazzo dai capelli biondi si unì a loro si diressero verso l’imbarco. “Buona fortuna Gerard” disse il ragazzo biondo sorridendo. “Grazie Bob!” rispose l’altro stizzito. “Mi sto imbarcando…” sentì quelle parole da dietro le spalle. “…si, credo che arriverò alle…” si interruppe “ok, non ti preoccupare”. Non sapeva per quale ragione ma voleva voltarsi. Era incuriosito da quelle parole e dal quel grazioso accento. Quella ragazza non poteva essere americana. “Gerard…toccherebbe a te…” gli mormorò Frank incerto. Il ragazzo tornò in se, scosse la testa, e porse il suo biglietto.

Prese il biglietto e lo fece vedere alla ragazza davanti a lei. Glielo riconsegnò qualche istante dopo con un sorriso. Camminò lungo il corridoio che la conduceva all’aereo ascoltando i suoi passi in silenzio. Arrivata salì sopra e cominciò a cercare il suo posto. Si trovava in cima ed il suo posto era circa a metà dell’aereo. Quel volo era un’intercontinentale, era enorme ed i passeggeri erano tantissimi. Prima di riuscire ad arrivare a metà le ci vollero dieci minuti. Trovò il suo posto. Era sulla sua destra ed era proprio accanto al finestrino. Mise la borsa nel portabagagli e si sedette. Qualche minuto dopo, quando diverse persone si erano già messe a sedere vide spuntare un ragazzo. Aveva i capelli neri e portava un paio di occhiali. Ebbe come l’impressione di averlo già visto ma lì per lì non ci fece caso. Si fermò davanti a lei ed osservò i numeri dei posti. Le lanciò uno sguardo di sfuggita. Osservò i suoi lunghi capelli biondissimi ed i suoi occhi nocciola, contornati da un filo di matita nera. Non poté negare che non fosse bella. Sentendo gli occhi di lui su di lei, ella abbassò lo sguardo. Forse un po’ per non sembrare invadente forse perché sentiva i battiti del cuore prorompergli nel petto. Cominciò a respirare affannosamente. Non poteva essere vero. Rievocò tante parole. Tanti volti. Rievocò quelle ore passate con quelli che un tempo erano i suoi migliori amici. Si sentì quasi mancare. Lui non notò nulla forse proprio perché spostò subito lo sguardo da lei per sistemare le sue cose e lavarsi gli occhiali. Solo allora notò che c’era qualcosa che non andava. La ragazza accanto a lui aveva una mano sul viso e sembrava non stare tanto bene. “Hey? Tutto ok?” chiese con il suo solito fare premuroso. Forse non riusciva a capire che il vero problema era proprio lui. Ma non perché lei fosse una fangirl o qualcosa di simile. Lui non poteva immaginare che cosa aveva rappresentato lui e la sua band per lei. L’avevano aiutata e poi era finita in un abisso per la passione che nutriva per loro. “Certo” rispose sorridendo lievemente. Fece finta di crederle e si sedette al suo posto. Passarono dieci interminabili minuti per entrambi. Lei stava male, malissimo, come se le avessero sparato una revolverata in pieno petto lui era tremendamente incuriosito da lei che, se non fosse stato un tipo riservato, si sarebbe voltato a guardarla. Lei cercò di calmarsi dopotutto tutto quello che aveva sofferto era stato arginato,no? Ora stava bene. Non poteva permettere che il dolore del passato la inghiottisse nuovamente. Alzò finalmente lo sguardo dal finestrino giusto il tempo di voltarsi e notare che lui la stava guardando. “Un po’ meglio ora?” le chiese con un sorriso “si, grazie” rispose sorridendo un po’. “Credevo di averti impressionato io” disse lui con un sorrisetto. “oh! Nono…io non…” borbottò lei senza riuscire a dire nulla di concreto. Lui ridacchiò un po’,sembrava simpatica. Sicuramente cento volte meglio delle possibili “compagne di viaggio” che si era immaginato. Lei si voltò di nuovo verso il finestrino decidendo che non gli avrebbe più parlato evitando di fare altre figure del cavolo.
Eppure…eppure ci sarebbero state tante cose che avrebbe voluto chiedergli. Dopotutto lei li conosceva dal primo cd, quello di incontrarli e di incontrare lui doveva essere il suo sogno. Doveva.
L’aereo decollò e cominciò a prendere velocemente quota. Sul display sopra i posti i valori sballavano di continuo. Continuò a guardali fingendosi interessato. Come No. La spia luminosa segnalò che si potevano slacciare le cinture. Slacciò la sua e lei fece lo stesso. I loro sguardi si incrociarono di nuovo ed entrambi sorrisero come si usa fare per cortesia. Lei questa volta non riuscì a fare di nuovo la finta indifferente. Era troppo chiaro che voleva parlargli. Lui decise che era l’ora di dirle qualcosa. “Beh…piacere, io sono Gerard” biasimò immediatamente il suo fantastico ed originalissimo approccio “Piacere” rispose lei “Audrey”. Gerard ripeté a lungo in testa sua quel nome. Audrey. “Bel nome, davvero” disse sorridendo. lei sorrise soddisfatta. Almeno per il nome i suoi avevano fatto centro. Passò qualche minuto prima che realizzasse che su quell’aereo lui non doveva essere solo…

Spostò lo sguardo da Bob velocemente. Appoggiò la testa contro il sedile e cominciò a guardare fuori dal finestrino. Gran parte della vista era impedita dalle folte nuvole che affollavano il cielo rendendo l’impressione che sotto l’aereo non esistesse più nulla. Aspettò un po’ poi decise di raggiungere Gerard per vedere come se l’era cavata. Percorse il corridoio. Molti sguardi si posarono su di lui. Qualcuno lo guardò con l’impressione di averlo già visto da qualche parte, qualcun altro parlò al suo vicino facendogli notare chi era. Lui ignorò tutti e continuò a camminare finché non arrivò a metà aereo. Individuò Gerard, stava parlando con qualcuno. Avanzò di qualche passo, perplesso. Gerard si voltò e lo vide solo allora notò la persona seduta accanto al suo amico.
  
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